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Autore: FrankieEternity    15/03/2013    1 recensioni
Carmen è una ragazza piuttosto solitaria e fredda, che odia profondamente sé stessa, avendo una scarsa autostima. Nonostante ciò, è alla continua ricerca della perfezione, rappresentata per lei da una compagna di classe socievole e cordiale. Un viaggio di istruzione permetterà loro di avvicinarsi e di congiungersi in un tenero rapporto amoroso.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Un pullman pieno di persone urlanti, le loro risate bislacche accompagnate a sussurri, grugniti, fruscii di libri usati per emettere leggeri soffi che andavano a riprodurre il vento, assente in quella mattina afosa di inizio maggio. Studenti dalla pelle ancor candida, chiassosi e conformisti, si scambiavano entusiasti battute salaci, talvolta offensive, verso un insegnante lontano, che sedeva con le braccia poggiate sulle ginocchia e osservava distrattamente il paesaggio che dal grosso veicolo vedeva scorrere a velocità mai costante. Accanto a lui un'altra docente, dai capelli tinti di un insolito biondo brillante, parlava con il conducente, probabilmente cercando di sedurlo. Pochi posti più addietro vi era una ragazza insolita, Carmen, l'unica che non sembrava divertirsi in quell'atmosfera festosa e raccapricciante. Se ne stava con il viso rivolto verso il basso con un'espressione incurante, con musica ad alto volume nelle orecchie, in modo che non potesse udir nulla delle futili chiacchiere dei suoi vicini. Ascoltava un brano di Miyavi che, nonostante fosse molto melodico, non pareva rilassarla. Le sue braccia erano tese e strette al sedile, le sue labbra curvate leggermente verso il basso: esprimevano nello stesso tempo disprezzo, nervosismo, rabbia. Aveva i capelli di un nero lucente, perfettamente lisci, che le arrivavano fino alle spalle e gli occhi piccoli, incerti, intensi e di un castano molto scuro che dava l'idea di un fuoco spento, di una cenere bollente che tutti si rifiutavano di toccare. Il suo sguardo non si soffermava mai su qualcosa in particolare, se non per comunicare disapprovazione, mestizia, solitudine, paura. Al contrario, accanto a lei sedeva una ragazza molto vivace, espansiva ed estroversa. Con gli occhi briosi, luminosi, gentili, di un azzurro intenso, esprimeva appieno tutta sé stessa. Le sue braccia magre non erano ancorate in una posizione fissa: accompagnava ad ogni frase dei precisi gesti, si serviva molto di essi per comunicare. Mentre chiacchierava a gran voce con un gruppo di ragazzi che si trovava poco distante da lei, un ciuffo dei corti capelli color del miele le andava a coprire gli occhi, donando al suo sguardo astuto ma dolce un alone di vivo mistero. Nonostante la furbizia e la bontà riflessi in esso, parlava di stupidaggini soltanto per far passare il tempo: raccontava barzellette per niente divertenti, riportava alla mente le figuracce dei suoi compagni di classe negli scorsi anni per ridicolizzarli e, talvolta, si dilungava sui suoi successi nello sport e a scuola. No, Carmen non poteva proprio crederci che si fosse seduta accanto a lei! Probabilmente non c'era stato nulla di intenzionale, eppure la misteriosa ragazza dai capelli chiari aveva scelto proprio quel posto per passare il suo tempo attorno agli altri della classe. Per tutto il viaggio non la degnò di una parola ma a Carmen parve già un onore essere seduta accanto alla ragazza più furba e ammirata della classe. Il suo nome era Jane Gordon. Figlia di un ricco imprenditore americano e di un'insegnante di lettere di Napoli, per cui bilingue, si era sempre distinta per la sua spiccata intelligenza, facilità all'apprendimento, nonostante avesse un carattere ribelle e vivace. Nessuno osava aggredirla o anche solo schierarsi contro di lei. La sua figura, seppur esile, esprimeva coraggio, sicurezza in sé e determinazione. Ciò che a Carmen mancava più di ogni altra cosa. La ragazzina dai capelli color della pece si sistemò sul sedile comodamente, quasi stendendosi. Dopo meno di un'ora, chiuse gli occhi. L'ultima immagine che vide fu un sorrisetto azzardato sul volto della sua vicina. Poi qualunque cosa vedesse le sembrò confusa, fino a tramutarsi nel buio più totale.

