I raggi di uno strano
sole milanese piombarono bruscamente nella camera, riportandomi in malo modo nel
mondo reale. Era stato davvero una tortura svegliarsi in questo modo,
soprattutto sapendo che la domenica era l'unico giorno dove potevo dormire e
rilassarmi nel tepore del letto. Inoltre ieri avevamo fatto molto tardi ed
eravamo andati a dormire all'alba, ubriachi. C'eravamo divertiti tantissimo ieri
sera, nonostante il fatto che in questo momento mi sentivo più frastornata che
mai. Forse gli ultimi due cocktail potevo anche evitarli, visto il mal di testa
che si stava insinuando nel mio cervello. Mi girai dall'altro lato e sbattei
contro qualcosa di duro e caldo. Un corpo umano. Oh, cazzo. E questo qui chi era
che dormiva nel mio letto? Dopo tanto scervellarmi e rimuginare sulla serata di
ieri sera, capii che l'unico modo per scoprire l'identità del ragazzo era aprire
gli occhi e guardarlo in faccia. Aprii gli occhi ma purtroppo li richiusi
immediatamente perché la luce solare mi accecò del tutto. Feci un altro
tentativo e mi ci volle un po' per riconoscere dove mi trovavo e chi c'era
accanto a me. Mi trovavo a casa del mio migliore amico, Mirko, e accanto a me
c'era l'altro mio migliore amico, Marco, nonché cugino di Mirko. Sorrisi e mi
presi per stupida da sola. Era ovvio che mi trovassi qui. Ogni volta che ne
avevamo occasione io e Marco dormivamo qui. Purtroppo di questi momenti ne
rimanevano pochi durante la settimana causa il lavoro come PR di Mirko e la
scuola che stava uccidendo sia me che Marco. Infatti, quest'ultimo era stato
bocciato per la seconda volta l'anno scorso, ritrovandosi nella mia stessa
classe. Allungai la mano verso il comodino per prendere il mio cellulare ma non
lo trovai così mi accontentai del cellulare di Marco. L'orologio segnava le
undici così io decisi che era il momento di alzarmi, tanto era inutile rimanere
sul letto a rimuginare. Andai in cucina, dove trovai un Mirko preoccupato intento a studiare
alcuni documenti. Appena mi vide varcare la porta con indosso solo una sua
maglia, m'indirizzò un sorriso luminoso. Ricambiai aggiungendoci anche un bacio
sulla guancia e mi andai a preparare un caffè mentre lui continuava a rileggere
i vari documenti. Era davvero preoccupato, lo capivo dallo sguardo che assumeva
quando rileggeva i documenti che aveva davanti a se, così dopo aver zuccherato e
bevuto il mio caffè, mi sedetti accanto a lui con una ciotola di biscotti.
Gliene offrii uno e lui rifiutò con un cenno del capo. Oddio, brutto segno. Lui
non rifiutava mai un biscotto soprattutto quelli al cioccolato. Lo guardai fisso
mentre era davvero concentrato e ogni volta rimanevo scioccata: come faceva a
non avere una ragazza, un bell’uomo come lui? Alto e magro con i capelli ramati
perennemente scompigliati e gli occhi verdi ipnotizzatori. Era davvero bellissimo e mi sorprendeva sempre come tutte le ragazze gli
andassero dietro, soprattutto in discoteca, ricevendo sempre risposte negative
dalla sua parte. Era molto più grande di me, aveva 27 anni, e questo non
rappresentava nessun problema per noi. Era il fratello maggiore che non avevo
mai avuto e che mi proteggeva sempre.
-Che succede, baby?- chiesi io addentando un altro
biscotto.
-Non riesco a venire a
capo di questa causa e se non la risolvo, la società per cui lavoro perderà uno
dei più importanti clienti- disse lui disperato -Non posso perdere, cazzo!, sarò
licenziato!-
-Di che si tratta?-
chiesi io con cautela.
-Un cliente vuole
cambiare azienda di PR perché,come c'è scritto in questa fottutissima
lettera,non si sente rappresentato dal nostro operato- disse lui aggiungendoci
qualche altra imprecazione per rendere più chiaro il concetto della sua
disperazione.
-E allora?- chiesi io,
non capendo la gravità della situazione.
-Rachele, tu non capisci! Questo cliente è troppo
importante per essere preso sotto gamba-
-Beh, fategli qualche moina, no? Il tuo lavoro
consiste solo in questo: accalappiarsi i clienti migliori, rappresentarli e
tenerseli stretti. Qualche viaggio o qualche bottiglia di champagne e tutto è
risolto-
Riposi il barattolo
sul tavolo e sentii il mio cellulare squillare. Nonostante la suoneria fosse
abbastanza chiara, non riuscivo a capire da dove venisse la musichetta. Lo
trovai appena in tempo dentro la porchette all’ingresso e accettai, senza
pensarci due volte, la chiamata. Forse qualcuno mi voleva male o forse, la
prossima volta, dovrò nasconderlo meglio questo stupido cellulare. L'unica
certezza che avevo era che sostanzialmente non volevo parlare con quella persona
che mi stava chiamando e dopo aver accettato la chiamata e visto chi era la
persona in questione, non mi sembrava giusto chiuderle il telefono in faccia.
