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Autore: viktoria    15/03/2013    2 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Quanto avevo sognato di incontrarlo, di fare una foto con lui e di parlargli. Come quelle ragazzine idiote che vanno dietro i propri idoli per anni. Potevo dire, con un certo orgoglio, che io i miei pensieri idioti su di lui me li ero tenuti per me benché avessi sempre ammesso di far parte di quel 99% della popolazione che ha un suo idolo famoso con cui sogna quella storia romantica da fiaba.
Jonathan Rhys Meyers era il mio.
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Nonostante la notte in bianco, o forse proprio a causa dei brutti sogni che avevano deciso di tenermi sveglia, già in mattinata ero scesa in cucina e avevo cominciato a cucinare qualcosa. Cucinare dolci mi rilassava e mi aiutava a non pensare. Se non fossi stata attenta avrei rimesso tutti chili persi durante gli esami con una facilità sconvolgente. Quindi mi ripromisi di preparare quel dolce per i miei compagni che erano ancora a letto e di farlo trovare loro per la colazione ma girai a me stessa di non toccarne nemmeno un pezzettino. Ero così demoralizzata in quel momento che se non avessi ben fissato un obiettivo sarei finita col mangiarla tutta la ciambella. Avevo aperto il frigo recuperando le uova, il burro e la farina doppio 0. Presi anche il latte e lo sbattitore e, trovato finalmente anche il caffè, misi su la caffettiera tanto per preparare qualcosa anche per me.

Mentre la caffettiera borbottava sul fuoco cominciai a sbattere l’impasto per la ciambella aggiungendo anche al composto, una volta omogenea, anche parecchio cacao. Il cacao rendeva tutto migliore.

Forse se avessi fatto trovare a mister criptico una tazza di cioccolata calda sarebbe finito col rilassare la sua mente e darmi un po’ di tregua. Non che mi desse fastidio essere la sua valvola di sfogo ma ecco ogni tanto sarebbe stato carino se il suo atteggiamento fosse stato più simile a quello di Gaspard nei miei riguardi.

Versai in una pentolina un po’ di latte e lo misi sul fuoco, accanto al caffè che aveva cominciato ad uscire e, spento il fuoco, aspettando che fosse completamente fuori, infornai la mia ciambella. La casa era ancora nel completo silenzio segno che stavano dormendo tutti.

Ogni tanto mi ritrovavo a pensare che quell’era fosse sbagliata per me. io ero una ragazza da anni ottanta, una di quelle che ha bisogno di occuparsi di una casa. Non che mi piacesse pulire, a me piaceva solo sporcare e fare dolci, però nel XXI secolo era strana una ragazzina che si svegliava presto per preparare la colazione.

Tornai al latte che stava ormai bollendo, aggiunsi il cacao e cominciai a mescolare con forza affinché si sciogliesse bene. Un rumore alle mie spalle mi fece voltare di scatto brandendo il frustino come un arma. Davanti a me stava una bellissima ragazza con dei lunghi capelli castani che le arrivavano in vita, pieni di riccioli morbidi che le ricadevano sulle spalle. La pelle era chiara e perfetta e sul suo viso facevano bella mostra di se due grandi occhi azzurri e un piccolo neo poco sopra il labbro. Mi guardò aggrottando la fronte e sospirò.

- Scusami, non volevo disturbarti.- mi disse poggiando la sua giacca e la borsa sul tavolo e posando a terra le scarpe per metterle.

Indossava ancora gli abiti eleganti con cui probabilmente era stata al compleanno la sera precedente. Presi la caffettiera e versai una tazzina poggiandola sul tavolo.

- Figurati.- risposi semplicemente con un sorriso indicandogli con un cenno del capo la tazzina. – per te, è senza zucchero, ne vuoi?- domandai tranquillamente tornando alla cioccolata.

- No, ti ringrazio, perfetto così.- rispose lei prendendo la tazzina e sfoderando un meraviglioso sorriso con la sua perfetta dentatura bianca.

Perché la natura doveva fare gente come me e poi gente come lei? Non mi sembrava una cosa giusta. Per lo meno ci fosse un po’ di equità in qualcosa. Cosa sapevo fare io che lei non sapeva fare meglio? Sicuramente nulla di importante.

- Sono Laura.- mi presentai mentre beveva il caffè.

- Jessica.- rispose lei sorridendomi con la sua dentatura perfetta.

- Sei un’amica di Paul?- domandai sapendo già perfettamente la risposta. però comunque sarebbe stato interessante capire la sua risposta.

- Chi è Paul?- domandò lei con una meravigliosa espressione vuota. Forse c’era qualcosa in cui io ero più brava.

- Il fratello di Jonathan.- risposi io continuando con il mio lavoro finchè non vidi che il cioccolato si era perfettamente addensato o potei spegnere il fuoco e lasciarlo riscaldare in santa pace.

- Non lo conosco. Ho passato la notte con Johnny.- mi informò lei senza che io le avessi in realtà domandato nulla. Mi sedetti davanti a lei prendendomi il viso tra le mani con calma mentre aspettavo che la ciambella fosse pronta.

- Davvero?- domandai affatto curiosa guardando la torta nel forno che si gonfiava lentamente grazie all’effetto del lievito vanigliato.

- Sì. Certo il dopo sesso è davvero il peggiore che io abbia provato ma ne vale assolutamente la pena.- mi raccontò lei incrociando le mani sotto il viso e poggiando i gomiti sul tavolo.

Mi voltai incuriosita verso di lei a quell’affermazione che mi sfatava praticamente l’ennesimo mito legato a quell’attore al piano di sopra.

- Non è bravo a letto?- domandai io cercando di soffocare quella malsana curiosità.

- Scherzi?- domandò lei scettica alzando un sopracciglio. Si stava chiedendo se fossi stupida lo capivo chiaramente da come mi guardava. – è il migliore che abbia provato fino ad ora, solo che appena ha finito ti invita ad andartene.- raccontò lei ridendo.

- Beh tu sei qui, è mattina, quindi avete passato la notte insieme.- costatai alzandomi e avvicinandomi al forno controllando se la mia creazione fosse pronta.

- Sì, lo so, ma fidati per riuscirci ho dovuto dare fondo a tutte le mie energie e comunque mi ha spedita fuori appena gli sono venuta a noia.- scherzò lei che sembrava tranquillissima del trattamento ricevuto.

La guardai alzando un sopracciglio a mia volta come aveva fatto lei poco prima. Come poteva non essere schifata da quella situazione? Si era venduta per del sesso e poi era stata sbattuta via senza avere neanche il tempo di riprendere fiato. E poi sul serio? Ne avevano avuto per tutta la notte? C’era qualcosa che non andava in quei due. Di sicuro c’era qualcosa di incredibilmente squallido in tutto quello che non poteva essere negato per nulla al mondo.

