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Autore: mael_    14/03/2013    3 recensioni
daddy!kurtbastian
Sembra facile ma non lo è, per Sebastian, la gravidanza di Brittany. Per quanto possa esserne felice e eccitato, vuole infatti decidere subito i nomi e non fa altro che pensarci, si rivela un po' turbato. Ma comunque va tutto per il meglio, non è solo perché c'è Kurt con lui.
Un enorme sorriso mentre ammirava dal vetro quelle due creaturine, scuotevano i pugni e le gambe all’aria, come ad esser sicuri che non c’era più nessuno a dover sorbirsi i loro calci. Uno aveva gli occhietti chiusi, l’altra ben aperti e girava la testa prima di qua, poi di là, come in cerca di qualcosa. Sebastian sorrideva, mentre il suo stomaco si stringeva in una morsa, quelli erano i loro figli. Suoi e di suo marito, Kurt.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You know, you're not alone, don't be alarmed.

 

Andava avanti da giorni, una lotta che sembrava sarebbe stata infinita. Kurt dal canto suo già non ne poteva più, aveva rinunciato a dare retta a Sebastian già da tempo, anche se questo continuava a cercare di attirare  la sua attenzione in tutti i modi possibili. Aveva usato svariati tentativi del tipo chiamarlo a voce alta, sventolargli una mano davanti o perfino una rivista di Vogue. Non sopportava più l’idea di essere ignorato quando tirava fuori quell’argomento scottante.

Lo stratagemma che invece quella sera si preparò consisteva nel dire una cazzata, così da richiamare sicuramente l’attenzione di suo marito, che l’avrebbe guardato male.

«Chiamiamoli Checca e Suricata» se ne uscì allora ad un certo punto, nel silenzio della cena.

Kurt quasi si strozzò con i ravioli, prese a darsi pacche sul petto, prima di prendere un bicchiere d’acqua e cercare di calmarsi, tossendo ancora. Il marito cominciò a ridere di gusto, mentre si sporgeva verso di lui per dargli qualche pacca sulla schiena e aiutarlo a ritrovare fiato. Quando finalmente la tosse si affievolì, si girò verso Sebastian, il quale teneva un sorrisino beffardo sul volto, e gli diede uno schiaffetto sulla spalla. A Sebastian non importava, il suo piano era riuscito.

«Oddio, Sebastian Smythe!» lo rimproverò puntandogli un dito contro «non farlo mai più!» continuò tenendosi una mano sul cuore.

«E allora smettila di far finta di non sentirmi quando ne parlo! Non è così tanto brutto proporre dei nomi per i nostri due figli».

Mise su un broncio e incrociò le braccia, fingendosi profondamente offeso, sporgendo il labbro inferiore all’infuori con uno sguardo che non poté che far sorridere Kurt, mentre gli prendeva dolcemente una mano e la stringeva tra le sue.

«’Bas, Brittany è incinta da neanche due settimane, mancano nove mesi finché partorisca, per i nomi c’è tempo» disse con tono dolce e si avvicinò la mano del marito alle labbra, sfiorandola appena, lasciandoci poi baci leggeri e appena accennati.

«Ma voglio dargli i nomi ora! Come li chiameremo finché non gli daremo dei nomi?» chiese allora Sebastian con tono di sfida, sporgendosi per guardare Kurt negli occhi.

«Non sappiamo neanche se sono un maschio e una femmina, o due femmine o due maschi».

Sebastian calò lo sguardo zittendosi per un momento, doveva pensare a cosa dire in fretta, altrimenti in quella specie di sfida avrebbe vinto suo marito, non poteva lasciarlo accadere. Era pur sempre Sebastian Smythe. Kurt invece ridacchiava scuotendo il capo, notando il nervosismo nell’altro.

«E se ti convinci che siano due femmine, decidiamo i nomi e poi sono due maschi? O uno ed uno? Ci ritroveremmo nella cacca per decidere il nome che manca e poi…»

Poggiando le labbra sulle sue, Kurt lo fermò dal parlare e sorrise sulla sua bocca. Era servito principalmente per zittirlo, ma farlo in quel modo era  pur sempre piacevole e si lasciò trasportare in un lungo bacio, mordicchiando il labbro superiore del marito, che nel frattempo aveva portato una mano ad accarezzare la guancia di lui. Dopo un paio di secondi schiusero le labbra entrambi, permettendo alle loro lingue di incontrarsi e di danzare insieme, in un ballo lento e passionale.

«Che dicevi, ‘Bastian?» chiese allora Kurt staccandosi leggermente, più per respirare che per fare quella domanda.

«Ne parliamo domani» fece subito Sebastian riprendendo a baciarlo, scansando la sedia tanto da alzarsi e trascinarsi dietro il marito, ancora appeso alle sue labbra, per poi indirizzarlo verso la camera da letto, mentre già gli sbottonava la camicia.

 

 

«Hai gli occhi lucidi?» chiese Kurt girandosi verso Sebastian, per quel che poteva.

«No!» esclamò il più alto stropicciandosi gli occhi, deglutendo, per poi continuare a guardare lo schermo del televisore.

«A me sembrava di sì. E tu che non volevi vedere il film» scosse la testa ridacchiando Kurt, mentre si sistemava di nuovo sul suo petto, prendendo ad accarezzargli il braccio in un lento moto rilassante.

Avevano dibattuto molto su che film guardare, mentre Sebastian continuava  a proporre film d’azione o commedie divertenti, che a Kurt piacevano, sì, ma erano quel tipo di film da vedere giusto una volta, magari con degli amici, per una serata in compagnia. Non di certo per un pomeriggio con tuo marito, all’insegna delle coccole sul divano. Non poteva accadere di fronte a film che per la maggior parte avevano battute sarcastiche o sparatorie. Quindi, alla fine, Sebastian aveva ceduto alle suppliche di Kurt, che lo pregava intensamente di vedere “Il favoloso mondo di Amélie”. All’inizio era un po’ titubante, ma ora che era lì sul divano, pensando alla sua di storia d’amore, allora poteva dire che sì, quel film gli era piaciuto.