Questo mi servirà di lezione. La prossima volta, cara Rachele, non rispondere
senza aver visto prima chi ti chiamava. Ma ormai la frittata era fatta, tanto
vale concluderla in meglio.
-Ciao mamma!- salutai
io.
-Ciao Rachele!- disse
lei arrabbiata -Dove sei? A casa non sei ritornata stanotte. Oh Dio, chissà con
chi sei stata. Non oso immaginarlo e soprattutto non voglio nemmeno pensare a
quanta pubblicità cattiva fai ai tuoi genitori!-
Presi un respiro profondo e m'imposi di contare fino a
dieci prima di parlare.
-Mamma, ho dormito dal
mio ragazzo. Comunque non credo che ritornerò a casa al più presto, verrò a
prendere le mie cose tra qualche giorno!-
Sentii mia madre respirare pesantemente.
-Oh, Rachele. Non dire stupidaggini- disse lei
cercando di auto calmarsi -Abbiamo un pranzo oggi e ti pregherei di venire a
casa, cambiarti e venire con noi! Ti ho preso un vestitino Valentino perfetto
per te!-
-No, non verrò- dissi
io di getto - Non voglio avere niente a che fare con voi due e la vostra
reputazione del cazzo!-
-Non ti permetto di
parlare così a tua madre!- mi urlò lei talmente forte che fui costretta a
spostarmi il cellulare dall'orecchio.
-Non vengo a casa, punto!- dissi io chiudendo la
telefonata.
Ritornai in cucina
furiosa più che mai e con il cellulare ancora in mano. Mirko mi aspettava
porgendomi una sigaretta. Io l'accettai di buon grado e presi il posacenere. Mi
sedetti e finalmente mi potei calmare grazie alla ''sana'' sigaretta che mi
stavo accendendo. Ormai mi ero presa il vizio del fumo, non che la cosa mi
rendesse fiera, ma era la cosa più comica che mi poteva capitare. Fino a due
anni fa odiavo il fumo, chiunque fumasse accanto a me gli intimavo di spegnerla.
Cantilenavo a destra e a sinistra che il fumo uccidesse e che facesse male alla
salute e adesso non riuscivo a smettere di fumare e solo l'idea di rimanere
senza sigaretta mi faceva imbestialire.
-Come va?- chiese Mirko quando mi vide un po' più
calma.
-Bene, adesso meglio!-
dissi finendo l'ultimo tiro della sigaretta -È sempre la stessa storia! Non ne
posso più! Ti dispiace se rimango qui per un po’?-
-No, certo che no!-
La spensi nel portacenere e me ne andai in soggiorno. Volevo stare un po' per conto mio a pensare. Non
appena mi sedetti, iniziai a singhiozzare rumorosamente. A dire la verità, certe
volte rimanevo qui a dormire soprattutto per non sentire i miei sbraitare che
cercavano inutilmente e disperatamente di inculcarmi la loro filosofia di vita:
la reputazione prima di tutto. Non gli importava nulla di me, della loro unica
figlia che, come diceva mia madre, frequentava “certa gente”. Era come se non
esistessi, troppo impegnati a fare finta di avere una famiglia perfetta e a
mandare in frantumi quella vera. Mia madre e mio padre erano degli avvocati che
raggiunsero la notorietà in meno di due anni, aprendo un loro studio legale qui
a Milano che in poco tempo divenne il più in voga del momento; l’alta
aristocrazia li invitava ai party più “in” di Milano, invitando ovviamente anche
me ma io, a differenza dei miei genitori che accettavano di buon grado,
rifiutavo mandandoli a quel paese.
Prima non era così: la mia famiglia era qualcosa di
unico che molti invidiavano, avevo un buon rapporto con loro, parlavamo di tutto
e mi aiutavano consigliandomi sempre al meglio, ma da quando c’eravamo
trasferiti a Milano, da un paese sperduto del sud, tutto era cambiato: i miei
facevano finta che andasse tutto bene quando in realtà le cose stavano andando
più che male.
Da quando mi ero
trasferita, la mia vita faceva schifo.
