La
guerra. Oh, sì. La guerra. Ti dà belle
ricompense. Davvero.
Non
cercate di fare i perbenisti ora: so che state
leggendo e state aggrottando le sopracciglia in disappunto nello
scorgere queste
mie parole.
Se non mi credete, confermate ancora quello che penso e ho sempre
pensato del
genere umano: un branco di deliziosi,
sciocchi, poveri illusi.
Tutti
combattiamo una guerra, sapete?
L’operaio
che la mattina va a lavorare combatte
ogni giorno per dare quello che
serve alla sua famiglia; lo studente combatte
per cercare di prendere una laurea ed affermarsi in questo mondo
così incerto;
gli animali combattono ogni giorno
ovviamente per la sopravvivenza; i ricchi combattono
per continuare ad esserlo e i poveri combattono,
invece, perché vorrebbero migliorare la loro condizione. Il
buon impiegato
d’ufficio combatte sul
proprio posto
di lavoro e anche tu, certo, anche tu combatti
anche solo per parcheggiare la macchina in centro all’ora di
punta.
Ora
stai sorridendo. Sei
prevedibile.
Nell’elencare
queste guerriglie da quattro soldi
ho mancato -di proposito- la categoria più importante. La
categoria che mi
riguarda, che ti riguarda. La categoria che comprende le ombre, le
persone agli
angoli delle strade, con gli occhi spenti e la morte sulla punta delle
dita.
I
criminali.
Sono
importanti i criminali, sapete? Anche loro combattono.
Il
criminale combatte per
sfuggire alla cattura e, qualche volta, si dimentica addirittura quale
sia
esattamente la battaglia che porta sulle spalle.
Perché,
beh... sì. I
delinquenti sono quelli che dovrebbero farvi più pena di
tutti, perché la loro
battaglia era simile alla vostra, perché la loro causa un
tempo era giusta,
perché anche loro tentavano di cambiare un mondo che va al
contrario.
Veniamo
a noi. E io perché
combatto?
Il
problema, signori miei, è che la mia battaglia
non l’ha mai capita nessuno. Credo, in tutta
sincerità, di non averla capita
nemmeno io.
Io sono partito facendo la cosa giusta, mettendomi al servizio del
nostro rispettabilissimo paese.
Poi,
mi sono semplicemente stancato di tutto
questo e ho preso una strada diversa. Ho incontrato tante persone lungo
il mio
percorso, ma ce n’è stata una
sola in
grado di sconvolgerlo. O, per meglio dire, la vita me l’ero
sconvolta
abbastanza già da solo. Lui ha pensato a come farmi vivere
dignitosamente. Lui
mi ha fatto alzare in piedi, mi ha scrollato la polvere di dosso e mi
ha reso
di nuovo capace di camminare sulle mie gambe. Mi ha scaraventato dritto
dritto
all’inferno, ma la volete sapere una cosa?
Da
dove sto io, qui in basso, il mondo si vede
meglio. Si vede per quello che realmente è. La
realtà noi la conosciamo
almeno, senza che essa passi attraverso veli
inutili. È crudele?
Beh, passerotti, la vita non
è mai
giusta.
Quanti
di voi possono guardarsi intorno ed
affermare senza il minimo dubbio che quello che vedete e vivete ogni
giorno è
la pura e semplice realtà? Su, su le mani.
Non
vi accalcate.
Ma, di nuovo, io lo immaginavo. No,
rettifico, non me lo immaginavo. Io lo so.
Sono
un uomo degno di riprovazione?
Senza
dubbio.
Sono
un peccatore?
Non
l’ho mai negato.
Lasciate
che io vi dica che nessuno segue alla
lettera le pagine di quel libro polveroso in cima ad un altare di
marmo.
Finiremo tutti all’inferno.
Tanto
vale godersi il viaggio no?
Peccare
- per usare un termine vecchio stampo - è
l’unica cosa che ci rimane.
Vi
ho già detto che non sono un uomo che dovreste
imitare. Perché perdete ancora tempo a leggere le memorie di un peccatore?
