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Autore: NightLumos43    14/03/2013    0 recensioni
Tratto direttamente dalla storia:
"Charlie non era mai stata una fan della festa degli innamorati per eccellenza. Riteneva fosse una giornata come le altre, frutto delle politiche consumistiche delle aziende e delle necessità di mercato. Una festa che esclude coloro che non hanno nessuno con cui condividere un amore, che fa sentire disprezzati e tristi nella propria solitudine, che non ha riguardi per chi soffre a causa di quell’arma letale e a doppio taglio che è l’amore.
Per questo Charlie aveva convertito il giorno di San Valentino nella giornata per eccellenza per donare amore a coloro che meno ne avevano, che più ne necessitavano, rendendosi Cupido e Valentino di amici e familiari, sopperendo a quel vuoto personale, all’incompletezza a cui ormai si era assuefatta e di cui lei stessa era vittima.
San Valentino, che festa insulsa!"
Eppure quel San Valentino riservava qualcosa di particolare, qualcosa o meglio qualcuno che Charlie non si sarebbe aspettata.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Questa è la prima storia che pubblico e devo ammettere che sono davvero emozionata.
La data in cui ho scelto di pubblicarla non è casuale, infatti oggi 14 Marzo è il giorno del compleanno della mia mamma, e inoltre è passato esattamente un mese dal giorno di San Valentino. 
Come già mi sono anticipata, dedico questa storia a mia mamma e con lei a tutta la mia famiglia, ai miei amici, che non sono stati soltanto fonte di ispirazione per la vicenda, ma che lo sono tutti i giorni nella vita reale, e infine a voi, a chiunque perda un po' del proprio tempo a leggere ciò che ho scritto, con l'augurio che vi possa regalare un sorriso. 

