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Autore: Glirnardir    13/03/2013    1 recensioni
Poco dopo l'arrivo di Frodo a Gran Burrone, Gandalf ed Elrond discutono il prossimo passo del viaggio dell'Anello. A volte la decisione migliore può sembrare nulla di più che un amaro tradimento.
Storia completa.
Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Thundera Tiger. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/4319915/1/The-Dooming-of-Small-Hands
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Gandalf
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N.d.T.: Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Thundera Tiger. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/4319915/1/The-Dooming-of-Small-Hands
 
La condanna di piccole mani
 
     Un mattino fresco e vivace sorgeva su Gran Burrone. Facendosi strada tra le fenditure e i valichi delle Montagne Nebbiose, la luce del sole si riversava a lambire le poche foglie dorate ancora aggrappate ai loro rami in una protesta al gelo imminente. Voci elfiche si levarono in un allegro canto per accogliere il nuovo giorno, e insieme con esse si levarono le foschie del fiume, ammantando la valle in un velo purificatore. L’aria stessa sussurrava di placidità e benessere, evocando un senso di sicurezza non meno profondo delle arti elfiche che proteggevano la valle. Era un luogo ove i sofferenti trovavano guarigione, un luogo ove i dolenti scoprivano la pace.
     O così era solitamente. Ma appoggiandosi stancamente al proprio bastone, Gandalf constatò che quel mattino gli recava assai poco conforto.
     Si era impegnato per trovarne. Aveva osservato il delicato gioco di luce al di sopra delle nebbie. Aveva ascoltato l’armonia dell’acqua cadente e dei canti elfici. Aveva assaporato l’aroma inebriante di potere e ricordi che custodiva l’Ultima Casa Accogliente. Ma a dispetto dei suoi sforzi, tutte queste cose apparivano vuote allo stregone, e il suo cuore non si dava pace. Tetri pensieri opprimevano la sua mente, e neanche la bella Imladris poteva alleviarne il peso.
     Stringendo la bocca in una severa linea, Gandalf voltò le spalle all’alba e rientrò nella casa, procedendo con facilità attraverso una miriade di corridoi tortuosi. Non era mai stato tipo da sedersi e riflettere quando la rovina bussava alla porta, e se non riusciva a trovare pace preferiva affrontare dubbi e paure a viso aperto. Deciso in tal senso, si fece portare dai suoi passi sino alla porta della stanza di Frodo.
     L’aprì silenziosamente, con una spinta gentile, e le sue labbra s’incurvarono alla vista che lo accolse non appena entrò. Frodo dormiva pacificamente in un letto decisamente troppo grande per lui, il suo volto era chiaro e senza cipiglio. Rannicchiato accanto al letto vi era Samvise, assopito, con la testa ciondoloni sul materasso e la bocca spalancata. Teneva un braccio proteso sopra di sé, e la sua mano era parzialmente richiusa sul copriletto, a poca distanza da Frodo. I due avevano un aspetto così innocente che nemmeno le ombre che si portava in cuore poterono impedire a Gandalf di sentirsi riscaldato da quella scena.
     “Si sveglierà presto.”
     Lo sguardo di Gandalf si spostò bruscamente di lato, ove Elrond si era appena alzato, interrompendo la veglia. Gli occhi del Mezzelfo erano stanchi e cerchiati, come ci si poteva aspettare da qualcuno che avesse faticato per tre giorni e quattro notti al capezzale di Frodo. Sin da quando lo hobbit era stato portato dal Guado del Bruinen, Elrond si era adoperato per guarire la ferita Morgul di Frodo, ma era arrivato un momento in cui Gandalf si era chiesto se le sue fatiche non fossero vane. Frodo aveva continuato a peggiorare senza dare segni di miglioramenti fino alla notte passata, quando all’interno della sua spalla era stato individuato e prontamente rimosso un frammento di lama Morgul. Quello si era rivelato il punto di svolta, un colpo di fortuna che Gandalf non avrebbe mai osato dar per scontato.
