Hello people! come state? io sono staaaaaaaaaanca! la scuola mi sta letteralmente uccidendo!
Ma sono tanto brava e quindi sono riuscita a fermarmi un attimo da tutto per aggiornare *batte le mani per se stessa*
Vi lascio leggere, su. Ci vediamo sotto.
Buona lettura
Chapter 9. A moment I try to forget
Sdraiata sul letto della sua odiosissima stanza datale all’Esis si stava scervellando per trovare qualsiasi collegamento che potesse dividere la dinastia di Jared Leto a quella del suo incubo peggiore.
Com’era possibile, in fondo?
Jared non c’entrava nulla con il suo mondo, o l’avrebbe subito capito. Bastava uno sguardo ai suoi capelli e Jared avrebbe potuto rivelarle che non era come tutti gli altri nemmeno lui, avrebbero potuto coalizzarsi. Lei sapeva intercettare molto bene i Completi in giro per il mondo e Jared non le era sembrato uno di quelli.
Allora che collegamento poteva esistere? Non c’era nessun legame possibile!
“Ti farai scoppiare il cervello”, sentì una voce femminile arrivare dalla porta.
Ash si voltò, scattando a sedersi sulle coperte, e guardò la nuova arrivata con fare divertito. Nulla di interessante come aspetto fisico: nella norma, capelli tinti di rosso ramato, occhi neri come la pece, pelle abbronzata e qualche lentiggine in giro.
In realtà, al contrario suo, molti la definivano una bellezza rara, ma quel colore di capelli stonava troppo con il resto, secondo la bionda.
Era Clelia, una ragazza italiana.
Un nome, un programma: era l’agente più coraggiosa dell’intero Esis e partecipava alle missioni peggiori. Audace così come lo era la Clelia che da’ il nome al mito degli antichi romani, in fondo.
“Ciao, rossa”, le sorrise Ash, facendole cenno di entrare, vedendola appoggiata sullo stipite, in attesa.
“Dovrei cambiare colore, quindi?”, fece la spiritosa Clelia, quasi a prenderla in giro. Si andò a sedere di fianco ad Ash, molto lentamente, e alla fine la guardò.
“Come se avessi bisogno di conferme”, si difese la bionda, sentendola ridacchiare. La nota positiva di Clelia era che, sebbene fosse amata da tutti, rimaneva la solita ragazza semplice e simpatica.
“Che ama fare il suo lavoro di agente senza ragazzi che le sbavano dietro. Sì, sono io”, finì Clelia, scoppiando poi a ridere. “Scusa, non dovevo, ma è stato più forte di me”.
“Sì, ricordo ancora come funziona”, rispose Ash sorridendo alla vecchia compagna di scuola, ricordando i vecchi tempi, dopo che Dean si era diplomato.
“Tu eri fin troppo brava per non avere la tentazione di usarti, scusa!”, si scusò Clelia, ricordando i loro epici scherzi. “In più sei sangue del sangue di Jade, essendo sua cugina.
“Ricordi? ‘Sta arrivando, cazzo, sta arrivando!’. Tutti che scappando, credendo di salvarsi e poi, BUM… beccati!”.
“Ti credevano troppo buona per usare il tuo potere contro di loro”, rispose Ash, tornando a quei tempi.
Clelia era arrivata da lei fin troppo tardi per apprezzare sinceramente la sua compagnia. Erano rimaste insieme per un anno e mezzo, certo, ma dopo la lunga amicizia con Dean e gli anni passati da sola sotto le ingiustizie degli altri non si fidava ancora così tanto di lei.
Era una compagna di scherzi e anche di studi, ma nulla più.
“E mi dispiace, lo sai”, disse poi Ash, vedendo la ragazza intristirsi.
“So chi sei e so anche che fidarti degli altri non è il tuo forte. Va bene così. Solo… torna più spesso, ok? Mi sei mancata”, le rispose Clelia, con il suo solito sorriso.
“Sai che non mi piace tornare qui”, commentò la bionda, toccandosi la testa. “Tu sai sempre tutto”.
