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Autore: Wendy C    13/03/2013    2 recensioni
Chi è realmente Wally Cavendish? E perchè, nonostante sia un'attrice famosa e abbia vinto un Oscar, nessuno conosce il suo passato prima del 2007? Come mai ogni mercoledì notte alle 00.01, a casa Hiddleston/Cavendish, suona il telefono? Chi sarà mai? E come farà Tom a scoprirlo?
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ta daaaan u.u
Piccola premessa <3 Ho messo OOC e AU perchè sono una paracula xD No diciamo che OOC l'ho messo perchè appunto non conoscendo il vero carattere di Tom non posso sapere se i comportamenti e i pensieri che descrivo corrispondano realmente alla sua personalità o no u.u E AU l'ho messo perchè nella mia storia quest'anno ad aver vinto l'Oscar non è stata la mia amatissima Jennifer Lawrence ma la protagonista della mia ff, che nel nostro universo OVVIAMENTE non esiste. Che altro dire, ogni capitolo SEMBRERA' una storia a se, perchè andrò avanti e indietro nel tempo a mio piacimento (avete presente 500 giorni insieme?) e la storia quindi non avrà una linea temporale normale diciamo. Bom, se avete delle critiche da fare, fate pure <3 Spero vi possa interessare :)
P.S. sono due anni che non scrivo nulla D:
P.P.S. eh si...sono proprio una paracula xD

 
 

Schrödinger's cat.
 
 

 
The big screens, the plastic-made dreams
Say you don't want it, say you don't want it
It's our world, the picture-book girls
Say you don't want it, say you don't want it
Don't you ask me if it's love my dear
Love don't really mean a thing round here*

 

Prologo.
 
25 febbraio 2013
 
Wally Leaf Cavendish stava sorseggiando svogliatamente dello champagne seduta su un divanetto al Vanity Fair After Party, mentre Eddie Redmayne e Lily Collins discutevano su quale film tra Argo e Lincoln avrebbe meritato di vincere l’Oscar come miglior film.
 
Tanto, alla fine, aveva vinto Argo. Perché discuterne ancora?
 
A proposito di vittorie, Wally si accorse di non avere con se la statuetta d’oro che tutte bramano, quella che tutte cercano e sognano la notte.
 
Aveva vinto come “Miglior attrice protagonista” ad appena ventitre anni e dopo sole tre ore dalla vittoria aveva già perso la statuetta. Probabilmente il corpetto del vestito era così stretto che non le arrivava più ossigeno al cervello, in quel caso sarebbe stato più che legittimo dimenticarsi l’Oscar da qualche parte.
 
Sperò, pigramente, che qualcuno dei suoi assistenti lo avesse ritrovato.
 
Ma poi a cosa le servivano tre assistenti? Tanto avrebbe continuato a vestirsi e comportarsi come pareva a lei, a parte quella sera.
 
Sentiva la pelle del cuoio capelluto tirare così tanto, che avrebbe potuto strapparsi da un momento all’altro, quelle maledette forcine le stavano bucando il cervello. Per non parlare del maledetto bustino, che le toglieva letteralmente il respiro. E il trucco, si sentiva come se le avessero appiccicato una maschera sulla faccia, non vedeva l’ora di tornare in albergo e sbarazzarsi di tutta quell’impalcatura per poter tornare la solita Wally.
 
Ancora non riusciva a capacitarsi di aver vinto un Oscar. Fino a due anni prima era molto conosciuta soprattutto nei teatri inglesi e aveva a malapena recitato in un telefilm della BBC, ma mai il cinema e soprattutto, mai Hollywood. Poi, è arrivato tutto per caso, prima Broadway con il musical de “Les Miserables”, poi una parte non da protagonista in un film indipendente fino ad arrivare a una richiesta da parte di Tarantino e di Sofia Coppola.
 
Come ciliegina sulla torta, arriva una nuova trasposizione cinematografica di “Millenovecentottantaquattro” che grazie all’interpretazione impeccabile –a detta dei giudici- di un personaggio come Julia, la porta esattamente qui dove siamo ora.
 