     “Il colore torna e il sonno si fa leggero,” continuò sommessamente Elrond, lo sguardo fisso sul proprio paziente. “Dovrebbe aprire gli occhi entro un’ora o due.”
     “Ottimo,” mormorò Gandalf. “Buono a sapersi.”
     Qualcosa nel tono di Gandalf attrasse l’attenzione di Elrond, e improvvisamente lo stregone si scoprì oggetto di uno studio intenso. “E non te ne rallegri?”
     Una protesta cominciò a formarsi sulle labbra di Gandalf. Certo che se ne rallegrava! Era contento che Frodo fosse in via di guarigione. Ma la protesta morì prima ch’egli potesse esprimerla, poiché nel momento stesso in cui si erano dissolte le sue preoccupazioni per la salute dello hobbit, altre preoccupazioni si erano premurate di sostituirle. “Temo che la guarigione di Frodo non servirà che a procurargli altro dolore,” confessò.
     Qualcosa avvampò negli occhi di Elrond, ma la sua espressione rimase indecifrabile. “Parliamo di questo dolore, allora,” disse, spostandosi in direzione della porta, “perché comprendo che addolora anche te.” E all’esitazione di Gandalf soggiunse: “Vieni. Non voglio disturbare Frodo, e anche Mastro Samvise ha gran bisogno di riposare.”
     “Anche tu,” ribatté Gandalf, ma seguì ugualmente Elrond nel corridoio, richiudendo la porta alle proprie spalle.
     “Se sei così convinto che io abbia bisogno di riposare, il modo migliore in cui potresti aiutarmi è andare dritto al punto e dirmi che cosa ti turba,” disse Elrond. “Sono troppo stanco per i giochi di parole.”
     “Ne dubito,” sbuffò Gandalf, ma non aggiunse altro, permettendo ai propri occhi di posarsi sulla porta chiusa e ai suoi pensieri di andare a colui che giaceva dietro di essa.
     “Mithrandir?”
     “Dobbiamo distruggere l’Anello,” sospirò Gandalf. “Non possiamo sperare di nasconderlo qui. Ormai la sua traccia avvelena tutto ciò che lo circonda.” Rivolse su Elrond l’acutezza del proprio sguardo. “Tu l’avverti.”
     La stanchezza aumentò sul viso di Elrond, il quale annuì lentamente. “Non intendo negarlo. Vilya è… guardingo in presenza dell’Unico. Negli ultimi tempi ho dovuto ricorrere numerose volte al potere di Vilya per contrastare le spie del Nemico, e dopo le notizie che mi hai recato sul conto di Saruman sospetto che presto avrò ancor più bisogno del mio anello. Ma fintanto che l’Unico si troverà in questa valle…” Le parole gli morirono in gola, ed egli scosse il capo. “Mi sono stupito di non aver notato la sua presenza durante il soggiorno di Bilbo, subito dopo la morte di Smaug. Ma il mondo non era ancora così oscuro, e Imladris non dipendeva da Vilya come adesso.”
     “E l’oscuramento del mondo rende la distruzione dell’Anello tanto più imperativa,” disse Gandalf, carezzando Narya mentre parlava. “Sauron è diventato troppo potente, e noi abbiamo tardato fin troppo. Se avessimo agito contro di lui prima che fuggisse dal Bosco Atro, ora potrebbe esservi speranza. Ma con Sauron al sicuro entro i confini di Mordor non possiamo trionfare. Non con gli eserciti della Terra di Mezzo.”