Dopo un viaggio lungo e tedioso, si arrivò a destinazione: Torino, una delle città più belle d'Italia. L'intera classe III E, accompagnata dal rispettivo docente, giunse in un albergo a tre stelle, assieme ad altre della medesima scuola. Era piuttosto piccolo, ma la struttura era nuova e dai colori molto accesi, sia all'interno che all'esterno. Giunti che furono nell'albergo che li avrebbe ospitati per cinque giorni, poiché si trovavano in viaggio d'istruzione, fu cruciale l'assegnazione delle camere. Il docente, che non voleva trovarsi nei guai, si trasse in disparte e lasciò che gli alunni potessero scegliere, perché vi erano a disposizione sia stanze per due, che per tre e per quattro persone. La fanciulla dai capelli corvini rifiutò di operare tale scelta e infine finì con l'essere inserita nell'ultima camera rimasta, assieme alla gracile Jane e ad un'altra ragazza, Emma, che si credeva la più bella tipa della scuola ma che in realtà era carina solo se paragonata ad animali fetidi come le scrofe.
La camera nella quale si ritrovò era piccola e stretta, ma comoda e accogliente. Jane camminò a fatica verso il letto matrimoniale, posto ben lontano dalla porta e ci si buttò sopra, facendo poi un verso che esprimeva sollievo. Carmen si guardò attorno spaesata e con suo profondo terrore constatò che c'erano solo un letto matrimoniale e un letto singolo, nient'altro dove potesse dormire. Fu presa dall'ansia e domandò, balbettando:
<< M-ma ci sono s-solo due letti? >>.
Emma si sedette sul letto singolo, facendolo scricchiolare pesantemente. Jane mentre si rilassava fissando il soffitto, si lasciò scappare una risatina e replicò:
<< Quanti volevi che ce ne fossero? Dieci? >>.
Carmen scosse la testa, ripetendo nella sua testa che era meglio non innervosirsi perché avrebbe dovuto resistere per cinque giorni, cinque soli giorni; dopo di che avrebbe potuto litigare fino a quanto voleva sia con la grassoccia Emma sia con la brillante quanto irritante italo-americana.
<< Emma io con te non ci dormo >> chiarì Jane, girandosi più e più volte nel letto, << occuperesti l'intero materasso >>.
Rise, e il bianco dei suoi denti risaltò nella stanza semibuia. Emma strinse i pugni e s'alzò difilato, avvicinandosi a Jane.
<< Vaffanculo Jane, sei una stupida! >> esclamò, levandosi velocemente una scarpa e lanciandogliela contro. La bionda con un rapido movimento del busto evitò l'arma che era viaggiata a velocità elevata e che infine era finita contro il muro. Carmen sbuffò, s'aspettava già l'inizio di una prima lite, una reazione da parte di Jane. Quest'ultima, invece, rimase impassibile. Si limitò a dire all'amica:
<< Rilassati Emma, stavo solo scherzando >>.
Lei allora s'allontanò e sprofondò di nuovo nel suo lettuccio, posto a destra subito dopo l'entrata. Si mise a messaggiare con il suo ragazzo, anche lui in gita nello stesso albergo. Le sue dita tozze premevano più volte sullo schermo del suo moderno cellulare touch screen, mentre muoveva un piede a ritmo di una musica inesistente.
<< Che fai lì impalata? Vieni dai >>.
Carmen rimase ferma per un paio di secondi, poi s'accorse che la frase di Jane era rivolta a lei. Sentì le gambe come enormi rocce, poi si sbloccò e timidamente si avvicinò a Jane per poi sistemarsi accanto a lei.
<< Come ti senti? >>.
Carmen le lanciò un'occhiata interrogativa.
<< Che? >>.
<< Mi sembravi giù di corda durante il viaggio, ho pensato che non ti sentissi bene >>.