La mia vita stava andando di male in peggio,
purtroppo. Non riuscivo a dimenticare l’amore della mia vita di cui tuttora ero
innamorata. Mi aveva lasciato circa due anni fa, dopo un anno di storia, con una
banale frase sul cellulare: “Non ti amo più anzi non ti ho mai amata. Non mi
cercare più. Addio”. Quelle parole, nonostante fossero passati quasi due anni,
mi ferivano ancora e il suo ricordo mi lacerava il cuore ormai vuoto. Io,
nonostante avessi provato ad uscire con altri ragazzi, non lo avevo dimenticato
e lo amavo ancora. Come potevo dimenticarlo se ogni notte lo sognavo? Come
potevo farlo se tutto mi ricordava lui? Erano passati quasi due anni da quel
giorno, ed io lo sognavo continuamente, illudendomi di averlo ancora con me.
Sognavo il nostro primo incontro, di stare tra le sue braccia, di fare l’amore
con lui e poi il sogno che mi faceva più male di tutti, e che mi faceva
deprimere per giorni interi, era quando mi arrivava quel messaggio. Beh, avevo
mantenuto la mia promessa, non lo avevo più cercato e nessuno, neanche le mie
migliori amiche, sapeva che io ero a Milano. Semplicemente avevo chiuso i ponti
con tutti, soprattutto con le persone che amavo di più al mondo, lui e le mie
due migliori amiche. Le lacrime continuavano a scendere copiose senza fine, non
riuscendo nemmeno a smettere. Ogni volta andava a finire sempre così quando
pensavo soprattutto a lui. La verità era che mi mancava. Mi mancava come l’aria
che ci serviva per vivere ed io lo amavo con tutto me stessa: erano queste le
uniche verità di cui avevo certezza. Le
uniche cose di cui non avrei mai dubitato nella mia vita.
Non
sapevo quando tempo era passato da quando avevo iniziato a piangere e finalmente
con la mano potei asciugare le ultime lacrime. Non ne potevo più di piangere
ogni qualvolta che pensavo alla mia vecchia vita e soprattutto a lui. Mi alzai
dal divano e andai nella stanza da letto. Aprii
la mia valigia e presi un intimo, il beauty case e una tuta che usavo solo per
stare in casa. Mi chiusi in bagno e iniziai a
spazzolare i capelli rendendoli più morbidi e mossi e mi sciacquai il viso per
togliere gli ultimi residui del trucco e delle lacrime. Mi guardai allo specchio
e sorrisi alla mia immagine accettabile. In fondo ero una bella ragazza: alta,
magra, con i capelli lunghi fin sotto le spalle color castano scuro e gli occhi
castani molto profondi come mi dicevano i miei migliori amici. Quasi tutti mi
dicevano che potevo essere una modella ma io non ci credevo poi tanto.
Purtroppo, in fondo, rimanevo quella ragazza riservata, insicura di se e con
poca autostima che cercavo di sopprimere con tutte le mie forze. Alla gente davo
l’impressione di essere una ragazza forte e sicura di se ma la vera me, quella
che solo Marco e Mirko conoscevano, era tutta ben diversa. Mi spogliai
velocemente e m’infilai nella doccia. Amavo l’acqua bollente, era un modo per
rilassarmi. Sentire i muscoli distendersi era una piacevolissima sensazione e
adesso ne avevo proprio bisogno. Non ne potevo più. Sentivo la mancanza delle
mie migliori amiche e certe volte avevo la tentazione di prendere il mio vecchio
cellulare e chiamarle ma poi ritornavo in me e riposavo il cellulare in fondo al
cassetto. Questo non include il fatto che certe volte, presa dalla depressione
più totale, sentivo la loro voce ma io non emettevo nessun suono chiudendo quasi
subito. Uscii dalla doccia e mi vestii velocemente anche perché stavo morendo
dal freddo. Dieci minuti dopo, uscii dal bagno e andai nella stanza da letto a
posare il beauty case e la maglietta di Mirko che fungeva da pigiama. Mi girai
verso il letto e vi trovai ancora Marco che dormiva
placidamente. Beh, nonostante fossero cugini da parte di madre, infatti le loro
madri erano sorelle, c'erano molte somiglianze con Mirko, tanté che a volte
venivano scambiati per fratelli: capelli ramati, con un fisico palestrato e gli
occhi blu intenso. Era romano, trasferitosi due anni prima di me e andavamo
nella stessa classe a causa dei due anni consecutivi alle medie in cui aveva
avuto un brutto incidente e aveva saltato scuola. Aveva diciannove anni, un anno
in più di me. Lui mi faceva divertire e mi permetteva di dimenticare, almeno per
qualche secondo, gli scheletri nel mio armadio.
-Rachele!- urlò
Mirko dalla cucina.
Sentii urlare il mio nome ed io lo raggiunsi.
Trovai Mirko mentre stava tagliando una cipolla tra le lacrime. Risi di gusto
vedendo la sua faccia e lui per tutta risposta mi mise una cipolla davanti.
-Sai che io non ho di questi problemi, piagnucolone!- dissi io
continuando a ridere.