“Io non so sempre tutto. Nessuno di noi lo sa, nemmeno Dmitri ci riesce completamente”, la contraddisse Clelia.
“Il che è scioccante…”, commentò Ash.
Dei passi. Dei passi decisi e non spaventati come al solito le stavano venendo in contro.
Era seduta al suo solito posto in biblioteca, aspettando che la sedia davanti a li venisse occupata da Dean come tutti i pomeriggi. Ma come al solito sarebbe rimasta vuota.
Erano ormai tre anni che nessuno si sedeva di fianco a lei.
Stavolta però, quei passi si facevano sempre più vicini e non sembravano voler rallentare. In men che non si dica, la sedia si mosse e qualcuno la occupò.
Ma non era Dean.
Era una ragazza dai capelli lunghi, scuri e ricciolini, con la pelle abbronzata, occhi dannatamente scuri e un po’ di lentiggini.
Chi era?
“Clelia Dawson, piacere”, rispose quasi alla sua domanda mentale, sorridendole felice. “E sono qui per farti una domanda”.
Ash rimase un po’ interdetta, ma preferì non dire nulla. Non ce la faceva più a stare da sola, aveva bisogno di qualcuno e quello era il primo essere vivente dotato di intelligenza che le si avvicinava da tre anni. “Certamente”.
“Ti piace fare scherzi?”, chiese la ragazza mora, Clelia a quanto pareva.
La bionda ci pensò un attimo. Si ricordò delle sue marachelle a casa sua o con sua cugina prima che… bè, prima che fu spedita in quella scuola. Oppure di tutti i pomeriggi passati a scherzare con Dean.
Sì, adorava fare scherzi.
“Ovvio. Perché?”, chiese Ash, sorridendole.
“Perché la tua reputazione di regina degli scherzi con l’ormai diplomato Dean Scott qualche volta ritorna alla mente di questi stupidi studenti nullafacenti che preferiscono vederti come un vegetale”, commentò Clelia, scuotendo la testa. “Una massa di dementi, fai bene a non farci caso”.
“Che intendi dire? Che vuoi da me?”, continuò a domandare Ash.
“Io e il mio ragazzo, Dmitri, stiamo organizzando un bello scherzetto: domani notte, ai ragazzi dell’ultimo anno. Ci sono i ragazzi che ti danno fastidio tra quelli, no?”, chiese Clelia, aspettando una risposta da parte della ragazzina. Ash annuì. “Bene, allora dovresti proprio aggregarti a noi”.
“E se qualcosa va storto?”, domandò Ash.
“Niente può andare storto, fidati di me”, ridacchiò Clelia. “Insomma, tu sei una maga degli scherzi e hai in squadra una leggi-mente e un veggente…. Sii onorata!”.
“Wow… no, aspetta!”, capì Ash. “Tu leggi nel pensiero?”.
“Bè, diciamo che sono felice di essere il primo essere vivente dotato di intelligenza che ti si è avvicinato da tre anni a questa parte”, le fece l’occhiolino, ridendo, Clelia. “Fatti trovare, così sistemiamo bene i dettagli. Buona giornata”.
E se ne andò.
“Sono stata un po’ troppo dura quella volta?”, chiese Clelia, notando il pensiero che vorticava nella mente di Ash.
“No, sei stata perfetta”, sorrise la bionda.
Clelia aveva fatto bene, alla fine. Se non fosse arrivata, Ash avrebbe continuato a starsene da sola fino al diploma e decisamente non ne aveva la minima voglia.
“Saresti diventata una mummia a startene sempre lì seduta da sola”, le rispose Clelia.
“Già”, concluse Ash, guardando fuori dalla finestra. Ad un tratto si accorse che, per quanto fosse lì da qualche giorno, mai era andata fuori dall’Esis.
L’unico contatto con la sua cittadina era avvenuto la primissima volta che era tornata: alla stazione, con Sorrow e Edmund.