<< Beh...sì, cioè no, stavo bene >>.
<< Perdonami allora, sarà stata una mia impressione >>.
Sul suo volto s'allungò un sorriso d'intesa, che fece rabbrividire la sua timida e cupa compagna di classe. Trascorsero secondi o forse minuti di silenzio. Jane giocava col suo anello sul quale era impressa una scacchiera, allontanandolo e poi rimettendolo al pollice. Carmen si limitava a fissare il soffitto senza proferir parola, sembrava che la lingua le si fosse attaccata al palato. Ad interrompere quella lugubre tranquillità la voce del docente che li invitava a prepararsi, perché di lì a poco avrebbero dovuto recarsi al piano terra per consumare la cena. Jane dichiarò di essere già pronta, perciò lasciò il bagno libero per Carmen ed Emma. Quest'ultima lo occupò per dieci minuti, poi fu la volta di Carmen. Non appena richiuse la porta dietro di sé, Jane iniziò a sghignazzare.
<< Che hai da ridere?! >> proferì la grassoccia in tono di sfida.
<< Come cazzo ti sei truccata? >> articolò l'altra fra una risata e l'altra. << Quanti cosmetici hai usato per conciarti così? Oh mamma mia, quanto sei brutta, sembri Platinette...il mio cane si sarebbe truccato in modo più ragionevole! >>.
A quelle irriverenti parole Emma si avventò su di lei, afferrandola per la maglia e tirandola verso di sé.
<< Prova a ripetere quello che hai detto! >> la minacciò. Le sue mani si stringevano con veemenza agli abiti di Jane, che non pareva affatto timorosa. Al contrario, sul suo viso si leggeva quasi un ghigno beffardo.
<< Se proprio vuoi truccarti, fatti aiutare da qualcuno che sa farlo >> le spiegò, abbandonando i toni di scherno. Emma mollò la presa, poi chinò lo sguardo. Quando lo rialzò, il suo viso era ancora più spaventoso. Delle lacrime le rigavano il viso, formando scie di differenti colori, tutti quelli che aveva usato per rendersi bella. Aveva, però, fallito, ottenendo l'effetto contrario. Il pianto le aveva portato ulteriori danni, dipingendole il volto di differenti tonalità. Sembrava un quadro rappresentato da un autore inesperto. Jane sbuffò, prese dalla tasca dei jeans un fazzoletto e glielo porse. Emma si asciugò disperatamente la faccia, continuando a piagnucolare sottovoce. Quando Carmen uscì dal bagno, Jane stava truccando l'amica. Carmen rimase impalata ad osservare la scena.
<< Non muoverti...>>. Sentiva che la bionda sussurrava più volte sottovoce all'altra di stare immobile. Jane si muoveva con disinvoltura, come se fosse davvero un'estetista. Al termine del lavoro, Emma era mutata completamente: era diventata molto più carina. Si strinse alle spalle deboli di Jane, ringraziandola più e più volte.
<< Di nulla, Emma >> replicò la fanciulla. << Però ora non stritolarmi, ok? >>.