-Spiritosa! Comunque, Marco dorme ancora?-
Io annuii solamente e aiutai Mirko a cucinare. Amavo cucinare e
per me non c’era niente di meglio per non pensare. Prima lo facevo più spesso,
adesso molto di rado poiché rimanevamo poco a casa infatti preferivamo i fast
food oppure le pizze a domicilio.
-Tutto
bene?-
Annuii solamente e Mirko, per alleggerire l’atmosfera, mise
un po’ di musica e iniziammo a cantare e a ballare mentre cucinavamo.
Continuammo così per mezz’ora fin quando a Mirko non squillò il telefono. Nel
frattempo che Mirko andava di là a rispondere, io iniziai a preparare l’impasto
per la mia torta preferita. Amavo cucinare ma più di tutto adoravo fare dolci.
Rendeva la vita più dolce. Appena misi la torta in forno, apparecchiai. In fondo
ero l’unica ragazza del gruppo e nonostante fossi la più piccola, ero io quella
che si preoccupava di certe cose aiutata da Mirko. Ora che era tutto fatto,
mancava solo di cuocere la pasta ma questo bisognava farlo all’ultimo momento.
Mi accesi una sigaretta e presi l’iPhone iniziando a giocare. Marco dormiva
ancora, Mirko parlava al telefono ed io mi stavo annoiando mortalmente. Finii la
sigaretta ma non smisi di giocare.
-Ancora con quello stupido
gioco?- chiese Marco entrando in cucina.
-Buongiorno, mio
principe!- dissi io ridendo e posando il cellulare per dedicarmi solo a lui
–Cosa vi ha fatto svegliare a quest’ora? Per caso io e il mio amante abbiamo
fatto troppo rumore? Oppure il dolce profumo della mia torta speciale vi ha
disturbato il sonno?-
-Tu sei fumata!- rispose lui, facendosi un
caffè –Hai fumato marijuana?-
Risposi con una
linguaccia ma il bip del mio cellulare ci interruppe. Presi il cellulare
timorosa, poteva essere anche mia madre e io non avevo voglia di fare il secondo
round. Per oggi ne avevo abbastanza. Fortunatamente era una mia
compagna di classe che mi augurava una buona giornata.
-Finalmente ti sei svegliato?- chiese Mirko, rientrando in
cucina.
-Sei stato un bel po’ a telefono. Chi era?- chiesi io
curiosa.
Non rispose subito. Si stava grattando la testa segno
che era imbarazzato. Non sapeva che rispondermi e questo voleva dire solo che
c’era di mezzo una ragazza.
-Una ragazza, vero?- chiese
Marco, capendo tutto.
-Beh, si! L’ho conosciuta al lavoro
e adesso per una scusa o per un’altra mi telefona ed io l’ho invitata a un Happy
Hour per stasera!- disse lui velocemente.
-Bene, sono felice per
te!- dissi io –Come si chiama?-
-Dajana!- rispose
lui.
-Okay, io avrei fame!- disse Marco facendo scoppiando tutti
dal ridere.
Mirko mise la pentola a bollire e poi si sedette
accanto a me.
-Quindi organizziamoci per oggi!- proposi io –Marco
domani ha un interrogazione di storia e quindi deve studiare se no lo bocciano
sicuro stavolta. Io e tu andiamo a fare shopping e poi raggiungo Marco e tu vai
all’appuntamento con questa qui!-
-Si chiama Dajana!- mi rimbeccò
Mirko –E comunque io ci sto!-
-Io no!- rispose Marco, sapendo la
sua riluttanza nello studio –Non ho intenzione di mettermi tra i libri di
domenica, quando voi due ve la spassate in giro per i
negozi!-
Marco fece la sua faccia triste incrociando le braccia al
petto. Io e Mirko guardando la sua espressione, non potemmo non ridere. Era
troppo buffone e anche se metteva questa faccia “triste” non cambiava il mio
piano. Lui doveva studiare. Non poteva ripetere il quarto liceo.
-Facciamo così Marco- propose Mirko, girando la pasta –Tu studi e
sabato ti offro tutto io!-
-Come fai il solito, giusto?- chiesi
io continuando a ridere.
-Si, ma stavolta gli faccio conoscere
pure una ragazza- continuò lui –Ci stai?-
Lui annuì e afferrò la
mano di Mirko per stipulare il patto. Marco, anche se aveva già diciannove anni
suonati, rimaneva ancora un bambino.
Mangiammo dopo pochissimo e
spazzolammo tutto in breve tempo. La pasta che avevamo preparato io e Mirko era
venuta buonissima e anche la torta fatta da me non era niente male.
-Sai cosa ci vuole?- chiese Marco mangiando un altro pezzetto di
torta –Nutella!-
Aveva assolutamente ragione, la nutella in una
semplicissima torta allo yogurt ci stava benissimo. Mi alzai per prenderla ed
agguantai anche tre cucchiaini.