«Sì, uhm, non è malaccio, te lo concedo, la colonna sonora merita» fece Sebastian ridacchiando.

«Ammetti che ti è piaciuto e basta, Smythe» gli disse Kurt.

Quando il marito fece un versetto di disgusto, per prenderlo in giro ovviamente, Kurt lo punzecchiò sui fianchi con dei pizzicotti. Quello saltò, e quando prese a fargli il solletico dove sapeva che lo soffriva, prese a ridere di cuore, facendolo dimenare. Sebastian non riusciva a bloccarlo, fin quando non si pose sopra a lui. Si guardarono negli occhi, immersi nel suono dei loro respiri che si mischiavano, i battiti di cuore accelerati e la soave canzone dei titoli di coda.

Sebastian guardò per un attimo lo schermo del televisore, poi posò lo sguardo negli occhi ghiaccio di Kurt. Il sorriso era scomparso, rimaneva uno sguardo serio che fece preoccupare il più basso, il quale inarcò un sopracciglio e pose una mano sul braccio di Sebastian.

«Qualcosa che non va?» chiese allora, incuriosito.

«Amélie Hummel Smythe, se una è femmina» fece.

Kurt stava per ricominciare a dirgli che c’era tempo e che non c’era bisogno di pensare costantemente ai nomi, quando poi si accorse di quel che aveva effettivamente detto Sebastian. Il suono di quel nome rimbombò per un attimo nei suoi pensieri -sostituendo  l’immagine degli occhi del marito- e le sue labbra si schiusero in un sorriso.

«Amélie Hummel Smythe» lo ripeté a quel punto, come per convincersene. Ma non sarebbe servito, ne era già convinto.

Sebastian sorrise a sua volta e abbracciò dolcemente Kurt, si beò del suo dolce profumo e sospirò. Rimasero così, ad accarezzarsi con tutto l’amore che avevano l’uno per l’altro, e che di lì a nove mesi avrebbero condiviso con due bambini, i loro bambini.

 

 

Sebastian fece capolino nella stanza, sorrise osservando suo marito, rannicchiato su se stesso sotto le coperte. Dormiva tranquillo e sembrava non essersi accorto della sua assenza tra le sue braccia. Si sedette lì, sul letto, e contemplò la sua immagine angelica. La pancia si alzava e si abbassava con un moto regolare, di tanto in tanto si muoveva sistemandosi meglio, non cambiando mai fianco. Sebastian si avvicinò, stando attento a non svegliarlo, e con delicatezza gli accarezzò una guancia, passando poi alla spalla leggermente scoperta. Lentamente spostò la coperta, gli tirò su la maglietta e ammirò il ventre piatto e bianco di suo marito, ci passo una mano sopra, quasi sfiorandolo, e sorrise mentre ricordava la loro prima volta, in Sicilia.

«Sebastian?»

Kurt era da una manciata di secondi che lo guardava, era in dormiveglia in realtà e aveva sentito tutte le carezze di suo marito, che l’avevano portato ad aprire gli occhi per ammirarlo affascinato da quello sguardo sul suo corpo. Non si credeva bellissimo, ma quando vedeva Sebastian guardarlo così arrossiva sempre, lusingato.

«Bonjour, mon chéri» sorrise Sebastian abbassandosi per baciargli il ventre, risalendo verso il torace, con umidi baci appena accennati e colpi di lingua che fecero rabbrividire Kurt.

«Giorno a te».

Tirandosi a sedere si stiracchiò per bene, allungando i muscoli delle braccia e dell’addome, provocando a Sebastian uno sguardo famelico, che sfumò poi in malizioso mentre si spingeva a baciare il collo a Kurt, leccandolo di tanto in tanto. Quando poi trovò il giusto lembo di pelle, lo prese tra i denti mordicchiandolo, appoggiò le labbra lì e succhiò forte. Quando si staccò e passò la lingua sul segno rossastro, sorrise soddisfatto del marchio che aveva lasciato nello stesso punto in cui gliel’aveva lasciato la prima notte in cui erano diventati una cosa sola.

«Ti ricordi?» sorrise Sebastian sornione «mh, Sicilia, una coperta, noi due, il mare e la luna».

Kurt annuì e si abbassò a lasciargli dei baci sul mento, mordicchiando di tanto in tanto, mentre saliva verso le sue labbra e arrivato le succhiava e mordeva. Queste sfumavano in un colore rosso acceso, il che accresceva il desiderio di Kurt di baciarle e non fare altro.

«Non solo quello è successo, in Sicilia» mormorò prendendo il labbro superiore di Sebastian fra le sue, leccandolo.

«Kurt io non so bene come dirtelo, ma sappi che sono serio e quel che dirò non sono cazzate, lo sento davvero» citò le sue stesse parole, Sebastian. «Ti amo. Da tanto in realtà e ho paura» disse.

Entrambi ricordarono la serata sotto i fuochi d’artificio a San Lorenzo, quando Sebastian gli aveva confessato il suo amore e lui, così felice e pieno di gioia, invece di dire qualcosa gli era saltato addosso riempiendolo di baci, per poi dirgli tanti ti amo uno dopo l’altro. E Sebastian rideva felice come non mai in vita sua, contento di essere ricambiato dal ragazzo che amava da tanto, troppo perché lo tenesse nascosto. Quella sera, tanti anni prima, quando s’era preso coraggio per dirglielo, aveva pensato che male che andava, poteva ricordare la notte passata insieme due giorni prima. Pensando ciò, sapeva anche che in realtà se non fosse stato ricambiato avrebbe sofferto, ma era pur sempre Sebastian Smythe, e non lasciava mai che le sue paure venissero fuori.

«Beh in Sicilia è stato anche il viaggio di nozze» fece Sebastian guardando Kurt negli occhi.