Caspita,
come sono melodrammatico oggi.
Jim
Moriarty sarebbe orgoglioso di me. Voi lo
conoscete il consulting criminal?
Oh,
ma certo che lo conoscete, altrimenti non
sareste qui a leggere queste poche righe.
***
Ricordo
ancora quando ero bambino e mi
costringevano ad andare in chiesa. Non che la mia infanzia sia stata
particolarmente felice, badate, ma ho avuto anche io i miei anni di
infanzia in grazia di Dio,
è il caso di dirlo,
perdonate se ho utilizzato delle parole così scontate e di
così bassa comicità.
Ricordo
ancora le insegnanti che ti si
affiancavano e ti elencavano passo passo le cose dalle quali ti dovevi
astenere
per volare poi in paradiso.
Col senno del poi, seriamente, quante scempiaggini insegnano ai nostri
figli?
Ci
educano facendoci sentire in continuazione
l’abominevole minaccia delle fiamme dell’inferno a
bruciarci il culo. Se
ascoltassimo davvero tutto quello che ci dicono... Beh, personalmente
mi sarei
ritrovato a trentacinque anni solo, calvo e con una vita di rimpianti.
Gradii
particolarmente il momento in cui mi
parlarono dei “sette peccati capitali”. La mia
reazione fu qualcosa tipo “Oh,
Signore, ho vissuto anni nella menzogna, la mia anima è
irrimediabilmente
corrotta! Sono condannato, finito, destinato a bruciare in un dolore
senza
fine!”
Mi
viene da ridere, oggi. Considerando che lì
avevo sei anni e che oggi ne ho qualcuno
in più. E, soprattutto, da bambino pensavo che sarei finito
all’inferno per
aver detto alla mamma che avevo finito i compiti per andarmene invece a
giocare
in giardino.
Voi
mi conoscete, suppongo. Sapete che cosa ho
fatto. Le bugie... Magari fossero quelli i miei problemi! Quelle sono diventate
talmente automatiche
quando lavoro che ormai ho smesso anche di dare loro un nome. Le bugie
per me
sono diventate puro e semplice istinto di sopravvivenza.
Escludendo
i comandamenti, che ho infranto pezzo
pezzo come il servizio di piatti di una di quelle famiglie italiane
vecchio
stampo fuori dalla finestra la notte di capodanno... mi piacerebbe ora
considerare questi famosi e temibili sette peccati capitali che tanto
mi
terrorizzavano da bambino. Tanto per sorridere, e riconsiderare tutto
quello
che ho fatto - e che magari ancora farò- con quegli occhi
chiari e la faccia
pulita del bambino che sono stato. E perché no, per riderci
su. Concedetemelo,
suvvia.
***
Eccomi
qua, comodamente seduto nel mio salotto- una
volta tanto- con il portatile sulle
gambe. Dico una volta tanto perché, almeno, dopo
l’ultima missione passata a
gelarmi il culo a Novosibirsk in Siberia, Jim Moriarty ha finalmente
deciso di
darmi un po’ di tregua. Non fosse altro se non
perché lo stare a -40°C
perfettamente immobile con un fucile in mano, a stretto contatto con il
terreno
-che probabilmente era anche più freddo- e le dita che ti
stavano quasi cadendo
per il gelo nonostante i guanti, mi ha fatto prendere un leggero
raffreddore.
Quell’uomo
è fortunato che io sia stato in guerra.
Ma questa è per lui anche la sua sfortuna: prima o poi lo
faccio fuori... dopo
aver mandato le sue sinuose chiappe firmate in Siberia, ovviamente.
Comunque.
Di cosa stavamo parlando? Ah, già. Dei
peccati capitali.
Li
conosciamo tutti, no? Nel caso aveste la
memoria corta ci pensa il vostro Sebastian a ricordarveli. Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola,
Accidia, Ira.
Va
meglio, vero? Ne sono felice. Non perdeteli di
vista, ci serviranno.