In quel preciso momento, però, si sentiva tutto tranne che impeccabile.
 
Si guardò in giro, ed era come se improvvisamente il tempo di fosse fermato. Erano tutti sorridenti e con i loro calici stracolmi di un qualche drink colorato in mano, sembravano così felici e spensierati che Wally si chiese quale fosse il suo problema e se era normale che fosse l’unica a sentirsi così angosciata da quel mondo fatto di lustrini e fantasie effimere.
 
Possibile che nessuno di loro percepisse il suo stesso senso di disagio nell’essere un personaggio pubblico?
 
Solo a lei, gli enormi obiettivi delle macchie fotografiche, ricordavano i fucili di un plotone d’ esecuzione?
 
Appena arrivata all’after party si era sentita come braccata dalla stampa, mille domande tutte uguali, tutte frivole, tutte inutili, tipo “Come ti senti per questa vittoria?” o “Chi è lo stilista del tuo abito?”. Se non lo avesse scritto sulla mano, non se lo sarebbe mai ricordata, ne del primo ne del suo terzo vestito, perché ne aveva cambiati ben tre quella serata. Uno spreco.
C’erano bambini che morivano di fame e lei cambiava tre vestiti, da cinquemila dollari l’uno, in neanche sei ore.
 
Si sentiva delusa da quello che la circondava, aveva sempre sognato di fare l’attrice, era l’unico modo per poter esprimere tutto il suo essere, era stata la sua salvezza quando da piccola i suoi genitori avevano divorziato e dopo l’incidente con suo fratello, si era ritrovata con una grave forma di dislessia. Recitare le faceva bene all’animo, recitare a teatro la gratificava più di ogni altra cosa e sul grande schermo le era sempre sembrata un’esperienza magica, sicuramente diversa dal teatro, ma altrettanto gratificante. Come anche vincere un Bafta Award o addirittura un Oscar, non era il premio che Wally denigrava, era contenta di aver vinto. Era, invece, delusa dalle aspettative. Aveva sempre pensato che una volta vinto un Oscar sarebbe stata completa, avrebbe raggiunto il suo “nirvana” e avrebbe vissuto una vita felice. Ma non era così, tutto ciò che aveva sognato era in realtà un’utopia, il mondo intellettuale che cercava non era li, forse non esisteva nemmeno. Quello era un mondo di apparenze, di finta perfezione, di costi spropositati e di emarginazione. Si era accorta che detestava socializzare, mettersi in mostra e posare in continuazione davanti a un obiettivo. Le persone che la fermavano per strada la mettevano a disagio, quelle che la fermavano al supermercato, mentre magari andava di fretta, la indisponevano, ma non poteva darlo a vedere. Doveva essere sempre perfetta, sempre impeccabile, sorridente e disponibile; e così ogni volta incassava il colpo e andava avanti.
 
Non era cattiva, non era nemmeno presuntuosa, ma non aveva mai amato la gente. La recitazione l’aveva aiutata parecchio in questo suo enorme handicap, perlomeno adesso riusciva ad apparire cordiale e solare agli occhi degli altri anche quando dentro stava morendo. Come in quel preciso momento, stava li seduta in apparente tranquillità, quando, in realtà poteva quasi letteralmente vedere il pavimento sgretolarsi sotto i suoi piedi. Tutte quelle illusioni di felicità, i sogni di una vita si erano rivelati di plastica, non le piaceva quello che aveva, non sapeva più chi era e non riusciva nemmeno a trovare la forza per andare avanti perché non sapeva quello che voleva. Lo sentiva distintamente, nel profondo del suo cuore stava nuovamente sprofondando in un buco nero.
 
Wally lo sentiva sempre quando stava per venirle un attacco di panico, sentiva come se qualcosa di misterioso uscisse dal suo petto, la paura, la sua anima o la sua stessa forza e poi la inglobasse dall’esterno in una morsa letale, in cui tremava e faticava a respirare.
 