Lei si alzò tranquillamente dalla sedia passandosi una mano tra i capelli perfetti e mettendo la giacca mentre io mi alzavo a mia volta per spegnere il forno e tirare la ciambella fuori poggiandola sul piano cucina.

- Ti ringrazio ancora per il caffè…come hai detto che ti chiami?- mi domandò di nuovo lei guardandomi incuriosita.

- Laura.- ripetei leggermente seccata. – è stato un piacere Jessica.- risposi io sottolineando il suo nome che invece ricordavo perfettamente.

Quando uscì dalla porta tornai a guardare la mia ciambella pensierosa. Non ero stata gelosa del racconto di Jessica mentre me lo esponeva felice e contenta, adesso però, ripensandoci, mi chiedevo con quante ragazze fosse stato a Siracusa e ringraziai mentalmente la buona stella che quella domenica di pasqua mi aveva spinto ad alzarmi da quel letto e fuggire in un’altra stanza.

La mia bigotta educazione cristiana mi aveva spinto a pensare al sesso come qualcosa che fosse romantica e unica. Forse avevano contribuito anche i romanzetti rosa che leggevo quando ero più piccola. In ogni caso ero ancora fermamente convinta che il sesso, la prima volta in particolar modo, dovesse essere qualcosa di “speciale” ed essere stata sul punto di cederla generosamente ad un tipo che “o me la dai tutta la notte o te ne torni a casa a piedi” mi faceva capire quanto i miei ormoni fossero sul punto di cedere. Perché parlando seriamente io ero molto, molto attratta da lui. A quel punto non mi risultava nemmeno difficile ammettere che ne fossi, almeno un po’, innamorata. Ma mi rendevo anche conto che ero molto innamorata delle mie fantasia romantiche e che lui era lontano mille miglia da quelle fantasia rosa.

Adesso mi trovavo davanti ad un enorme bivio che avrei dovuto imboccare, volente o nolente.

Scegliere il punto interrogativo Meyers e sperare che andasse bene, aggiungendo un altro, immenso interrogativo alla mia attuale condizione che ne era già piena ricominciando così un nuovo capitolo riscrivendo tutto dalla A alla Z?

Oppure affidarsi alle sapienti quando gentili mani del principe azzurro sul cavallo bianco che sembra essere lì per aiutarti a superare tutti i tuoi problemi?

- Buongiorno!- quella voce allegra mi fece voltare di scatto e, nella mia idiozia, mi lasciai sfuggire anche un gridolino spaventato.

Pov. Maria

La festa la sera prima era andata a dir poco benissimo. ero felice che fosse tutto merito mio e che anche Jonathan si fosse comportato così bene. La mattina seguente mi ero svegliata particolarmente presto proprio per poter vedere cosa dicevano i giornali sull’argomento. Ero passata per questo motivo immediatamente da un giornalaio e avevo comprato tutti i giornali di gossip disponibili. Tutti parlavano della festa e c’erano immagini di mio fratello sorridente, più o meno, e rilassato.

Appena ero arrivata a casa di mia madre, dopo aver aperto la porta con le chiavi che ancora possedevo, un buon odore di caffè e cioccolata mi aveva investito e fatto sorridere. Si vedeva che c’era una mano femminile in casa e, arrivata in cucina, non mi stupii di trovarci Laura intenta alla preparazione di qualcosa. Sul tavolo faceva bella mostra di se una ciambella al cioccolato affiancata da una crema che sperai andasse dentro. Quella ragazza meritava tutto il mio amore. Se fossi stata un uomo probabilmente l’avrei sposata subito, senza pensarci.

- Buongiorno!- la salutai allegra sedendomi su uno sgabello davanti al tavolo.

Lei si voltò sgranando gli occhi, pallida in viso, lanciando un gridolino spaventato.

- Scusami.- mi affrettai a dirle alzando le mani per mostrarmi disarmata. – non volevo metterti paura, sono solo felice di vederti.- mi giustificai mettendo la borsa sul tavolo.

- Figurati.- rispose velocemente lei passandosi una mano sul viso. – sono troppo nervosa ultimamente.- scherzò prendendo la ciambella e tagliandola a metà.

- Comunque vengo con dei giornali, li leggiamo insieme?- domandai eccitata prendendo le riviste che avevo infilato in borsa.

- Tu leggi mentre io condisco la torta.- mi propose avvicinandosi al frigo e prendendo della panna fresca che non sapevo di avere. – hai del rum?- mi domandò mentre prendeva una ciotola dallo scaffale.

- Sì, aspetta.- mi alzai dalla mia postazione ed entrai in salotto dove tre ragazzi dormivano raggomitolati sul divano.

Presi la bottiglia dal piano bar costruito nell’angolo della grande stanza, presi un bicchiere e tornai in cucina chiudendo la porta cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliarli. Poggiai il tutto sul piano di lavoro e tornai al mio posto mentre Laura mi ringraziava.

- Allora.- mi schiarii la voce mentre lei metteva un po’ di rum in un bicchiere e lo infilava nel microonde. La guardai sottecchi stupita ma continuai nella lettura. – “ieri sera, 27 Luglio, il fascinoso attore irlandese che sarà il protagonista di una nuova serie tv incentrata sul vampiro più celebre del cinema e della letteratura, Jonathan Rhys-Meyers, rimasto sotto i riflettori per anni a causa dei suoi problemi con alcol e droga, torna adesso alla ribalta, più calmo e controllato che mai. Con uno splendido sorriso l’attore ha accettato di parlare ai nostri microfoni. « Sono piuttosto tranquillo adesso. I mesi di riabilitazione mi hanno fatto davvero bene e il nuovo lavoro mi terrà impegnato per un po’.» ha annunciato il giovane che è comparso da solo il giorno del suo compleanno. Niente fiamme all’orizzonte anche se a fine serata sembra aver lasciato la festa con la sua futura compagna sul set Dracula.”- smisi di leggere e storsi il naso.

Ero felice che parlassero bene di mio fratello e che nelle foto apparse sul giornale lui sembrasse così tranquillo e ben disposto, ma non mi piaceva che si facesse già vedere in giro con un’altra ragazza. Questo avrebbe potuto attirare vecchie amicizie.

La ragazza davanti a me intanto stava riempiendo la torta con la crema al cioccolato che aveva preparato e con la panna che aveva montato un attimo prima.

- Che ne pensi?- domandai guardando le foto su quella rivista.