Buona lettura,
Carlotta 


PROGETTO SAN VALENTINO



-          Dov’ è finita Mirna? Corri a cercarla, due minuti ancora e si va in scena! Possibile debba sempre sparire nei momenti meno adatti?
Charlie stava perdendo le staffe. Sarebbe stata la loro prima esibizione in pubblico e proprio a pochi istanti dal debutto una delle loro compagne si era magicamente dissolta. 
Nella penobra, nascosta tra le quinte del teatro, fissò la sua mano destra muoversi nevrotica, animata di vita propria e in preda all’ansia. Sentiva lo stomaco attorcigliarsi e contrarsi e in un istante di esilarante isterismo pensò che se avesse avuto «le farfalle nello stomaco» di certo a quell’ora se ne sarebbero belle che volate via. L’adrenalina le aveva azzerato comletamente la salivazione prosciugando le pareti interne della bocca, facendola boccheggiare in cerca d’aria, come se questa potesse restituirle sollievo. Serrò le mani, richiudendo le dita all’interno, sfregando con i polpastrelli contro il palmo sudato. Con lo sguardo rivolto a terra, fissava un punto indefinito sul pavimento persa dietro mille pensieri e preoccupazioni, mentre inconsciamente e istintivamente iniziò a torturare con i denti superiori le labbra già fortemente riarse.
-          Ancora un minuto e poi tocca a voi!
Lesse il labiale del tecnico audio, che le strizzò l’occhio in segno di buon augurio, pregando intanto in cuor suo che Mirna si materializzasse all’istante.
In un misto di ansia ed eccitazione, si guradò intorno in cerca di qualche sguardo confortante, constatando con piacevole sorpresa che anche le sue «compagne di sventura» stavano condividendo le sue stesse preoccupazioni.
I primi occhi che incontrò furono quelli di Emma, che ricambiò il suo sorriso isterico e impacciato con uno brillante e rassicurante. La loro intesa era sempre stata perfetta, di quelle comprensioni tacite prima ancora che verbali. Insieme sapevano rendere ogni loro momento il perfetto connubio di amicizia e sorellanza, sebbene non potessero essere più diverse di così. Emma era caparbia, determinata e senza ombra di dubbio estremamente egocentrica, sempre così sicura di sé da riuscire a celare agli altri il suo nervosismo e disagio anche nelle situazioni più impensabili. Era capace di dissimulare qualunque stato d’animo la abitasse, abile nel far credere tutto il contrario di tutto, semplicemente camaleontica. Charlie invece era… beh, era Charlie.
Notando  l’impaccio dell’amica, Emma le fece l’occhiolino, rivolgendole un nuovo sorriso ancora più ampio del primo se possibile; poi riportò l’attenzione sul pubblico in sala, assumendo il suo tipico sguardo di sfida.
Guardandosi ancora intorno Charlie si soffermò ad osservare, in quei brevi istanti che avrebbero preceduto l’esibizione, le altre sue compagne, pensando che in un momento simile non avrebbe desiderato nessun’altro al suo fianco.
Sorrise vedendo Sally e Tiffany scambiarsi amorevoli pizzicotti lungo le braccia, nel tentativo di scaricare l’ansia e la frenesia di quell’istante sul corpo dell’altra. Pensò a quanti momenti avevano condiviso insieme. Sally le era sempre stata accanto e la aveva accolta nello sconforto di quell’ultimo anno con il suo fare materno e carezzevole. Era una ragazza solare e divertente, malgrado celasse un carattere piuttosto irrequieto e rancoroso e Charlie si era ben vista più volte dal farla arrabbiare. Di certo non voleva scatenare la furia di Nemesi la vendicativa.  
Tiffany invece le assomigliava molto, timida, impacciata ed estremamente sensibile, sempre attenta a non lasciar trapelare nulla della sua vita privata per paura di preoccupare chi le stava intorno. Non amava parlare molto, ma non perché non avesse nulla di cui poter o voler parlare, ma perché si era sempre ritenuta una migliore ascoltatrice. Era riflessiva e ponderata, non si arrischiava mai troppo in situazioni che non conosceva e che potevano nuocerle, sebbene sapesse meglio di chiunque altro come difendersi con le parole e con i fatti. E poi, lei sì che ci sapeva fare con le parole, ne conosceva il peso e sapeva scindere come, quando e con chi usarle. Charlie rise ripensando a quando Tiffany aveva cercato le parole giuste per dirle che nell’ultima interrogazione di italiano aveva fatto un flop micidiale: «Direi che non è stata così pessima come ritieni. Secondo me il problema è che tu e la prof. avete un conflitto di interessi e avete interpretato il testo in modo del tutto diverso. Dopotutto la tua lettura della poesia non era sbagliata, come dice Gadamer ogni interpretazione può esser giudicata giusta se elaborata a partire da una conoscenza pregiudiziale. E non c’è dubbio sul fatto che tu abbia dei pregiudizi su Manzoni» e nel dirle ciò Tiffany aveva riso sommessamente, senza sbeffeggiarla o sminuirla, tentando di conciliare in quelle parole oscure giudizio e sensibilità.
Spostando gli occhi un po’ più a destra scorse poi Susan e Claire. Susan era seria e concentrata, serafica e imperturbabile. Il suo portamento aggraziato metteva in risalto le forme del corpo esile ma  tonico. Lei più di tutte si era sempre distinta per il suo spirito solare e vivace e per la sua naturale inclinazione a godere e gioire della vita. All’apparenza poteva sembrare altezzosa ed egocentrica, ma in realtà nascondeva un animo insicuro e fragile, tanto da dubitare spesso delle sue potenzialità e capacità sebbene ne fosse ampiamente dotata. Charlie avrebbe scommesso che anche in quel momento, dietro quella maschera di indifferenza, si celassero interrogativi e paure ben più profonde e in un istante di tenerezza le venne voglia di abbracciarla e rassicurarla.
Claire invece era la rappresentazione dell’etere. Trasparente e candida, pacata e sorridente come sempre. Adorava parlare di qualunque cosa ed effettivamente era capace di rendere un discorso apparentemnte insignificante come “il colore perfetto per le unghie” una discussione avvincente e ben argomentata. Non amava i giri di parole perciò arrivava dritta al sodo, rischiando a volte di risultare troppo lapidaria e schietta in certi giudizi. Amava prendersi pena per cause già perse in partenza e rifiutava sempre un nocome risposta, sicura di poter persuadere chiunque con le sue abilità oratorie. Anche in quel momento, chissà cosa stesse escogitando il suo cervello quando Charlie la colse nel tentativo di distendere la stoffa della gonna, paragonando il colore del tessuto a quello delle sue unghie.
Una trafelata Mirna in arrivo alle sue spalle la fece sussultare al contempo di paura e gioia. Le stoccò un’occhiata eloquente, che le fece presagire cosa sarebbe successo se non fosse arrivata in tempo, anche se presto Charlie fu costretta a convertire il suo patetico broncio in un largo sorriso di fronte agli occhioni da cerbiatta che le stava rivolgendo la sua amica. Mirna era spesso assente, eppure quando appariva ogni atomo della terra sembrava risentire della sua presenza travolgente e ineguagliabile. Senz’altro la sincerità era la sua qualità più evidente. Non amava nascondersi dietro un dito e preferiva aizzare una lite piuttosto che piegarsi alla volontà degli altri in un tacito consenso. Era battagliera e agguerrita ma sapeva mostrarsi anche dolce e comprensiva con chi riusciva a domare il suo lato più irrequieto.
L’applauso del pubblico la risvegliò da quelle riflessioni, riportandola alla realtà che non faceva più così paura. Il palco stava per essere sgombrato per far posto alla loro esibizione, quando Charlie sentì una mano bussarle sulla spalla.
Si voltò di scatto, consapevole che non avrebbe avuto tempo per chiacchierare. Mary J. vide il suo volto preoccupato, ritirò la mano e in un sussurro le augurò buona fortuna.
Charlie sorrise imbarazzata per non aver avuto tempo da dedicare all’amica, venuta appositamente dietro le quinte per darle tutto il suo sostegno in un momento così emozionante come quello che stava per vivere. Poi si precipitò sul palco assieme alle altre, aspettando che la musica paritsse e che il tecnico luci iniziasse a creare quel vorticoso flusso di bagliori colorati che sempre la aveva ammaliata. Gettò un ultimo sguardo complice a Mary J. ringraziandola tacitamente per la sua presenza e per il suo supporto, perché, sebbene cadesse spesso preda di attacchi di egocentrismo e logorrea, mai una volta quella ragazza le aveva negato la sua più completa fiducia e totale appoggio. Non importava quale strana impresa Charlie stesse per intraprendere, lei le era sempre stata accanto dandole la forza per credere in se stessa e non abbandonare mai i sogni. Il fatto che lei fosse lì ne era conferma.
 