     “E già Sauron infiltra i suoi alleati fra i nostri,” assentì cupamente Elrond, allontanandosi dalla porta di Frodo. Deviò dal corridoio in direzione d’una balconata, e una volta che l’ebbe raggiunta si appoggiò alla balaustra e lasciò spaziare lo sguardo su Gran Burrone. “Isengard minaccia Rohan,” riprese a voce bassa. “Lórien e Boscoverde lottano contro Dol Guldur. Esgaroth guerreggia con Rhûn. Su tutto l’Eriador discendono le tenebre. E se le mie fonti sono affidabili, Gondor è pronto a soccombere. Non possiamo in alcun modo soggiogare il potere di Sauron. È per questo che dobbiamo annientarlo. Ma la decisione di distruggere l’Anello non spetta a noi soli,” ammonì, posando nuovamente lo sguardo su Gandalf. “Un simile atto coinvolgerà tutti, poiché metterà alla portata di Sauron l’unica arma che gli occorre per assicurarsi la vittoria. Questa decisione va presa con il consenso di tutti coloro che potrebbero risentirne. Essi dovranno scegliere questo sentiero insieme.”
     “Allora dobbiamo fare in modo che quanti opereranno la scelta abbiano la piena comprensione del pericolo,” disse Gandalf, raggiungendo Elrond sul balcone. “In questo modo renderemo chiara la necessità di tale scelta, nonché la necessità di un portatore dell’Anello.”
     Elrond si accigliò a queste parole. “Hai già pensato a qualcuno?”
     Gandalf si accigliò a sua volta. Alla luce degli ultimi avvenimenti e dei segreti che aveva rivelato a Elrond, gli pareva che la sola possibilità fosse ovvia. “E tu no?”
     “Avevo preso in considerazione diversi nomi, ma…”
     “Benedetti Valar, non c’è da prendere in considerazione nessun nome, salvo uno solo! Il portatore dev’essere Frodo.”
     L’oscurità nel cuore di Gandalf s’infittì ulteriormente a questa dichiarazione. Sapeva da tempo che si sarebbe giunti a ciò, ma esprimerlo con le proprie parole riuscì in qualche modo a rendere quel tradimento ancor peggiore.
     Lo sguardo incredulo del suo compagno non l’aiutò. “Uno hobbit?” esclamò Elrond. “Mio caro Mithrandir, certo non ti aspetterai che…”
     “Dubiti forse del suo coraggio? Della sua forza? Della sua risolutezza? Se sei ancora scettico a riguardo, pensa a questo: suo zio ha causato la rovina di un drago, liberando la Montagna Solitaria e aiutando a forgiare la pace fra Dale, Erebor, il Lago Lungo e Boscoverde.”
     “Se ricordo bene, Bilbo fu aiutato da te in persona, nonché da tredici nani, Thranduil, Dáin, Bard, Beorn, le aquile e cinque eserciti,” osservò freddamente Elrond. “Inoltre Frodo non è Bilbo. Sebbene possa disporre di coraggio, forza e risolutezza, manca di abilità e d’esperienza. L’unica battaglia alla quale ha assistito l’ha quasi tramutato in uno spettro.”
     Gandalf sospirò. “Pochissimi scampano illesi alla prima battaglia.”
     “Frodo ha fatto esperienza di una battaglia, e questo è tutto ciò che mi è dato di giudicare,” disse seccamente Elrond. “Inoltre, non è mai stato a est delle Montagne Nebbiose. Non sa niente delle terre che ci separano da Mordor. È uno hobbit, per l’amor di Elbereth! Concordo che abbia dimostrato una certa abilità nel portare fin qui l’Anello, ma il resto del viaggio andrebbe intrapreso da…”
     “Da chi?” lo sfidò Gandalf. “Da qualcuno dotato di maggior esperienza? Maggior saggezza? Maggior potere? Pensa a come l’Anello metterebbe alla prova quell’esperienza. Quella saggezza. Quel potere. Tu hai paura di custodire l’Anello a Imladris, e fai benissimo. Ma perché? Perché Lo temi tanto?”