Kurt si fermò ad osservarlo. Per quanto avesse sognato l’uomo perfetto, si accorgeva sempre più di non immaginarne uno più bello di suo marito. Gli occhi smeraldo, con striature grigie, le lentiggini, la pelle chiara che si divertiva a marchiare per sentirlo un po’ più suo di quanto già non lo fosse. Quanto amava poi i nei che aveva sparsi sul corpo, che si divertiva a baciare dolcemente ogni qual volta che facevano l’amore. Per non parlare dei capelli che non era permesso a nessuno toccare, tranne che a lui. Che poi i momenti in cui l’amava di più non erano quando Sebastian si vestiva bello e si laccava i capelli con determinata precisione, piuttosto quando trasandato andava in giro per casa e aveva i capelli scompigliati, i pantaloni della tuta e un gran felpone.

«Ah, la Sicilia...» sussurrò. Ripetendo quel nome ancora un paio di volte, con un sorrisino malizioso verso il marito, l’unica cosa che gli venne in mente fu inaspettata, ma comunque sembrava aver avuto una grande illuminazione.

«Bel nome, Sicilia, eh?» disse, suscitando uno sguardo meravigliato da Sebastian.

 

 

Sebastian, con i mano degli spartiti e un paio di libri, correva veloce verso il tram fermo. L’aveva visto arrivare dalla finestra di casa e s’era fatto la rampa di scale quasi di sedere, tutto pur di non perderlo. Col fiatone si presentò davanti alle porte aperte. Salì e si sedette appena lì vicino poggiando la testa all’indietro, respirando forte con una mano sulla pancia. Il mezzo partì appena pochi secondi dopo. Cominciò allora a sistemare gli spartiti dentro la borsa insieme ai libri, che aveva preso di fretta e furia uscendo di casa.

Alla sua fermata, Sebastian, scese e si avviò al portone della scuola di musica dove lavorava, salutò un po’ in giro e andrò verso la sua classe. Prima di aprire la porta, lesse per la milionesima volta il suo nome sul legno verniciato di bianco.

Quando entrò il chiacchiericcio si affievolì, fino a diventare un silenzio assordante per le sue orecchie, abituate fin troppo alle chiacchiere dei suoi studenti. Inarcò un sopracciglio mentre a sguardo basso si avviava al piano, vicino la lavagna, e vi posava accanto la borsa a tracolla. Era tutto così strano che aspettò a guardare i suoi alunni, si tolse la giacca, la appese all’“uomo morto” lì vicino e poi sospirò.

«Ragazzi, tutto bene?» fece poi, alzando lo sguardo.

Adocchiò i ragazzi uno per uno, cercando nelle loro espressioni qualcosa che potesse essere d’aiuto per capire la situazione disagevole che s’era creata.

Il silenzio persisteva, finché il suono dolce di una melodia al pianoforte non riecheggiò nell’aula. Sebastian ne conosceva di musica per pianoforte e non, riconobbe quindi Sur le Fil, di Yann Tiersen, e sorrise. Si incantò ad osservare Cher, Camille, Kyle e Richard mentre suonavano il pezzo in perfetta armonia e non si accorse di Cece, una ragazza bionda e minuta, che aveva preso posto al centro della sala.

«Professore, sei anni fa su quella porta» iniziò a dire la ragazza, indicando per l’appunto la porta dell’aula «non c’era scritto nulla. Io lo ricordo bene, mi dicevano che in questa stanza si sarebbe avverato il mio sogno di suonare il piano, così come lo dissero a loro» si girò verso la classe, che sorrise. La musica continuava a suonare. «La volta dopo, quando venni nella sua classe, vidi scritto Sebastian Smythe e mi chiesi che uomo anziano e burbero fosse questo tizio, che mi avrebbe spinto a migliorare senza spronarmi abbastanza ad avverare i miei sogni, credei che il mio sogno sarebbe diventato un ricordo. Poi l’ho conosciuta e so per certo che il mio sogno, se non si è già avverato si avvererà. Vede lei non lo sa, ma è il professore migliore che ci possa essere, a detta di tutti noi, e abbiamo passato con lei momenti della sua vita, e lei con noi momenti della nostra. Abbiamo pianto, come quando abbiamo perso quella gara importante o come quando stavano per mandarla via per quel disguido, ma abbiamo anche riso, come quando lei invece di fare lezione ci ha raccontato barzellette o come quando la volta dopo, a quella gara, abbiamo vinto. In base a questo volevamo rispondere alla sua domanda, ci ha chiesto, se ricorda, di consigliarle un nome per suo figlio. L’abbiamo deciso tutti insieme, significa “risata”, “egli ride”». Nel preciso istante in cui la musica terminò, la bionda sorrise. «Isaac» mormorò.

 

 

«Come mai non c’è Kurt?» chiese Sebastian a Santana e Brittany, mentre entravano nel grande atrio dell’ospedale.

«Doveva andare a lavoro, Sebastian, lo sai anche tu» rispose la sua migliore amica girandosi verso di lui.

La ragazza sospirò sonoramente, non capiva il motivo per cui il ragazzo fosse così nervoso. Prese per mano Brittany e si avviarono verso l’ascensore che le avrebbe portate al piano giusto, là dove si sarebbero tenute le ecografie. Entrarono e spinsero il piano da raggiungere.

Uscendo di lì andarono verso la porta prestabilita, le due ragazze incinte davanti e Sebastian dietro, che guardava basso e si mordicchiava il labbro, così forte che dopo poco sentì il sapore ferruginoso del sangue sulla lingua. Le ragazze entrarono e Santana tenne la porta per far entrare il ragazzo, ma questo indugiò un po’, si portò poi una mano all’altezza dello stomaco e prese a respirare scuotendo il capo verso la migliore amica.

«Puedes decirme qué le pasa a este tío ahora?» sbottò Santana guardando Brittany, come supplichevole di aiutarla col ragazzo, il quale ancora non s’era deciso ad entrare.

La bionda si avvicinò alla moretta.

«Sannie, è la prima volta che li vede» le sussurrò all’orecchio e il puzzle tornò apposto nella testa dell’ispanica, Sebastian era nervoso perché non aveva mai visto i gemellini.

Con un dolce sorriso, la ragazza si avvicinò e gli prese la mano accarezzandola, lo rassicurò guardandolo negli occhi, tirandolo un po’ per farlo entrare. Brittany sorrise al dolce gesto e Sebastian, che era entrato, si sedette su una sedia stringendosi con le braccia lo stomaco.