“E non ti sembra assurdo?”, chiese Clelia, riguardando come sempre nei suoi pensieri.
“No”, rispose solamente Ash. “Ogni cosa, lì fuori, mi riporta alla mente qualcosa che dovrei dimenticare per sempre… mi manderebbe solo fuori di testa vivere là fuori”.
“Mentre stare rinchiusa qui ha il suo senso?”, domandò di nuovo.
“Non ci resterò per molto, Clelia”.
“Non puoi scappare da quello che sei, Ash!”, la rimproverò Clelia, alzandosi in piedi e guardandola male, facendola sentire tremendamente in colpa. “Dean, quando ha capito chi fossi, ti ha rinchiusa in una stanza? No, con lui sei diventata la regina degli scherzi per tutta al scuola! Oppure ti ha fatto scappare via? No, ha fatto mangiare la polvere agli idioti che ti stavano appresso!
“Non avrebbe mai voluto vederti andare via. Io non ho mai voluto vederti partire e non tornare più! Non puoi mollare il tuo mondo perché quello stronzo ti ha rovinato… gliela daresti vinta più di quanto non abbia già fatto”.
“Clelia… tu non capisci…”, provò a difendersi Ash, ma in fondo sapeva benissimo che aveva ragione. E appena lo pensò, la rossa fece una risata isterica.
“Non capisco ma ho ragione”, commentò infatti.
“Io devo tornare a casa. In California. Nel mondo che preferisco”, rincarò la dose la bionda, facendole capire quanto detestasse tornare lì.
“Ma rimane un mondo a cui non appartieni e a cui non apparterrai mai, Ash”, concluse Clelia. “Capisco il tuo punto di vista: hai trovato un rifugio. Ma qui la battaglia è ancora aperta e se tu non resti con noi, non ci guidi… moriremo tutti mentre tu te ne starai a prendere il sole su una spiaggia californiana”.
“Lui vuole me… non vi toccherà mai, lo sai”, ribatté Ash.
“Oh, certo. Prova a chiederlo a Dean”, le rinfacciò Clelia, mentre Ash sgranava gli occhi. Che avevano fatto a Dean?! “Non lo sai? Quando tu te ne andasti in California, Lui tornò a cercarti per qualche mese. Prese le persone che i suoi scagnozzi consideravano alleati e li torturò. Dean non era nell’Esis, Dean non aveva copertura, Dean è stato catturato e torturato… Dean è uscito di testa”.
“Dov’è?”, scattò in piedi Ash, preoccupata fino al midollo. Era il suo migliore amico, suo fratello… non potevano avergli fatto del male! Non a lui!
“Lo sai già”, le rispose Clelia, facendole intendere il peggio. Non era possibile…
Quell’edificio le aveva sempre messo paura, fin da quando era una bambina. In quel posto avevano ricoverato lei, tentando disperatamente di rimetterle in sesto il cuore, senza poi alcun successo. In quel posto avevano ricoverato proprio Ash, dopo di danno di quello stesso attacco.
In quel posto lei aveva passato settimane, se non mesi, provando a ricomporre tutti i ricordi che aveva per dare delle prove agli agenti.
Odiava quell’edificio come non aveva mai fatto.
Ed ora era toccato a Dean entrarci. Per colpa sua. E chissà per quanto tempo ci sarebbe dovuto rimanere.
Stava male solo a pensiero.
“Io ho fatto il danno, io rimedio”, si disse da sola, prendendo il respiro ed entrando nella struttura che, nel mondo Incompleto, molti avrebbero definito “ospedale”.
Era come se lo ricordava. Non era cambiato nulla.
In quella che molti definivano entrata c’era sempre la grande aula centrale, nella quale solitamente i pazienti venivano portati per rilassarsi o per passeggiare lungo il piccolo giardinetto al centro.
Era come un immenso cortile a porte chiuse e vedeva le persone sorridere, chiacchierare o semplicemente riposare.