- Che è un bene che a loro sembri che stia meglio.- rispose semplicemente richiudendo la ciambella e mettendo della panna anche sul coperchio.

- A loro sembri?- domandai aggrottando la fronte.

- È ovvio che ci sta provando, sono felice che lo stia facendo e sono fiera di lui ma questo non vuol dire che sia guarito. Cosa credono che esiste una bacchetta magica per tutto questo?- domandò spazientita mettendo la torta in frigo e passando un panno umido sul tavolo.

- Sì, per loro è tutto facile. Ma in realtà non gli importa ciò che è ma ciò che sembra.- le spiegai semplicemente cercando di essere il più chiara e comprensiva possibile.

- Oh allora sta benissimo davvero.- rispose lei piccata mordendosi il labbro e dandomi le spalle per fare la cucina.

- Puoi lasciare tutto lì. Più tardi verrà una signora che si occupa della casa.- l’avvisai tranquillamente. – piuttosto vieni che ci sei anche tu qui.- la invitai prendendo una seconda rivista.

Lei aggrottò la fronte e le mostrai l’immagine in copertina. Accanto ad una foto sorridente di mio fratello faceva bella mostra di se una foto di un certo attore francese a me sconosciuto che la teneva per mano e sembrava volerla proteggere dai flash dei paparazzi.

- Chi è questo ragazzo?- domandai accompagnando le parole con un ampio sorriso.

Lei sgranò gli occhi colpita e si avvicinò facendo il giro del tavolo velocemente e piazzandosi al mio fianco mentre aprivo la rivista e cercavo la pagina dedicatagli.

- “Venerdì 27 Luglio, dopo la festa di compleanno dell’attore irlandese Jonathan Rhys-Meyers, abbiamo avuto il piacere di vedere il bel modello francese, Gaspard Ulliel (27 anni), impegnato ormai da tempo con Jordane Crantelle, stilista conosciuta sul set della pubblicità per il noto profumo Chanel, di quasi quindici anni più grande di lui, al fianco di una ragazza che sembra più adatta della ormai attempata Crantelle che compirà 42 anni il prossimo 6 Settembre. La giovane, di cui non sappiamo sfortunatamente nulla, era anche lei invitata al compleanno e si è allontanata con il nostro Ulliel.”- alzai lo sguardo su di lei osservandola con un’aria compiaciuta mentre lei arrossiva vistosamente e si passava una mano sulla guancia.

- Dio su quel giornale sembra tutto molto più serio di quanto fosse in realtà. Ci siamo solo trovati bene a parlare perché conosco il francese.- mormorò lei imbarazzata guardando le foto in cui era venuta davvero bene in fin dei conti.

- Sei venuta bene.- l’avvisai chiudendo la rivista, posandola sul tavolo e passando alla seguente.

- Sì, beh, vado a vestirmi e chiamo gli altri così facciamo colazione.- biascicò lei correndo su per le scale.

La guardai andare via ridacchiando e tornai alla lettura. Tutte le riviste che avevo comprato si sentivano in dovere di precisare con chi mio fratello avesse lasciato la festa a fine serata e, anche se precisavano che lo vedevano molto meglio, si aspettavano una ricaduta. Che gente.

In realtà avrei dovuto saperlo e avrei dovuto smettere di stupirmi. Loro erano così, c’era poco da fare. Amavano vedere la gente crollare e i miglioramenti non erano divertenti. La buona salute non vendeva giornali. La malattia e il tentato suicidio sì. Ero così sovrappensiero che non mi ero accorta dei rumori intorno a me, quando sentì una mano sulla spalla gelida mi voltai di scatto trovandomi il viso contratto di mio fratello davanti agli occhi.

In effetti sembrava proprio in salute. Aveva preso peso da quando era partito, i capelli erano un po’ più lunghi e sul viso pieno spiccavano due grandi occhi azzurri brillanti di vita. Sembrava anche più bello di quanto già non fosse quando era partito.

- Che ci fai tu qui?- mi domandò acidamente spezzando quel momento idilliaco in cui me lo ero immaginato in buona salute.

Se avesse avuto la bella idea di stare in silenzio per altri dieci secondi probabilmente mi sarei anche alzata per abbracciarlo stretto e l’avrei riempito di teneri baci. Era mio fratello dopo tutto. Ricordavo tutto di lui, le cose belle e quelle meno belle, e anche se era uno stronzo di dimensioni colossali gli volevo un bene totale e assoluto che non si meritava affatto. Lo guardai per un attimo prima di tornare alle mie riviste.

- Sono venuta a fare colazione. Mi piace il caffè italiano.- risposi semplicemente sfogliando il magazine che avevo in mano.

- Ti sei data al gossip?- mi domandò senza perdere il suo orribile atteggiamento da schiaffi e avvicinandosi al piano cucina dove la caffettiera faceva bella mostra di se.

Aprì il coperchio, lo guardò per un secondo e poi si riempì una tazzina bevendolo lentamente senza zucchero.

- Mi sto interessando alla tua carriera come mi ha consigliato il tuo caro amico Thomas.- scherzai alzando un sopracciglio. – ti sei dato al caffè italiano?-

- Non è mio amico.- precisò afferrando le riviste che avevo posato sul tavolo dandogli un’occhiata veloce. –in Italia se lo vuoi c’è questo. Sai com’è, vivo in una tirannide, la democrazia per me è solo un ricordo lontano.- precisò probabilmente per farmi sentire in colpa ad averlo spedito così lontano da casa.

- Mi spiace che tu ti stia trovando tanto male…- mormorai abbassando lo sguardo.

- Non ho detto questo.- mi interruppe perentorio aprendo la rivista che teneva in mano.

Mio fratello non aveva mai letto una rivista di quel genere, anche se parlava di lui. Quando lo vidi così attento a quello che aveva davanti mi sollevai dallo sgabello reggendomi al tavolo e osservai la pagina che sembrava leggere con tanta attenzione.

- È venuta bene vero?- domandai con un mezzo sorriso divertito.

- Cosa?- domandò lui indifferente alzando la testa dalla rivista.

- Laura.- risposi tornando a leggere un’altra rivista che presi dalla borsa.

- Sarebbe venuta meglio se non avesse fatto la gatta morta con il francese.- rispose lui piccato.

- Guarda che a me sembra lui che si sta avvinghiando a lei non viceversa.- mormorai guardando la foto in cui il ragazzo incombeva su di lei che sembrava una preda che cerca di fuggire dal suo assalitore.

Lui non rispose, chiuse la rivista e la tirò di nuovo dalla mia parte di tavolo aprendo il frigo. Uno scaffale era completamente occupato dalla bella torta che la ragazza aveva appena finito di preparare. Jonathan rimase per un attimo con lo sportello del frigo aperto poi si voltò verso di me.