     L’espressione severa del Mezzelfo si addolcì, ma era chiaro che Elrond si trovava ancora in disaccordo con lo stregone. “Per il motivo che hai nominato. Qui vi sono troppa conoscenza e troppo potere.” Scosse il capo. “Capisco quello che vuoi dire, Mithrandir. Certo, che differenza fa custodire l’Unico qui o mandarlo via, permettendogli così di raggiungere i suoi scopi mediante il portatore? Ma uno hobbit…”
     “Pare che le cose debbano andare così,” rifletté Gandalf, gli occhi fissi su un punto invisibile a ovest, sulla linea dell’orizzonte. “Considera le grandi gesta delle Ere. Furono i Valar a plasmare i Due Alberi, eperò non disponevano del potere di sanarli. Quel potere lo possedevano gli Elfi. Lo possedeva Fëanor, ma decise di non servirsene. Parimenti, furono i Noldor a creare gli Anelli, e però non disponevano del potere di distruggere le proprie creature. Quel potere lo possedevano gli Uomini. Lo possedeva Isildur, per quanto la sua vittoria sia stata incompleta. Siamo giunti in vista dell’ultimo grande sforzo, e dal momento che Uomini ed Elfi non si sono dimostrati all’altezza del compito, a chi rivolgerci?”
     “Ai nani?”
     Sul volto di Gandalf comparve un sorriso tetro. “Potrebbe sorprenderti, ma l’idea mi aveva accarezzato. E a dir vero, sarebbe raccomandabile affidare a loro questo compito. Persino quando Sauron deteneva l’Unico i nani potevano servirsi dei Sette senza farsi corrompere. Non si può dire altrettanto delle altre razze portatrici di Anelli del Potere. Ma in questi giorni i nani sono diventati un popolo in declino, e sotto questo punto di vista sono molto simili agli elfi. Tuttavia, diversamente dagli elfi, loro si oppongono a questo declino, e sarà questa la chiave della loro disfatta. La loro brama di riottenere le fortezze perdute è grande, e nell’Unico troverebbero il potere per realizzare i loro desideri. Sarebbe una tentazione troppo grande, e pertanto non possiamo affidare questo compito a loro. Dobbiamo incaricare la razza che non si è ancora fatta macchiare dagli Anelli. Una razza capace di attingere esclusivamente dalle proprie forze. Ed è grande la forza degli hobbit, Sire Elrond. Non essere così pronto a dimenticarlo.”
     “Non lo sono,” disse lentamente Elrond, “perché io stesso sono stato testimone di quella forza. Frodo è sopravvissuto più a lungo di quanto potessi immaginare, dopo esser stato marchiato da una lama Morgul. Ma portare l’Anello a Mordor…” La voce gli morì in gola, e la sua mascella s’irrigidì. “Frodo non è pronto per un tale viaggio.”
     “Nessuno è pronto per un tale viaggio,” ribatté Gandalf. “L’astuzia dell’Anello è tale da vanificare qualsiasi preparativo. Ed ecco un altro motivo per cui trovo sia meglio affidare la nostra rovina a uno hobbit. Il fatto che Frodo non si consideri pronto basta di per sé a renderlo pronto, poiché starà doppiamente in guardia contro gli inganni dell’Anello.”
     “Un piano semplice, Mithrandir. Alcuni direbbero fin troppo semplice.”
     “E a che cosa ci hanno giovato le sottigliezze dei Saggi, eccezion fatta per il ritardo che ora ci costringe a prendere questa decisione?”
     “Le tue argomentazioni sono ineccepibili, come al solito,” mormorò Elrond, “e dunque non ho che un ultimo avvertimento da darti: Frodo non sopravvivrà. Se lo spingi a partire con l’Anello, o tornerà deturpato per sempre o non tornerà affatto.”
     Erano arrivati al punto cruciale. Non era la decisione in sé a spezzare il cuore di Gandalf, ma piuttosto le conseguenze che questa avrebbe comportato per Frodo. Elrond infatti diceva il vero: Frodo avrebbe trovato o la morte o la rovina alla fine della missione. “Nessun Portatore dell’Anello può vivere in questi tempi e restare inalterato. Il viaggio di Frodo ha già avuto inizio,” mormorò Gandalf, non riuscendo a sostenere lo sguardo di Elrond mentre proferiva queste parole.
     “Ma il viaggio di Frodo può concludersi qui,” osservò Elrond. “Potremmo trovare un nuovo portatore.”