Per quanto ricordasse, quella struttura aveva una pianta centrale. Si entrava da un largo corridoio che si apriva subito su quella sala, che occupava tutto il centro dell’edificio. Poi, a cerchi concentrici sui lati, si trovavano le camere dei pazienti disposte in ordine di gravità (il cerchio più vicino alla sala grande era quello con rischi minori e si andava sempre più esternamente con quelli peggiori).
In un altro edificio, poi, praticamente attaccato a questo, c’erano le sale operatorie, di controllo, o anche d’incontro (con, per esempio, psichiatri e psicologi). Questo aveva base rettangolare ed era disposto su tre piani, che alla fine rispettavano le sale in cui dovevano accedere i pazienti.
Ash era passata solamente al terzo piano, ovvero le sale d’incontro, anche se ci era stata così tante volte che le bastava così.
Rabbrividì al pensiero e tornò al presente, guardando alcuni pazienti voltarsi dalla sua parte, curiosi della nuova arrivata.
Davanti a lei, sorridente e dall’aspetto giovanile, arrivò una donna vestita con un camice bianco.
Wow… non si era mai accorta di quanto le due realtà in cui viveva fossero così simili, in fondo.
“Oh… la signorina Connor, non è vero?”, le domandò, sempre con il sorriso stampato in faccia. Ash annuì, senza dire una parola. “Ricordo ancora quando eravate una bambina… come mai qui?”.
“Non sono venuta per restare. Dovrei fare visita ad un paziente; è possibile?”, chiese la biondina, senza sorridere. Sapeva di dover conoscere quella donna, ma la sua mente l’aveva cancellata dai ricordi.
“Ma certamente. Chi dovreste visitare?”, chiese gentilmente la donna, sempre raggiante.
“Dean Scott”, ammise.
E a quel punto il sorriso della donna cessò di esistere.
“Mi spiace, ma non è possibile accedere alla sua stanza, e il signor Scott non può uscire”, la informò.
“Che peccato… vorrà dire che sei Lui tornerà vi difenderete da soli”, la minacciò Ash, sorridendo fintamente. La donna deglutì e provò a pensare ad una soluzione. “Ora: sappiamo entrambe che succederà, quindi lei dà una mano a me e io darò una mano a voi.
“Fatemi entrare in quella stanza, fatemi parlare con Dean Scott, e avrete il vostro aiuto appena davvero ne avrete bisogno”.
“Il signor Scott è imprevedibile: potrebbe farle del male, signorina Connor”, le spiegò la donna.
“E’ il mio migliore amico. Mi riconoscerebbe anche in fin di vita”, le rispose Ash. “Non mi toccherà”.
L’ infermiera, se così si poteva chiamare, parve pensarci a lungo, ma alla fine annuì leggermente con la testa, arrendendosi. Ash sorrise e cominciò a seguirla oltre la sala di ‘riposo’, per addentrarsi nei vari cerchi.
Più si spostavano verso l’esterno della struttura più Ash si sentiva in colpa. Non riusciva a camminare sapendo che avrebbe potuto trovarlo nell’ultimo girone, ovvero dei pazienti terminali.
“Manca ancora molto?”, chiese quando sorpassarono la metà.
“Un po’”, rispose la donna, andando avanti a camminare.
L’ansia continuava a crescere, senza mai una certezza o una speranza che la frenasse un poco.
Dean, dove sei?, pensò Ash, quando mancavano solo tre gironi. Si stava sentendo davvero male, ma quando arrivarono a metà del penultimo, la donna si fermò.
Ash ringraziò il cielo: se stava lì voleva dire che era gravissimo, ma almeno non era in fin di vita.
“Eccoci qui”, la avvisò la donna, fermandosi davanti ad una porta fin troppo bianca. Ash non disse una parola e la lasciò tornare verso la sala, al centro dell’edificio.
Tocca a me, pensò guardando la maniglia. Dall’altra parte di questo muro c’è Dean… in condizioni orribili per colpa mia. E’ il mio turno.
La prese in mano e la spinse verso il basso, aprendo la porta.
