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Autore: ArchiviandoSogni_    12/03/2013    7 recensioni
Lungo la strada della vita, incontriamo ogni giorno persone nuove che inconsapevolmente riescono a cambiarci indissolubilmente.
Alice scappa in continuazione dal ricordo di com’era da adolescente e basta poco a farla precipitare nell’oblio della tristezza e distruzione personale. Nonostante la perdita di quei sofferti 30 chili, Alice li sente ancora sulle sue spalle, contro lo stomaco: fino in fondo all’anima.
Michele vive per strada. Ha perso la bussola dopo la perdita di una persona amata. Porta con sé un’adolescenza sofferta; viaggi interminabili da un orfanotrofio all’altro fino ad arrivare a casa di una famiglia affidataria che non l’ha mai capito realmente.
Una volta adulto pensava di poter finalmente spaccare il mondo.... Ma così non fu.
Sullo sfondo di una Milano che sboccia con la primavera e una Como che comincia a sentire il vociare sempre più acceso dei nuovi turisti, incontreremo due ragazzi, due vite e due anime perdute.
“Nessuno può sconfiggere i propri pensieri intrisi di ansia e frustrazione, se non trova delle mani pronte ad afferrarlo e a rimetterlo nel proprio cammino dettato dal destino, ogni volta che barcolla verso l’argine sdrucciolevole della vita.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Before your hands

Le persone riusciranno sempre a riconoscere la bellezza del cuore,

da quella degli occhi.

Anche nelle epoche più buie e feroci;

anche quando la speranza muore ad ogni respiro affannato di vita.

 

 

 

 

Before your hands

 

 

 

 

Capitolo I – Unforgettable eyes

 

 

 

Il mio corpo, martoriato dagli insulti, fremeva nel vecchio giaccone invernale. Altre cattiverie, altre ingiurie ed altri giudizi. Quel circolo vizioso di cattiveria gratuita non avrebbe mai avuto fine.

Non bastavano i miei occhi verdi, i capelli castano chiari e una carnagione candida: sarei sempre rimasta quella grassa, brutta ed insignificante.

Quella da indicare tra una risatina e l’altra.

Quella da giudicare per le forme abbondanti e appariscenti: quella da distruggere pezzo per pezzo perché, solo guardandola, riusciva a ricordare all’uomo la sua continua imperfezione.

Ero un peso per tutti: per i miei genitori, gli amici, i ragazzi, me stessa.

Ero un peso per la società che mi ricordava di continuo quanto fossi fuori da ogni canone di bellezza da lei stessa creato e pubblicizzato in tutte le forme possibili ed immaginabili. Non avrei mai portato una 42; non avrei mai scaturito tenerezza dal mio 1,75 di altezza e non avrei mai trovato un ragazzo che mi avrebbe accettata facilmente, senza scaturirgli pietà o semplice tenerezza.

Ero Alice Amore : 25 anni, donna e grassa.

Guardai i miei vecchi stivali e risentendo il vociare dietro di me, ricominciai a correre come una forsennata.

Non ce l’avrei fatta un’altra volta.

Tutti sono convinti che, un giorno lontano - quando finalmente diventi grande - il mondo possa risparmiarti il dolore e le insicurezze adolescenziali.

Che grande cazzata.

Io stessa avevo pensato che, dopo tutto il dolore e il sentirmi perennemente inadeguata, finito il liceo avrei potuto finalmente essere considerata una persona e non un fenomeno da baraccone.

Ma non fu così; la vita non è una dolce commedia romantica con il lieto fine scontato e stucchevole che noi ragazze amiamo iniettarci per endovena durante gran parte della nostra giovinezza. La vita fa male; i lieto fine tardano ad arrivare e il principe azzurro ha smesso di cercarti da tempo per dedicarsi ad una partita interminabile a Fifa 2013 con gli amici.

Il male è soggettivo e molto spesso amiamo cercarlo e scovarlo di proposito, per dimostrare al mondo che siamo più forti di quello che mostriamo agli altri.