Tutte e tre assieme uscirono dalla stanza e si diressero al pianterreno, dove in una piccola sala rettangolare cenarono. Si sistemarono in un tavolo completamente distante dagli altri e mangiarono avidamente ogni piatto proposto dallo chef, non perché la sua cucina fosse così eccellente, ma perché erano davvero molto affamate. Carmen si sentiva parte di un'allegra combriccola nella quale non aveva mai avuto posto. Provava un disagio sproporzionato, estremamente visibile dai suoi occhi bruni, nei quali si riflettevano i volti delle due ragazze sedute poco lontano da lei. Ridevano sguaiatamente, scherzavano fra di loro, rendendola partecipe del loro gioco di sguardi, di parole, di inganni. Eppure Carmen non si sentiva sé stessa, sentiva che quelle attenzioni improvvise nei suoi confronti sarebbero state solo temporanee, sentiva come se un varco si fosse aperto nel suo cuore immobile, apparentemente impenetrabile. Al contrario, lei provava sempre sensazioni forti, sebbene spesso non lo desse a vedere, emozioni che reprimeva fino a scoppiare. Equivalente al trambusto di una bomba quando esplode, le sue lacrime come fuoco bollente inondavano le sue guance, rendendola debole, schiava della sua stessa persona. Ciò accadeva quando si lasciava sopraffare dalla sofferenza, dalla disperazione dovuta alla mancanza di una speranza che le illuminasse il cuore, dalla necessità di affetto che la tormentava fino a tramutarla in una ragazzina fredda e senza desideri. Quel trovarsi di fronte le due coetanee, così allegre e disinvolte, la fece sentire triste ed euforica allo stesso tempo. Rideva, rideva, ma sapeva che quei sorrisi erano colmi di una malinconica gioia. Era come se sorridendo stesse sfogando una rabbia contenuta dentro sé per anni. Era come se la solitudine avesse assunto una forma diversa. Jane con il suo sorriso efebico. Emma con le sue gote paffute e rossastre. Era benvoluta Carmen in quel trio di ragazze così diverse? Le sue preoccupazioni erano fondate? Si tenne la testa fra le mani dopo aver terminato l'ultimo pasto, immersa in pensieri amari, riflessioni truci. Lo sguardo preoccupato di Jane si soffermò sul suo viso assorto e la riconfortò. Per la bizzarra giovane dai capelli corvini quello sguardo misterioso e limpido ebbe l'importanza di una delicata carezza. Sorrise debolmente, osservando la bionda che mandava giù l'ultimo boccone di cibo. Poi si soffermò sulla magrezza dei suoi fianchi, messi in risalto dalla T-shirt bianca che indossava. Il bianco. Un colore che racchiude tutti i colori, un colore neutro, poco vistoso. Qual era la vera indole di Jane Gordon e quali segreti celava dentro di sé, nel suo cuore coperto da quella maglia incolore? Anche Carmen seguì le due chiassose ragazze, dirette nuovamente verso la camera, luogo nel quale si sarebbero presto riposate dopo un estenuante viaggio. Quando richiusero la porta dietro di loro, Carmen provò nuovamente quella gioia mista a dolore, sconforto ed imbarazzo. Avrebbe condiviso il letto con Jane: senza dubbio sarebbe stata l'esperienza più imbarazzante della sua vita. Poco dopo, infatti, Jane si tolse la maglietta e la adagiò su una poltrona posta in prossimità del letto. Carmen non potè fare a meno di ammirare il seducente corpo della sedicenne, magro e perfettamente proporzionato. Le sue spalle erano strette, ma le braccia erano forti. Prima che potesse soffermarsi ad indagare circa le dimensioni del suo seno, la ragazza biondiccia si era già messa il pigiama. Carmen si rimproverò più volte nella sua mente per aver provato curiosità circa le sue fattezze ed evitò di guardarla quando si infilò anche i pantaloni del pigiama. Jane subito si piazzò nel letto, coprendosi con il lenzuolo. Carmen si cambiò velocemente, Emma invece lo fece in bagno. Quando finì di cambiarsi, prese posto accanto a Jane, stringendosi subito al cuscino. Carmen sembrava emozionata. Osservava i contorni rilassati di Jane grazie alla luce del lume, che era ancora acceso per attendere il ritorno di Emma. Sembrava una creatura angelica dai movimenti dettati dalla gentilezza e dalla bontà. Inoltre, si accorse che le sue mani affusolate erano assai più piccole delle sue e a quel pensiero sorrise beatamente. A vederla così sembrava proprio una Jane diversa. Chissà se standole così vicina avrebbe potuto presto scoprire qualcosa in più sul suo conto.

***

La nivea mano della ragazza con cui condivideva il letto si posò inconsapevolmente sul suo viso, sul quale era dipinta un'espressione vaga ed assonnata. Quel gesto improvviso, compiuto fra il sonno e la veglia, le donò un brivido intenso, che coinvolse l'intero suo corpo. Le guance di Carmen s'infiammarono, la sua bocca si spalancò per lo stupore, mentre osservava con caparbia attenzione Jane, che si muoveva priva di lucidità da un lato all'altro del letto matrimoniale. Quando spalancò gli occhi, Carmen non riuscì a reggere il suo sguardo, per questo si girò al lato opposto. La sentì sbadigliare, dopo di che annunciò:
<< E' mattino, è ora di andare a far colazione! >>.