“Jared?”, chiese Vicki, non trovandolo più da nessuna parte. Dove poteva mai essere andato a finire?! “Jared? Jared, dove sei?”.
A volte quell’uom… ragazzino era peggio di Devon! Le sembrava di vivere in mezzo a dei poppanti eterni al posto che gente di quarant’anni, escluso il suo bellissimo marito.
“BU!”, la spaventò quel deficiente del cantante, sbucando all’improvviso e facendola saltare di qualche centimetro.
“Ma vedi che sei un coglione, allora!”, lo insultò la ragazza mentre lui si teneva il petto da quanto rideva.
“Oh donna, non hai idea dell’espressione che hai fatto!”, la prese in giro Jared, continuando a ridere senza ritengo. “Meravigliosa!”.
“Vedi di andartene a fanculo, Jared!”, continuò lei, picchiandolo con un leggero pugno sulla spalla magra. “Mi hai fatto prendere un colpo! Dove eri finito, idiota?”.
“A fare due passi. Perché? È vietato?”, domandò lui.
“No, scemo”, ridacchiò lei. “Solo, magari, avvisa la prossima volta, ok? Così evito di morire giovane”.
“Sì, senti… vai a fare un giro fuori dal Lab, eh! Tomo sta facendo la doccia, magari faresti meglio a raggiungerlo”, la cacciò lui, parlando maliziosamente.
“Sei sempre il solito porco!”, rispose Vicki, ridendo e accettando volentieri di andarsene.
“No, sono il brav’uomo che vi ricorda i vostri doveri coniugali”, si difese lui, mentre lei scoppiava a ridere di nuovo e se ne andava, lasciandolo solo.
Sorride e andò nelle sale di registrazione, prese Artemis, si sedette sul divano più comodo e cominciò a strimpellare qualcosa.
Oh, la sua Artemis… quanto poteva amare quella chitarra? Erano anni che suonava solo con lei o Pythagoras e ormai erano abbastanza rovinate… ma erano come le sue piccole e le adorava.
Fece qualche accordo, dai suoni un po’ dark, e provò ad andare avanti. Gli piaceva quella melodia e nella sua testa comparvero parole che già aveva detto… mentre tentava di portare avanti quella vecchia canzone incasinata che stava scrivendo, in presenza di Ash Connor.
She don’t really know what he wants from her.
Eyes that laugh agaist the Hell.
Cosa gli nascondeva ancora?
“Bro, continua che era bella!”, lo esortò Shannon, entrando all’improvviso nella stanza. “Fammi indovinare a chi è ispirata. Mmm… Ash Connor?”.
“Oddio! Guarda che non esiste al mondo solo quella ragazza, Shan! Devi smetterla”, mentì Jared, domandandosi invece perché davvero Ash non riusciva a staccarsi dalla sua mente.
D’altro canto Shannon era felice di vederlo scherzare con lui: quando gli aveva detto di Emma si era un po’ scazzato, ma alla fine era andato tutto bene.
Shan sperò che finisse bene anche fra lui e la diretta interessata; ma questa è un’altra storia.
“Oh sul serio? Allora non ti interesserà sapere che è sparita di nuovo”, la buttò giù facile il batterista, mentre Jared fermava le mani dalla chitarra. Sgranò gli occhi e Shannon scoppiò a ridere. “Sì, hai sentito bene, signor ‘non esiste al mondo solo quella ragazza’. Tomo dice che è sparita un’altra volta: stavolta hanno detto che è malata”.
“Non ci credo nemmeno se lo vedo”, commentò Jared. “Oh signore, non capirò mai niente di Ash Connor!”. Posò la chitarra al suo fianco e si poggiò i gomiti sulle ginocchia, unendo le mani.
“Calmati fratello, prima o poi capiremo che succede”, lo rassicurò Shannon, sedendosi vicino e lui e sorridendogli.
Jared si voltò, sentendosi osservato. E in effetto Shannon lo guardava strano, troppo strano.
“Che vuoi?”, chiese il cantante.