Non è così; le paure sono sempre le stesse che trascini stancamente con te da quando hai tre anni. Non ci sarà più il mostro sotto il letto o l’uomo nero nell’armadio, ma non diventerai mai grande abbastanza per affrontare i tuoi demoni interiori da sola e a mani nude. Nessuno può sconfiggere i propri pensieri intrisi di ansia e frustrazione, se non trova delle mani pronte ad afferrarlo e a rimetterlo nel proprio cammino dettato dal destino, ogni volta che barcolla verso l’argine sdrucciolevole della vita.

Quel pomeriggio di marzo, uno dei miei tanti demoni interiori era simpaticamente personificato da un gruppo di adolescenti annoiati dall’inverno e dai compiti pomeridiani. E pensare che avevo semplicemente ordinato una seconda crêpe alla nutella da quel camioncino in piazza. Non avevo certamente considerato che le risatine sommerse di quei ragazzi, con tanto di commenti più o meno silenziosi, avrebbero avuto la forza necessaria per riportarmi indietro nel tempo.

Ricordavo ancora la voce di Riccardo Genovesi che, in un pomeriggio di aprile, aveva iniziato a deridermi con il suo gruppetto di amici : Alice Amore. Ma dai, l’unico amore per lei è il cibo e l’aumento continuo di massa grassa sui suoi fianconi da balena. Nessuno la vorrà mai. Potrebbe soffocare il poveretto con quella ciccia. Ma dici che troverà qualcuno a cui gli si drizzerà, pensandola? Avrà ancora qualcosa di femminile sotto tutto quel  grasso?

Sì, Riccardo; avevo molto di più.

Dopo il liceo ero dimagrita, avevo perso 30 chili, ma non l’insicurezza e la malsana voglia di screditarmi continuamente. Avevo amato, ero stata ricambiata; ma era come se qualcosa mi mancasse incessantemente. Continuavo a girovagare per le strade della desolazione e del malessere emotivo, perché non avrei mai superato il mio status di grassa, obesa, informe.

Correvo, inciampavo e ritornavo a correre.

Seguii i contorni del Lago, finché non lo raggiunsi e cominciai a correre sulla passeggiata circostante. Vedevo piccioni che impauriti mi facevano strada; passanti stranieri rapiti dalla bellezza del Lago, del tutto incuranti di una furia che correva al loro fianco, e vecchiette imbacuccate in pellicce costose che credevano di essere ancora belle e giovani e non semplicemente ridicole ed odiose.

La primavera era vicina – l’aria era diventata frizzante - ma io mi sentivo nel centro esatto dell’inverno. Faceva dannatamente freddo.

Le cicatrici bruciavano, le smagliature erano ancora i segni di una vita che non sarebbe mai passata. Ed io ero una donna che correva in lacrime sul sentiero pericolante della vita.

Tolsi il giaccone, le scarpe e oltrepassai il nuovo recinto di metallo che non era ancora stato completato, dopo anni di lavori e rinnovamenti del Lago.

Scossi la testa e lasciai che l’aria uscisse dai miei polmoni in piccole nuvolette di bianco candido.

Mi sedetti sul ciglio della passerella di legno pericolante e decisamente provvisoria, che non sarebbe dovuta essere lasciata così in vista. Poteva esserci un bambino lì; ma in fondo c’ero solo io.

“Vorrei avere il coraggio di farlo.” Mormorai a me stessa, mentre lasciai le mie calze di lana al mio fianco, contro il bordo del maglioncino largo.

Lasciai che la carne fredda dei miei piedi si congiungesse con l’acqua gelata e dolce di quella pozza blu scura.

Vorrei poter congelare anche il cuore definitivamente.

“Non credo sia un buona idea.”

Mi voltai di scatto, lasciando che le lacrime bagnassero il mio maglioncino grigio slavato.

“Scusami, ma non ho altro da fare che osservare la gente. Forza, esci da lì.”

Lo guardai confusamente, troppo spaventata dallo sfarfallio del mio cuore impaurito ed allarmato.

“Non sono affari tuoi; tanto non ho mai il coraggio di farlo davvero.”

Lo sconosciuto scosse la testa e mi si avvicinò, togliendosi le scarpe.