     “Non c’è nessun altro,” sospirò Gandalf. “Non affiderei questo Anello nelle mani di Uomini, Elfi o Nani. No, dev’essere uno hobbit, e dev’essere Frodo. L’Anello è venuto da lui; non intendo oppormi al destino in questo.”
     “E se Frodo non accettasse?”
     “Lo farà,” disse Gandalf con tono stanco. “Lo farà per il semplice fatto che gli altri avranno stabilito di distruggere l’Anello. Non vi sarà altra scelta.”
     “Gli parlerai dei pericoli e delle scelte che dovrà affrontare?”
     “Quel tanto che basterà a non sconvolgerlo.” Le mani di Gandalf si strinsero a pugno sul bastone. “Ma come hai già osservato, egli non è pronto per un tale viaggio. E temo che potrò dirgli ben poco, o sarà a pezzi ancor prima di partire.”
     Per un istante Elrond non rispose, ma quando lo fece, le sue parole furono cupe e sommesse. “Frammenti di conoscenza. Accenni e promesse di ciò che sarà. Amico mio, tu adeschi e tradisci Frodo proprio come farà l’Anello.”
     Gandalf chiuse gli occhi, e la sua voce era poco più che un sussurro. “Sì.”
     Quell’ammissione parve mettere a tacere la musica dei canti e dell’acqua, e Gandalf si accorse di essere pesantemente appoggiato al proprio bastone. Al suo fianco, percepì il disagio in un movimento di Elrond. “C’è poco da meravigliarsi, allora, che tu sia gravato.”
     “Io agisco per il bene dei Popoli Liberi,” mormorò Gandalf. “Ma sacrificare una persona così ignara… Temo che sia destino di piccole mani reggere il peso del mondo. Queste mani non debbono però conoscere la vera entità di quel peso, altrimenti la consapevolezza le farebbe vacillare.”
     “Sei fermamente deciso su questo?” domandò Elrond. “Dovendo reggere il peso del mondo, queste piccole mani rimarranno schiacciate. Quando tutto sarà stabilito, riuscirai a mandare Frodo a Mordor sapendo questo? E riuscirai a tenergli nascosta questa consapevolezza?”
     “Devo,” disse Gandalf, e la parole gli lasciò in bocca un gusto amaro. “Devo, perché non c’è altra scelta. Non una ch’io sia in grado di discernere, almeno, motivo in più per cui maledico il ruolo che Saruman ha scelto di recitare. Se solo non avessimo ascoltato il suo parere quando Sauron risiedeva ancora nel Bosco Atro…” Gandalf s’interruppe, scuotendo la testa. “Quell’occasione è sprecata. Non dobbiamo rimuginarci sopra. Al contrario, dobbiamo farci avanti e cogliere la nuova occasione che ci si presenta. Dobbiamo distruggere l’Anello. E sarà Frodo a doverlo fare.”
     L’espressione di Elrond era tetra allorché egli levo il capo verso il sole. “Staremo a vedere,” disse. “Per quanto mi concerne, sono ancora indeciso. Ma sono io il guaritore di Frodo, e il suo benessere è la prima delle mie preoccupazioni. Devo abbandonare questo ruolo per giudicare imparzialmente le tue parole e unirmi a te in questo tradimento.” Il Mezzelfo si voltò, osservando le ombre nei corridoi della sua casa. “Domattina si terrà un consiglio,” disse infine. “Sono arrivati molti messaggeri, con notizie che dovresti ascoltare, ed essi saranno incaricati di parlare per conto dei loro popoli riguardo alla questione dell’Anello. Forse, discutendo, troveremo la giusta via. Ma sino a quel momento, non lasciare che questi pensieri infelici rabbuino Imladris. La guarigione di Frodo deve avere la precedenza se domani vogliamo la sua partecipazione, e per assicurarci che guarisca dobbiamo concedergli il pieno accesso a tutto ciò che la mia casa ha da offrirgli.”