“Sembri innamorato pazzo, lo sai?”, lo prese in giro, scoppiando a ridere. “Insomma, sei tutto preoccupato e in crisi esistenziale solo per lei…”.
“Oh, ma finiscila!”, lo fece smettere Jared, spingendolo via. “E’ solamente che odio non capire cosa succede attorno a me”.
“Sì, lo so, lo so”, intese il batterista. “In effetti è tutto così assurdo…”.
“Già. Insomma, in questo momento magari sta ridendo di noi, poveri sfigati, perché non capiremo mai nulla”, ridacchiò Jared, pensando a dove potesse essere Ash Connor a quell’ora.
“Esattamente in questo momento, sì…”, commentò Shannon, senza pensare.
“Sei un fantasma?”, sentì un’antica voce amica provenire dall’interno della stanza incolore. “Ti sento, ma sei lento e, per ora, ancora invisibile…”.
Oh Dean.
Ash si mosse più velocemente in avanti, vedendo comparire alla sua vista il letto dove stava il ragazzo, o meglio fratello, che l’aveva sempre salvata.
Andava, seppur più veloce, con una lentezza disarmante e pian piano scorgeva qualche particolare in più. Camminava in avanti e, avvicinandosi, notava la figura di Dean diventare completa.
Alla fine si mostrò in tutto e per tutto ed il ragazzo, ormai uomo, provò a sedersi per riuscire a vederla meglio. Ash scorgeva nei suoi occhi solo felicità, mista a curiosità ed incredulità.
I capelli di Ash diventarono bicolori in pochi istanti: alcune ciocche cominciarono a colorarsi di verde e rosso. Aveva paura, come al solito in queste situazioni, ma si sentiva tanto amata e tanto a suo agio con Dean.
“Non sederti, ti farai male”, commentò lei, spezzando il silenzio che era venutosi a creare. Lui annuì, piano, appoggiando solo i gomiti sul materasso (ovviamente bianco).
“Sei un fantasma?”, ripeté ancora, stavolta più serio. “Oppure sono morto io?”.
“Non sei morto, Dean. Io non sono un fantasma: sono Ash… Ash Connor”, spiegò lei andando vicino a lui, di fianco al letto, per vederlo meglio.
E solo in quel momento notò il suo volto: i capelli erano quasi completamente rasanti, gli occhi spenti e di uno strano, pauroso e innaturale color vinaccia intorno alla pupilla, pelle pallida e quasi trasparente. Era dimagrito, parecchio, ma il suo sorriso era rimasto lo stesso, sebbene una delle due labbra era diversa da come la ricordava; forse gliel’avevano rotta nel modo peggiore che Ash potesse immaginare.
“Sei tornata?”, chiese subito, pauroso e tremante. Poi mosse le mani, quasi nel tentativo di avvicinarsi ad Ash, ma non riusciva bene a muoverle per il movimento a scatti che gli provocavano i brividi.
Quelle dita che l’avevano sempre accarezzata in modo così fraterno e l’avevano sempre consolata, ora erano magrissime, con le ossa sporgenti e le vene azzurrine, visto il pallore cutaneo che gli avvolgeva le vene.
Ash gli prese la mano velocemente e si rese conto di quanto fosse fredda. Così provò a scaldarla, tenendola tra le sue, anche se Dean rimase un po’ scioccato del gesto.
“Non rimarrò qui a lungo, ma non credere che gli permetterò di nuovo di farti passare ancora momenti come quelli, Dean”, rispose lei, vedendo il sorriso appena accennato del suo amico diventare un po’ di malinconico. “Ovviamente tornerò a trovarti, te lo prometto”.
“Nessuno osa toccarmi, parlarmi e men che meno venirmi a trovare da quel giorno… sono diventato un perfetto asociale!”, piagnucolò Dean, senza alcuna ragione.