Fisico asciutto, longilineo, avvolto in un giaccone lungo e largo – probabilmente era stato un bel capo di abbigliamento una volta; di un bel beige tenue –  con tasche enormi e piene. I capelli castani erano lunghi quasi fino alle spalle, la barba velata e pungente mentre gli occhi magnetici riflettevano il blu scuro del lago invernale.

“Bene, allora non avrai nulla in contrario se sto qui a farti compagnia.”

Mi asciugai le lacrime, che schizzarono via sul legno della passerella e contro il nero lucido dei miei leggings stretti.

Quell’uomo mi stava privando del mio unico e prezioso momento di urla silenziose contro l’universo.

“In realtà, preferirei rimanere sola.”

“No.” Mi si affiancò e si distese con i piedi nudi accanto ai miei, nell’acqua glaciale. “ Orma- accidenti se è fredda! E pensare che credevo di aver affrontato di tutto dopo questo inverno.” Scosse la testa e si voltò verso l’orizzonte, immergendo quel blu acceso dei suoi occhi, nel verde della natura che delimitava le colline intorno al Lago.

Era tutto così surreale.

Che diamine voleva questo tizio trasandato dalla mia vita?

Un brivido di freddo mi avvolse, facendomi tornare in mente la solita sensazione pungente e vibrante che partiva dalle mie dita e finiva nella mia gola secca.

Quanto vorrei lasciarmi andare sul suo fondo e

“Senti non è che avresti da accendere? Visto che come minimo domani avrò una polmonite, tanto vale che mi rilassi con della nicotina.”

Lo guardai malissimo, mentre i miei denti battevano con forza.

N-no-non f-f-fum-o.”

“Ah.” Si grattò il mento con fare pensieroso. “Per essere una che vuole farla finita, direi che lo stai facendo nel modo sbagliato. Mai provato con della droga pensate? Per lo meno verresti ricordata con una certa pena e un po’ di lieto melodramma. Oh, aspetta! Nei tg ora vanno di moda i drammi famigliari. Chiedi a qualche tua cugina di buttarti di sotto, almeno farai fare un po’ di audience a qualche programma trash… Insomma, non essere così egoista.

Mi fece l’occhiolino, trovando nel suo giaccone due sigarette e un fiammifero.

Si portò una di esse sopra l’orecchio e l’altra tra le labbra, senza interrompere il contatto visivo. Dopo aver usato la passerella come superficie per far accendere l’accendino, si rilassò fra una boccata e l’altra.

“Ora si che ci siamo… Come ti chiami, scusa?”

Portai le mie mani sulle ginocchia, stringendole per il dolore causato dal freddo.

Stava penetrando lentamente.

C-cav-cavol-i m-m-miei.”

Fece spallucce, porgendomi la mano. “Io sono Michele, piacere.”

Guardai quella mano a lungo; dita sottili ed eleganti che contrastavano con l’aspetto sbarazzino e disordinato dettato dalla sua persona. Che tipo strano, pensai.

“Alice.”

Sorrise, stringendo la mia mano. Nonostante avesse anche lui i piedi nell’acqua, le sue mani erano calde e ruvide. Era così gentile con me, mentre io non riuscivo a sciogliermi ed essere socievole e simpatica come al solito. Proprio no; ero nella mia giornata nera per eccellenza e dovevo essere acida e scontrosa con il globo intero.

Michele però sorrideva di continuo, come se stessimo chiacchierando in un bar del centro come vecchi amici.

Avevo il sospetto che la mia indifferenza lo intenerisse.

“Che nome carino. In inglese è ancora più bello, sai? Che fai nella vita cara, Elis ?”

Il suo inglese era proprio affascinante.

Valeva davvero la pena perdersi in chiacchiere così futili? Lo guardai e lui ricambiò il mio sguardo senza imbarazzo. Beh, sì; potevo lasciarmi andare con quel sconosciuto gentile. Tanto non avevo niente da perdere.

“Faccio la guida in un museo. Te?”

“Mi definisco un artista scapestrato, ma ormai va di moda usare il termine ‘clochard’. Sì, in effetti vivo qui, esattamente sulla terza panchina qualche metro più in là. Vedi?”

Mi indicò con le mani un punto indefinito alla nostra sinistra, ma non gli diedi molta retta, ancora shockata dalla sua rivelazione. “Clochard?”