-Grande Rachele!- disse lui
quando gli posai la nutella davanti –Ti adoro!-
Continuammo così a
ridere, scherzare e soprattutto a mangiare. Quella torta finì in pochissimo
tempo, ce la spazzolammo tutta. Mi sentii anche in colpa per tutti i grassi e
zuccheri che ho messo nel mio corpo mangiando un terzo di quella schifosissima
bontà. Appena finimmo, ero strapiena e sazissima, ma totalmente soddisfatta.
Marco fece i caffè, come al suo solito, e poi ci spostammo in salotto per una
sigaretta. Purtroppo avevamo tutti e tre il vizio del fumo anche se quello che
fumava di meno era proprio Marco.
-Dovremmo smettere!- dissi io,
accendendo la sigaretta –Fa male alla salute!-
-Concordo, questa è
l’ultima!- mi rispose Marco –Hai proprio ragione! Il fumo fa male alla
salute!-
Io e Mirko ridemmo per il suo tono e poi si unii anche
lui. Il suo accento romano, visto che lui era originario di Roma, mi faceva
impazzire. Quando parlava lui, io e Mirko non riuscivamo a stare seri ed anche
se ci raccontava una storia drammatica noi ridevamo fino alle lacrime. Anche
fino a un anno fa per me valeva la stessa cosa: avevo un piccolo accento
siciliano e quando mi scappavano parole sicule, loro scoppiavano a ridere.
Fortunatamente o sfortunatamente, il mio accento era scomparso proprio come era
scomparsa la mia parte siciliana. Adesso, mi consideravo una milanese doc,
proprio come Mirko, che era nato proprio qui.
-Beh, io mi vado a
preparare- dissi io spegnendo la sigaretta nel portacenere –Visto che tra poco
dobbiamo uscire!-
Ritornai nella stanza da letto e aprii la mia
valigia. Dopo la furiosa lite con i miei genitori di ieri, avevo preso poca roba
che trovavo sparsa per la mia stanza. Sbuffai e ritornai in soggiorno.
-Che ore sono?- chiesi io preoccupata.
-Le tre e
mezza!- rispose Mirko –Perché?-
Andai di là mentre intimavo Mirko
di prepararsi e di non fare tardi. Poiché casa mia in questo momento era
deserta, mi conveniva andarci ora per fare le valigie. Non avevo più un paio di
scarpe e purtroppo, dovevo mettere di nuovo quelle di ieri. Mi chiusi nella
stanza da letto per cambiarmi e sentii il getto d’acqua della doccia, segno che
Mirko si stava lavando. Optai per un paio di
jeans grigi, una maglia nera semplicissima e una gonna nera. Misi una collana,
un anello e dei bracciali argentati. Mi guardai allo specchio e quello
che vidi mi piacque molto: stavo davvero bene. Finii di prepararmi proprio nel
momento in cui anche Mirko finii la doccia e ci scambiammo di posto. Mi lavai i
denti e iniziai a truccarmi: fard, eyeliner e mascara. Dopo questo, uscimmo
nell’aria gelida di Milano a Novembre. Arrivammo in macchina e quando entrammo
nell’abitacolo, Mirko accese sia lo stereo che la stufa. Iniziai a cantare a
squarciagola e dopo circa tre canzoni arrivammo a casa mia.
-Meno
male che siamo arrivati!- disse lui infilandosi nell’ascensore insieme a me –Non
ne potevo più della tua voce!-
Premetti il tasto che segnava
l’ultimo piano e quando le porte si chiusero, continuai a cantare ignorando le
imprecazioni di Mirko. Arrivammo direttamente in casa e senza guardarmi in giro,
andai direttamente nella mia stanza.
Non me la ricordavo così grande e bella, forse perché di
solito mi limito a un’occhiata veloce. Inoltre se proprio devo
stare a casa, preferivo quella del mio migliore amico. Però, se
non fosse stato per i miei genitori, io starei alla grande qui dentro:
le pareti erano viola con un enorme armadio bianco perla che prendeva
tutta la parete e, per ultima cosa, un enorme vetrata che mi permetteva
di vedere quasi tutta Milano, perfino il Duomo.
-Wow, sai che non la ricordavo così?- chiese
Mirko entrando.
Alzai le spalle e mi misi all’opera. Per prima
cosa presi due valigie. Avevo intenzione di rimanere da Mirko per un lunghissimo
tempo, almeno due settimane. Ne passai una a Mirko, dove iniziò a mettergli ciò
che c’era sopra la scrivania, cioè i libri e quaderni di scuola. Io iniziai con
l’intimo, poi i pantaloni, alcune gonne, maglie e cardigan. Alla fine anche
questa era piena e fui costretta a prenderne un’altra per le scarpe, borse e
vari accessori. Quando riempii anche la seconda valigia, mi accorsi che Mirko
aveva finito e che era seduto sul letto accanto ad un bellissimo vestito di
Valentino. Lo misi distrattamente in valigia e scrissi un post-it a mia madre:
Grazie per il vestito,
lo metterò sicuramente stasera per andare in qualche discoteca.
