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Autore: lalisten    17/03/2013    3 recensioni
E solo quando una stupida coperta striminzita riuscì a coprire entrambi nello stesso divano che avrei tanto voluto bruciare in fiamme, solo allora capì quanto bello ed insaziabile fosse il nostro amore.
Tanto da bruciare a brandelli un qualsiasi Simon o una qualsiasi Melody di questo immenso e sconfinato mondo.
Perché eravamo degli stupidi. Degli stupidi che s’amavano follemente.
Del resto del mondo non c’importava.
[Mar/Thiago.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marianella, Thiago
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Del resto del mondo non c'importava.



A volte fa paura aprire gli occhi, perché quando li apri vedi tutto a testa in giù. Ed è questo che in realtà fa paura. I cambiamenti.
Come un bambino che gioca a nascondino chiudendosi gli occhietti credendo che così non lo vedano. Uno, a volte, chiude gli occhi come se così i problemi sparissero; come se morto il postino scomparissero le lettere.
Come se il dolore che sente non esistesse.
Aprire gli occhi ha il sapore di mela cotogna e formaggio.
E' dolce e salato.
Da una parte è come se si perdesse la magia, dall'altra ti liberi dall'inganno.
A volte quello che dobbiamo vedere è talmente orribile che preferiamo chiudere un occhio, chiudere il cancello e vivere in una città di cristallo, altre volte la bolla ci punge e non  possiamo fare altro se non guardare quello che non vogliamo vedere.
Il nostro cuore si stringe e noi rimaniamo senza aria, affogati.
Fa male aprire gli occhi.
Occhi non vedono, cuore non sente.
Meglio guardare da un altra parte, dicono. Mettere la testa nella terra, come fanno gli struzzi.
Però perché cambi qualcosa bisogna scoppiare la bolla, bisogna uscire dalla città di cristallo...aprire gli occhi e avere il coraggio di vedere.
Anche se ciò che devi vedere ti distrugge il cuore.


Erano rintocchi interminabili quella notte, come interminabili erano anche i rumori dello sbattere freneticamente della neve contro le vetrate della mia stanza. Mia stanza.
Suonava così strano alle mie orecchie.
Era da pochissimo tempo che alloggiavo nel piccolo appartamenti di Terremoto, che distava praticamente pochissimi isolati dall’Hogar Magico, eppure, già per mio padre era come se ci fossi da sempre.
Quando lo avevo fatto partecipe della mia stramba idea, di voler passare più tempo con lui, condividendo qualcosa di più che due paia di guantoni, la sua faccia non era stata una delle migliori.
Differentemente aveva reagito invece sua madre Dora, contenta del fatto che finalmente, a suo parere, avessi accettato, in qualche modo, Terremoto. Subito aveva voluto che vendesse la piccola casa in cui ormai, da anni praticamente, alloggiava, offrendosi personalmente di regalarcene qualcuna più accogliente, ma Terremoto aveva subito rifiutato, convincendola che quel poco spazio sarebbe stato sufficiente per due persone, e addolcendola con una delle frasi più sdolcinate che avessi mai sentito pronunciare da mio padre.
Così, mi ritrovavo lì.
Spaparanzata su un divano che avrei piacevolmente bruciato in fiamme e forzatamente rannicchiata in una di quelle coperte che parevano esser state scovate da dei vecchi scatoloni di spazzatura, incontrati per sbaglio in cantina.
I primi tempi avevo passato le notti insonne, perseguitata dai continui ronfi di lui, forti tanto da sovrastare l’enorme porta di legno massiccio che ci divideva, ma ormai, sembravo quasi averci fatto l’abitudine.

Il continuo rumore di quella neve non fece che aumentare quella poca, pochissima voglia che avevo di dormire.
Era stata una di quelle giornate cui avrei piacevolmente cancellato dalla mia memoria.
Ero contenta, in parte, di quello che mi stava accadendo, di me e Terremoto, ma era alla pari con l’odio che nutrivo per le mie decisioni stupide ed insane. Come potevo pretendere di stargli lontana?
Thiago era tutto. Maledettamente tutto.
E sì, lo sapevo quanto stupida ero stata anche solo a pensare di poterla fare finita con lui, ma al momento, era stata l’unica idea realmente buona a cui avrei almeno dovuto dare una chance.

“Allora, cos’è che si fa oggi, orsetto?”
“Oh, levati quel sorriso, Bedoya!” lo spintono, sorridendogli.  “Non credere che non sia ancora arrabbiata con te!”
“Avanti Mar, è Melody, cosa vuoi che me ne faccia? E’ una tua fantasia quella di averla guardata.”
Lo guardo severa.
“Ho occhi solo per te, Mar. Quando lo capirai?” si avvicina, accarezzandomi il viso.
Con uno di quegli sguardi che lo so, so perfettamente quanto invidia farebbero al mondo intero.
E ricado. Ricado in quella tentazione di baciarlo, e di dimenticare tutto quanto.
Sii forte Mar. Sii forte. Forza e coraggio.
Lo spintono, con sguardo torvo.
“Ahhh. Di certo, se ‘non te ne saresti fatto nulla’ della giraffa“ marco più duramente le sue parole, imitandolo “un anno fa non mi sarei ritrovata di certo con un paio di corna grosse così!”
Sbuffa.
“Hai detto bene, Mar. Un anno fa, non ora. Un anno fa. Cosa potevo saperne allora, dell’amore vero? Cosa mai me ne importava!” si giustifica, bagnandosi le labbra.
“Che?”
“Sì, Mar, sii comprensiva..un ann..” ricomincia, quasi dolcemente.
“Compr..che? Oh Bedoya!”
“Aguero. Bedoya Aguero.” mi interrompe.
“Non mi correggere!” gli grido contro. “Quindi lo ammetti, no? Lo ammetti che non t’importava nulla di me un anno fa! Lo ammetti che, ohh Thiago! Lo sapevo! Lo sapevo..
“Mar, io non ho detto questo..” ribatte calmo.
“Visto Jazmin?” grido alla gitana, intenta ad aprire il frigo. “Il signorino qua lo ha ammesso!” sbatto un piede sul pavimento. “Prima non l’importa della giraffa, e poi, lo ammette che avrebbe fatto pazzie per lei un anno fa! Ah, chiaro gitana? Hai capito? Io te l’avevo detto!” rido istericamente.
“Mar..” dice ancora.
“Niente Mar, Bedoya! Niente Mar! Marianella!” gli punto un dito contro, indietreggiando, e uscendo dalla cucina furiosa.
 