 …When all you gotta keep is strong…
 
Hey, un momento la canzone è sbagliata, ma che diavolo…
 
 … Move along, move along like I know you do…*
 
Charlie aprì stancamente l’occhio destro, la retina ancora appannata dal torpore notturno. Timidamente tirò fuori il braccio da sotto le coperte calde, lo allungò per prendere il telefono e spegnere quella maledettissima sveglia.
Lesse l’ora, segnava le 7.15. La lezione sarebbe iniziata alle 8.15. Calcolò velocemente il tempo che avrebbe impiegato a lavarsi, vestirsi e fare colazione e si convinse che altri quindici minuti se li sarebbe potuti concedere. Che fretta c’era? E poi se fosse arrivata tardi si sarebbe seduta in fondo all’aula e non sarebbe stato poi un atto così riprovevole. Piuttosto riteneva fosse riprovevole e villano organizzare l’orario delle lezioni a quel modo. Quale essere umano sano di cervello si sarebbe mai potuto o peggio  voluto alzare alle 7.00 del mattino per andare a lezione?
Ancora con un occhio aperto e l’altro chiuso guardò di nuovo l’ora: le 7.17.
Doveva sbrigarsi, aveva solo altri tredici minuti di sonno e non si sarebbe lasciata scappare quell’occasione.
 
***
 
7.30.
Questa volta la sveglia non le lasciò alternative. Ancora con gli occhi chiusi, Charlie alzò riluttante le coperte e appoggiò il piede sinistro sul pavimento in legno, che scricchiolò sonoro a quel contatto. Sbarrò d’improvviso le palpebre, come se un elefante le avesse barrito in un orecchio, e portò anche la gamba destra fuori dal materasso. Con una forza che evidentemente non le apparteneva, fece presa sul pavimento e si diede uno slancio verso l’alto con il busto, alzandosi finalmente. Si guardò intorno per un istante ancora stordita e confusa, grattandosi svogliatamente la testa prima di prendere la via per il bagno.
Accese la luce, coprendosi istintivamente gli occhi con il braccio destro come avrebbe fatto una qualunque creatura della notte sopresa dal bagliore mattutino. Si inondò il viso con abbondante acqua fresca, tentando di eliminare le tracce della notte appena trascorsa e sfregando con accanimento gli occhi chiari, tanto da farli arrossare per la violenza della frizione. Portò poi lo sguardo allo specchio. Esaminò sospettosa la pelle del viso, in cerca di possibili imperfezioni da dover eliminare e si rallegrò vedendo il volto pallido e candido privo di quegli abomini ormonali quali punti neri e brufoli. Indossava un pigiama grigio tenue in cotone pesante con al centro disegnato un enorme cane rosa. Un evidente regalo di sua nonna.
Dopo la toletta mattutina si piantò di fronte all’armadio ad ante spalancate, indecisa su cosa indossare.
Jeans, maglia blu e Converse o abito grigio, calze panna e scarponcini da neve?
Si convinse per una mise più casual, restando fedele alle storiche Converse blu che indossava in qualunque stagione e con qualunque condizione atmosferica.
Si vestì lentamente, più lentamente e con meno minuzia del solito, quasi distrattamente. La mente aveva iniziato a scandagliare frenetica i sogni della notte passata, rincorrendo i ricordi collezionati durante la sua adolescenza. Tornò al novembre di un anno prima: la fine delle superiori, la festa d’istituto, il viaggio in Spagna, l’addio ai giochi d’infanzia e ai luoghi sicuri. L’anno in cui sarebbe giunta alla resa dei conti, non solo sul fronte scolastico, ma anche sul lato personale ed emotivo. Il suo trampolino di lancio fu la festa studentesca celebrata all’inizio di ogni anno scolastico, in cui chiunque fosse dotato di talento o avesse semplicemente voglia di mettersi in gioco poteva esibirsi di fronte a tutto l’istituto. Una sorta di rituale di iniziazione che avrebbe consacrato i successivi nove mesi di interrogazioni e verifiche. Dopo anni e anni trascorsi rifuggendo il palcoscenico tra il pubblico in platea, Charlie e le sue amiche avevano finalmente trovato il coraggio per esibirsi in uno stacchetto completo di recitazione e coreografia. Un successo senza precedenti. Sorrise nostalgica.
-          Quanto sono cambiate le cose adesso…
I suoi pensieri si materializzarono in quelle poche parole pronunciate con dolcezza e consapevolezza che le scassinarono furtive le labbra, dischiudendole in un soffio. Tuttavia non c’era amarezza né tristezza nella sua voce.
Con occhi languidi guardò la sua camera. Era piuttosto spaziosa, tanto che ci avrebbero potuto abitare comodamente due persone, semplice ed essenziale. Accogliente nella disposizione dei mobili sebbene il grigiore delle pareti e la poca luce che vi filtrava la rendessero buia e perciò decisamente in contrasto con la personalità fresca e luminosa della ragazza. Per far fronte a questo problema Charlie si era munita di due lampade poste rispettivamente sulla scrivania e sul comodino. La parete destra era percorsa dall’ampio armadio in legno scuro e dalla scrivania sommersa da libri e dizionari. Due lunghi ripiani stipati anch’essi di libri e portagioie si stendevano lungo la parete di fronte al letto e una sedia stracolma di vestiti stropicciati giaceva inerte vicino al comodino. Le recenti decorazioni natalizie e le foto alla parete rendevano l’atmosfera calda e familiare, conferendo alla stanza un’anima e un cuore pulsante, il suo.
 