Da
quale vogliamo iniziare? Direi di andare in
ordine, mi appartengono tutti, qualcuno di più, qualcuno di
meno.
Per partire come si deve con questa pazza idea direi di aiutarci con la
sacrosanta Wikipedia, che è un po’ come la Mother
Mary della canzone dei
Beatles che viene nei nostri “times of trouble”. 1
“Superbia: desiderio
irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi,
rispetto
altrui.”
Qualcuno
ha probabilmente
fatto la descrizione della mia vita in vizi capitali e l’ha
messa su internet?
Credo sia stupefacente. E forse un
pizzico inquietante.
La
Superbia. Senza dubbio il perfetto punto di
partenza. Come tutte le storie da raccontare è sempre bene
iniziare dal
principio.
Vi
ho parlato di guerra, all’inizio di questo mio
confuso blaterare. Questo perché la guerra mi ha reso quello
che sono ora, mi
ha plasmato, reso più forte e mi ha fatto capire davvero
quanto i nobili
propositi contino poco, in realtà.
Cinque
anni. Cinque anni a fare il loro burattino,
in mezzo alla polvere, il sole cocente e i commilitoni che morivano ad
uno ad
uno: alcuni saltavano in aria per via di attentati alle nostre basi...
Beh, è
così che agiscono gli islamici, ma lo saprete meglio di me,
considerando che
giornali e notiziari vi avranno riempito la testa con il loro blaterare
su
quanto sia cattivo “il nemico”.
Perché,
giustamente,
noi siamo zuccherini, i nostri fucili sparano coriandoli e le nostre
granate
esplodono in tante caramelle. Tra americani ed inglesi faccio fatica a
capire
chi dei due sia peggiore, dico davvero.
Dopotutto,
chiunque fosse quel poveraccio che
esclamò per la prima volta ‘Comandare
è
meglio che scopare’ ha tremendamente ragione.
Nell’esercito funziona così,
quasi a livelli spaventosi.
Il
potere, signori miei, dà alla testa. E ve lo
dice un ex Colonnello.
Il
problema è che, fondamentalmente, nell’esercito,
come nella vita reale, incontri persone di competenza, che sanno dove
mettere
le mani, e un Generale di brigata a caso che pensa di essere il re del
mondo e
di fare una partita a Risiko invece di considerare le persone che
stanno
rischiando la vita e non soltanto -per una volta! - il suo
stramaledetto prestigio
personale.
Se
ho fatto carriera nell’esercito non è stato
certamente perché cercavo la gloria personale. Solo un
povero sprovveduto
partirebbe a morire di sua spontanea volontà per farsi
ammazzare nell’ipotesi
remota di mettere qualcosa in tasca. Avevo perso ogni cosa,
l’esercito era
tutto quello che mi era rimasto. Mi ero arruolato nella speranza di
diventare
un uomo migliore.
Le
cose dovevano andare diversamente, però, e
mentirei se dicessi che la cosa non mi ha fatto piacere.
Sono un cattivo ragazzo, ve l’ho detto.
Se
sapeste quello che ho dovuto passare...
Avevo
la responsabilità di così tanti uomini e
lui, questo Generale - Alexander Walker, come dimenticarlo- ancor
più di me.
Eravamo entrambi uomini che non temevano schierarsi in campo al fianco
dei loro
commilitoni, con la sola differenza che il buon generale Walker - pace
all’anima sua- era un tiratore eccezionale. Peccato,
però, che non fosse in
grado di pianificare le operazioni come si deve.
L’avevo
avvisato che la sua era un’operazione
suicida. Non puoi mandare centocinquanta uomini all’attacco
di una base
decisamente più grande della nostra e armata fino ai denti,
per giunta. La cosa
più esilarante di tutto questo è che lui
“avrebbe coordinato le operazioni
dalla base”. Che personaggio simpatico il nostro Generale,
non trovate?
Naturalmente mi sono offerto di coordinare le operazioni sul campo, non
avrei
mai lasciato tutti quegli uomini da soli, nonostante me lo sarei potuto
permettere.
