Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: eramaanviimeinen92    16/03/2013    2 recensioni
"I Dothraki credono che, quando tutto sarà ricoperto di erba candida e lucente come la luna, il mondo finirà.
Può sembrare assurdo, non fosse per altro che nessuno si aspetterebbe che un popolo apparentemente rozzo sia in grado di elaborare credenze sofisticate come questa. Eppure, posso assicurare che è davvero così, e anche che i Dothraki sono particolarmente infervorati dalle loro credenze; non sono esseri sanguinari e privi di raziocinio come spesso vengono dipinti nei Sette Regni. Hm, la maggior parte delle volte."
Sentitevi liberi di leggere ed esprimere opinioni al vostro bell'agio :)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Moon's Progenies


Disclaimer:  potrebbe contenere incongruenze e imprecisioni rispetto ai libri/serie tv; sono dettate unicamente dalla mia inventiva (o come si può definire) e quindi non vanno demonizzate. Più che ai libri, questa fic è ispirata alla serie tv; non contiene (almeno per ora) scene a luci rosse esplicite; magari un giorno cambierò idea e le aggiungerò (muahahaha). Bene, mi sto già dilungando troppo. Buona fruizione!!

 
I Dothraki credono che,  quando tutto sarà ricoperto di erba candida e lucente come la luna, il mondo finirà.
Può sembrare assurdo, non fosse per altro che nessuno si aspetterebbe che un popolo apparentemente rozzo sia in grado di elaborare credenze sofisticate come questa. Eppure, posso assicurare che è davvero così, e anche che i Dothraki sono particolarmente infervorati dalle loro credenze; non sono esseri sanguinari e privi di raziocinio come spesso vengono dipinti nei Sette Regni. Hm, la maggior parte delle volte.
L'unica pecca è che sono fermamente convinti che qualsiasi cosa ricordi la Luna e non sia un cavallo debba essere per forza negativo. Il che mi da un buon pretesto per scrivere tutta questa storia, benché sia sicura che nessuno la leggerà e che probabilmente finirà nel dimenticatoio. La mia penna però scalpita perché possa tracciare delle parole, come uno stallone che raspa per terra con lo zoccolo perché ambisce ad essere lanciato al galoppo.
Durante i primi anni della mia vita ebbi l'onore di essere chiamata "principessa", ma non quello di conoscere il mondo come i bambini normali.
Ero una di quelli che i Dothraki chiamano "figli della Luna", un termine altisonante per indicare qualcosa di cui in realtà non si sa bene che farsene, perché giudicato troppo debole e cagionevole per fare qualcosa che non sia strisciare: ero albina.
Ebbene sì, tra i figli alti, possenti e bruni della stirpe reale, quella che doveva generare il khal, il sovrano di Vaes Dothrak, erano venuti al mondo due fratelli albini, ovvero il mio gemello Maedh e la sottoscritta. I nomi che ci appiopparono erano ben distanti da quelli comunemente in uso presso i Dothraki e furono scelti dalla nostra levatrice, che veniva dalla Terra dell'Orso e voleva conferire loro un non so che di esotico.
Maedh ed io vedevamo la luce del sole quando capitava e non c'era nessuno che potesse tenerci occupati altrimenti. La nostra levatrice ci insegnò a scrivere e leggere in Lingua Corrente e ci abituammo a divorare i pochi libri che aveva portato con sé: si trattava perlopiù di volumi di racconti mitologici sui draghi, i giganti e gli Estranei che, si diceva, vivessero su a Nord, oltre la Barriera.
Maedh era molto più cagionevole e delicato di me. Erano più numerosi i giorni in cui era costretto a letto che quelli in cui si arrischiava a giocare. Io non so perché, ma non ero così. Soprattutto, mi resi conto ben presto che l'essere colti non mi interessava e che avrei preferito di gran lunga imparare a maneggiare la spada e a combattere a cavallo, proprio come gli altri nostri fratelli. In effetti, posso dire con un certo orgoglio che bè, quando sentite parlare del potente khal Drogo, sì, era uno dei miei fratelli, per quanto tendenzialmente mi ignorasse, o se proprio doveva, mi lanciava qualche occhiataccia.