***
 
Era pronta, mancava solo la colazione. Prese il telefono per controllare l’ora.
Le 8.10.
Si maledì per aver dormito quei tredici minuti in più e aver perso così tanto tempo a rincorrere il passato. Calzò le scarpe, si infilò il giaccone e legò stretta la sciarpa al collo, corse in cucina, afferrò tre biscotti al cioccolato dallo scaffale della credenza e uscì di casa trascinando la borsa carica di libri sulla spalla destra.
Argh, un classico alla Charlie! Brava genio! Nemmeno se mi smaterializzassi riuscirei ad arrivare in tempo a lezione! E devo pure fare colazione per strada! Chissà cosa penserà la gente vedendomi ingozzare di biscotti al cioccolato! Oh, non sono nemmeno riuscita a coprire con un po’ di fondotinta queste occhiaie mostruose…
Piagnucolando si passò velocemente le dita sotto gli occhi, tendendo la pelle morbida nel folle tentativo di eliminare i segni della stanchezza.
Trottando verso l’istituto, trasse dalla borsa l’ipod, indossò le cuffie e premette play.
Il passo si fece più spedito e incalzante, adattandosi al ritmo della musica, e sembrava quasi Charlie si fosse librata in volo, sospinta dai calzari alati di Mercurio.
Londra non le era mai sembrata tanto bella. Un palla infuocata splendeva radiosa nel cielo terso, smorzando il freddo pungente di quel febbraio. I tiepidi raggi solari illuminavano i tetti delle case, specchiandosi nelle pozze d’acqua ai margini delle strade, i residui del temporale appena passato.
Charlie alzò il viso immergendosi in quel tiepido tepore mattutino, seguendo il percorso del sole e inebriandosi di quella luce come un qualunque girasole estivo.
Passeggiando accanto a tante facce sconosciute, adorava fantasticare sulle vite dei passanti. Quella mattina si imbattè in una giovane donna. Aveva camuffato con un trucco leggero l’aria stanca tradita tuttavia dagli occhi grigi e spenti.
Probabilemente neanche lei ha voglia di andare a lavoro. Non deve aver dormito molto questa notte…Chissà cos’avrà fatto? Forse ha passato la notte in bianco china su pile di scartoffie inutili, relegate al margine della scrivania, l’ingrato compito di una stagista alle prime armi. O forse ha passato la notte in compagnia di un uomo affascinante, inaugurando allegramente la mattina di San Valentino. O forse ha trascorso la serata leggendo instancabile un libro avvincente, determinata a raggiungere la fine della storia prima del sorgere del sole. Questo ricorda un po’ me. Troppo me.
Pensò che probabilmente nessuna delle sue ipotesi sarebbe stata corretta, però non le importava. Nella sua fantasia quella donna aveva vissuto tante vite in un solo istante. Charlie le aveva regalato un po’ di evasione dalla vita di tutti i giorni, sebbene lei ne fosse totalmente all’oscuro.
Il pensiero di aver fatto un regalo più che inusuale a una donna sconosciuta il giorno di San Valentino la divertì e la accompagnò lungo tutto il tragitto verso l’università.
Charlie non era mai stata una fan della festa degli innamorati per eccellenza. Riteneva fosse una giornata come le altre, frutto delle politiche consumistiche delle aziende e delle necessità di mercato. Una festa che esclude coloro che non hanno nessuno con cui condividere un amore, che fa sentire disprezzati e tristi nella propria solitudine, che non ha riguardi per chi soffre a causa di quell’arma letale e a doppio taglio che è l’amore.
Per questo Charlie aveva convertito il giorno di San Valentino nella giornata per eccellenza per donare amore a coloro che meno ne avevano, che più ne necessitavano, rendendosi Cupido e Valentino di amici e familiari, sopperendo a quel vuoto personale, all’incompletezza a cui ormai si era assuefatta e di cui lei stessa era vittima.
San Valentino, che festa insulsa!
 
