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Autore: Valerie Clark    18/03/2013    0 recensioni
''Girano voci qui, strane voci di chi, senza coraggio, afferma di non essere mai nemmeno riuscito a decifrare il colore dei suoi occhi; sempre cangianti e fuggitivi.
Ma io ci scommetto, nessuno l’aveva mai capito perché non erano colorati quegli occhi, erano infiniti e l’infinito non è un colore. L’infinito non è una cosa alla portata delle menti di tutti. L’infinito ce l’hai tra le mani per un secondo e poi ti scappa, e così lei distoglieva, abile e veloce, lo sguardo.''
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Sopportare-

Sembrava che andasse tutto bene, in quel periodo, ma tanto con lei era così; un giorno andava tutto bene, il giorno dopo tutto male, quello dopo ancora sembrava una bambina il giorno di Natale e poi, tempo due ore, era di nuovo a pezzi. A volte cambiava umore persino nel sonno. Ci provava a spiegarmi che cosa avesse, lo giuro, poveretta, lei ci provava sempre, e non so se fossi io troppo stupido o lei poco chiara, ma non ci capivamo.
Scoppiava in lacrime mentre aspettava che si facesse il caffè;
Rideva di gioia ogni volta che il gatto si muoveva;
Si addormentava nella vasca da bagno, sul divano, per terra, con le coperte, senza coperte; si addormentava ovunque.
Entravo in camera e la trovavo a fumare, interrotta dai singhiozzi, e a ripetersi ‘Per favore, basta’, quasi implorando al suo corpo, alle sue cellule, alla sua mente o a qualsiasi cosa fosse rimasta di lei, di smettere di torturarla.
Era distrutta.
 
Sapevo che c’era il dolore, un dolore enorme, un dolore che l’accompagnava sempre, che non la lasciava in pace neanche il tempo di sciacquarsi la faccia. Un dolore che la stava mangiando, divorando.
 
‘Mi perseguita.’ Mi ha sussurrato piano una notte, con la voce bassa, come per non farsi sentire, ma ferma.
‘Chi?’
‘Non lo so! Qualcosa!’ Ha urlato scoppiando in lacrime.
Quando piangeva così non voleva essere toccata, lo sapevo bene. Voleva tenerselo per sé, quel suo dolore. Mi uccideva vederla lì, poco distante da me, con le unghie che graffiavano la carne e gli occhi rossi fissi nel vuoto, e sapere che qualsiasi cosa mi venisse in mente di fare, poteva solo farla stare peggio.
Prima di quei giorni non sapevo che un uomo potesse soffrire a tal punto.
 
Un venerdì pomeriggio, lo ricordo come se fosse ieri, è arrivata una lettera: era stata strutturata per un’audizione.
La volevano; volevano lei.
L’abbiamo aperta insieme, letta insieme, i nostri occhi si sono mossi velocemente tra quelle righe e poi lei ha sussurrato ridendo: ‘Vogliono me.’
Aveva un’aria così persa, così vaga, come se fosse sorpresa che qualcuno le avesse chiesto di ballare. Le leggevo in faccia il terrore. Avrei voluto dirle che sì, che certo che qualcuno la vuole vedere ballare, che è brava, che è perfetta. Avrei voluto dirle che non ero del tutto sorpreso, che bisognava festeggiare. Avrei voluto dirle che aveva una seconda possibilità, che era la cosa più bella del mondo.
Ma lei ha iniziato a ridere, una risata cattiva, una risata che non avevo mai sentito.
Ha tirato fuori l’accendino, si è accesa una sigaretta e ha cominciato piano a dare fuoco alla lettera.
Guardava le fiamme bruciare la carta e le scintille le si riflettevano negli occhi.
Mi faceva paura.
 
‘Non la voglio fare.’ Continuava a ripetermi quella notte, dopo aver singhiozzato tutto il pomeriggio perché no, lei l’audizione proprio non la voleva fare ed io il motivo non potevo capirlo.
Io me ne stavo lì e pensavo che la detestavo in quel momento, mentre mi costringeva a convincerla a fare una cosa che non sapevo se le avrebbe fatto bene o meno. E poi mi dava fastidio, mi faceva salire come una certa rabbia, come una gelosia, il fatto che ora, ora che era mia, qualcun altro la voleva.
‘È inutile che ti spiego il perché; non la faccio e basta.’
‘Non voglio convincerti, né tantomeno costringerti.’
‘Davvero?’  
‘Non lo so veramente.’
Ha fatto un respiro profondo e si è preparata a dirmi perché, dopo tutto quello che era successo, ora non voleva più ballare: se le avessero detto di no, o anche solo se avesse sbagliato un passo o mosso un muscolo quando non avrebbe dovuto, sarebbe stata per lei una delusione troppo grande da sopportare.
E non solo per lei, ma anche per chi la guardava, diceva. ‘Cosa penseranno?’ ‘Mi vergognerei da morire.’
Proprio non ci riusciva ad accettare il fatto che potesse sbagliare.
Non era proprio orgoglio il suo, era più paura. Una paura folle di non essere abbastanza.
Questa è stata l’unica cosa che ho capito, tra una lacrima e l’altra, ma sentivo che non potevo biasimarla; chi non ha paura?
 
‘Ma se non provi sarà come aver fallito in partenza.’
‘Ma almeno non lo saprà nessuno!’
 
Non voleva sentire ragioni, diceva che non ce la faceva, e ho lasciato perdere.  L’ho cullata, l’ho tranquillizzata, le ho dato piano un bacio e ci siamo addormentati lì, sul divano, come facevamo sempre. Mi ha sussurrato che mi voleva bene come non aveva mai voluto bene a nessun altro.
Prima di chiudere gli occhi l’ho stretta forte a me e ho pensato di essere davvero l’uomo più fortunato del mondo.
La mattina dopo mi sono svegliato con i suoi capelli che mi facevano il solletico sul collo. Ero felice; lei invece non si più svegliata.
   
 
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