<< Svegliati, puzzona! >> esclamò poi, rivolta alla sua compagna di letto, togliendole d'improvviso il lenzuolo di dosso.
Allora Carmen replicò a voce alta:
<< Sono già sveglia e poi io non puzzo! >>.
<< Lo so, lo so. Rilassati >>.
Trascorsero una mattinata e un pomeriggio piacevoli, visitando le bellezze di Torino. Jane non lasciò nemmeno un attimo Carmen sola, seppure ogni tanto si divertisse a prenderla in giro. La maggior parte delle sue monellerie le rivolgeva, però, alla pingue Emma, con la quale trascorreva sempre tempo piacevole, bighellonando. Nonostante accadessero queste cose, Carmen si sentiva qualcosa in più di un'eremita, come lo era stata fino al giorno precedente. Si sentiva partecipe di un gruppo di ragazzine spavalde e chiassose, che più che ammirare le bellezze della cittadina, si davano allo svago. In effetti, Jane copriva sempre la sottile voce della guida, parlando di sciocchezzuole. Con la conseguenza che quella giornata si risolse in una totale perdita di tempo. Quella sera, inoltre, si recarono in una discoteca della città. Carmen aveva indossato gli abiti più belli ed eleganti che aveva in valigia: un vestitino viola e un paio di scarpe scure dal tacco alto. Adornò poi il tutto con una collana e un bracciale del medesimo colore del vestito. Era bellissima, ma provava disagio, poiché non era abituata a mostrare il suo corpo. Al contrario, Jane indossò una maglia larghissima di colore rosso con dei jeans blu comodi e su di essi una giacca di denim. Emma si vestì con un completo rosa che lasciava davvero a desiderare, ma Jane la truccò in modo da renderla più presentabile. Il trio si unì al resto della classe, marciando a piedi insieme ai docenti verso il locale, il cui nome era ''Vita Loca''. Appena entrati, li accolsero un paio di uomini di colore dal portamento austero, che erano addetti alla sicurezza. Il discopub era già pieno. Subito Jane si precipitò in pista assieme all'ingombrante Emma ed altri compagni di classe, Carmen invece imboccò la direzione opposta, dirigendosi al bancone.
<< Un bicchiere di vodka alla fragola >>.
La musica assordante impedì al proprietario del pub di udire, per cui le fece cenno di ripetere.
<< Un bicchiere di vodka alla fragola, per favore >> ripetè, storcendosi le dita per il nervosismo.
<< Il primo bicchiere è gratis, signorina! >> le annunciò il barista, porgendole un bicchierino pieno d'un liquido rosso brillante.
<< La ringrazio >>.
Sorrise debolmente e mandò giù tutto in un sorso. Il sapore dolce della fragola unito all'alcol le donò una sensazione di freschezza, di improvviso brio. Quantunque si sentisse più sollevata, ballare in un locale non le aveva mai fatto piacere. Inoltre, in quel posto vi era una puzza insopportabile di sudore e piscio. Si sistemò su di un divano nero, posto in prossimità di un tavolino deserto e si appisolò su di esso, sentendo la musica che le rimbombava nel petto e che la faceva spesso sussultare. Aspettò lì per svariati minuti, poiché non vedeva l'ora che quella serata giungesse al termine. Tuttavia, d'un tratto le piombò davanti un ragazzino dai capelli a spazzola e dai lucidi occhi grigioverdi, che le si presentò:
<< Mi chiamo Manuel, piacere di conoscerti. Sei delle zone? >>.
<< No, sono qui in gita >>.
<< Ah >>.
Si sedette al suo fianco, offrendole un bicchiere di whisky.
<< Sei una bella ragazza, sai? >> le confessò. << Attenta che è pesante questa roba qui, riesci a reggerla? >>.
<< Mi hai presa per scema?! >> ribatté lei con indignazione.