- Ma che avete fatto voi due stanotte? Una lezione di cucina?- mi domandò irritato.

- Io non ho fatto nulla, sono appena arrivata, sto a casa di Ettore da quando mi hai sbattuta fuori di casa. Tutto frutto delle manine della tua tiranna.- lo presi in giro divertita ma anche un po’ offesa ripensando al giorno in cui ero stata sbattuta malamente fuori di casa.

Mio fratello non rispose e, chiuso il frigorifero, ritornò verso le scale.

- Ah Johnny, quando tornate in Italia?- domandai io voltandomi per guardarlo.

- Torniamo?- domandò colpito.

- Tu e Laura…- precisai aggrottando la fronte.

Il fatto che non lo aveva tenuto in conto non era un buon segno. Sbuffò facendo spallucce e tornando al piano di sopra.

- Chiedi a lei, io ho bisogno di una doccia.- rispose semplicemente.

Mentre lui risaliva le scale Laura le scendeva. Li guardai scontrarsi e guardarsi per un attimo senza che nessuno dei due accennasse a mettersi di lato per far passare l’altro. Ad un tratto ebbi quasi l’impressione che avrebbero potuto afferrarsi a vicenda e baciarsi. Poi però Laura si mise da parte e Jonathan risalì verso la sua camera.

La guardai mentre tornava a sedersi accanto a me e mi schiari la gola fingendo di non averli visti.

- Oh Laura, senti chiedevo prima a mio fratello…- mentre stavo per completare la domanda altre ragazze di cui non ricordavo il nome entrarono in cucina salutandomi cordialmente.

Si sedettero tutte a tavola e aspettarono pazientemente che tutti arrivassero.

- Cosa dicevi Marie?- mi domandò Laura tornando a guardarmi.

- Ah sì, chiedevo a Jonathan quando tornate a casa.- riformulai mentre i tre ragazzi, ormai scegli, uscivano dal salone e si avvicinavano a noi per salutare.

Evidentemente non era la mia giornata per ricevere una risposta a quella domanda. Laura li spedì di sopra a cambiarsi e tra risate e bacetti finalmente decisero di darle ascolto.

- Comunque io parto oggi pomeriggio, domani devo essere a Livorno per dei test di ammissione all’università. Tuo fratello non lo so, non ne abbiamo parlato.- rispose facendo spallucce e tornando a sedersi.

Le sue amiche cercarono di trattenersi dal commentare. Non capivo se erano favorevoli al loro allontanamento o contrarie. Una delle quattro sembrava la meno interessata di tutta e rimaneva con lo sguardo rivolto altrove. Laura si alzò sorridendo.

- Betta ho preparato il caffè per te.- esordì prendendo la caffettiera in mano.

Io sgranai gli occhi tappandomi la bocca con una mano al ricordo di mio fratello che svuotava la caffettiera. Laura aprì il coperchio e sgranò gli occhi. Alzò involontariamente forse lo sguardo su di me ma io scossi la testa. Lei sospirò e rimise il caffè sul fuoco.

- Jonathan.- non sapevo se fosse una costatazione della realtà o se lo avesse visto spuntare dalle scale e lo stesse salutando.

- Che c’è?- domandò lui sedendosi dall’altro lato del tavolo salutando le ragazze con un gesto del capo.

- Hai finito tu il caffè.- lo rimproverò lei.

- Che c’è era già prenotato?- la punzecchiò cercando di non scoppiare a ridere.

- Sei dispettoso come…- non riuscì a trovare una metafora che rendesse la sua idea e sbuffò spazientita mentre lui scoppiava a ridere.

- Ti ho fatto un favore, si era freddato tanto.- rispose lui cercando di calmare le risate.

Le ragazze sedute al tavolo rimasero indifferenti mentre io guardavo quella scena familiare sentendomi a casa di due sposini che si fanno i dispetti tra loro in un modo intimo e affettuoso. Aggrottai la fronte e guardai Jonathan.

- Laura mi diceva che parte oggi pomeriggio per Livorno.- lo avvisai pretendendo la sua attenzione che però non arrivò.

Non distolse l’attenzione del lavoro ai fornelli della ragazza neanche un istante.

- Ok, allora anche io oggi pomeriggio parto.- concluse semplicemente lui.

Dalle ragazze non arrivò neanche una parola. Laura servì il caffè e in quel momento cominciarono ad arrivare gli altri.

 

 

Quel pomeriggio, dopo aver salutato mio fratello e averlo visto partire insieme alla mia eroina personale, andai fuori con Alice, la moglie di mio fratello Alan incinta all’ottavo mese, per occuparmi dei preparativi per la nascita. Mancavano ancora molte cose da comprare e il tempo stava per scadere.

- Alan ha già preparato la borsa per l’ospedale.- mi rivelò Alice ridendo dell’apprensione di suo marito.

- Lui è sempre stato quello con la testa sulle spalle. L’unico tra noi.- ammisi semplicemente guardando una bellissima tutina bianca.

- Anche tu ormai non sei da meno.- mi fece notare lei.

Per la sua prima gravidanza in effetti non l’avevo aiutata quasi per niente. Non mi piacevano i bambini e poco mi importava di questa prossima nascita. Questa volta era diverso. Ero davvero felicissima che stesse arrivando un nuovo nipotino.

- Può essere, merito di Ettore.- ammisi divertita scoppiando a ridere.

- Alan dice che anche Jonathan sta mettendo la testa apposto.- mi rivelò lei mentre ci avvicinavamo alla cassa per pagare le tutine e le bavette acquistate.

- Jonathan?- domandai stupita pensando alla parentesi Jessica nei giornali.

- Sì.- ammise lei ridacchiando. – mi ha detto che suo fratello è molto preso da una ragazza e che contano di vederlo tornare ben presto sulla retta via.- mi raccontò lei imitando la voce di Alan e provocando in me delle sane risate.

- Ti sei fatta dire di chi parlavano?- domandai seriamente curiosa.

In effetti mio fratello parlava molto soprattutto con Alan, era sempre stato il suo confessore in qualche modo e come parlava con il fratello maggiore non aveva mai fatto con nessun’altro di noi.

- No e quando ho indagato lui mi ha detto che non avrebbe tradito la fiducia di suo fratello.- continuò Alice.

- Quindi lui lo sa.- esclamai sconvolta che ci fosse addirittura un nome.

- Sì, certo che lo sa!- rispose Alice annuendo convinta.

- Deve essere qualcosa di serio allora.- costatai aggrottando la fronte.