Non ricordo benissimo quegli anni; so solo che Maedh ci lasciò quando avevamo dieci  anni e nessuno, tranne me e la levatrice, lo pianse. Forse per la mia famiglia era semplicemente un fardello in meno: per me era stato una certezza. Anche se non avrei più ricordato episodi significativi che lo riguardassero, non avrei più dimenticato il suo sorriso così dolce ed innocente. Strano come la vita possa essere ingiusta.
Dopo la sua morte, le cose peggiorarono sempre più. Fui costretta ad uscire sempre meno, sentivo che stavo diventando sempre più insignificante; ormai non avevo altra compagnia che la levatrice e i suoi libri, che ormai conoscevo a memoria ed erano estremamente noiosi per una mente giovane ed affamata come la mia.
Ingannavo il tempo esplorando il palazzo reale e in quel periodo imparai a diventare silenziosa e a muovermi con passo soffice e impercettibile, senza farmi notare. Nessun antro mi rimaneva nascosto e potevo vedere tutto, anche quando si trattava di cose delle quali avrei fatto volentieri a meno; ma questo non mi soddisfava.
Cercavo di confidare i miei tormenti alla levatrice, in Lingua Corrente perché nessuno potesse capire, ma lei non poteva fare nulla, si limitava ad annuire e mi accarezzava i capelli. -Calaerwen- diceva -Dovresti maledire il giorno in cui sei nata!-
Ed era così. Non mi sentivo per niente a casa, anche se mi trovavo presso quella gente il cui sangue scorreva nelle mie vene, che mi rifiutava sebbene in teoria avrebbe dovuto tributarmi il suo rispetto, e che sembrava tenere in considerazione solo la guerra, i cavalli e il sesso.
Iniziai a maturare il proposito di scappare. Era pura follia, non ero certo una buona cavallerizza e non avrei saputo difendermi da sola, ma almeno sapevo muovermi con discrezione. Inoltre, qualsiasi pazzia sarebbe stata di gran lunga preferibile ad una vita in prigione come quella a cui ero costretta.
Tuttavia, non fu necessario perché una notte vennero a prendermi. Questo me lo ricordo molto bene, in fondo non sono passati che pochi anni.
Avevo circa dodici anni allora, ero sprofondata in un sonno molle e liquido dopo ore passate a rigirarmi tra le pelli ruvide che costituivano il mio letto. All'improvviso fui risvegliata da qualcuno che mi scrollava energicamente. Non era il tocco gentile della levatrice: erano mani grandi, dure e callose, mani che non conoscevo.
-Svegliati, bella mia, svegliati!- disse una voce maschile concitata. Parlava in Lingua Corrente.
Aprii gli occhi e vidi un uomo un po'stempiato, che per quello che potei vedere, indossava un mantello sgualcito e aveva un'espressione a metà tra il sorpreso e il seccato.
-Chi sei?- domandai, spaventata -Cosa vuoi da me?-
-Non articoli suoni barbari come il resto della tua gente- osservò, senza mollarmi.
-E lasciami!- gridai, e con un'energia fino a quel momento sconosciuta mi divincolai. La sua morsa di ferro aveva lasciato dei segni rossi sul mio braccio -Dimmi chi sei e cosa vuoi!-
-Ti porto via, principessa- disse l'uomo con tono di scherno. Anche se era ironico, provai uno strano brivido, perché per lungo tempo nessuno mi aveva chiamata così. Poi aggiunse:-Per essere la pecora nera della famiglia, graffi niente male! Scommetto che ad Approdo del Re ti adoreranno-
Quel nome l'avevo sentito solo nei racconti della levatrice. Era la capitale dei Sette Regni, il luogo dove risiedeva la casata reale, dove si trovava il Trono di Spade, lo scranno del potere.