<< No, no. Mi piaci sai? Sei una tipa tosta, in gamba >>.
Carmen mandò giù l'intero contenuto del recipiente in pochi sorsi.
<< Sei fidanzata? >> le chiese il ragazzo, versandogliene un altro po'.
<< No >>.
<< Ti va di andarci a divertire assieme? >>.
<< Perché no? >> lo sfidò la mora, deglutendo altri due bicchieri.
Manuel la invitò ad alzarsi e dopo averla presa per mano, la guidò fino al bagno degli uomini. Richiusolo a chiavi, la spinse contro il muro e iniziò a baciarla con passione. Le infilò una mano fra le gambe, spingendola fino all'interno delle mutandine. La toccò più volte e violentemente, immobilizzandola con la forza delle braccia. Carmen si divincolò, urlando ad alta voce e disperatamente. Manuel, però, non si diede per vinto. Si interruppe, le mostrò il suo grosso pene eretto, abbassandosi pantaloni e mutande, e lo avvicinò a lei. Quest'ultima, tuttavia, strillò ancora una volta.
<< Fanculo >> le intimò Manuel seccato. << Neanche un pompino sai fare? >>.
Carmen si liberò dalla presa, aprì la porta, che era chiusa a chiave, e corse via in preda alla disperazione e alla paura.
<< Brutto anatroccolo, tanto ne trovo a migliaia migliori di te! >>.
Questa fu l'ultima frase che udì, poi si lanciò in pista, cercando Jane con lo sguardo. Tenne stretti i pugni per non piangere e non appena la vide, ballò al suo fianco. Jane si muoveva con ampi movimenti del bacino, delle braccia e delle spalle. Era coordinata, ogni suo gesto era impeccabile, proprio come la sua persona. Quando vide Carmen, le scompigliò i capelli e la accolse con un sorriso largo, quasi invisibile a causa delle luci a intermittenza e di svariati colori della discoteca.
<< Dove eri finita? >> le domandò, dopo aver fatto una giravolta degna di nota.
<< In giro >> mentì l'altra, facendo dei passettini avanti e indietro. Non sapeva esattamente come muoversi a ritmo di quella musica assordante e sgradita a lei, abituata al convincente suono di una chitarra elettrica e non ad una serie di suoni elettronici sovrapposti e privi di significato.
Quella sera terminò dopo un' innumerevole serie di danze sfrenate, fra risate e scherzi. Anche Carmen sembrò divertirsi, escludendo l'episodio di poco tempo prima. Quando tornarono in camera, sia Emma che Jane erano sudaticce.
<< Cristo, sono proprio stanca >> si lamentò la ragazza dai capelli biondicci. Il suo ciuffo di capelli si era leggermente arricciato.
<< A chi lo dici! >> le fece eco Emma, che aveva iniziato a messaggiare con il suo ragazzo.
<< Non ti lascia un attimo in pace, eh? >> commentò Jane, riferendosi proprio al fidanzato dell'amica. << Eppure sono dieci minuti che non vi vedete >>.
<< E' molto geloso di me >> le spiegò l'ingorda, infilandosi il pigiama. << Ma mi fa piacere che lo sia >>.
<< Non ti secca? >> replicò Jane, anch'ella liberandosi della maglietta rossa e rivelando il suo corpicino caldo e roseo. Carmen era sempre più intenzionata a saltarle addosso.
<< A volte >> ridacchiò Emma, sistemandosi nel lettino. Anche Carmen si cambiò, non smettendo neanche per un attimo di fissare Jane.
<< Fossi in te mi darebbe fastidio >>.
Poi aggiunse:
<< Ma sei fortunata >>.
<< Dici? >>.
<< Chi altro si metterebbe con una grassona come te?! >> la insultò la bionda, scoppiando poi in una serie di risate scomposte.
Emma le tirò una pantofola, che lei scansò per poco.
<< E tu sei un'anoressica! Razza di arrogante >> replicò l'altra, rimettendosi a letto.
<< Quanto sei permalosa, non cambierai mai >>.