«Signora Pierce, vuole iniziare lei?» chiese la ginecologa avvicinandosi per indicare col braccio il lettino alla ragazza.

Sebastian a quelle parole spalancò gli occhi e alzò lo sguardo impaurito. Guardò Brittany, poi Santana, a cui ancora teneva la mano saldamente, sembrava non volerla lasciare per nessun motivo.

«Oh, no, preferirei iniziare io» s’intromise Santana facendo un passo avanti. Si sentì la mano libera e si adagiò sul lettino.

Brittany si sedette accanto a Sebastian e gli sorrise dolcemente, andando a stringergli la mano per portarsela sul ventre, spingendola là dove aveva da poco sentito un calcio. Dopo poco ne arrivò un altro e il ragazzo ridacchiò guardando la bionda negli occhi azzurri, commosso.

Era nervoso, in quattro mesi e mezzo di gravidanza della bionda non li aveva mai visti, in tre ecografie c’era andato sempre Kurt con le due ragazze, Sebastian aveva sempre avuto da fare ed era felice di ciò, vederli pensava gli potesse far impressione e la morsa allo stomaco che aveva in quel momento confermava in parte i suoi sospetti. Forse aveva paura che tenessero dei problemi, tipo qualcosa di mal formato o giù di lì. Non c’era un vero motivo in realtà, era solo nervoso di vedere i due bambini, i suoi due bambini.

Sentire però quel calcio l’aveva messo a suo agio, pensò solo che vederli un po’ prima della loro nascita non avrebbe cambiato nulla, si mise comodo sulla sedia e permise a Brittany di alzarsi per raggiungere Santana e vedere la loro bimba, o il loro bimbo.

«E’ tutto apposto, signora Lopez, niente che non vada, proviamo a vedere il sesso?» chiese la ginecologa.

Le due ragazze annuirono e la donna cominciò ad andare su e giù per cercare di vedere tra le gambe del bambino, cercando di farlo muovere dando alcuni colpi alla pancia. Sebastian osservò la scena con un sorrisetto stampato in volto per il comportamento pigro alla “Santana” che aveva il bambino, infatti non voleva saperne di spostarsi o aprire le gambe, anzi, si girò addirittura di schiena e non fu permesso alla donna di scoprire di che sesso fosse. Dopo minuti e minuti d’attesa, si decise di sorvolare e di provare a vederlo la volta dopo.

«Prego, s’accomodi signora Pierce».

Brittany prese posto e con un sorriso eccitato invitò il ragazzo ad avvicinarsi, per guardare. Sebastian titubò, poi si alzò deciso e andò vicino al lettino, con gli occhi attaccati alla pancia della ragazza, piena di gel.

Accanto a lui comparve Santana, pensando che avesse bisogno di aiuto, ma Sebastian si mostrò sicuro circondandole la vita e poggiando la testa sulla sua, osservando lo schermo. Comparvero le immagini sbiadite di due bambini rannicchiati su loro stessi e il cuore del ragazzo accelerò, si commosse guardando le immagini spostarsi quel poco per far calcolare alla ginecologa la lunghezza degli arti o dei capi.

«Anche per loro è tutto okay, si vedono i sessi, li dico?».

Brittany guardò Sebastian, dopotutto era lui che doveva decidere, che subito annuì senza neanche staccare gli occhi dai due bambini.

«Sono un maschietto e una femminuccia, congratulazioni!» sorrise la donna.

Tornando a casa, Sebastian e le due ragazze s’erano fermati in un fioraio. Sebastian volle comprare dei fiori a Kurt, raccolti in un favoloso bouquet che variava dal rosa al blu. Era felice ed eccitato all’idea di dirgli i sessi dei bambini, era contento anche per i sessi, e sorrideva ilare per aver visto quei piccoli ranocchietti, suoi figli.

Appena a casa Kurt l’aveva adocchiato con un sopracciglio inarcato, si chiedeva il motivo per cui avesse quell’aria eccitata, che di lì a poco avrebbe sprizzato gioia da tutti i pori della sua pelle. Sebastian aveva rivelato la novella, a quel punto, mostrando il bouquet. Con Kurt, gioioso anche lui, avevano festeggiato tutta la sera insieme alle due ragazze.

 

 

Sebastian uscì dall’edificio in cui teneva le sue lezioni di piano e si avviò verso casa. Non distava molto, spesso prendeva il tram, giusto se lo vedeva alla fermata. Quel giorno decise di farla a piedi, nonostante il mezzo fosse appena arrivato lì.

Cominciò a camminare con le mani nelle tasche del cappotto, la bocca e il naso affondati nella sciarpa e lo sguardo perso. Era immerso nei suoi pensieri, si ripeteva in mente una melodia sentita quella mattina da un uomo che suonava sul marciapiede, sperando di non dimenticarla, perché arrivato a casa l’avrebbe suonata al piano verticale.

«Papà, papà!».

Girandosi verso la voce di una bambina, vide una graziosa testolina rossa che correva verso quello che doveva essere il padre e quest’ultimo, felice, la prendeva in braccio facendola girare. La risata della bimba spaventò Sebastian. Milioni di domande lo investirono in quell’istante, i suoi figli avrebbero mai corso contro di lui in quel modo così contento? Avrebbero mai emesso quella splendida risata, per qualcosa che avrebbe fatto lui? Avrebbero mai guardato verso di lui con amore, riconoscendo nella sua persona un padre che effettivamente adoravano, a cui volevano bene? Probabilmente avrebbero voluto bene a Kurt, se lo meritava dopotutto. Era una persona modello, meraviglioso, educato, dolce, altruista. Una persona da cui il mondo avrebbe dovuto imparare, Kurt Hummel. E quest’ultimo stava proprio con lui, Sebastian Smythe, egoista, ipocrita, odioso, crudele, arrogante, qualcuno di cui nessuno si sarebbe mai fidato veramente. Come uno schiaffo in piena faccia, come acqua gelida, come una lama affilata che ti trafigge il cuore, così colpì la consapevolezza Sebastian. La consapevolezza di essere un’orrenda persona, che aveva fatto del male, che aveva odiato, disprezzato e a cui non interessava nulla della gente. La consapevolezza che sarebbe stato un pessimo padre, se ne sarebbe accorto anche Kurt, l’avrebbe lasciato, avrebbe portato via i suoi figli da lui e l’avrebbe lasciato sull’orlo di un burrone. Tutto il male che aveva fatto gli tornò in mente, la gente che solo con le parole l’aveva abbattuto, anche se non l’aveva dato a vedere.