Mi
piacerebbe avervi avanti uno ad uno per chiedervi
com’è finita, secondo la vostra modesta opinione.
Vorrei tanto rendermi conto
se siete davvero delle persone intelligenti o se il mondo è
pieno di idioti,
come il caro Jim non fa che sottolineare almeno dieci volte al giorno.
Allora... Volete sapere come è finita?
Mine
antiuomo, dei buoni fucili e altrettanto
buone granate hanno fatto crollare le nostre file come un castello di
carte. I
pochi superstiti - me compreso- sono stati fatti prigionieri e condotti
su
un’imbarcazione -chissà dove nei dintorni di
Kabul-, torturati e lasciati a
morire chiusi nella pancia di questa sottospecie di nave già
maleodorante di
suo... Vi lascio immaginare l’emozione dell’essere
rimasto vivo, sofferente, ma
cosciente in mezzo ai corpi in putrefazione dei miei commilitoni.
Di
quelle quarantotto ore ricordo soltanto l’odore
persistente del sangue, della morte e il dolore di quelle maledette
ferite alla
coscia che non mi permettevano di muovermi e continuavano a bruciare.
Credo
sia superfluo dirvi che quando arrivarono quelle
poche truppe che ci erano rimaste dopo la missione suicida e non appena
mi trassero in salvo, mi
diedero da bere e si presero cura delle mie ferite,
la prima cosa che feci fu recuperare la mia Browning e, con la mano
buona,
sparare il caro Walker. Già, proprio in fronte non appena
venne a cercarmi per
chiedermi “che cosa mai fosse successo”.
Bam!
Cacciato
con disonore.
Venni
portato via dall’Afghanistan e trasferito
nuovamente in patria, in un ospedale dell’Inghilterra per
aspettare che le mie
ferite guarissero prima di essere sottoposto ad ipotetici provvedimenti
per il
mio gesto.
Ed
è lì che lo incontrai, Jim Moriarty. In
ospedale. Venne a prendermi lì, dicendo che non avrei dovuto
preoccuparmi più
di nulla e che ora mi avrebbero trasferito in una clinica privata, a
sue spese.
Non
sapevo cosa pensare, ero terribilmente stanco
e avrei accettato di buon grado davvero qualsiasi cosa.
Ne fui orgoglioso però, quando capii cosa era successo. Col senno del poi, signori, quello fu il superbo inizio di un’altra storia altrettanto grande, quel filo rosso e indissolubile che mi lega alla più grande mente criminale di tutti i tempi, James Moriarty, unico consulting criminal del mondo e mio nuovo superiore da quel momento in poi.
Note
dell'autrice:
Rieccomi,
con un progetto niente male. Come si può intuire dal titolo
- e dal
contenuto ( e a proposito, visto che siete arrivati sin qui a leggere
vi ringrazio preventivamente!) - questa storia si basa sui "sette
peccati capitali". E, inizialmente, devo dire che l'avevo pensata
davvero... beh, diversa.
Si è
rivelata diversa, scrivendo. Non era stata questa la mia idea iniziale,
ma questo è un nuovo stile che sto avendo il piacere di
sperimentare e
mentirei se vi dicessi che non mi sto divertendo. Vorrei ringraziarvi
tutti, uno ad uno se vi siete fermati a leggere e avete dedicato a
questa storia del tempo e se gliene dedicherete in futuro. Non so se
riuscirò a postare in periodi costanti - è ancora
in corso, infatti -
ma l'idea è più o meno chiara nella mia mente, su
quello che dovrebbe
contenere ogni capitolo.
Un'altra piccola nota: il rating della
storia potrebbe cambiare nei prossimi capitoli. Non ne sono ancora
sicura e vi prego di non volermene se succederà.
Un abbraccio in particolare va alla mia beta, SAranel. Grazie, piccola. Il tuo lavoro e i tuoi incoraggiamenti sono preziosi.
Ed il mio abbraccio va anche a te, singolo lettore.