Jane scosse la testa, esplodendo in un'altra risatina sommessa. Carmen non commentò l'accaduto, si recò in bagno. Doveva sfogare in lacrime bollenti il terrore e la disperazione, provocatale dall'episodio con Manuel. Si guardò allo specchio. Aveva fatto proprio bene a definirla << brutto anatroccolo >>. Non le piacevano i suoi occhi stretti e piccoli, di un marrone spento. Non gradiva il suo viso, che non aveva lineamenti dolci e sensuali come quelli di Jane. Lei era soltanto una brutta copia di un essere perfetto. Tentava di raggiungere la perfezione della sua compagna di classe, lo aveva fatto per anni. Soltanto quella notte si rese conto che non ci sarebbe mai riuscita. Le attenzioni di Jane erano soltanto gentilezza, eccesso di bontà. L'aver accolta nella sua stanza, l'essersi preoccupata per lei non erano cose così rilevanti per Jane. Probabilmente faceva parte del suo carattere. Sebbene apparisse una fredda e astuta calcolatrice, non era altro che una sedicenne spontanea, dal cuore nobile e cordiale. L'interesse nei suoi confronti era inesistente. Carmen era sola, sola come lo era stata sempre. Eppure era difficile non ammettere quel sentimento che aveva nascosto per così tanto tempo dentro di sé e che d'improvviso si era manifestato in tutta la sua limpidezza, in tutta la sua blasfema potenza e la stava scuotendo, proprio come un turbine durante un disgraziato giorno, il giorno in cui l'amore si era appropriato della sua anima. Difficile da definire quel percorso burrascoso e impervio che aveva seguito per giungere al cuore di Jane. Lo aveva attraversato senza successo. Lei l'avrebbe definita una pazza, l'avrebbe lasciata sola, non le avrebbe più dato neanche uno straccio di attenzioni. Sarebbe andata a finire così. E mentre Jane rifletteva, saltando qua e là fra tristi pensieri, delle leggere lacrime attraversarono le sue guance arrossite, provocandole una fitta al cuore. E stette lì a piangere per un'intera mezz'ora, dopo di che sentì la porta scricchiolare. Si lasciò scappare un lamento atroce, piegandosi sul lavandino con gli occhi semichiusi.
<< Carmen, che succede? >>.
La voce soave di Jane manifestò tutta la sua preoccupazione nei confronti di Carmen, che giaceva accanto al lavandino in preda a strani pianti e orribili lamenti. Sentì due braccia magre che le cingevano la vita.
<< Stai calma e dimmi cosa ti affligge >> le sussurrò all'orecchio.
<< Stammi lontana >> ordinò l'altra, divincolandosi. La presa di Jane, però, era ben salda.
<< Mai >> replicò lei. Carmen aveva il batticuore, la ragazza che amava era decisa a non mollarla.
<< P-perchè fingi di preoccuparti per me? >> le chiese fra un singhiozzo e l'altro.
<< Io non fingo con te >> disse, dopo aver ripreso fiato. << Finora sono stata sincera e lo sarò ancora, perché sei importante per me >>.
<< Non prendermi in giro come fanno tutti >> ribattè, cercando di infondere durezza al proprio tono di voce. << Alla fine non sono altro che un brutto anatroccolo per te e per gli altri >>.
<< Chi ha osato dirti queste cose? >> si meravigliò l'altra. << Non m'importa della considerazione che hanno gli altri di te, di quelli posso farne a meno. Di te no >>. Le accarezzò le mani, tenendola ancora stretta a sé.
<< Non mentire >>.
Jane la costrinse a voltarsi e tenendole fermo il viso con le mani, dichiarò, mentre la guardava intensamente negli occhi:
<< Tu sei bellissima >>.