- Non saprei dirti, tutto ciò che so è questo.- ammise semplicemente. – oh guarda quel ciuccio!- esclamò felice correndo verso la sua nuova scoperta.

Io ero troppo impegnata a pensare a mio fratello che finalmente faceva sul serio con qualcuno. La prima persona a cui avevo pensato era stata la ragazza con cui era stato fotografato sui giornali. In realtà mi rendevo conto benissimo che non poteva essere lei. Mio fratello era una persona molto protettiva, molto più di quell’attore francese che avevo visto nelle foto con Laura. Jonathan più che proteggerla dai flash l’avrebbe protetta dai paparazzi stessi. E non avrebbe mai fatto nulla che avrebbe potuto fare passare quella ragazza come una storia di una notte su una rivista qualunque. Lui era uno piuttosto all’antica. Forse l’avrebbe portata a casa, avrebbe scherzato, l’avrebbe punzecchiata e poi avrebbe minacciato tutti noi di starle lontano e non farla scappare via.

Si sarebbe comportato un po’ come aveva fatto quella mattina con Laura, nascondendosi sulle scale per darle un bacio e non farsi vedere da noi. Perché quella storia sarebbe stata solo sua e di nessun altro. Forse non ce ne saremmo neanche accorti. Come con Laura.

Aspetta…

Sgranai gli occhi quando raggiunsi finalmente l’illuminazione e lasciai cadere il gioco che tenevo in mano che fece uno strano rumore di sonaglietti quando arrivò a terra.

Alice si voltò verso di me e mi guardò stupita.

- Marie, tutto bene?- mi domandò avvicinandosi preoccupata.

- Ho capito chi è la ragazza.- mormorai con un filo di voce.

- Lo sai? E chi è?- domandò mia cognata curiosa.

- Laura.-

 

 

POV Laura.

Mi ostinavo inutilmente a domandarmi per quale motivo avesse deciso di seguirmi. Non che fosse il mio principale interesse al momento, ero troppo presa dal frenare le lacrime che minacciavano di soffocarmi, però mi aiutava a non pensare a quanto ci fosse di negativo in quella partenza.

Ero seduta su una sediolina scomoda dell’aeroporto di Dublino per un volo che ci avrebbe portati a Pisa. Avevo pensato di prendere la metro lì ma ero quasi certa che l’attore al mio fianco avrebbe affittato un’auto risparmiandomi l’inconveniente. Avevo con me solo un piccolo bagaglio a mano e avevo spedito a casa la valigia grande che avevo portato con me per il viaggio di maturità. Era stato davvero tremendo lasciare Dublino.

Davanti la porta di casa, con la valigia già in mano e Jonathan che mi aiutava a caricarla in macchina, avevo guardato le mie quattro migliori amiche del liceo ferme sulla porta d’ingresso, mi guardavano in silenzio e vedevo che Ale aveva già gli occhi lucidi pronta a piangere. Betta non aveva alzato lo sguardo che teneva sul pavimento con ostinazione.

- Salutale che dobbiamo andare via.- mi invitò l’uomo al mio fianco chiudendo il cofano dell’auto su cui aveva caricato le valigie.

Mi avvicinai lentamente alle mie compagne che non si erano ancora mosse e non accennavano a farlo. Mi fermai, con le mani in tasca, quando arrivai davanti a loro, silenziosa e col cuore a pezzi.

- Allora, io vado.- sussurrai per evitare che mi si spezzasse la voce smascherando la tristezza che mi stringeva lo stomaco.

- In bocca al lupo.- rispose Bens indifferente alla mia partenza come lo sarebbe stata Maria.

Non che lei lo fosse, mi aveva abbracciata stretta facendomi promettere che sarei tornata il prima possibile e baciandomi le guance con dolcezza. Soltanto che lei non era stata la mia migliore amica per quattro anni, non avevo condiviso con lei ogni momento, ogni gioia o dolore, lei non era Bens.

- Grazie.- mormorai cercando di trattenere le lacrime.

Mi avvicinai a lei e l’abbracciai. Fu un abbraccio spento, privo di qualsiasi trasporto. Sapevo che mi sarebbe mancata comunque, forse mi sarebbe mancato di lei il ricordo che ne avevo, quello che avevo legato in quattro anni di amicizia, ma comunque mi sembrava abbastanza.

Lei sarebbe stata probabilmente quella che non avrei rivisto mai più. La settimana dopo sarebbe partita per Melbourne e chissà se ne sarebbe mai tornata.

Mi asciugai una lacrima con le dita velocemente e poi passai a Betta al suo fianco.

- Ehi grande stilista, fammi sapere quando Pierre ti chiamerà.- scherzai con la voce bassa sollevandole il viso con una mano. – e non dimenticarti di me quando sarai famosa.- sussurrai guardandola negli occhi.

Anche lei aveva gli occhi lucidi come i miei e quando l’abbracciai scoppiò definitivamente a piangere. Lei avrebbe studiato Economia a New York, non era quello il suo sogno, lo sapevamo tutti, però la moda, come per me il teatro, erano solo passioni. Non sarebbero mai diventate il nostro mestiere.

« Per poterti dedicare ad una passione devi avere un sacco di soldi.»

Così entrambe avevamo deciso di prendere una strada sicura per fare soldi.

Ci separammo a stento, le passai le mani sul viso e fui catturata dall’abbraccio stritolante di Ale. Lei non sarebbe andata molto lontano. Rispetto alle altre almeno. E avrebbe seguito il suo sogno, almeno in parte.

Ballerina con poche doti ma molta buona volontà, era riuscita ad avere un posto in una scuola di danza francese a Tolone. Lì avrebbe studiato medicina riuscendo ad evadere i test d’ingresso italiani che sono la cosa più anti costituzionale tra tutti i mali che affliggono il nostro paese.

- Fa buon viaggio, spaccali tutti, e quando ti metterai con il bell’attore francese di ieri sera chiamami e invitami a Parigi.- scherzò lei cercando di trattenere le lacrime.

- Quando ti prenderanno all’Opèra chiamami e invitami a Parigi.- le risposi io scoppiando a ridere e stringendola forte mentre piangeva disperata.

Era sempre stata la più emotiva tra noi e la sua eccessiva disperazione mi aiutava a vedere tutto sotto una luce più calma.

L’ultima fu Carolina, il mio mentore in quella brutta situazione che era stata il litigio con Bens, la risposta alla solitudine della perdita della mia migliore amica e l’unica a cui avessi raccontato tutto su quella storia. Mi dispiaceva adesso di non aver detto nulla riguardo Jonathan. Forse loro mi avrebbero potuto dare un consiglio saggio. O forse no.