Tremava, non riusciva a infilare la chiave nella serratura di quell’appartamento. Quando finalmente aprì la porta, entrò dentro e si spogliò del cappotto, della sciarpa e delle scarpe, ammollando tutto sul pavimento. Andò di fretta verso la camera da letto e chiuse la porta sbattendola. Ci si appoggiò contro e crollò lì, scivolando a terra, mentre le lacrime cominciavano a rigargli il volto e le immagini impresse nella sua mente di figli indignati con lui, di Kurt che diceva di non amarlo più e che lo lasciava solo, continuavano a deprimerlo.

I singhiozzi silenziosi scuotevano il suo corpo, voleva urlare ma non poteva. Kurt l’avrebbe sentito, anche se sicuramente l’aveva già notato. Odiava farsi vedere quando piangeva. Se ne rese conto in quel momento, la sua vita era fatta di questo. Odio.

«’Bas, sei tu?» urlò Kurt da chissà dove in casa.

Sebastian respirò ed espirò a lungo, sentiva i passi di suo marito avvicinarsi. Urlò un sì di risposta, sperando che si allontanasse, ma sentì la maniglia abbassarsi e la porta spingere sulla sua schiena.

«Perché è tutto per terra? Amore, apri?».

Kurt continuava a spingere ma il peso di Sebastian non permetteva che la porta si aprisse.

«Va’ via, ti prego» fece a quel punto.

Sentendo quelle parole, Kurt stava per andarsene credendo chissà cos’avesse in mente il marito, quando però Sebastian emise un singhiozzo e lui lo sentì.

«Sebastian, stai piangendo?» chiese a quel punto. «Sebastian, per piacere, apri la porta».

Spingere non sarebbe servito a niente, s’era detto, quindi aveva smesso di farlo e si era avviato al salotto, verso il balcone -collegato con la loro stanza-. Prima entrare dalla porta-finestra, contemplò l’immagine di Sebastian con gli occhi chiusi, poggiato alla porta di schiena, tremante e scosso dai singhiozzi. La preoccupazione lo riempì e si fiondò all’interno della camera, avendo lasciato fortunatamente il balcone aperto quella mattina.

«Sebastian» fece avvicinandosi di fretta, superando il letto matrimoniale posto al centro.

«Kurt, no, va’ via».

Sebastian si alzò e si asciugò le lacrime, trattando di farsi veder forte, odiando il marito per essere entrato e odiandosi per avergli permesso di vederlo in quello stato. Fu inutile, provare a stare in piedi, le ginocchia cedettero e crollò nuovamente giù. Kurt si buttò per terra in ginocchio accanto a lui, prendendogli il volto tra le mani, per poi abbracciarlo forte a sé, cercando di calmarlo.

Sebastian lo strinse subito, mentre continuava a piangere e tremare. Affondò il volto nel collo di Kurt, le lacrime gli sporcarono la camicia, eppure in quel momento il capo d’abbigliamento era l’ultimo dei suoi problemi.

«Amore mio, amore ehi...» sussurrò a quel punto. «Sst, non piangere».

Non sapeva neanche il motivo per cui Sebastian piangesse, ma comunque cercò di calmarlo. Erano poche le volte in cui l’aveva visto piangere, quasi assenti, e quelle volte che accadeva se ne preoccupava. A differenza di una persona emotiva come lui, Sebastian era, sì sensibile, ma respingeva tutta la tristezza che aveva, la voglia di piangere -perché effettivamente ne aveva-, dentro di sé. Kurt aveva quindi imparato che quando Sebastian piangeva, lo faceva per tutte le volte che aveva represso le lacrime. Lo seppe dalla prima volta che lo vide piangere, quando gli aveva confessato il suo amore, credendo di star per venire rifiutato.

Kurt lo allontanò piano, in modo da portarsi il suo viso davanti al proprio e con le mani prese ad asciugargli le lacrime, guardando le distese verdi e grigie con striature marroni che erano gli occhi di suo marito. Erano rossi e gonfi, le lacrime ancora scendevano veloci, attraversando le guance di Sebastian, tempestate da lentiggini chiare. Il suo sguardo era inespressivo, sembrava fosse assente. Lontano, chissà dove con i suoi pensieri. L’aveva visto sì, poche volte piangere, ma mai in quel modo, mai così tanto.

Sebastian era perso a pensare ancora a quella scena, alle domande che s’era posto subito dopo averla vista. Poi si accorse evidentemente del marito che lo fissava, perché abbassò lo sguardo allontanandosi un poco e continuò a piangere. Non voleva dirgli il motivo, non voleva confessare le sue paure perché mai l’aveva fatto nella sua vita, se non pochissime volte, neanche esplicitamente. Perché poi suonavano stupide, quelle paure. Odiava quando qualcuno gli rideva in faccia e non permetteva mai che potesse succedere, come in quel momento.

«Ehi, ‘Bastian».

Kurt fece per avvicinarsi di nuovo, ma Sebastian alzò il capo e lo guardò. Quell’occhiata lo spaventò, dischiuse la bocca umettandosi le labbra, provando a prendere coraggio per chiedere qualcosa. Rimase a contemplarlo, sentendosi male per lui e per qualsiasi cosa l’avesse fatto stare così male.

«Kurt, ti prego» fece con voce rotta dal pianto, Sebastian.