L'uomo allungò di nuovo la mano per afferrarmi di nuovo ma mi divincolai nuovamente. Notai che, appoggiata alla parete, c'era un'asta che la levatrice utilizzava per tenere aperte le tende. La afferrai e la puntai verso l'uomo, con un impeto che ignoravo di avere. Decisamente, avevo letto troppi racconti fantastici. La mossa sembrò avere effetto, perché l'uomo indietreggiò di qualche passo e alzò le mani.
-D'accordo, d'accordo- disse ridacchiando -Bè, ti facevo molto più remissiva!-
-Voglio sapere chi sei e cosa fai qua!- ripetei. L'uomo continuava a ridacchiare e mi dava sempre più sui nervi -Dov'è la levatrice?-
-E' fuori, sta aspettando. Verrà anche lei-
-Ma dove, di grazia?-
-Lascia che sia preciso una volta per tutte. Sei stata venduta. Nei giorni scorsi ho fatto dono al khal e alla khaleesi di un certo numero di schiavi e loro hanno apprezzato molto, così tanto che hanno deciso di farmi dei doni come risarcimento per il mio disturbo. Tra questi ci sono armi, oggetti preziosi e una deliziosa fanciulla che loro rifuggono come la morte, ma che è davvero di bell'aspetto come dice la sua levatrice. La quale fanciulla si trova proprio in questa stanza, con i capelli argentei scompigliati e un bastone per le tende in mano a mo' di arma da taglio, convinta di spaventarmi quando non sta riuscendo per niente nell'impresa. Ti porto ad Approdo del Re e lì decideremo sul da farsi. La tua levatrice verrà con noi e una volta giunti a destinazione tornerà alla sua terra natale. Sono stato chiaro?-
Non credevo alle mie orecchie. Mi sembrava assurdo che mi avessero venduta. In fondo non avevo mai avuto nessun valore per la mia famiglia, che forse vedevo una volta alla settimana ed era anche troppo, dal loro punto di vista. Di sicuro volevano sbarazzarsi di me, ma allora perché non mi avevano uccisa molto tempo prima? E se quell'uomo strano, che non smetteva di ridacchiare, stesse mentendo? Non avevo molta scelta in realtà.
-Non ho niente da portare per il viaggio-
-Non ti servirà niente, pasticcino di miele- replicò l'uomo -Ti do dieci minuti, poi ti voglio pronta per la partenza- detto questo, marciò fuori dalla stanza.
Indossai gli abiti più dignitosi che avevo e prima di lasciare la stanza diedi un'occhiata in giro. Avevo passato lì praticamente tutta la vita, eppure sentivo che nulla mi apparteneva di quegli oggetti. Forse era così che doveva andare, anche se fossi morta, sarebbe stato il degno coronamento di una vita ignobile.
Quando uscii, notai che stava appena albeggiando. Il palazzo era praticamente deserto, o almeno così mi parve. I raggi del sole nascente illuminavano i pavimenti di marmo, riempiendoli di bagliori dorati. Mai la dimora dei regnanti Dothraki mi era parsa così incantevole.
Fuori, l'uomo mi aspettava, e con la levatrice. Notai con sollievo che stava bene. Accennai un lieve sorriso, per vedere come avrebbe reagito. Mi sentii molto meglio quando ricambiò.
Non erano soli: con loro c'erano almeno cinque o sei uomini a cavallo e un carro che pareva ricolmo di oggetti preziosi.
-Vuoi salutare i tuoi familiari?- chiese l'uomo.
-Credo che qualcuno che ti vende non possa essere definito "familiare"- risposi, lasciandolo di stucco.
-Immagino che tu non abbia tutti i torti- ammise l'uomo.
Fecero salire la levatrice e me sul carro. Non era molto grande, ma almeno appariva piuttosto comodo. I sedili di legno erano coperti da stuoie grezze, per renderli più confortevoli.
Quando partimmo, una parte di me avrebbe voluto voltarsi indietro e osservare ancora per una volta l'edificio. Decisi di non farlo: dopotutto, non era stato affatto una casa ed era solo una fonte di tristi ricordi.
Appoggiai la testa contro la spalla della levatrice e sprofondai nello stesso sonno molle e liquido cui ero stata strappata.
Non pensavo a nulla; di certo, non avrei mai immaginato che sarebbero iniziati i quattro anni più infernali della mia esistenza.

 

 
 

  
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