Oui, oui, Madame: vivo per strada. Paura? Ora possiamo togliere i piedi dall’acqua e prendere ognuno la propria strada? Sì, teoricamente era una battuta. Anche se forse avrei dovuto usare il termine ‘cartone’ o ‘ panchina’, sorry.

Scossi la testa, completamente frastornata dal suo accento affascinante, la voce roca e il continuo gesticolare come un forsennato.

Tolsi però i piedi dall’acqua incrociandoli sotto di me e lui mi seguì sollevato.

Cavolo, non ero riuscita nemmeno quella volta a lasciarmi avvolgere dalla gelide acque del Lago.

“Scusami, teoricamente sono sempre sola quando decido di…

Lui mi posò una mano sulla spalla, scuotendo la testa. “Non ti preoccupare, in realtà ti osservo sempre da lontano quando lo fai. Giuro, non volevo impicciarmi nemmeno questa volta, ma era giusto che qualcuno ti istruisse a dovere. La prossima volta potresti provare con una corda, opp-

Portai una mano davanti al suo volto, senza sfiorarlo. “Ok, ho capito la tua tattica. Non sei divertente e nemmeno simpatico. Attento, potresti trovare la tua terza panchina bruciata, un giorno di questi.

Michele scoppiò a ridere, dandomi continuamente pacche sulle spalle, come se, la distanza tra i corpi di due estranei, fosse una cosa inesistente nella sua mente. “Sei uno spasso, Elis. Davvero! Perché stavi piangendo come una bambina?”

Mi voltai con il corpo verso di lui, che continuava a fumare, ridacchiare ed osservarmi come nulla fosse.

Quanto valeva per lui la vita di una sconosciuta?

“Mi hanno ucciso il cane.”

Si mordicchiò il labbro superiore, aggrottando le sopracciglia. “Un cane importante, non c’è che dire. Mai pensato di studiare recitazione? Fai schifo a raccontare, how do I say… cazzate? Stronzate? Balle? Miss Elis, lei ha un problema e mettere i piedi nell’acqua gelida non mi sembra una bella soluzione.

Sorrisi, per la sua foga che mi sembrava quasi dolce. Non era certamente una persona facile da capire, anche se io non ero mai stata brava a decifrare le persone. Per quello c’era Morgana, la mia migliore amica/coinquilina/spina nel fianco.

“Lo so, non c’è bisogno che uno sconosciuto qualsiasi mi psicanalizzi per strada.”

“Allora me lo offri un caffè da qualche parte? Almeno lo faccio comodo e al caldo.”

Spalancai la bocca, esterrefatta. “Hey! Hai fatto tutto sta pantomima per scroccarmi un caffè?

Sicuramente lo avevo offeso, ci giuravo. Invece lui mi si avvicino quasi a sfiorar il mio naso con il suo e sorrise a denti stretti, sfottendomi. “Ovvio che sì! Sono un povero barbone che mangia dalla stessa ciotola del suo cane…

“Hai un cane?”

Si alzò in piedi, infilandosi velocemente le calze. “Seguendo il cliché per eccellenza, dovrei. Me lo regali magari per il mio compleanno?

Continuava a sorridere e a scuotere al testa, come se fossi una persona completamente assurda.

Questa poi! Era lui quello dalle personalità criptica e ambivalente.

“Sei un tipo bizzarro.” Seguii i suoi movimenti e mi infilai sia le calze che gli stivali.

Quando lui mi porse la sua mano di nuovo, quasi mi venne da ridere forte e rumorosamente.

“Di certo non ero io quello che aveva i piedi a mollo nell’acqua gelida. Dai, adesso però andiamo a riscaldarci.”

Mi rintanai nella mia grande sciarpa di lana bianca e cominciai a sbattere i piedi contro il legno della passerella per rimettere in circolo il sangue. Ero leggermente intorpidita, con il viso sporco di trucco colato e il naso rosso stile Rudolf.

Però, a dirla tutta, Michele non mi stava nemmeno guardando. Intento a fumare e a guardare le nuvole grigiastre, era perso nel suo personale labirinto di pensieri.