«No, non me ne vado» lo bloccò dal parlare Kurt, avvicinandosi con decisione gli prese una mano e lo guardò negli occhi. Non voleva costringerlo a parlare, almeno non fino a quando non si sarebbe calmato, perciò semplicemente accompagnò il capo di Sebastian sul suo petto, cominciando ad accarezzargli i capelli con moto lento, soffermandosi di tanto in tanto alla mascella, tracciandola con un dito. Quando sentì che il respiro del marito stava tornando regolare, si rilassò chiudendo gli occhi e tirò un sospiro di sollievo.

Di fatti Sebastian s’era calmato, qualche lacrima ancora scendeva, ma era più tranquillo. Stringeva nel pugno la camicia di Kurt, forse un invito a non andare via nonostante gliel’avesse chiesto più volte. Passarono i minuti, lui aveva chiuso gli occhi e s’era concentrato sul battito del cuore di Kurt, che da veloce era tornato normale. Lo conosceva bene, tante le volte che l’aveva sentito accoccolandosi a lui in quel modo.

Quando Sebastian proferì parola, Kurt sussultò, fu imprevisto.

«Oggi c’era una bambina, al parco. Dio Kurt dovevi vederla, era così felice di vedere il padre e lui così felice di vedere lei. La risata, dolce e contenta, mentre correva contro l’uomo. Lui l’ha presa in braccio, l’ha fatta giocare girando su se stesso e poi si sono abbracciati» aveva detto.

Prestò attenzione, frenando la voglia di chiedere cosa c’entrava con il suo stato, cosa fosse successo e tutti i perché.

«Mh mh» mugugnò solo, incitandolo così a continuare.

Sebastian rimase in silenzio, cercando di capire come andare avanti. Si chiese se doveva davvero raccontare ciò che aveva pensato uscito dal lavoro, che pensava tutt’ora.

«Sarò un padre orribile. Orribile come la persona che sono. In tutta la mia vita non mi sono mai accorto che tutto ciò che mi dicevano, arrogante, egoista, falso, è tutto vero, Kurt. Sicilia e Isaac non correranno mai incontro a me in quel modo. Sapranno di loro padre come colui che pur di non essere preso in giro, ha fatto del male piuttosto che mostrarsi come fosse veramente. Tutti mi odiano, Kurt. Loro mi odieranno».

Piano piano raccontò tutto ciò che gli era venuto in mente, le domande che s’era posto durante il tragitto di ritorno a casa, esponendo ciò che credeva sarebbe successo, non omettendo che credeva che prima poi lui l’avrebbe lasciato, perché sarebbe stato un cattivo padre e magari anche un cattivo marito. Tutto ciò che gli veniva in mente, lo raccontava a Kurt e quest’ultimo lo ascoltava attentamente, formulando dentro di sé una risposta a tutto quel turbine di domande e pensieri che aveva Sebastian.

Quando smise di parlare, Kurt lo tirò su tanto da averlo davanti al volto. Si avvicinò e strofinò dolcemente il naso contro il suo, poggiando la fronte contro la sua. Cercò con una mano quella di suo marito, stringendola. Con quella libera asciugò le lacrime sulle sue guance, di nuovo, mentre lo guardava negli occhi. Si spostò poi leggermente di lato e gli baciò l’angolo della bocca, incontrando una lacrima dal sapore salato e amaro, appena scesa.

«Ricordi quando mi chiedesti di uscire?» chiese Kurt, provocando dei brividi a Sebastian per il respiro che si incontrava con la sua pelle.

Sebastian, decisamente più calmo di prima e meno tremante, annuì alzando una mano ad accarezzare il braccio di suo marito, attendendo che continuasse a parlare.

«Mi chiedesti di non dire niente, solo di accettare o meno. Ho accettato, puntuale ti sei presentato alla mia porta. Eri bellissimo, Sebastian, lo pensai allora come lo penso ora. Mi hai portato a cena fuori, in un piccolo ristorante sconosciuto» al ricordo Kurt sorrise, così come Sebastian. «Per tutta la sera abbiamo parlato, fino a quando tutti i clienti se ne sono andati. Mi hai presentato tuo zio, il cameriere che c’aveva servito per tutta la sera, ti lasciò le chiavi del locale e se ne andò. Ti sei alzato e hai scostato una tenda, mostrandomi un pianoforte a coda. Ti sei seduto, mi hai sorriso e hai cominciato a suonare» Kurt arrossì abbassando lo sguardo, ricordando il sogno che era stato ascoltarlo suonare così delicatamente quella melodia meravigliosa. «Non ero sicuro dei miei sentimenti per te, quel momento mi fece ricredere e capii di essermi innamorato di te da molto tempo, solo che non me n’ero reso conto».

Sebastian sorrise e si spinse a baciare Kurt sulle labbra, limitandosi ad un piccolo bacio casto, poi si staccò un po’ confuso e con un’espressione corrucciata.

«Cosa c’entra questo con quel che ti ho detto io?» chiese.

«C’entra. ‘Bas, pensavo anche io che fossi sfacciato e arrogante, poi c’è stato quel giorno in cui, invece di salutarmi chiamandomi faccia da checca, mi chiamasti Kurt e per tutto il tempo, invece delle solite punzecchiate e delle solite battute odiose, parlammo come due persone normali che si conoscono. Siamo diventati amici, poi migliori amici. Stavamo sempre insieme e ci divertivamo, uscivamo anche con Santana, Brittany, Rachel e Finn, noi sei sempre a divertirci e ridere come matti. Poi mi hai chiesto di uscire, dopodiché, in quel viaggio in Sicilia, abbiamo fatto l’amore, mi hai confessato di amarmi e io ti ho detto lo stesso. Non credo di averti mai visto così felice, ma non posso saperlo» sospirò e gli accarezzò una guancia. «Seb, tutto questo per farti capire che la mia opinione è cambiata subito, conoscendoti man mano. Sapendo il motivo per cui lo facevi, parlo del comportarti come un ragazzo menefreghista, quando invece eri tutt’altro».

A Sebastian scesero delle lacrime, neanche lui si spiegava il motivo ma certamente non c’entravano nulla con quel che aveva pensato uscito dal lavoro.

Kurt gli lasciò un paio di baci umidi sulla mascella, per poi continuare a parlare, rimanendo col volto appoggiato sul suo collo.