Giunse all’università.
Varcò la porta dell’istituo, salì le scale di corsa e si precipitò in classe. Le 8.19.
Prese un respiro profondo, cercando di camuffare l’affaticamento accumulato in quei pochi minuti di ritardo, e aprì la porta silenziosamente, non abbastanza però perché tutti i suoi compagni non si girassero a guardarla. Le rivolsero occhi glaciali, pieni di accusa e rimprivero.
Ma fatevi un po’ di affari vostri, il prof. non è nemmeno arrivato! Tanto rumore per nulla!
Sebbene in cuor suo cercasse di giustificare il ritardo in maniera molto poco diplomatica (Anche il prof. è in ritardo, quindi ho fatto proprio bene a dormire quel quarto d’ora in più, altrimenti sarei rimasta ad aspettare qui in classe tutto questo tempo! Uh, sono stata più furba io, babbei!), l’imbarazzo era tale che non potè fare a meno di arrossire entrando e prendendo posto in aula.
Il prof. entrò baldanzoso sfoggiando un sorriso allegro, tuttavia incupito dalle folte sopracciglia scure che ombravano gli occhi. Gettò un pesante libro sulla scrivania, sistemò la camicia a scacchi nei pantaloni, mettendo bene in evidenza il pancione tondo e pronunciato che nascondeva il costato e con voce nasale e raffreddata si pronunciò altezzoso:
-          Madame Bovary.
Aprì il libro scaraventato sulla scrivania poco prima e iniziò a leggere.
 