Mi
sedetti insieme a lui sul letto e poi ci sdraiammo contemporaneamente
sospirando. Ero esausta. Fare le valigie non mi faceva bene ma non mi
faceva stare bene neanche stare in questa casa. Mi alzai dal letto,
quasi inconsapevolmente, e aprii l’ultima anta
dell’armadio. Non lo facevo ormai da due anni e mi sembrava
strano farlo proprio in quel momento. C’erano tutte le mie
vecchie cose: vestiti, borse, scarpe e soprattutto il mio vecchio pc.
Wow, non aprivo quest’armadio da due anni. Inconsapevolmente
presi il cellulare che era posato su uno scaffale e lo misi in tasca.
Non sapevo neanche perché lo avevo preso con me. Forse
perché volevo farmi totalmente male. Chiusi tutto e poi, aiutata
da Mirko, portammo le valigie in macchina. Mezz’ora dopo, dopo
che portammo le valigie nell’appartamento di Mirko, potemmo
dedicarci allo shopping. Amavo fare shopping e nessuno poteva togliermi
questi momenti. Adoravo soprattutto quando facevo da Personal Shopper
per Mirko e Marco, anche se certe volte mi annoiavo con Mirko.
Sceglieva sempre cose molto semplici ed eleganti e solo poche volte si
concedeva un abbigliamento molto casual. Passeggiavamo al Duomo mano
nella mano e sembravamo proprio una coppietta felice.
-Allora, che ti serve?- chiesi io felice come se fossi una
bambina nel giorno del suo compleanno.
-Mmmh, allora devo andare
a Londra per una conferenza quindi: completi, camicie, cravatte, jeans, cardigan
e maglie. Un po’ di tutto. Non è solo per il lavoro ma anche per un party per
tutti i dipendenti. Noi dobbiamo rappresentare la società di Milano-
-Quindi parti?- chiesi io, sperando di aver capito male.
-Già, starò via una settimana!-
-E quando?-
-Rachi- iniziò a lui –Tra un mese-
Cercai di
calmarmi e per un po’ ci riuscii. Non pensai al fatto che Mirko doveva partire.
Mi mancava sempre tantissimo quando faceva questi viaggi di lavoro, soprattutto
perché ero costretta a passare più tempo a casa mia. Semplicemente stavamo
facendo del sano shopping solo per divertimento senza un imminente viaggio. Tre
ore e circa dieci sacchetti dopo, entrammo in un bar per una buona cioccolata
calda.
-Soddisfatto?- chiesi io mentre soffiavo sulla mia
cioccolata calda per raffreddarla almeno un pochino.
Lui annuì e
mi diede un bacio sulla guancia. Era piacevolissimo stare con lui. Mi ero
divertita tantissimo a fare shopping per Mirko, riuscendo anch’io a farmi
regalare un vestitino super corto e attillato, un paio di scarpe col tacco
altissimo e tanta altra roba. Iniziai a bere e mi girai per un attimo verso la
vetrata. Rimasi impalata. Non riuscivo a togliere lo sguardo da quella figura
che si trovava fuori dal bar. Non poteva essere vero. Per accertarmi, spostai
per pochissimo lo sguardo verso altro e quando mi girai di nuovo verso di lui:
lui era sparito. D’istinto, mi alzai e uscii fuori dal locale. Volevo la
certezza che fosse tutto nella mia mente e che fosse solo uno scherzo della mia
mente bacata. Infatti fu proprio così visto che non lo vidi più. Semplicemente
era scomparso nel nulla. Ringraziai al cielo che non era più lì e che non lo
scorsi più in mezzo alla folla. Iniziai a tremare dal freddo, visto che ero
scollata, e ritornai dentro il bar. Quando mi sedetti, mi accorsi dello sguardo
confuso di Mirko. Iniziai a bere la mia cioccolata calda e poi mi decisi a
dargli una semplice risposta.
-Credevo di aver visto Monica, le
dovevo dire una cosa importantissima!- mentii io non alzando lo sguardo dalla
tazza.