Guardandolo molto più da vicino e soprattutto in posizione stante, notai la sua altezza non indifferente. Essendo una donna alta e certamente poco tenera e minuta, mi sembrava strano trovare ancora ragazzi molto più alti di me. D’altronde, la materia prima scarseggiava un po’ come il denaro.

Alto, pensieroso ed incline all’ironia: Michele sembrava uno di quegli artisti bohémien di un’antica Parigi ormai perduta.

“So di essere immensamente bello anche senza il mio frac, Miss, ma tendo ad imbarazzarmi se una bella ragazza mi fissa a lungo.” Abbassò lo sguardo, strappandomi un sorriso e un rossore leggero sulle guance.

In fondo, ero stata davvero un po’ maleducata – oppure molto stupida – a farmi beccare clamorosamente. Scuotendo la testa iniziai a camminare, mentre Michele si posizionò al mio fianco con naturalezza.

“Non sono di certo una top model che ha l’innaturale potere di abbagliare gli uomini solo con lo sguardo. Ma, parlando d’altro, che fai veramente  nella vita? Non credo che bighellonare nei pressi della terza panchina, ti garantisca tre pasti al giorno.”

Gli lanciai uno sguardo di traverso, di pseudo sfida, che lui colse con finta indifferenza. “Non sono l’uomo giusto. Quello pronto ad aiutarti con complimenti congeniati per innalzare la tua latente autostima, Elis. Diciamo che disegno, ma principalmente sopravvivo. Te? Tenti il suicidio tutti i giorni per sport o è il tuo vero lavoro?

Pungente. Il suo modo di parlare e interagire con me aveva qualcosa di pungente, ma non fastidioso. Sorrisi, tornando a guardare il semaforo rosso davanti a noi.

“Faccio la guida a Brera. Che tipi di disegni fai?”

Scattò il verde e proseguimmo il nostro cammino. Lasciai che lui mi guidasse e rimasi sorpresa quando ci fermammo davanti al bar di fronte alla passeggiata. Piccolo, chic e con gli interni di legno il tutto arricchito da bianche luci raffinate e sontuose tende avorio.

“Entriamo e poi te ne parlo. Sto morendo di freddo e fame.”

Mi fece un finto inchino e mi aprì la porta, facendomi sorridere.

Hey, Mich!”

Il mio accompagnatore si voltò verso la voce del cameriere e, dopo qualche scambio in codice di sguardi, si abbracciarono calorosamente. “Ciao, Raf! Solito tavolo e posto per me e Miss Elis.”

Il biondo mi guardo allibito, sorpreso ed infine divertito, porgendomi poi la sua mano. “Raffaele, amico di bevute di Mich. Prego, prendete pure posto che vi raggiungo.” Mentre ci liquidò, incominciai a fantasticare sulla prestanza fisica del suddetto cameriere. Constatai, con molto entusiasmo, che ero ben contenta di aver conosciuto Michele. Aveva buon gusto a scegliersi amici. Molto buono, sottolineerei.

“E non mangiartelo con gli occhi; solitamente opta per la ‘toccata e fuga’.”

Ci sedemmo in un tavolino accanto al muro, lontano un po’ dalla calca e il vociare tipico dei locali nelle ore pomeridiane.

Mi tolsi il giaccone, sistemandomi meglio il maglione e strappando un’occhiata fugace al mio accompagnatore. La mia occhiata fu forse meno fugace perché, sotto quel giaccone, Michele era davvero carino.

Un maglione largo e blu scuro, dei jeans rattoppati malamente e delle vecchie scarpe da ginnastiche che avevano decisamente passato anni migliori: non era certamente l’identikit dell’uomo dei miei sogni, però su di lui tutti quegli aggettivi e connotati avevano il loro perché.

Forse erano i suoi occhi blu elettrici o le grandi mani che giocavano con i suoi capelli, ma era riuscito a distrarmi dai miei pensieri da quando si era rivolto a me su quelle passerella malandata.

“Scommetto che ti stai pentendo di essere entrata con me in un così bel posto.”

Smise di giocherellare da solo per tornare a guardarmi negli occhi. Erano così diretti e sinceri, che, sotto al suo sguardo, avrei potuto sentirmi la peccatrice più infingarda e malevola della terra.