***
 
«Troviamoci al bar appena finisci lezione. Io e Andrew siamo già qui. Ti teniamo un posto».
I ragazzi avevano già iniziato ad alzarsi affamati dalle sedie e a uscire dall’aula, quando Charlie afferrò il cellulare dalla borsa e lesse l’sms di Tyra.
Seguì l’esempio dei suoi compagni e uscì dalla classe, diretta al sesto piano dell’istituto, il bar.
Sorrise ampiamente entrando e trovando i suoi amici seduti al tavolo posto all’ombra del bancone. Prese una sedia e si unì a loro esordiendo con un affettuoso Buon Non-San Velentino mentre tirava fuori dalla borsa due cioccolatini a forma di cuore rosso, che porse entusiasta agli amici. Entrambi si aprirono in un largo sorriso riconoscente.
-          Grazie! Non ricordavo nemmeno oggi fosse San Valentino.
-          Ma come no? Sei cieca? Non ti sei accorta delle decorazioni del bar?
Andrew aveva ragione. L’ampio spazio del caffè in cui si trovavano era addobbato con cuori rossi e rosa di diversa dimensione, decorando muri e finestre, mentre dal soffitto pendevano cioccolatini anch’essi rigorosamente a forma di cuore.
Tyra scimmiottò Andrew, cercando di dissimulare l’imbarazzo per esser stata un’osservatrice così poco acuta, senza smettere tuttavia di sorridere.
Si conoscevano da poco più di quattro mesi, eppure sembrava fossero amici da sempre. Si incontrarono qualche giorno prima dell’inizio dell’università e l’intesa fu immediata.
Andrew era l’anima della festa. Bastava ci fosse lui nella stanza perché l’atmosfera si facesse più leggera e respirabile, perché il divertimento iniziasse sul serio. La sua simpatia innata si traduceva spesso in risposte sagaci e battute sempre pronte, che facevano nascere invitabili sorrisi sulle labbra di chi gli era intorno. Il suo aspetto più sorprendente era che tuttavia sapesse sempre scindere il momento adatto per fare una battuta e quello per essere serio e riflessivo. Amava parlare di argomenti filosofici come “il senso della vita” ma sapeva anche trattare i problemi quotidiani, risollevando gli animi afflitti dei suoi amici con un caloroso abbraccio che sapeva sciogliere il cuore, specie quello di Charlie. Era affettuoso, sempre disposto ad aiutare gli altri senza mai chiedere nulla in cambio, eppure aveva difficoltà nel mostrare cosa il suo cuore celasse tanto avidamente, riservato e forse abituato a posporre i propri problemi a quelli degli altri. Per Charlie a volte quel ragazzo era ancora un mistero ma era disposta ad aspettare che si svelasse, con tempi e dinamiche che avrebbe scelto lui stesso, perché l’amicizia è senza tempo, nasce dal nulla e secondo meccanismi oscuri e non ha data di scadenza. È come una pianta sempreverde, cambia le foglie, ma l’intensità del colore resta sempre la stessa.
Poi c’era Tyra. L’aggetivo migliore per descirverla era forse libera. Amava avere i propri spazi e pochi erano gli eletti che avessero il permesso di invaderli. Era irrequieta, curiosa, avida di sapere, in una parola era una viaggiatrice. Incapace di trattenersi in un posto per poco più di qualche mese, era sempre dietro nuovi progetti, instancabile della vita e delle sue meraviglie. Un Ulisse in gonnella pensava spesso Charlie. Nonostante il suo implacabile spirito di evasione, sapeva essere un’amica sempre presente. Charlie non ricordava una volta in cui Tyra le avesse negato il suo orecchio, sempre disponibile e disposta ad ascoltarla, a darle consigli, a confortarla e anche a rimproverarla quando necessario, quando la fantasia di Charlie sfuggiva al suo stesso controllo e lei si vedeva costretta a riportarla alla realtà, richiamandola con parole carezzevoli e materne, sicure e consapevoli.
-          Ho voglia di una cioccolata calda, che ne dite? , propose Charlie affammata.
-          Non dire quella parola! , sbraitò intimidatoria Tyra.
-          Quale? Cioccolata? , dissero in coro Andrew e Charlie ridendo sommessamente e ammiccando allusivi, sbeffeggiando l’amica indignata.
-          Certo che siete proprio stronzi! Dai, lo sai che se prendi la cioccolata poi viene voglia pure a me, e non voglio, non posso permettermelo, altrimenti tutta la palestra fatta finora va a farsi friggere!
-          Va bene, accompagnami al bancone almeno.
E così dicendo scesero entrambe dalla sedia. Il barista le vide avvicinarsi e con aria svogliata e scontrosa si rivolse a loro con tono sgarbato.
-          Che volete?
-          Una cioccolata calda, per favore.
-          Per te invece? , disse guardando Tyra.
-          Oh, io niente grazie.
-          Eh beh, che vuoi allora? Vi serve l’accompagno per oridnare al bar?
E così dicendo si girò per prendere una tazza, ancora brontolando e versarvi la cioccolata.
Charlie si voltò, guardando allibita e con occhi stralunati l’amica, sentenziando poi sottovoce:
-          Quanto mi sta sul cazzo questo tipo!
Forse non abbastanza sottovoce perché il ragazzo di fronte a lei non si girasse con dipinta in volto un’espressione divertita e sorpresa al tempo stesso.
Era un bel ragazzo, gli occhi azzurri e i capelli biondi, alto e ben piazzato, con spalle larghe e accoglienti. Trasudava una sicurezza innata, ovviamente cosciente del suo fascino. La guardò come se non avesse mai sentito una ragazza dire scurrilità, come se non le fosse permesso, voltandosi poi per ridacchiare con l’amico.
Charlie abbozzò un sorriso imbarazzato, prese la cioccolata, pagò e girò i tacchi per tornare al tavolo umiliata e in difetto.
-          Allora facciamo qualcosa questa sera? Sabotiamo questo San Valentino, è una festa stupida, come se ci fosse bisogno di stabilire un giorno per essere gentili e fare regali ai propri innamorati. Pff, che assurdità!
Disse Charlie con tono inasprito dallo spiacevole battibecco avuto poco prima con il barista.
-          Non ti facevo così cinica, pensavo ti piacesse questa festa! Insomma, i cioccolatini che ci hai regalato…
-          Si beh, mi ero incaricata di essere il vostro Cupido e Valentino per oggi, quindi volevo vi sentiste speciali. Perché questa festa non è solo per gli innamorati, loro sono già felici tutto l’anno, non hanno bisogno di ricevere regali di conforto. Noi tre siamo tutti single e sarebbe triste non avere nessuno che pensa a noi in questo giorno che si è venduto al consumismo. Volevo sapeste che vi voglio bene, anche oggi, sempre.
I due amici la osservarono dolcemente, cercando di alleviare la tristezza che celavano quelle parole.
-          Che ne dite se andiamo al cinema? Facciamoci del male, danno un bel film romantico. Lo guardiamo, ci intristiamo un po’, poi demoliamo la storia e i personaggi con qualche commento cattivo, sabotiamo San Valentino!
Proferì euforica Tyra, convinta che sarebbe stato meglio passare quella sera con i suoi amici, piuttosto che rinchiudersi in casa, con un pacco si fazzoletti vicino al letto, guardando sola un film strappalacrime.
-          Ci sto! A che ora? Andiamo allo spettacolo delle 22.00? , Andrew si pronunciò pragmatico e tattico.
-          Si, perfetto, così possiamo andare in palestra prima. Allora è deciso, il sabotaggio avrà inizio alle 22 e 00! Non vedo l’ora!
I tre si guardarono e risero, spostando poi la conversazione su altri temi molto meno rassicuranti quali gli esami, prima di salutarsi per darsi appuntamento quella sera.
 