Lei avrebbe fatto giurisprudenza ovviamente. Per tre anni sarebbe rimasta in Italia, a Trieste e poi per la specializzazione, avrebbe raggiunto Betta, la sua migliore amica, a New York e a quel punto, ne ero certa, non ci saremmo mai più sentite.

Mi strinse forte con quel suo modo speciale di abbracciare, mi baciò le guance e, per evitare di fare altre inutili scenate, fui io ad allontanarmi da lei e dirigermi verso la macchina mentre loro rimanevano lì, immobili, a guardarmi.

Chissà, probabilmente ero troppo emotiva ed esagerata. Forse ci saremmo riviste e quella era solo un’idea malata della mia mente, però non sarebbe più stato lo stesso, non sarebbero più state le mie migliori amiche, non sarebbero più state al mio fianco ogni giorno, non avrei più potuto contare su di loro come una presenza costante nella mia vita.

Sentivo che con quella partenza si stava chiudendo definitivamente un capitolo della mia vita.

Quanti ultimi giorni di scuola avevo visto in cinque anni? Quattro. Ragazzi allegri che festeggiavano la fine delle fatiche del liceo, spumanti e trombette, magliette personalizzate e altre idiozie varie. Chissà quante amicizie c’erano tra quelle quattro mura, chissà quanti avevano promesso di rivedersi e di rimanere amici. Noi questa promessa non l’avevamo fatta. Ci eravamo dette addio. Se fosse successo, di rimanere amiche, avremmo ringraziato per quel dono. Ma per adesso, quella pagina si chiudeva per sempre. Finiva la mia adolescenza quel giorno, finiva il liceo e i sogni che mi tenevano legata a quelle quattro ragazze. Finivano i pianti, i litigi, gli amori irrisolti, i telefilm, le risate, le gite, i sabati sera, i ritardi. Finiva tutto. La nostra amicizia anche.

Jonathan mi fermò con una mano prima che potessi superarlo per salire in macchina, aveva in mano una macchina fotografica e mi fece segno di avvicinarmi a loro. Mi passai le mani sul viso per asciugare le lacrime e tornai indietro. Mi inserì perfettamente tra loro che mi strinsero e cercarono di sorridere. ci provai anche io, con scarsi risultati.

Quando fui finalmente in macchina, diretta verso l’aeroporto, presi la macchina fotografica e guardai quella foto.

Cinque ragazze con le lacrime che le rigavano le guance, un sorriso tirato, strette le une alle altre.

Ecco cosa sarebbe rimasto.

Una foto.

 

Eravamo appena arrivati a Livorno, non ci eravamo scambiati praticamente una parola. Era rimasto in silenzio tutto il tempo ed io ero troppo depressa per parlare. La tristezza del momento era passata. Avevo smesso di piangere e i pensieri apocalittici mi avevano finalmente lasciata libera di pensare lucidamente a ciò che dovevo fare. In cima alla mia lista c’era mia madre.

Non l’avevo praticamente sentita da quando avevo lasciato casa mia per il viaggio della maturità e l’unico contatto che lei aveva con me era stato Mattia. Adesso che Mattia non era più con me spettava a me avvisarla che ero ancora viva.

Appena Jonathan ebbe affittato l’auto e si immise nel traffico serale di Livorno, presi il telefono dalla borsa e composi il numero di mia madre.

Lo prese al primo squillò.

- Finalmente ti fai sentire, ero tremendamente in pensiero, Mattia ha detto che siete partiti alle tre, perché non hai chiamato prima?- domandò senza neanche lasciarmi il tempo di parlare.

- Ciao, mamma.- la salutai io ironicamente.

- Fai meno la spiritosa Laura, allora, com’è andato il viaggio?- domandò lei pronta ad arrabbiarsi da un momento ad un altro.

- Bene, scusami se non ho chiamato prima ma lo scalo a Roma è stato veloce e non ho avuto il tempo.- risposi semplicemente sperando di tenerla calma.

- Ah sei già a Livorno?- mi domandò lei stupita.

- Sì, sono sull’autobus che mi porterà in centro.- risposi mentendo spudoratamente e meritandomi un’occhiata di rimprovero dal mio vicino.

- Perfetto. Ti ricordi dov’è l’albergo vero?- chiese lei sorridendo. Lo sentivo che era felice.

Certo, se avessi passato quei test sarei stata sistemata per il resto della mia vita. E mia madre ci credeva davvero che io potessi superarli quei test. Non aveva dubbi.

Il problema era fondamentalmente che io non volevo farli. Io volevo fare il medico. L’anno prima però, piccola e inesperta, avevo ceduto ai suoi occhioni dolci e le avevo firmato i moduli che aveva spedito per quegli stupidi test. Avevo anche passato inconsciamente delle prove che non sapevo nemmeno di aver sostenuto. Ecco il motivo della mia presenza lì. In quella squallida città dove il mare di certo non era quello di casa mia, e nemmeno il clima. Era ancora fine luglio e c’era già parecchio freddo.

- Sì mamma, lo ricordo e comunque ho la cartina che mi hai fatto tu con la quale non potrei proprio perdermi.- la rassicurai con un sorriso tirato che fortunatamente lei non avrebbe visto.

- Va bene.- rispose lei rassicurata. – senti Laura Jonathan ha intenzione di ritornare qui?- domandò lei.

- Non credo, non nell’immediato futuro almeno.- risposi guardandolo sottecchi sperando che non se ne accorgesse.

Anche se lo fece non lo diede a vedere più di tanto e rimase concentrato sulla strada. Solo poco prima, quando avevo giurato di essere sola, aveva dato mostra, da quando eravamo partiti da Cork, di aver percepito la mia presenza accanto a lui. Non capivo se fosse arrabbiato o semplicemente se fossi io ad essergli completamente indifferente. In ogni caso non avevo indagato.

- E dov’è adesso?- cercò di informarsi mia madre mostrando di essere piuttosto felice della scomparsa del ragazzo dalla nostra vita.

- A Londra, sta girando un qualche film.- risposi mantenendomi sul vago.

- Bene, sono felice per lui.- rispose prontamente mia madre. Se avessi potuto tradurla le sue parole sarebbero state. – bene, sono felice che non ti stia più intorno.-

- Sì.- confermai io semplicemente parlando un po’ più piano.

- Comunque dopo che finisci i test scendi?- domandò mia madre dando voce ai pensieri che mi avevano assillato tutto il giorno.

I test sarebbero durati una settimana, il tempo che le mie compagne avevano per tornare a casa e prepararsi a ripartire e cominciare la loro vita nelle città in cui avrebbero passati il resto della loro vita forse. Se fossi tornata a casa sarei stata sola, senza le mie amiche, senza Jonathan, in balia dei ricordi che nemmeno il mare sarebbe stato in grado di placare. Tornare a casa non mi sembrava affatto una buona idea.