“Non sminuire il mio gusto negli uomini.” Sorrisi, ricordando un vecchio dialogo con la mia migliore amica.

Lui colse quel mio cambiamento di umore e si sporse curioso verso di me. “Sotto tutte quelle stupide lacrime, i tuoi sorrisi sono bellissimi. Mi ricordi una vecchia amica, sai? Avevate proprio gli stessi occhi e le stesse labbra.

Si perse in quelle parole, seguendo con lo sguardo i volti delle persone sedute intorno a noi.

C’era passato e dolore in quella rivelazione, ma decisi di non badarci per alleggerire l’atmosfera.

Qualunque cosa fosse avevo imparato da tempo che, il passato degli uomini, è forse l’arma a doppio taglio più precisa e letale che possediamo.

“Prima ho visto che hai abbracciato il cameriere… Ha detto che siete amici di bevute. In che senso?”

Michele appoggiò la testa sulla mano, ritornando di nuovo al presente. “Beh siamo amici di drink, schiamazzi e litigi: amici; semplicemente grandi amici. Praticamente è forse l’unica persona che mi conosce davvero e da più tempo. Ogni sera vengo qui a dare una mano per la chiusura: lavo, pulisco, butto l’immondizia... Insomma faccio qualcosa e Maurizio, suo padre, mi da qualche spicciolo. Raf, invece - quel bel ragazzone che hai fissato con la bava alla bocca per tre minuti buoni - mi invita da lui ogni giorno per una doccia e, quando fa più freddo, riesce anche a farmi dormire sul suo divano. Sì, direi che siamo amici nel vero senso della parola.

Piegai la testa di lato, pronta per bombardarlo di domande, ma il sopracitato Raf venne al nostro tavolo per le ordinazioni.

“Eccomi, ragazzi. Mich, solito cappuccio?”

Il ragazzo annuii, senza perdermi di vista. “Te, Elis?”

Mi posai un dito sulle labbra, sfogliando in fretta il menù.

“Io…” Cavolo, ma quanto era lungo quel diavolo di coso?  “Una cioccolata alla nocciola con panna e cacao.” E addio dieta. Era una giornata nera; la cioccolata mia avrebbe salvata.

Raffaele mi sorrise, congedandosi con una spinta contro la testa dell’amico. “Ti vuole bene.” Aggiunsi sorridendo dietro la manica lunga del mio maglione.

Mich fece spallucce, ma non riuscì a dissimulare l’affetto che traspariva dai suoi occhi ogni volta che l’amico si avvicinava a noi.

“Alice posso essere sincero e leggermente brutale?”

Rimasi bloccata nella mia posizione, perché non mi aspettavo quel cambio di setting. Il sorriso era svanito e lo sguardo si era congelato per far spazio ad una serietà che mi mise in soggezione.  

“È inutile chiedermi il permesso. Sono più che sicura che me lo dirai comunque.

Sorrisi per cercare di sciogliermi, ma incrociai le gambe sotto il tavolo in forma di difesa.

Non ero di certo pronta ad essere giudicata da qualcuno che in fondo se la passava anche peggio di me.

“Qualunque fosse il motivo di quel gesto, non ne vale la pena. Accettalo come consiglio da uno che non ti conosce e non può giudicarti.

Abbassai lo sguardo, scuotendo la testa. “Proprio quando non si conosce qualcuno, si riesce a ferirlo in profondità. È quando non conosci una persona che dai il peggio di te. La inondi di giudizi solo per il gusto di farlo; per il brivido di uno scontro che non avverrà mai. Di solito amiamo attaccare chi difficilmente risponderà alle nostre provocazioni, sai?

L’arrivo della nostra ordinazione riportò brevi attimi di ironia che finirono con la dipartita di Raffaele.

Consumammo così, nella più fredda solitudine, le nostre ordinazioni. Non riuscimmo più a interagire con la stessa leggerezza precedente e mi colpevolizzavo mentalmente per il mio solito poco tatto.