Ormai riusciva a mantenere il controllo anche durante un attacco di panico, riusciva a restare lucida e calmarsi, anche se il merito di tutto ciò non era da attribuire totalmente a lei ma soprattutto al suo fidanzato: una delle poche persone che anche dopo averla conosciuta più intimamente non era scappato a gambe levate.
 
In quell’istante, però, Wally non riusciva a vederlo da nessuna parte, così farfugliando uno “scusatemi” si alzò dal divanetto e uscì fuori nel giardinetto antistante, ed eccolo la che chiacchierava amabilmente con altri due uomini.
 
Era sempre così felice e solare che il solo vederlo riscaldò il  suo nero e pessimistico cuore. Si erano conosciuti per caso, forse persino per sbaglio, ma sin dal primo momento aveva capito che non avrebbe mai più potuto fare a meno di lui, aveva portato un bel po’ di colore nella sua vita, le aveva insegnato a prendere con filosofia anche i momenti brutti. Le aveva insegnato ad amare la sua vita, perché la sua stessa vita era tutto ciò che aveva da offrire.
 
Wally ci provava con tutte le sue forze ad essere come lui. Ogni tanto, quando era nei “momenti si” le risultava quasi semplice, poteva quasi definirsi soddisfatta e contenta. Ma nei momenti no, come questo, aveva bisogno di un rinfrescamento di memoria, aveva bisogno del suo Tom, l’unico che aveva l’amore e la pazienza di aiutarla, l’unico che capiva e comprendeva perché lei ci ricascasse sempre dentro.
 
Odiava ammetterlo, ma a volte ne era quasi dipendente. Passava da periodi in cui poteva benissimo non sentirlo per una settimana, ad altri in cui dopo sole dodici ore senza parlargli si faceva prendere dal panico. E se ne rendeva perfettamente conto, quasi la infastidiva il suo stesso comportamento, aveva sempre detestato quelle coppiette sdolcinate che parlano di loro sempre al plurale come se fossero un’identità sola, che si sbaciucchiano in continuazione e dicono “ti amo” come se dicessero “ciao”.
 
Quindi il solo fatto di sentire la sua mancanza, ogni tanto, la infastidiva. Però in quel momento ne aveva bisogno e lui era li, sorridente e impeccabile nel suo completo nero.
 
–Eccoti, finalmente!– esclamò Wally appoggiando la mano sulla spalla di Tom. –Buonasera!– disse poi rivolta alle altre due persone con cui stava parlando Tom. Non ne conosceva nessuna, nemmeno di vista. Molto probabilmente truccatori, costumisti o parenti di qualche attrice o regista.
–Hey Leaf! Stavo chiacchierando con Michael e Janusz, hanno lavorato con Spielberg a Lincoln – si rivolse a lei Tom appoggiandole un braccio intorno alle spalle.
Wally sorrise timidamente ai due uomini davanti a lei.
–Michael Kahn, complimenti per la vittoria! Lei farà davvero strada! – le disse Michael dandole la mano.
–La nuova Katherin Hepburn – esclamò l’altro.
–Oh, non credo. E’ stata una vittoria decisamente inaspettata questa – Wally arrossì violentemente. Sentirsi elogiare a quel modo la mandava sempre in confusione, non capiva mai se la stessero prendendo in giro o lo pensassero veramente. 
Non riusciva mai ad auto valutare il proprio lavoro, solitamente più credeva di aver fatto male più le altre persone la elogiavano.
–Lei si sottovaluta troppo Miss Cavendish, si fidi di Michael. Ha vinto ben tre Oscar nella sua carriera. – le rispose Janusz Kaminski.
–Bé, spero che abbiate ragione allora! – ribatté Wally. –Ora, se volete scusarci…E’ stato un piacere – e così dicendo salutò i due uomini e dopo aver preso Tom per mano lo trascinò fuori di li.
 