«Quando i tuoi hanno litigato... eri triste, ti sfogasti con me, lo ricordo, pensavi avrebbero divorziato. Ricordo però Adèle e Julie, le tue sorelle, quando siamo entrati in casa tua e le vedesti piangere sul divano, sei andato lì e le hai consolate. Anche tu stavi male, ma avanti a loro ti sei mostrato forte e quella sera già non pensavano più a cos’era successo, mentre mangiavamo contenti sul divano a vedere Hercules» continuò Kurt, mentre giocherellava con un lembo della felpa di Sebastian.

«E quando Santana litigò con Brittany? Venne da noi e si fece consolare da te, esclusivamente dal suo migliore amico, l’hai abbracciata e accarezzata per una notte intera, sorbendoti i suoi pianti, i suoi pugni sul tuo petto e i suoi sfoghi in spagnolo» ridacchiò.

«E tu eri geloso» rise Sebastian al ricordo, tirò su col naso e si asciugò le guance con la manica della felpa.

«Ci credo, ho dovuto dormire sul divano!»

Risero ancora per un po’, per poi tornare seri in volto. Si guardarono negli occhi fino a quando Sebastian non si avvicinò a mordicchiargli il labbro.

«Ti amo, Kurt» mormorò poi.

«Anche io, Sebastian, e ti ameranno anche Isaac e Sicilia, ti amano già» sorrise «infatti Brittany ti odia, quando sentono la tua voce scalciano a non finire».

Sebastian aveva fatto male a pensare quello di Kurt, come aveva potuto anche solo credere che suo marito l’avrebbe lasciato, come aveva potuto dubitare dell’amore per quei due ranocchietti che si trovavano nel ventre della dolce fidanzata della sua migliore amica.

 

 

Un enorme sorriso mentre ammirava dal vetro quelle due creaturine, scuotevano i pugni e le gambe all’aria, come ad esser sicuri che non c’era più nessuno a dover sorbirsi i loro calci. Uno aveva gli occhietti chiusi, l’altra ben aperti e girava la testa prima di qua, poi di là, come in cerca di qualcosa. Sebastian sorrideva, mentre il suo stomaco si stringeva in una morsa, quelli erano i loro figli. Suoi e di suo marito, Kurt.

Santana l’aveva chiamati col fiatone quel pomeriggio, ansimava impaurita e urlava a Sebastian di correre all’ospedale, che loro erano già nel taxi e che Brittany stava per partorire. Dopo neanche venti minuti erano già lì a torturarsi le mani, mentre annunciavano man mano quanto era dilatata la ragazza.

«Chi entra con lei?»

Sebastian, girandosi, sussurrò a Kurt di entrare lui, mentre sarebbe rimasto con Santana. Entrambi preoccupati per quella dolce creatura bionda, con gli occhi azzurri e il sorriso sempre fiorente sulle labbra, che di lì a poco avrebbe sofferto, i due ragazzi si stringevano le mani appoggiati l’uno all’altro, aspettando le notizie che avevano chiesto a un’infermiera.

«Sebastian Smythe?» chiese una donna affacciandosi alla porta della sala d’attesa.

Subito si alzò avvicinandosi, e Santana lo seguì poggiando la mano sulla sua spalla, cercando di rassicurarlo con quei piccoli gesti pieni di dolcezza che si ponevano a lui come offerte d’aiuto. Sebastian posò la propria mano su quella dell’ispanica e le aveva sorriso, leggermente nervoso, per poi volger lo sguardo alla donna.

«Brittany è dilatata quasi abbastanza, l’abbiamo trasferita in sala parto. Stiamo facendo dei controlli, il maschio ha un giro di cordone ombelicale attorno al collo» disse.

Sebastian sbiancò, la vista gli si offuscò e tutto cominciò a girare. Camminò due passi avanti, forse tre, aggrappandosi allo stipite della porta. Respirò lentamente e chiuse gli occhi, quando li riaprì tutto era fermo e nitido ai suoi occhi.

«Seb…» mormorò Santana accanto a lui.

«Non si preoccupi, è tutto sotto controllo, la risolveremo per il meglio signor Smythe».

A quelle parole l’unica cosa che poté pensare Sebastian fu un bel “vaffanculo”, perché quello era suo figlio e c’era in gioco la sua vita. Non era una cosa da stare tranquilli. Si girò e affondò il volto fra i capelli di Santana, stringendola forte.

«Ehi, ehi, è tutto okay Sebastian».

L’ispanica si trovò in difficoltà, non sapeva cosa dovesse fare in quei momenti. Certo Sebastian l’aveva consolata milioni di volte, ma tanto era forte quel ragazzo e mai l’aveva consolato per una cosa così grave, nonostante i dottori avrebbero sicuramente risolto tutto. Era normale essere preoccupati. Alzò quindi una mano ad accarezzare i capelli del suo migliore amico, come faceva lui quando lei stava male, e lo strinse.

«Ehi, ti va una brioche?» chiese a quel punto, come chiedeva sempre lui all’ispanica dopo un lungo pianto.

La superarono così, aspettando un’ora, camminando istericamente davanti la porta della sala da parto, avanti e indietro, con entrambi una brioche in mano.

«Signor Smythe, sono nati entrambi, cinque minuti fa è nata la femmina e due minuti fa il maschio, abbiamo risolto il problema del cordone, non era molto stretto ed è andata per il meglio. Fra pochi minuti potrete vederli dal vetro».

Sebastian ringraziò infinitamente la donna, stringendole la mano gentile, per poi avviarsi subito al vetro.

«Non sono bellissimi?».

Sebastian sentì quella voce angelica e quando si girò annuì sorridendo, come troppo emozionato per parlare. Kurt si avvicinò e lo strinse a sé, avvicinandosi poi al suo viso per baciarlo dolcemente sulle labbra. Si girò e osservò i bambini.

«Un principe e una principessa, Isaac e Sicilia» commentò Kurt, gli occhi azzurri velati di lacrime di gioia.