***
 
Uh, non è possibile, piove! Ma questa mattina c’era un sole che spaccava le pietre! Non ho nemmeno l’ombrello. Mmmh, mi tocca prendere l’autobus, uffi.
-          Tyra, io scappo, vado a casa, faccio una doccia veloce e ci rivediamo qui tra poco più di un’ora. Spero di non beccarmi un acquazzone. A più tardi.
Erano appena uscite dalla palestra. Con le guance ancora rosse per l’affaticamento, Charlie girò l’angolo per raggiungere la fermata dell’autobus. Non aveva l’ombrello e la pioggia cadeva fitta e implacabile, bagnadole i capelli, rendendoli ancora più crespi di quanto già non fossero.
Prevedibilmente la tettoia della fermata era già stracolma di gente, non c’era nemmeno spazio per potersi coprire il capo. Quindi Charlie fu costretta ad aspettare sotto la pioggia il bus, sperando che arrivasse in fretta.
Che grande alzata di ingegno indossare oggi le Converse! Ho i piedi completamente bagnati, i muscoli doloranti e indolenziti, i capelli di Medusa e la faccia rossa come un pomodoro. Che quadro grottesco!Spero solo di non beccarmi quache malanno, altrimenti chi la sente mamma.
«Te l’avevo detto di buttare via quelle scarpe! Ma tanto tu non dai mai retta, fai sempre di testa tua. Beh, chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Quel flusso di pensieri fu interrotto dall’arrivo dell’autobus.
Le porte di spalancarono per lasciar entrare e uscire i passeggeri e Charlie si mise in coda per salire.
Al solito era l’ultima della fila.
Finalmente giunse il suo turno. Fece per entrare. Alzò il piede destro, appoggiandolo al margine del gradino, ma la suola baganata della scarpa perse contatto con il pavimento, facendola scivolare e finire con la faccia a terra.
Si bloccò a pochi centimetri dal suolo, dopo essersi aggrappata fermamente alla maniglia della porta dell’autobus, sentendo una mano forte che la sorreggeva afferrandola sotto l’ascella, nell’incavo tra il braccio e il seno.
Che figura di merda!
Charlie alzò di scatto il viso, entrando in definitiva in autobus, ricomponendosi cercando di salvare la poca dignità che le era rimasta.
-          Tutto bene? Ti sei fatta male?
Guardò il suo salvatore ancora ammutolita e in imbarazzo.
Che figura di merda!
Se ne convise ulteriormente dopo aver osservato con maggiore ispezione il ragazzo che le aveva teso la mano tanto gentilmente, impedendole di cadere.
Stava ricomponendosi sul sedile, dopo essersi precipitato ad aiutarla e anche in quel momento si stava mostrando magnanimo, cercando di sottrarla alle risa di due ragazzini che sedevano poco distanti e agli sgaurdi preoccupati e increduli degli altri passeggeri, impiantando una conversazione.
-          Si, si. Tutto bene, grazie. Devo essere scivolata, con questo tempo! Sono tutta bagnata e sono appena uscita da palestra, quindi ho tutti i muscoli indolenziti, e…
Ma perché gli sto raccontando tutto questo? Stai zitta, che gliene importa quello che ho fatto o non ho fatto. Non sai più come si risponde ai «Come stai?» di cortesia e circostanza? Un «Bene, grazie» era più che sufficiente!
Il ragazzo sorrise benevolo, mostrando i denti bianchi e dritti, quasi perfetti se non fosse per un canino inferiore leggermente ruotato a cui ovviamente Charlie non fece caso. Era perfetto così.
Il largo sorriso che le rivolse gli illuminò il viso magro e dai tratti pronunciati. La mascella marcata era percorsa da una barba leggera e quasi impercettibile, lasciata incolta, che metteva in risalto le labbra livide, probablimente per il freddo. La bocca si installava in modo quasi simmetrico sul volto, carnosa e morbida. Gli zigomi alti richiamavano le fattezze di un viso femminile, smorzate tuttavia da occhi scuri e penetranti, il cui colore sarebbe stato difficile da definire. Cioccolato fondente contornava le sue pupille, versandosi nelle iridi marcate da una spessa circonferenza nera. La luce giocava con i suoi occhi, stendendo pennellate d’oro nel punto più vicino alla pupilla. Il viso si chiudeva poi con arcate alte e scure che cingevano gli occhi e un naso dritto e leggermente appuntito. I capelli neri ricadevano morbidi e setosi attorno al viso, mentre un ciuffo ribelle restava sospeso e scomposto sulla fronte, senza tuttavia toccarla, spostandosi liberamente a ogni movimento del capo.
Tilt! Bel ragazzo a ore 12! Huston abbiamo un problema. Abbandonare la nave prima di rimanere scottata o peggio, fare un’altra figura di merda.
Charlie sorrise imbarazzata, sentendo percettibilmente il sangue salirle lungo il collo per sedimentarsi sulle guance, fomentando una rivolta contro il pallore tipico della sua pelle.
Come se non fossi già abbastanza rossa.
Alla fermata successiva dovette avvicinarsi ulteriormente a lui per far spazio ai nuovi passeggeri, sentendo l’aria farsi sempre più pesante e assente.
-          Vuoi sederti? Ti lascio il posto visto che sei affaticata.
-          No, no non ti preoccupare. Sto bene in piedi.
-          Sul serio, siedi.
E così dicendo si alzò cavallerescamente, affiancandola addossato alla parete.
-          Preferisco lasciare il posto a qualcun altro. Grazie comunque.
Si voltò poi verso una giovane mamma con il suo piccolo, indicando il sedile appena liberato.
Charlie si ritrovò accanto al ragazzo. Si girò per rivolgergli un sorriso riconoscente, poi tornò con lo sguardo a terra.
Sentì gli occhi indagatori di lui studiarla.
Che cosa penserà di me? Guardami, sono orribile. Ho i capelli tutti arruffati, la faccia rossa, sono sudata e…speriamo proprio che il cappotto trattenga l’odore del sudore. Oddio, sono di profilo e di sicuro noterà il naso storto e rosso per il freddo. Uh, non ho fatto la ceretta ai baffetti. Speriamo non li noti.
-          A che fermata scendi?
-          Al capolinea, davanti alla stazione. Tu?
-          Anch’io.
Arrivarono alla loro fermata e Charlie si affrettò per scendere e interrompere il prima possibile quell’umiliazione.
All’improvviso la pioggia aveva smesso di cadere, seppure ne percepisse ancora il ticchettio incessante sopra la propria testa. Guardò in alto e trovò un ombrello aperto che le copriva il capo.
-          Ti accompagno se non hai l’ombrello. Abiti qui vicino?
-          Oh, beh grazie, ma non sei obbligato. Comunque sì, abito qui dietro.
-          Non è un obbligo. Tranquilla.
Fece una lunga pausa prima di rivolgerle un ampio sorriso, smettere di camminare per un istante e porgerle la mano esitante.
-          Scusami, non mi sono presentato. Sono Dylan.
-          Ciao, io sono Charlie.
Sorrise speranzosa e gli strinse forte la mano.
Bello e gentile, dov’è il trucco?
Continuarono a camminare l’uno affianco all’altra.
-          Studi qui a Londra?
Charlie si sorprese per aver rotto il ghiaccio per prima.
-          Si faccio architettura. Tu?
-          Studio lingue.
Iniziarono a chiacchierare dei loro interessi e delle loro abitudini e Charlie si meravigliò di quanto fosse semplice parlare con lui. Scoprì che Dylan frequentava il terzo anno della laurea triennale in architettura e che l’anno seguente si sarebbe trasferito in Spagna per seguire il corso di specialistica. Amava l’architettura spagnola e credeva che l’unico modo per apprenderne le caratteristiche e le proprietà fosse attraverso uno studio ravvicinato e diretto.
Era simpatico e piacevole e a Charlie sarebbe piaciuto avere più tempo per conoscerlo, ma non si fece illusioni. Lui non le avrebbe mai chiesto di rivedersi.
Arrivarono al portone chiuso del condominio in cui abitava Charlie.
Il momento dei saluti. Che gli dico? “Sono contenta di averti conosciuto, grazie dell’ombrello. Spero di rivederti, ciao”? Troppo diretta? Troppo poco?
-          Beh, io sono arrivata. Grazie per l’ombrello e per avermi fatto compagnia fin qui.
Charlie fece una pausa, aspettando che lui la togliesse dall’impaccio del saluto.
-          Figurati, mi ha fatto piacere conoscerti.
E così dicendo le tese di nuovo la mano, aspettando che lei la stringesse e scuotesse come poco prima.
Charlie non deluse le sue aspettative, sebbene lui lo avesse fatto. Perciò lo salutò con un timido “Ciao” e poi aprì la porta, nascondendosi dietro il vetro, guardandolo andar via e proseguire lungo il marciapiede.
Che ingenua! Che ti aspettavi, scusa? Ho visto troppi film, non c’è dubbio.
Accese la luce delle scale e prese a salirle lentamente.
 