Fece scendere la sua mano fino alla bocca, accarezzandogliela leggermente con il pollice. Le sorrise, prima di avvicinarsi e di appoggiare le sue labbra sulle sue. Quel leggero contatto provocò a Carmen un brivido repentino, non credeva a ciò che stava accadendo. Chiuse d'istinto gli occhi e rispose a quel bacio, incontrando la lingua di Jane, mantenendo un ritmo lento ed incalzante per rendere quel bacio, il suo primo bacio, significativo. Jane, mentre si lasciava andare alla grandiosità dell'atto, le accarezzava il viso e i capelli scuri. Quella dolcezza inattesa e decisa rese la giovane ancora più gioiosa. Fu allora che ogni dubbio si cancellò dal suo cuore speranzoso, coinvolto in un sentimento travolgente e inappagabile fino a quella notte. I loro baci si alternavano ai loro sospiri d'amore e di piacere, alla loro crescente brama dei rispettivi corpi. Abbandonarono il luogo angusto e si rifugiarono nella loro buia tana d'amore, dove il desiderio d'amore le spingeva. Non si fecero domande, sebbene fossero entrambe inesperte, perché la risposta era una sola: era l'amore a guidarle e con lui al comando non avrebbero mai potuto sbagliare strada. E sul loro nido si privarono degli abiti e si accarezzarono a vicenda il corpo con movimenti leggeri e sfuggenti. Mani tremanti, che sfioravano timidamente la pelle calda e scoperta, alimentavano la brama accesa come un rogo. Sguardi incrociati, dai quali traspariva una confusa incertezza ma un fervido e nitido sentimento d'amore, rendevano più splendido il glorioso scambio di tenerezze. Jane, piegata sul corpo aggraziato di Carmen, faceva indurire i capezzoli del suo seno leccandoli e succhiandoli voracemente, mentre massaggiava i suoi contorni con le mani. L'altra rispondeva a sua volta stimolandole il clitoride con le dita, che a poco a poco si bagnavano di piacere. Quando la sua vagina si riempì di liquido, la avvicinò alla bocca semiaperta della fanciulla dai capelli bruni, che si mise subito al lavoro, provocando gli ansimi ripetuti della compagna di classe.
<< Mmhhh...sì, amore...continua a leccarmi >> ripeté più volte quest'ultima in modo confuso a causa del respiro affannoso.
A quell'ordine perentorio Carmen replicò, muovendo la lingua ovunque e con maggior vigore. Poi la infilò anche al suo interno, penetrandola superficialmente e bagnandosi di una quantità molto più elevata di liquido.
<< Aaahhh >>.
Il gemito si diffuse nell'intera stanza e ciò costrinse Carmen a fermarsi, soltanto per zittirla. Le consigliò di non alzare troppo la voce, altrimenti Emma avrebbe potuto svegliarsi e udire tutto. Jane annuì, sebbene fosse ancora scossa e abbandonata alla voluttà. Riaccolse a gambe aperte la lingua di Carmen, che si rinsinuò con la leggerezza e la scrupolosa attenzione di un'aquila in volo, e si riaccese in lei l'intensa sensazione di godimento fisico che la stava coinvolgendo. Non aveva mai provato niente di simile. Sentiva la presenza della ragazza dentro sé non come un qualcosa di estraneo, che si stava appropriando di ciò che non era suo, ma come una parte del suo stesso essere donna. Incrementavano i sospiri, i gemiti emanati con voce flebile, che facevano ben intendere l'intensità e la robustezza di quell'incredibile tempesta d'amore. Cambiavano continuamente posizione, si invertivano i ruoli e ciò creava un certo alone di vivo imbarazzo. Tuttavia, nonostante i continui mutamenti, i loro gesti restavano espressione del più dolce e leggiadro sentimento d'amore che avessero mai vissuto. Finirono col penetrarsi a vicenda, ciascuna con le dita immerse nell'altrui mare, ciascuna colpita dall'intenso incremento di cupidigia, dall'attesa di raggiungere il culmine del piacere, proprio come un genitore attende di tornare a casa dal proprio adorato figliolo dopo una lunga e ripida scalinata. Mentre le loro dita si muovevano dentro e fuori i loro corpi, si scambiavano teneri baci, talvolta lunghi, intervallati da una respirazione irregolare. E quando raggiunsero l'orgasmo, si dilungarono in parole di reciproco affetto, abbandonandosi poi sotto il lenzuolo umido del letto che condividevano, spossate da quell'incessante baratto d'amore.
   
 
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