“Ti hanno resto autistico”, commentò la ragazza, ricordandosi di Josh, un bambino più o meno nelle sue stesse condizioni che aveva dovuto accudire per un anno all’asilo. Dean sembrò non capire e lei spiegò. “Ci sono dei bambini Incompleti che vengono definiti autistici: non vogliono farsi toccare da nessuno, a meno che non sia una persona di altissima fiducia, e se qualcuno prova ad avvicinarsi troppo non rispondono di loro. Non sanno esprimere nel modo migliore le loro stesse emozioni, sono difficili da gestire e tendono ad essere parecchio asociali…”.
“Come me…”, concluse lui, al posto della bionda, con uno sguardo triste.
“Ma questo non li ferma dal provare a vivere una vita come quella di tutti gli altri, Dean”, rispose lei, stringendogli più la mano per fargli coraggio. “Puoi riuscirci anche tu”.
“Puoi aiutarmi solo tu, Ash… ma tu te ne sei andata e te ne andrai di nuovo”, pianse di nuovo, provando a togliere la mano da quella dell’amica. Lei lo lasciò fare e lui si voltò di lato con tutto il suo corpo, isolandosi.
“Io tornerò… e tornerò solo per te, Dean!”, sorrise lei, toccandogli la spalla che vedeva. Era davvero magro.
“Sul serio?”, chiese lui, quasi tentato di guardarla ancora. Sentiva la sua mano calda ed era come tornare di nuovo al sicuro dopo tanto, troppo, tempo.
Ash lo capiva: si era sentita nello stesso modo quando l’aveva abbracciata lui, molti anni prima, la prima volta che l’aveva difesa, dopo quello che le era capitato.
“Ho solo bisogno di tornare a casa, Dean. Nella mia vera casa, in California, dai miei bambini”, sorrise lei, mentre lui pian piano tornava a guardarla.
“Bambini? Sono diventato zio acquisito di qualcuno?”, sorrise lui, mentre Ash diventava viola in volto. Stavolta non furono i capelli a cambiare.
“No, ma che dici! Lavoro in un asilo”, sorrise e lui ridacchiò scusandosi. “E’ che… ho bisogno di rivederli, di sentirmi normale, capisci? Vivere come le persone Incomplete, tranquillamente. Poi tornerò certamente a trovarti. Verrò ogni volta che mi trascineranno di nuovo qui, te lo prometto… ma ora devo andare”.
“Ti piace proprio stare lì, vero?”, commentò il suo amico, guardandola di nuovo con quegli occhi sofferenti. Ash annuì, sorridendogli. Come al solito lui la capiva. “Bè, allora sono felice di non avergli mai rivelato nulla”.
BUM! Colpo basso, Dean.
Ash si sentì ancora più in colpa.
“Che ti hanno fatto?”, chiese infatti con piccole lacrime e singhiozzi nascosti ancora per poco dalla sua poca forza di volontà.
Lui le sorrise e cercò di consolarla, come al solito. “Non devi sentirti male per me, piccola sorellina”, la chiamò come facevano a scuola. “Per ora non voglio dirti nulla di quello che ho passato in quei giorni; per te soprattutto. Ma sappi solo che sono fiero di averti difesa come sempre, di averti salvata e fatta diventare la ragazza che ho davanti… sei diventata ancora più bella, sai?”.
Oddio, adesso ricomincia, sorrise lei.
“Smettila”, ridacchiò Ash, spostandolo con una leggera sberla simpatica. Lui scoppiò a ridere con lei. “Mi difendi dal primo momento in cui mi hai incrociata… non ti sei stufato?”.
“E tu non ti sei stufata di presentarti da me appena ho bisogno di te?”, le disse facendole capire che non avrebbe mai smesso di difenderla. Poi si fece più serio. “E so che tornerai ancora… ma per adesso devi andare a casa, Ash”.
I capelli di Ash cominciarono a diventare scuri, a diventare neri, e ovviamente Dean sapeva cosa stavano a significare.
“No, Ash… va tutto bene”, cercò di dire.
“No, non va tutto bene, ok? Ti ho abbandonato e Dio solo sa che ti hanno fatto”, lo fermò lei. “Ora stai bene, certo, ti vedo. Ma è solo colpa mia, ok?”.