Toc, toc, toc!
Charlie si voltò di scatto. Si fermò con la gamba destra a mezz’aria, intenta a compiere il prossimo passo quando qualcuno bussò sul portone d’ingresso. Fece retro front e aprì la porta, incredula.
-          Dimmi, hai dimenticato qualcosa?
-          Veramente sì, ti dispiace se ti chiedo il numero di telefono? Mi piacerebbe rivederti.
Eh me lo chiedi? Ti darei pure le chiavi di casa.
 
Charlie richiuse il portone con un numero tra le mani, il suo, di Dylan e con un sorriso ebete dipinto in volto.
I muscoli non facevano più male, i capelli non le sembravano più così crespi e arruffati, il naso non era poi così grande e deviato, la pelle era colorita e florida ma perfetta, i baffetti non si notavano affatto. Era bella. Si sentiva bella.
Salì di corsa le scale, ricordandosi che quella sera aveva un impegno importante, sabotare San Valentino. E lo avrebbe fatto, anche se con il cuore alleggerito da quell’incontro che le sembrò così imperfetto quanto reale e che tuttavia era suo. Uno dei ricordi che avrebbe custodito con grande gelosia, perché mai si era sentita così perfetta.
Sentì il cuore intenerirsi, proprio nel momento in cui credeva di essere diventata fredda e refrattaria all’amore. Amava, certo che amava: la sua famiglia, i suoi amici, l’essere umano in generale. Ma mai aveva provato quel tipo di frenesia febbrile, quel tipo di amore nel suo primo germoglio, quel tipo di amore e rispetto per se stessa.
Non smise di sorridere per un solo istante. Ripetendo intanto mentalmente la frase letta sul suo segnalibro.
Due persone non possono incontrarsi nemmeno un giorno prima di quando saranno proni per il loro incontro.** Puoi dirlo forte, anzi puoi urlarlo!

*La canzone è Move Along degli All American Rejects
.
** La frase è di Sandor Marai. 


  
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