Sorrisi, tirandomi sino al collo la striminzita coperta.
E ancor di più, risi ripensando al momento in cui, istericamente, preparai la valigia.
Thiago appoggiato allo stipite della porta, il suo sguardo innocente, i suoi occhi che mi perforavano l’anima, senza alcuna parola.
Bambina un po’ lo ero stata in tutto, sempre.
Ma lui aveva cercato di far crescere quella bambina, forse un po’ troppo stupida, che lo amava alla follia.
Una palla bianca si scontrò contro lo spesso vetro della finestra.
Ancora. E ancora, e ancora.
Borbottai qualcosa di incomprensibile, alla ricerca di un paio di scarpe qualunque.
Me ne infilai un paio, afferrai la coperta e, attraversando la porta d’ingresso, scesi i tre scalini che portavano fuori il viale, coprendomi.

“Ahh, pensavo non l’avresti capito mai!” borbottò Thiago, lasciandosi cadere fra le mie piccole ma forzute braccia, ancora calde, sulla soglia della porta d’ingresso.
Aveva i jeans innevati, quasi la neve desse l’impressione di essersi attaccata al tessuto  per il tanto tempo passato su quel pavimento pieno, e il maglione, di un rosso talmente forte da far luce all’intero cielo nero, freddo, in contrasto con tutta quella neve intorno a noi.
Tenni la bocca chiusa per un po’, dischiudendola, ricordandomi di sbattere le palpebre, in caso fosse solo immaginazione.
Mi liberai della coperta che avevo indosso, posandogliela sulle spalle, e scaldandomi le braccia, sfregando le mani su di esse, fiatai.
“C-che ci fai, qui, Thiago? E’ notte fonda, fa..” mi guardai attorno, sorpresa” un freddo atroce, e Nico si arrabbierà da morire!” esclamai, tentando di fermare quelle stupide fossette tirate all’insù.
“Non riuscivo a dormire.” Rispose secco, alzando divertito le sopraciglia.
“Mh, e quindi, usi la tattica del sonnambulismo per venirmi a trovare? O semplicemente per sostare fuori casa m..di Terremoto?” domandai divertita.
“No Mar. E’ che mi mancavi.” Rispose con fare dolce.
“Oh Thiago, sei così..stupido!” gli accarezzai una guancia, avvicinandomi di qualche passo. “Lo sai che sei pazzo vero?” continuai.
“Credo che si sia capito che sia pazzo di una personcina..” ribatté. “Bellissima” aggiunse. “Magari un po’ isterica” continuò ridendo, anche dopo il mio leggero spintone “ma che mi fa vibrare l’anima da morire.” Concluse, prendendomi una mano. “Mar, quando la finiremo con tutto questo? Quando riuscirò, realmente, a farti capire quanto ti amo?”
“Ma io lo so.” Risposi, tornando un po’ seria.
“E allora perché tutto questo? Dimmi perché ci troviamo a congelarci qua fuori senza un perché che sia sul serio valido. Io, seriamente, ancora non lo capisco.”
“E che sono stupida..” ammisi, stringendomi nelle spalle.
“Ma io lo so.” Ripeté, sorridendomi. “E, proprio perché lo so, ti amo così come sei.”
“Lo sai che non dovresti..”
“No. Io so, che proprio per questo, non posso che amarti più. Perché sei stupida, Mar, lo siamo assieme.” Sorrise ancora, scompigliandosi quei capelli, tanto incasinati.
Lo stomaco mi si contrasse così tanto che credevo le gambe mi sarebbero cedute da un momento all’altro, impaurita al pensiero che potesse riuscir a sentire il movimento irrequieto del mio stomaco rivoltarsi tanto dalla sua presenza.
Quasi avessi una mandria di elefanti ad attraversarlo, e non piccole ed innocenti farfalle.
Lo guardai attentamente, tanto profondamente, con uno di quei sguardi che fino a quel momento non avevo mai rivolto a nessuno, se non a lui.
E solo quando una stupida coperta striminzita riuscì a coprire entrambi nello stesso divano che avrei tanto voluto bruciare in fiamme, solo allora capì quanto bello ed insaziabile fosse il nostro amore.
Tanto da bruciare a brandelli un qualsiasi Simon o una qualsiasi Melody di questo immenso e sconfinato mondo.
Perché eravamo degli stupidi. Degli stupidi che s’amavano follemente.
Del resto del mondo non c’importava.
  
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