     “Questo posso farlo per Frodo,” promise Gandalf. “E a tal fine, ora andrò a sedermi accanto a lui, aspettando il suo risveglio. Tu devi pensare a riposarti, poiché avremo bisogno del tuo giudizio se ti proponi di sovrintendere alla riunione di domani.” E quando Elrond fece per obiettare, Gandalf levò una mano e adottò la sua espressione più autoritaria. “Si direbbe che tu abbia appena sostenuto un lungo dibattito contro Celeborn e Thranduil messi insieme. Riposa! Baderò io a Frodo. Nessun cattivo pensiero turberà la sua mente, e ti manderò a chiamare se avrà bisogno di te.”
     La mascella di Elrond, ancora serrata, era chiaro indice di riluttanza, ma nel profondo dei suoi occhi Gandalf vide accettazione. “Frodo non deve pensare o parlare di cose che possano compromettere la sua guarigione,” ammonì severamente Elrond.
     “Non lo farà.”
     Elrond annuì lentamente. “Allora vado a riposarmi, perché sono davvero stanco.” Fece per allontanarsi, ma subito si arrestò per guardare alle proprie spalle. “Già che ci sei, cerca di convincere Mastro Samvise a riposare altrove. Temo per il bene del suo osso del collo, qualora mantenesse la sua posizione.”
     Ripensando alla sua ultima vista di Sam, Gandalf si sentì dolere il collo. “Farò del mio meglio,” disse, “ma non posso prometterti nulla.”
     Un sorriso incurvò le labbra di Elrond. “Lo so bene. Forse alla fine hai ragione tu, Mithrandir. Se un piccolo giardiniere ha l’ardire di sfidarmi nei saloni della mia dimora, chissà cosa potrebbe fare Frodo nelle terre di Mordor!”
     “Con il consenso dei Valar, presto avremo occasione di scoprirlo.”
     Il sorriso svanì. “Come ho già detto, staremo a vedere.” E detto questo, Elrond si allontanò a passi lenti e con le spalle incurvate. Sentendosi a sua volta oppresso dal peso di tante preoccupazioni, Gandalf rimase ancora per qualche momento alla luce del sole, ma infine si allontanò dal balcone, ripercorrendo i propri passi verso la camera di Frodo.
     Come prima la porta si aprì in silenzio, e di nuovo Gandalf non poté impedirsi di sorridere di fronte alla scena che lo attendeva. I due hobbit russavano dolcemente, beatamente ignari di chi li stava a osservare. Osservando l’angolazione della testa di Sam, Gandalf contorse il viso in una smorfia, quindi fece per svegliarlo, ma tutt’a un tratto si fermò e arretrò nuovamente. Frodo aveva liberato una mano da sotto il copriletto, e ora la teneva appoggiata vicino a quella di Sam. Piccole e sicure erano quelle mani di hobbit. Piccole e sicure, e già provate dai pericoli che avevano affrontato. Il dubbio affiorò nel cuore di Gandalf. Era così che dovevano andare le cose? Poteva davvero tradire Frodo per il bene della Terra di Mezzo, esortandolo a partire con null’altro che un avvertimento parziale del prezzo di tale missione?
     Ma nonostante i dubbi, conosceva la risposta. E anche Frodo conosceva la risposta, benché non potesse ancora comprenderla appieno. Poteva tuttavia comprendere una buona parte del compito che gli avrebbero chiesto di svolgere. E avrebbe accettato. Sarebbe stato il loro Portatore dell’Anello.
     Così gravato d’ammirazione e di dolore al tempo stesso, Gandalf si allontanò dal capezzale e decise che Sam poteva continuare a dormire per un po’. Per il momento i due hobbit sognavano insieme di tempi più felici, e Gandalf decise, a spese del collo di Sam, di lasciarli aggrappati a quel fuggevole istante di pace. Nei sogni infatti vi era la speranza, ed era nella speranza che quei due hobbit avrebbero trovato la loro forza.
     Fu così che il mattino si trascinò avanti, mentre uno stregone stanco aspettava e due piccoli hobbit dormivano.
  
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