Vidi Mirko annuire in silenzio, permettendo di concentrarmi
solo sui miei pensieri. Non riuscivo a credere di averlo rivisto dopo due anni
ma forse è solo frutto della mia mente malata. Non poteva essere lui, magari
qualcuno che gli assomigliava. Non avevo mai avuto apparizioni e mi sembrava
anche strano. Magari era solo frutto della mia mente malata oppure ero arrivata
alla sopportazione della sua assenza. Non sapevo come spiegarlo. Prima l’istinto
di portare con me il cellulare, che ora sembrava pesasse una tonnellata in
borsa, e adesso la visione di lui, in persona. Oddio, stavo diventando veramente
matta. Con questi pensieri, non mi accorsi nemmeno che Mirko aveva pagato al
bar, avevamo attraversato tutta piazza Duomo e ora mi stava dando un bacio a
fior di labbra davanti a un taxi che stava aspettando me. Ringraziai del bacio
con un sorriso ed entrai nel taxi.
-Buona serata!- dissi io
–Divertiti con Dajana!-
-Sicuro tutto bene?- chiese lui
appoggiandosi al finestrino –Se vuoi, posso rimandare!-
-No,
tutto bene. Tu divertiti e poi quando ci vediamo, mi devi raccontare
tutto!-
Subito dopo dissi la via di casa di Mirko al tassista e
m’immersi di nuovo nei miei pensieri. Era impossibile che fosse lui, per due
semplici motivi: il primo era che lo avevo lasciato al mio paese e lì doveva
rimanere; il secondo era che lui odiava le grandi città e quindi era
tecnicamente impossibile che lui fosse qui. Non volevo accettare l’ipotesi che
lui era proprio qui. Non volevo avere la paura e la speranza di rivederlo un
giorno per caso. Volevo auto convincermi che la mia era solo immaginazione. Una
sola lacrima uscii dai miei occhi e subito l’asciugai. Non avevo intenzione di
piangere ancora per lui, ne avevo fin troppo di piangere. Piangevo tutte le sere
e tutte le volte che rimanevo da sola con i miei pensieri anche solo per cinque
minuti. Nonostante la promessa che avevo fatto a me stessa tre mesi fa, non riuscivo a
non piangere. Iniziai a singhiozzare silenziosamente, non volevo farmi sentire
dal tassista. Appena mi accorsi di essere arrivata, tirai su con il naso, pagai
il tassista e uscii dal taxi immersa nei sacchetti. Presi il cellulare e chiamai
Marco.
-Dimmi!- rispose lui annoiato.
-Sono sotto
casa! Scendi e aiutami!-
Staccai la chiamata e due secondi dopo,
arrivò Marco con un mazzo di chiavi in mano. Mi aiutò con i sacchetti con un
po’ di malavoglia ed entrammo in casa. Il dolce profumo e il calore mi avvolsero
piacevolmente. Ero a casa. Soprattutto mi sentivo a casa che era la cosa più
importante. Posai la roba nel soggiorno e mi misi comoda anch’io, togliendomi le
scarpe con il tacco. Marco si sedette accanto a me e si accese una sigaretta,
passandone una anche a me.
-Hai finito di studiare?- chiesi io
sbalordita, tra un tiro e l’altro.
-Si, solo che ho fatto anche
italiano!- disse lui –A quella vipera me la voglio togliere di dosso per un po’-
Gli sorrisi e gli diedi un bacio sulla guancia. Quando ci si
metteva, riusciva a stupire tutti e domani, ne ero sicura al cento per cento,
avrebbe lasciato la professoressa a bocca aperta. Ero fiera di lui e quando
finimmo di fumare, accesi un po’ di televisione.
-Ordini due
pizze?- dissi io sopra la sua spalla –Io voglio una pizza alta fritta!-
-Okay!- disse lui –Tu e il tuo cibo siciliano!-
Gli
feci una linguaccia e lui se ne andò in cucina per telefonare. Non era colpa mia
se qui le pizze le facevano come crackers e a me piacevano con molta pasta. In
fondo ero una siciliana e se non era alta come dicevo io, non riuscivo nemmeno
mangiarla. Quelle che facevano lì, mi sembravano dei biscotti con il condimento
sopra. Marco ritornò dopo circa tre minuti con due birre in mano: una per me e
una per lui.
-Stasera rimaniamo a casa? Ho voglia di guardare un
bel film!-
Lui, capendo tutto, mise un DVD e subito capii che era
il mio telefilm preferito: Grey’s Anatomy. Gli diedi un bacio sulle labbra e lui
mi attirò a se, mettendomi un braccio sulla spalla. Seguimmo la televisione in
silenzio, tutte e due assortiti. Erano le nuove puntate e ancora non avevamo
avuto l’occasione di vederli. E poi aspettavo Marco. Ormai era nostra abitudine
vedere film e telefilm insieme e senza di lui, non era la stessa cosa. Dieci
minuti dopo, arrivarono anche le pizze con le bibite e mangiammo in rigoroso
silenzio sempre davanti alla televisione. Questo mi stava aiutando tantissimo a
non pensare. Non volevo ripensare a quello che era successo oggi pomeriggio,
anzi dovevo chiuderlo in una parte remota del mio cervello. In fondo era solo la
mia immaginazione, niente di che. Doveva essere così ma avevo bisogno di
sfogarmi con qualcuno e quale persona migliore se no del mio migliore amico
seduto qui accanto a me? Misi pausa al DVD e mi girai verso di lui. Mi guardò
negli occhi, scorgendo qualcosa, ma io abbassai lo sguardo immediatamente. Non
sopportavo il suo sguardo su di me, mi faceva sentire a disagio. Chiusi gli
occhi e presi un respiro profondo.