In fondo eravamo semplici sconosciuti che si erano incontrati in un ordinario pomeriggio di fine inverno. Che fosse stato il fato o qualcosa di premeditato, l’incontro con Michele era riuscito a farmi desistere da un gesto che sapevo fosse folle, ma non avevo il coraggio di smetterla di compiere all’infinito. Mi facevo del male da sola, ma ero troppo codarda per analizzare il mio comportamento. Mi lasciavo trascinare delle emozioni più barbare ed infime, aspettando che sopraggiungesse il peggio.

  

Scoccarono le sei e mi ritrovai magicamente di fronte alla stazione. Mich era alle mie spalle  intento a contemplare i passanti che correndo, spintonando, parlando al telefono o leggendo libri cartacei e virtuali, compivano le ultime fatiche della giornata.

Ognuno aveva qualcuno a casa ad aspettarlo o almeno una lista di cose da fare prima di andare a letto e chiudere definitivamente un’altra lunga e ordinaria routine.

Ma Michele cosa avrebbe fatto?

Sarebbe andato da Raffaele a dormire? O avrebbe passato la notte sulla terza panchina?

Mi resi conto, in quel momento, che non erano proprio fatti miei.

“Eccolo! Il mio treno sta arrivando.” Indicai il mezzo che sfrecciava sui binari sempre più vicino alla mia vista. La tipica folata di vento che preannuncia l’arrivo di un treno, mi fece stringere forte il cappotto e la sciarpa intorno al collo. “Sei stato gentile oggi per… Beh, per quello.” Gli sorrisi, porgendoli la mia mano per salutarlo.

“Grazie a te per il caffè, Elis.”

Mi passò una mano sopra la testa come se fossi stata una bambina capricciosa e non una donna che, tra l’altro, non conosceva neppure.

Rimisi la mano nel cappotto, imbarazzata da quel gesto. “Alla prossima.”

Lo vidi sorridere di nuovo di sbieco prima di scomparire progressivamente tra la folla e la leggera pioggia che stava iniziando a scendere al di là della tettoia del binario.

Quando presi finalmente posto accanto al finestrino nel primo vagone e sbottonai la mia giacca, mi resi conto che Michele mi aveva donato un sorriso inaspettato; forse uno dei gesti più belli che uno sconosciuto possa compiere con disinteresse nei confronti di un’altra persona. Non era stato indifferente come la maggior parte delle persone. Ogni giorno vedo vecchiette sole che sollevano valige più pesanti di loro con determinazione; uomini che svengono in metro per il troppo caldo o senza tetto che chiedono spiccioli per comprarsi un panino. A volte riesco ancora stupirmi nel trovare persone come Michele: che aiutano il prossimo senza tornaconti o ricambi. Che cambiano percorso e perdono coincidenze per fare del semplice, ma così essenziale bene.

Mentre il treno cominciò a lasciarsi Como alla spalle, non potei fare a meno di sorridere di nuovo.

Grazie Michele per non essermi passato accanto con indifferenza. Grazie di cuore.

 

 

 

__________________________

 

Buonasera a tutti! Per chi non mi conosce, posso solamente dire che sono una grande piantagrane che si diverte a postare mille mila storia in contemporanea, perché è molto pigra e ha bisogno di stimoli per finire dei progetti. Quindi abbiate pazienza e pian piano ce la farò anche con questa storia!

Per chi mi conosce e pensa “Aridaje!”, non posso che dargli ragione: sono una rompiballe!

Questa storia, però, è un tantino diversa dal solito. Vi ho fregato! *ride maleficamente* Penso si intraveda già da questo primo capitolo. In realtà volevo solo scrivere un’OS, lo giuro, ma poi mi sono lasciata prendere la mano e Mich e Elis sono nati da soli. L’unica precisazione che posso fare è sul nome di Michele: quando viene abbreviato bisogna leggerlo come se fosse scritto Mitch. Un po’ come il bagnino di Baywatch che si chiamava, appunto, Mitch. Capirete anche il motivo di questo diminutivo… Non che sia questo gran mistero; purtroppo non sono brava né come la Zia Christie, né tantomeno come il nonnino Doyle ;)

Per il resto, vi saluto.

Mi farebbe piacere leggere i vostri pareri e vedere se questa pazzia ha un senso anche per qualcun altro oltre al mio cervello un po’ rincitrullito. (Sì, solo un pochino…)

 

Big Kisses <3

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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