- Non credo mamma, non voglio spendere altri soldi con questi voli. Credo che resterò qui e cercherò di ambientarmi ok?- risposi semplicemente cercando di indorarle un po’ una piccola amara da mandare giù.

Lei rimase per un attimo in silenzio. Forse era consapevole che da quel momento in poi avrei passato molto tempo lontana da casa a inventare scuse banali per risparmiarmi di tornare alla vecchia vita e ai vecchi ricordi. Comunque avevo l’esempio di mio cugino. Lui tornava a natale e pasqua e non sembrava essere troppo triste o malinconico. Certo, lui aveva la profondità di una pozzanghera e non avrebbe potuto mai capire cosa volesse dire provare nostalgia per qualcosa. Probabilmente non aveva mai avuto delle amiche come le mie e non poteva nemmeno capire cosa volesse dire passare del tempo lontana da loro dopo aver passato tutta l’adolescenza insieme.

Comunque non doveva essere un problema mio. Avrei fatto in modo di tornare a casa per le feste ma fino a natale non volevo sentir parlare di casa, per nessun motivo al mondo. E poi chissà come sarebbero state le cose tra cinque mesi. Sembrava un tempo infinito adesso e magari per allora avrei avuto una buona ragione per tornare a casa.

 

L’albergo in cui mi ritrovai non era di certo quello che aveva scelto mia madre per me, anzi. Era un albergo di lusso e la nostra camera era una meravigliosa suite con un’enorme letto matrimoniale. Perché non due bei lettini singoli in modo che io rimanessi lontano dalla sua ira?

Sospirai e posai la valigia per terra senza avere il coraggio di muovermi e andarmi a mettere a letto. Ero stanca, avrei avuto voglia di dormire e basta, eppure il suo mutismo mi bloccava e mi spaventava a morte.

Aveva posato la valigia accanto alla mia, l’aveva aperta e ne aveva tirato fuori un paio di pantaloni. Dopo era filato in bagno chiudendo la porta a chiave. Quando sentì l’acqua della doccia aprirsi sospirai e apri anche la mia valigia. Ne tirai fuori i pantaloni del pigiama ed una canottiera, me li infilai e mi buttai a letto. Adoravo i materassi degli alberghi, erano morbidi e spumeggianti. Ridacchiai e mi lasciai cadere sul cuscino, anch’esso morbido e chiusi gli occhi sospirando di stanchezza. Ero così comoda e stavo rilassandomi, stavo anche per addormentarmi quando all’improvviso sentì un brutto rumore sul tavolo che mi fece scattare a sedere. Era stata davvero una giornata tremenda e sentivo tutta la stanchezza del viaggio e dell’addio.

Jonathan aveva sbattuto una rivista sul tavolo e mi guardava arrabbiato. Evidentemente tutta l’indifferenza che aveva covato aveva deciso di uscire adesso. Non poteva aspettare domani?

- Che c’è?- domandai sospirando e passandomi una mano sul viso distrutta.

- Mi stavo solo chiedendo per quale cazzo di motivo il tuo bacio con quel coglione di francese è finito anche sui giornali.- sibilò arrabbiato tirandomi la rivista che mi finì in testa.

L’afferrai stranita e l’apri.

- Bacio?- mormorai stranita guardando le foto. In effetti sembrava proprio un bacio quello, anche se, potevo giurarlo, non lo era affatto.

- Allora?- mi domandò mentre ancora io stavo cercando di capire quando avessero scattato quella foto.

- Non ci stavamo baciando.- conclusi io indifferente posando il giornale sul comodino. – ti sei dato al gossip?- mi buttai di nuovo a letto ridacchiando.

- Non è divertente Laura! Non lo è affatto!- gridò lui indispettito facendomi alzare dal letto.

Era impazzito? Non aveva mai perso la pazienza fino a quel punto con me e non riuscivo a capire perché l’avesse fatto proprio adesso. Lo guardai in piedi accanto al letto aggrottando la fronte.

- Sei impazzito?- domandai stranita utilizzando un tono di voce pacato.

- No, non lo sono.- rispose stringendo le labbra arrabbiato. – cosa sei di preciso?- mi domandò sconvolto.

- Cosa sono?- gli chiesi alzando un sopracciglio sconvolta.

- Alcune volte sembri una ragazza normale, di quelle pudiche e con dei valori, poi baci chiunque come una puttana.- mi sputò contro avvicinandomi. – quale delle due sei?- mi domandò di nuovo.

- Ti ho detto che non ho baciato nessuno.- gli risposi indisponendomi. – e anche se lo avessi fatto questo non ti da il diritto di darmi della puttana.- gli ricordai cercando di mantenere la calma.

- Sei quasi stata a letto con me.- mi ricordò ritornando su un argomento che pensavo avessimo archiviato. – e meno di dodici ore dopo eri avvinghiata a quel ragazzino nano.- mi fece notare avendo questa volta tutte le ragioni del mondo.

- È stato un errore quello!- mormorai imbarazzata.

- A me non sembrava un errore visto come mi hai gridato contro subito dopo che te l’ho tolto di dosso.- mi rimproverò lui meritando tutto il mio risentimento.

- Io non parlavo di Danilo. Non è stato quello il mio errore.- lo apostrofai arrabbiata.

Lui rimase in silenzio profondamente colpito e fece un passo indietro forse involontario a causa delle mie parole per nulla gentili. Non mi importava. Mi aveva appena dato della puttana. Non potevo credere che l’avesse fatto davvero. E non potevo credere che poi venisse da me con quella faccia da martire solo perché gli avevo risposto a tono.

- Ah sì?- domandò in un sussurro, molto più calmo di prima.

- Non volevo dire questo Jonathan ma ti ricordo che mi hai lasciata in una stanza d’albergo mezza morta a sbrigarmela da sola.- se si parlava di rivangare il passato allora ben venga che anche lui fosse messo davanti alle sue colpe.

- Lasciata? Sei stata tu a non richiamare.- mi accusò incrociando le braccia al petto.

- Richiamare chi? Te ne sei andato a scopare con Allie!- gli ricordai arrabbiata.

- Guarda che nel biglietto l’ho scritto solo per farti capire dov’ero che stavo da Allie, era un invito a chiamare appena ti fossi svegliata visto che non stavo facendo niente di importante.- mi avvisò stringendo gli occhi ad una fessura. – volevo darti la tua privacy.-

- Biglietto?- domandai io aggrottando la fronte. – quale biglietto?- domandai di nuovo.