–Tutto bene Wally? Ti ho vista irrequieta – Tom non riusciva a comprendere per quale motivo avesse tagliato la corda a quel modo.
–Una delle mie crisi da pazza, tutto qui – rispose tranquillamente Wally, quasi sorridendo mentre si era fermati davanti all’entrata dove era pieno di fotografi.
–Mi spieghi cosa sta succedendo? – le chiese Tom tra i denti, sorridendo ai fotografi.
–Ne possiamo parlare in un altro momento? – ormai il sorriso forzato di Wally si stava trasformando in una smorfia di dolore. Doveva assolutamente levarsi quelle mollette dalla testa e anche il corpetto sotto al vestito, per non parlare delle scarpe.
 
Finalmente, dopo essere stati completamente accecati dai flash, riuscirono ad uscire di li. Tom si stava avvicinando alla limousine che li avrebbe poi riportati all’albergo.
–Aspetta Tom! – lo fermò Wally afferrandogli il braccio destro.
–Scusami, pensavo volessi tornare in albergo –
–Voglio andare da un’altra parte – ribatté passandosi il dorso della mano sulle labbra, ora poteva anche rovinarsi il trucco, il rossetto le aveva sempre dato particolarmente fastidio.
–E dove vorresti andare? – chiese cauto Tom. Sapeva quanto Wally potesse essere imprevedibile, era sempre un passo avanti a lui, con le sue idee strampalate e visionarie. Forse era anche per quello che ne era innamorato.
–In un posto normale…in un fastfood! – le si illuminò il viso nel dirlo. Erano secoli che non entrava in un fastfood, le ricordavano l’anno in cui aveva vissuto a Budapest, mentre lavorava per una compagnia teatrale del posto. La sera, dopo le prove, andavano sempre nello stesso locale, lo Szimpla Kert, e poi al McDonald fino alle tre del mattino. Era un posto semplice, un luogo normale.
–Okay tigre! Come vuoi tu – e nel dirlo, Tom la prese per mano. Imprevedibile aveva detto? Come volevasi dimostrare.
 