-Oggi mi è sembrato di vedere
Andrea!- dissi io tutto d’un fiato.
Vidi Marco disorientato. A
parte la volta in cui, due anni fa, gli avevo raccontato di Andrea, Alice e
Clara, non prendevo molto spesso l’argomento. E adesso che lo avevo fatto così,
senza nessun preavviso e di punto in bianco, avevo spiazzato Marco.
-Cosa ti è sembrato di vedere?- chiese lui mettendosi comodo sul
divano –Raccontami tutto!-
Gli raccontai per filo e per segno
quello che era successo al bar e lui mi ascoltava assortito. Non m’interrompeva
e non si stufava. Semplicemente mi stava lasciando sfogare. Alternavo parole,
singhiozzi e lacrime. Gli stavo raccontando tutto, certe volte con delle frasi
senza senso. Alla fine del mio discorso, lui mi abbracciò senza proferire
parola. Le mie lacrime erano esaurite e mi strinse tra le sue braccia, senza mai
staccarsi. Grazie al calore del suo corpo e del conforto che mi stava donando,
chiusi gli occhi e mi lasciai cullare prima dalle braccia di Marco e
successivamente da quelle di Morfeo. L’ultima cosa che percepii furono le
braccia di Marco che mi portavano a letto, un bacio sulla fronte seguito da una
frase che mi fece fare sogni tranquilli.
-Buona notte dolce
Rachele, non preoccuparti di ciò che succederà domani. Ci sarò io a
proteggerti!-
E dopo quella frase che mi fece sentire tranquilla
e al sicuro, non capii più niente. Ero definitivamente tra le braccia di
Morfeo.
L’indomani mi svegliai di buon umore, forse era per il fatto che ero riuscita a dormire senza sogni e in tranquillità. Cosa che non facevo ormai da anni. Oggi non mi definivo felicissima al cento per cento, ma comunque serena. Avevo accanto i miei migliori amici e questo mi faceva sentire al sicuro. Quella trascorsa era stata una giornata abbastanza movimentata. Vederlo mi aveva scosso tantissimo e mi ero ripresa grazie allo sfogo che avevo avuto con Marco. Mi aveva fatto bene parlarne e ne stavo cogliendo i risultati tutti oggi, visto che mi sentivo così rilassata e appagata. Oggi ero piuttosto positiva. Pian piano stavo riuscendo ad auto convincermi che era solo frutto della mia immaginazione.
Dedica:
Dedico questo capitolo a mia sorella, la mia stella. Le voglio un bene dell'anima e so per certo che anche lei prova lo stesso. Lei è sempre stata per me non solo una sorella ma anche la mia migliore amica e un esempio da seguire. Soprattutto volevo scrivere questo per chiederle scusa. Quando era salita al nord per studiare, io non le parlavo più perchè mi aveva abbandonata giù ma adesso che sono salita anche io, abbiamo legato di più. Okay, bando alle ciance! Cara sorellina, con questo capitolo voglio chiederti scusa e dirti che ti voglio tantissimo bene. Un bacione.
Note dell'autrice:
Ta-dan! Abracadra! Eh si, forse l'istinto di pubblicarla è stato frutto di una magia o di un incantesimo. All'inizio non volevo pubblicare la storia, non mi sembrava tanto bella da meritare di essere letta da altre persone oltre me. Okay, forse è stato il fatto che avevo paura dei giudizi ma alla fine ho detto "Al diavolo Askel, se per te vale fregatene d quello che dice la gente!" E così eccomi qui! Penso di fare un aggiornamento una volta alla settimana e presto farò anche una pagina fan su Facebook su questa storia. Almeno credo, comunque vi farò sapere. Per il momento vi lascio la mia pagina personale:
http://www.facebook.com/Askel.writer
E detto questo, volevo spiegarvi perchè nelle note non ho detto niente sulla storia. In sostanza, non cito la storia perchè so che mi potrei fare scappare qualcosa. Dico soltanto che questo capitolo descrive un po' la vita di Rachele e che tutto il bello inizia il prossimo capitolo.
Comunque, lasciate commenti in tanti, sia positivi che quelli negativi costruttivi! Risponderò a tutti! Vi mando un bacio e ci vediamo al prossimo aggiornamento.