- Quello che c’era accanto al caffè.- rispose lui sempre più indisposto alzando gli occhi al cielo.

- Non c’era nessun caffè. Lo ha portato dopo Betta.- gli feci presente.

- Betta?- domandò lui alzando un sopracciglio pensieroso.

- Sì, Betta, e Caro, le uniche che mi abbiano aiutato mentre tu eri chissà dove e chissà con chi a fare chissà cosa.- lo sgridai seguendolo mentre si allontanava e andava a sedersi sul divanetto all’ingresso. – non hai niente da dire a riguardo?- gli domandai incrociando le braccia al petto e piazzandomi di fronte a lui.

- Betta, ovvio.- mormorò lui dopo un po’ accarezzandosi il mento con una mano. – le avevo chiamato io la sera prima per chiederle di coprirti con tua madre. Fidati quella sera non sono andato da nessuna parte. Mi sarei perso un bello spogliarello e una dichiarazione d’amore.- mi prese in giro lui.

Arrossì di colpo spostando lo sguardo e mi allontanai.

- Ero ubriaca, non so neanche quello che ho detto.- risposi semplicemente sedendomi su una poltrona poco lontano.

- Beh lo hai ribadito bene per pasqua.- continuò lui provocandomi di nuovo.

- Vuoi smetterla di parlarne?!- gli domandai arrabbiata aggrottando la fronte e scattando in piedi muovendomi nervosamente avanti e indietro per la stanza.

- Perché ti da tanto fastidio? Che c’è di male?- mi domandò lui alzandosi e cominciando ad alterarsi di nuovo.

- Che ti ho già detto che è stato uno sbaglio ok? Io non faccio queste cose, io non bacio degli attori conosciuti la sera stessa, io non finisco sulle riviste, io non faccio sesso con uno qualunque, io non mi ubriaco.- gridai esasperata provocando una sua occhiataccia di fuoco che mi fece raggelare il sangue.

- Io sarei uno qualunque giusto? E anche l’errore e lo sbaglio? Sono praticamente la causa di tutti i tuoi problemi Laura?- si avvicinava lentamente. – spiegami Laura, io sarei il male che ha traviato una brava ragazza allontanandola dalla retta via giusto?- domandò di nuovo sempre più arrabbiato.

- Non ho detto questo.- mormorai spaventata mentre lui mi veniva incontro sempre più arrabbiato e rosso in viso.

- Io non ti ho costretta a fare niente, se quello che hai fatto fino ad oggi con me ti è sembrato sbagliato Laura vuol dire che non hai ancora ben capito che cosa voglia dire vivere!- gridò alterato.

- E cosa vuol dire vivere Jonathan? Sfondarsi di coca fino ad ammazzarsi?- gridai a mia volta sputandogli contro.

Mi afferrò per i polsi strattonandomi malamente e costringendomi contro il muro e il suo corpo, guardandomi negli occhi arrabbiato.

- Vedi Laura, tu sai dire solo questo, ma preferisco la mia vita fatta di coca e alcol piuttosto che la tua fatta di studio e…che altro? Non c’è altro stupida idiota!- mi fece notare disgustato dalla mia vita. – tu cerchi di cambiare anche i tuoi sentimenti perché possono essere un problema.- infierì ulteriormente schiacciandomi di più contro il muro.

- Io non cerco di fare niente.- mormorai cercando di allontanarlo per quanto fosse possibile ma lui era una roccia.

- Io lo so che sei innamorata di me, si capisce, me lo hai fatto capire un’infinità di volte. Ma ogni volta che fai un passo avanti ne fai tre indietro perché hai paura che qualcosa nella tua vita vada diversamente dai tuoi progetti.- tutto ciò che diceva mi colpiva e mi faceva arrossire un po’ di più.

- Io non sono innamorata di te.- cercai di mugugnare anche se sapevo che stavo mentendo quella volta, spudoratamente.

- Non hai nemmeno avuto il coraggio di dire a tua madre che sono qui perché questo non è quello che loro si aspettano che la loro figlia perfetta faccia.- continuò ancora facendo finta di non sentirmi. – fai finta di non provare nulla per me quando mi fai scenate di gelosia per Allie, continua per la tua strada già segnata, se dovessi trovare la felicità dimmelo Laura perché allora mi sarò sbagliato e lo ammetterò. Ma tu sai che questa volta ho ragione. Non sarai felice.- concluse lasciandomi le mani e allontanandosi di scatto.

Si avvicinò alla sua valigia, prese una felpa e si infilò il cappotto che aveva lasciato su una sedia all’ingresso.

- Dove stai andando adesso?- mormorai seguendolo in silenzio, ancora spaventata.

- Non sono affari che ti riguardano.- mi apostrofò lui uscendo dalla stanza e sbattendo la porta con forza.

Rimasi al centro della stanza immobile, spaventata e preoccupata. Non perché mi facesse paura lui ma perché mi faceva paura la sua assenza. Tutto ciò che aveva detto era vero, lo sapeva lui e lo sapevo benissimo anche io. Solo una cosa era sbagliata. O meglio, l’aveva omessa.

Io avevo paura per ciò che provavo per lui, avevo paura di rimanere ferita. Non mi pentivo di ciò che avevo fatto, mi andavano bene tutti i miei errori. Ma non volevo rimanere sola nei miei errori. Volevo che ci fosse qualcuno al mio fianco quando sbagliavo e se lui non se la sentiva di farlo io non volevo costringerlo e non volevo nemmeno provare ad accontentarmi di ciò che aveva da offrirmi.

Nella mia vita avevo sempre dovuto accontentarmi, per ogni cosa. La scuola, lo sport, l’università. In amore almeno non volevo dovermi accontentare. Eppure, se non avessi accettato lui con tutti i suoi difetti e i suoi limiti, allora non avrei solo dovuto accettare i difetti e i limiti di qualcun altro, visto che ogni persona umana ha limiti e difetti, ma avrei anche dovuto accettare di avere accanto un’altra persona che non era lui.

Ero disposta ad accettare questo compromesso?

Che poi chi mi assicurava che lui volesse stare con me? i suoi colpi di testa potevano voler dire semplicemente il suo desiderio di dominare sulla mia vita. Di aver conquistato la ragazza che faceva tanto la santerellina e che poi aveva ceduto ed era stata conquistata. Se dopo una notte lui mi avesse detto – alzati e vattene- sarei rimasta ben più scottata che da un semplice compromesso.

Con questo genere di pensieri mi infilai sotto le coperte, tra le lenzuola morbide e fredde, con la mente ed il cuore pesanti ed il sonno che ormai era completamente svanito.

Quella notte, come quella precedente, non dormii affatto.

  
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