Aveva sognato tanto quel momento, probabilmente accanto qualcuno che di certo non era Sebastian, almeno fino a quando non s’era innamorato di lui, o fin quando non aveva accettato a sposarlo. E ora era lì, davanti i suoi figli, mentre circondava con le braccia la figura di suo marito. Tutto ciò che desiderava, ora l’aveva, e non si trattava di soldi o cose preziose, di amore, di una famiglia con Sebastian.

«Maël» sussurrò Sebastian sovrappensiero.

Kurt si risvegliò dai suoi pensieri e si girò verso il marito con un sopracciglio inarcato. «Come?» chiese.

«E’ francese, significa “principe”».

Si girarono l’uno verso l’altro, neanche a farlo apposta, entrambi con un sorriso sussurrarrono all’unisono:«Sicilia Amélie Hummel Smythe e Maël Isaac Hummel Smythe».

 

 

«Papààà!!» esclamò una vocina dolce e angelica di una bambina bionda con gli occhi verdi, correndo verso il ragazzo appena entrato dalla porta di casa.

«Babbo babbo!» la seguì a ruota una testolina biondo cenere, dotata di una perfetta acconciatura alla Sebastian Smythe, con gli occhi azzurri chiaro.

I due bambini saltarono letteralmente addosso al padre, che s’era messo in ginocchio a braccia aperte con un’espressione felice, facendolo cadere a terra con un tonfo. Sicilia allacciò le mani dietro al suo collo, cominciando a dargli tanti bacini, mentre Maël  lo stringeva all’altezza dell’addome e saltava attaccato a lui. Sebastian li stritolò forte facendoli urlare.

«Oh andiamo silenzio bambini, lo sapete che la signora di sotto rompe le... si arrabbia».

Kurt era comparso sulla soglia della porta, appoggiato allo stipite, con un sorrisetto stampato in faccia, indirizzato a suo marito. Era divertito, ricordava le preoccupazioni di Sebastian quando ancora i due pargoli erano nel ventre di Brittany, quel giorno in cui si era sentito morire per come stava Sebastian, e ora lo osservava ridere gioioso con i loro figli, mentre li alzava, li lanciava, gli faceva il solletico e lasciava loro che gli saltassero addosso.

«Papà guarda che torre che ho fatto stamattina!» esclamò Maël mostrando la creazione fatta con le costruzioni.

Un’espressione di stupore si dipinse sul volto di Sebastian mentre prendeva e ammirava quell’alta torre colorata, scompigliò i capelli al piccolo mentre gli faceva l’occhiolino.

«E’ bellissimo!» esclamò.

«E papino guarda la mia casetta!» si mise in mezzo a loro Sicilia, che ricevette i complimenti dal padre, prima che questo proponesse di creare insieme una grande nave fatta di costruzioni, e si misero a lavoro. Poco dopo arrivò anche Taylor, la piccola Lopez Pierce a giocare con i bimbi, e Scott, il piccolo Hudson, che anche se troppo piccolo per giocare con gli altri bambini, stava lì a camminare e cadere sul sedere ogni dieci passi, quando le due bambine non lo riempivano di baci.

 

«Papiiiiino avevi promesso di suonare, oggi!»

Sicilia gli strattonò la camicia con forza, cominciò poi a trasportarlo verso il pianoforte verticale e lo fece sedere. Si sedette poi accanto a lui e gli sorrise, incoraggiandolo portandogli le mani sui tasti, che provocarono tutti insieme un forte suono fastidioso.

Ridacchiarono, poi Sebastian cominciò a suonare. Cuore Sacro, Andrea Guerra, la melodia che sua figlia preferiva più di tutte.

Erano soli in casa, Kurt e Maël erano andati al parco, quando la piccolina aveva preferito restare a casa. Aveva detto per “lallegrare”  la giornata al padre, e così  andava. Perché per quanto fosse stanco, assonnato e intorpidito, stare con i suoi figli lo rallegrava.

«Siamo tornati!»

Dall’ingresso, attiguo al salotto, comparvero Kurt e Maël. Quest’ultimo vedendoli al piano corse incontro a loro, e Kurt si avvicinò sorridendo.

Passarono il pomeriggio a cantare e suonare, canzoni da musical, canzoni dai cartoni disney o, perché no, qualcosa di più animato. Sicilia con voce angelica Hakuna Matata, una voce che quasi sembrava averla ereditata da Kurt nonostante non avesse i suoi geni, Maël invece si aggirava per la stanza a passi di danza. Kurt e Sebastian erano seduti vicini, cantavano anche loro e si sorridevano.

 

Quella sera sul divano Sebastian era stato preso evidentemente come cuscino, Kurt gli stava appoggiato su una spalla, Sicilia aveva la testa sulle sue gambe e Maël l’aveva sul suo ventre. Avevano finito da un minuto o poco più di vedere “Le follie dell’imperatore”. La piccola sbadigliò e il piccolo fece lo stesso, mentre si tiravano su dal padre e lo facevano alzare. Kurt anche si tirò su e prese in braccio Maël, mentre Sebastian prese Sicilia. Li portarono nella cameretta e li adagiarono sui loro lettini, come ogni sera cantarono loro una ninna nanna francese. Finita la canzone, i bambini rannicchiati avevano gli occhi chiusi e respiravano regolarmente. Rimboccarono le coperte ad entrambi e poi si sorrisero, prendendosi per mano. Sebastian spense la lucina e con Kurt si avviarono alla loro stanza. Appena sull’uscio della camera, una vocina assonnata echeggiò nella stanza.

«Vi vogliamo bene, papà» disse Maël.

«Sì, vi vogliamo» incalzò Sicilia, interrotta da uno sbadiglio, «bene» sussurrò infine, cadendo poi in un sonno profondo.

Sebastian e Kurt si guardarono ridacchiando.



L’autrice  da ricoverare.

Okay, beh, forse non è stupendo, meraviglioso, bellissimo, ma ci ho messo davvero il cuore e taaanti feelings. *cries* hope you enjoyed! *finge di non essersi accorta del titolo orribile e l’introduzione ancora più orribile, perché con queste cose non è proprio capace, e se ne va*

ccciààzz! 

  
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