“Smettila, Ash. E’ colpa sua, che deve sempre distruggere qualsiasi cosa”, le sorrise Dean, notando che il biondo tornava in maggioranza in quei lunghi capelli. Annuì e la spinse via. “Torna a casa, piccola idiota”.
“Ciao, grande idiota”, rispose lei, sorridendo al solito modo in cui si chiamavano anni prima.
Uscì dalla stanza e provò a fare quello che non le era mai riuscito. Chiuse gli occhi e si impegnò, mettendoci dentro tutta l’emozione che stava provando.
Si sentì tagliare da mille foglietti di carta, portare via da un turbine troppo forte e spingere ovunque, ma alla fine riuscì a farcela, sebbene si trovò con una slogatura ad una caviglia.
“Merda”, commentò cominciando a zoppicare verso la sua camera, camminando nei corridoi dell’ Esis.
“Dove credi di andare”, si materializzò Edmund davanti a lei, fermandole la corsa. O ma che due coglioni!, imprecò nella sua mente.
“A casa. Evitami la fatica, ti prego, Edmund, non ne ho proprio voglia”, disse Ash, continuando a zoppicare senza degnarlo di uno sguardo. Lo sorpassò con una spallata e lo lasciò da solo. “Sorrow ha scritto ciò che doveva e io ho bisogno di tornare a casa mia”.
“Non puoi farlo!”, provò a fermarla di nuovo.
Si vede la differenza tra e il mio migliore amico, sai Edmund? E non mi piace, pensò la ragazza.
Ash arrivò alla sua stanza e si voltò di scatto verso di lui. “E chi me lo impedisce?”, lo guardò cattiva, entrando poi nella sua stanza e sbattendogli la porta in faccia.
Dio, che fastidio che era diventato! Come aveva potuto passare anni della sua vita con un ragazzo del genere?! Bah…
Si voltò verso la stanza e cominciò a sistemare le sue cose per il ritorno a casa, tentando anche di sistemarsi la sua povera caviglia.
California, sto tornando!, pensò felice, sorridendo a se stessa.
La biblioteca aveva sempre avuto quello scomparto segreto in cui nessuno, se non i migliori agenti, aveva il permesso di accedervi. Ash Connor, infatti, non ci aveva mai messo piede ed era esattamente per quello che aveva così tante domande per la testa.
Ma lei ormai lavorava lì da così tanto tempo ed era così brava che da qualche mese le avevano dato le chiavi per quei libri troppo interessanti.
Zoe aveva con sé una piccola lampada ad olio in mano e leggeva ad uno ad uno tutti i titoli dei tomi che si ritrovava davanti.
Ad un tratto lo vide: ‘Leggende e verità della nostra storia – ultimo secolo’.
Perfetto.
Lo spostò dallo scaffale impolverato e lo prese in mano, pulendolo dalla polvere che aveva addosso. Si guardò intorno e andò a sedersi in uno dei tavoli da lettura lì vicini, per poi appoggiarvi sopra la lampada e farsi ancora più luce.
Aprì il libro e andò a cercare la verità. Sapeva già cosa cercare, le mancava solo la certezza che i suoi pensieri fossero realtà.
Sfogliò il libro diverse volte, ma alla fine le capitò la pagina giusta tra le mani.
Trovato.
Bloody Knife, la leggenda incarnata della scuola… Leto.
Era davvero Lui.
Lui era un Leto.
...
Note dell'Autrice:
e ora?!?! Ehehe, lo scoprirete solo vivendo.
Comunque stavolta i Mars sono stati poco presente, lo so, ma avranno il loro tempo. Clelia tornerà anche lei e Edmund... è un coglione, punto.
Dean.... eh Dean è Dean, che ci volete fare! ahahah
Spero vi sia piaciuto questo capitolo *recensiteeeeeeeee :D*
Un forte abbraccio da Ronnie che deve studiare.
Alla prossima, Echelon!