*******

 
–Dove l’hai lasciata la statuetta? – le chiese Tom mentre si stavano sedendo ad un tavolino della prima tavola calda che avevano trovato. Da quelle parti sembrava che non esistessero i fastfood, o forse erano loro che non sapevano dove cercare.
–Questa…questa è una storiella davvero divertente – arricciò le labbra e spalancò gli occhi, come faceva sempre quando era in imbarazzo.
–Non dirmi che l’hai già perso! – non voleva scoppiare a ridere, ma era così assurda quella ragazza, la sua ragazza.
–Non è che l’ho perso, solo non mi ricordo dove l’ho appoggiato. Dici che Luke l’ha trovato magari? Si arrabbierà tantissimo! – appoggiò una mano sulla fronte. –Oddio, sono un disastro. C’è gente che ucciderebbe per vincere un Oscar e io perdo la statuetta la sera stessa! –
–Tranquilla dai, non ti preoccupare. Risolveremo anche questa – nel dirlo Tom, si alzò dalla sua sedia e andò a sedersi di fianco a Wally.
–Mi sento persa Tom – Wally appoggiò la testa sulla spalla di Tom.  –Ma tu come fai? – chiese poi.
–A fare cosa?
–Ad essere così a tuo agio davanti ai tuoi fan, durante le interviste…sempre.
–Mi piace stare a contatto con le persone, mi fa sentire importante avere così tanti fan. Non nel senso che mi sento un gradino sopra gli altri, ma sapere che ci sono tante persone che supportano il mio lavoro mi gratifica, mi piace pensare che quello che faccio sia utile anche per loro. Non posso poi, di certo, biasimarli se mi fermano per un autografo mentre sto uscendo da un hotel o sono fuori a cena con degli amici – Tom sapeva quanto per lei fosse difficile intrattenere rapporti con così tante persone, anche perché non tutte hanno le migliori intenzioni del mondo. C’è gente che farebbe di tutto pur di conoscerti, come se fossi una creatura leggendaria o un qualche mostro mitologico, quando in realtà sei fatto di carne e ossa come tutti loro.
–A me piace recitare, ma non sopporto che la gente osservi la mia vita privata al microscopio. Mi sta facendo diventare pazza questa cosa Tom. Non mi piace dovermi “ristrutturare” a questo modo, io non sono così – disse indicandosi
–L’importante è che tu rimanga te stessa dentro, l’ipocrisia di cui parli è ovunque, non solo nel mondo dello spettacolo. E’ il retro della medaglia, non lasciare che ti fermi. Tu sei più forte di così e lo sappiamo entrambi.
–Ho paura di non esserlo abbastanza, ho paura di non volerlo più e che questo Oscar sia più una maledizione che un aiuto. Voglio tornare a recitare in teatro – eccolo. Finalmente lo aveva ammesso, le mancava il teatro, le mancavano le opere di Shakespeare e l’adrenalina da palcoscenico. Il teatro era perfetto perché poteva recitare e allo stesso tempo, una volta uscita di li, nessuno la fermava per strada chiedendole un autografo o nessuno la fotografava mentre andava a buttare la spazzatura. Non doveva preoccuparsi di come aveva i capelli o di quante volte aveva già messo lo stesso maglione.
–E non voglio perderti – disse poi rivolta a Tom.
–Perché mai dovresti perdermi? A meno che non mi dimentichi appoggiato da qualche parte – le fece la linguaccia.
–Ah si? Bé stia attento Mr. Hiddleston, io dimentico un sacco di cose appoggiate da qualche parte – Wally  gli diede una leggera gomitata nelle costole – sono seria Tom, lo sai che…insomma, ti…sono particolarmente affezionata e…
–Wow! Leaf, ti prego, frena questa vena di romanticismo, potrebbe venirmi il diabete!
–Oh, per l’amor di Dio Tom! Ti amo, ok? Sei una parte fondamentale della mia vita e non vorrei che questo mondo, con i suoi sogni fatti di plastica, ci distruggesse – disse tutto d’un fiato. Dire “ti amo” la faceva sentire vulnerabile, era come andarsene in giro nudi, senza corazza.
–Primo: ti amo anche io, per la cronaca. Quindi smettila di avere paura di dirlo – e le diede un bacio. Un lungo bacio.
–Secondo: smettila con queste paranoie assurde Wally, se siamo ancora qui dopo tutto quello che ci è successo cosa potrà mai farci un gossip su un giornale? – questo glielo sussurrò all’orecchio prima di darle un leggero bacio sul collo. Nessuno li stava guardando, nessuno ad Hollywood faceva caso a loro.
Wally si morse il labbro e fece un leggero cenno di assenso.
–Sai cosa facciamo ora?
–Cosa? – chiese dubbiosa Wally
–Sono quasi le quattro, tra poco dovrebbero dare in tv “What’s my line?”, ti va se prendiamo una mega coppa di gelato e andiamo a guardarlo in albergo? Dovrebbe esserci Louis Armstrong stasera – le propose Tom facendole l’occhiolino.
Una delle prime volte che uscivano insieme, dopo la cena, si erano ritrovati a casa di lei a guardare la tv, sgranocchiando patatine e parlando della loro vita. Si erano esaltati entrambi moltissimo quando avevano visto che in tv stavano dando una replica di “What’s my line?”, un vecchio programma televisivo degli anni sessanta. Forse era stato quello il momento in cui aveva capito che tra loro poteva esserci qualcosa di più di una semplice amicizia.
–Ci sto! – Wally si rizzò a sedere con gli occhi che le brillavano e un sorrisetto ansioso dipinto in volto.
–Andiamo allora! – Tom si alzò in piedi prendendola per mano e lei lo seguì a ruota.
–Ma il Programma dura solo un quarto d’ora.
–Credo che troveremo qualcos’altro da fare dopo – e nel dirlo le diede un leggero bacio dietro l’orecchio.
Se prima Wally si sentiva morire dentro, ora non si era mai sentita più viva.


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* canzone dei One Night Only http://www.youtube.com/watch?v=wF1WzzrLmpk
E il programma di cui parlo (what's my line) lo potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=rPoIsrmQbcE

  
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