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Autore: Nivees    19/03/2013    5 recensioni
[Mad Father]Un ragazzo carino, si ritrovò a pensare Coron mentre arrossiva. Aveva la pelle chiara, i capelli d'oro e degli occhi caldi e tristi puntati per terra, mentre avanzava all'interno di quell'ambiente ostile – e lui non sembrava affatto contento, diversamente da come lo era stata lei, sembrava tanto che avesse paura di qualcosa.
Quando l'uomo se ne andò, lasciando solo quel bambino, Coron prese coraggio e si avvicinò alle sbarre che divideva la sua cella con quella del nuovo arrivato e disse: «Ciao».

{ Dio/Coron | Tanti auguri, figlioccia adorata ♥ }
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Coron, Dio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Auguri, figlioccia mia!
La mia Ilaria oggi compie gli anni, e mi sono sentita in dovere di farle assolutamente un regalo – per quanto poco possa essere, comunque. Ebbene, cara, eccoti una storia su uno dei tuoi OTP... Ti aspettavi qualcosa su Ib? Nah, l'illuminazione mi ha colta per questi due cocchini qui di Mad Father. Questa Dio/Coron è tutta tua! ♥

Personalmente, adoro Dio – e sì, anche Coron, povera bimba ç.ç – e questo gioco è stato uno dei più belli che abbia mai giocato, quasi al pari di Ib e The Witch's House. Inutile dire che, ovviamente, anche in questo gioco il mio personaggio preferito muore, ma anzi!, qui parte addirittura già morto. Me ne farò una ragione. ;.;
Detto questo giusto per scrivere qualcosa in queste insensate note d'autore vi lascio alla lettura.
Regalo coniglietti bianchi a chi recensisce!
Niv.




Searching for

 

Più tempo passava, più Coron credeva che stare lì, in fin dei conti, non era male.
Aveva un tetto sopra la testa, una donna – che se ben ricordava, si chiamava Maria – ogni tanto le portava un po' di cibo, aveva un letto e qualche volta qualcuno le veniva anche a fare compagnia. Considerava quella vita migliore, rispetto a quella prima che quello strano uomo con gli occhiali la togliesse dalla strada: lei era sempre stata sola, non aveva mai avuto dei genitori amorevoli, né degli amici con cui divertirsi. Adesso, poteva considerarsi almeno un po' più fortunata: si trovava dentro una cella, in una casa che non conosceva, con un uomo che non sapeva cosa volesse da lei, ma viveva di certo più adagiamente di quanto avesse mai vissuto.
Erano solo tre giorni che si trovava lì, e già i suoi occhi avevano leggermente più colore e il viso un po' più pieno sulle guance. Quando si specchiava in qualche pezzo di vetro trovato per caso sul pavimento, spesso non riusciva nemmeno a riconoscersi: dov'era quella bambina smunta e sporca? Non era più lei, ed era contenta.
All'improvviso, la cella al fianco alla sua si aprì con un rumore assordante, attirando inevitabilmente la sua attenzione. Guardò lo stesso uomo con gli occhiali che l'aveva portata lì entrare con uno strano sorriso sul volto, e al suo seguito c'era un ragazzo.
Un ragazzo carino, si ritrovò a pensare Coron mentre arrossiva. Aveva la pelle chiara, i capelli d'oro e degli occhi caldi e tristi puntati per terra, mentre avanzava all'interno di quell'ambiente ostile – e lui non sembrava affatto contento, diversamente da come lo era stata lei, sembrava tanto che avesse paura di qualcosa.
Quando l'uomo se ne andò, lasciando solo quel bambino, Coron prese coraggio e si avvicinò alle sbarre che divideva la sua cella con quella del nuovo arrivato e disse: «Ciao».
Si sentì terribilmente in imbarazzo e non seppe nemmeno lei perché, ma quando il bambino sconosciuto la guardò quella strana tensione si sciolse in un sorriso. Sembrava così spaventato e lei voleva rassicurarlo in qualche modo.
«Ciao...» rispose lui, avvicinandosi alle sbarre, «Sei imprigionata anche tu?» sussurrò.
Lei annuì, «Sì. Ma vedrai che non è male» cercò di calmarlo, «Anzi, adesso sarà ancora meglio dato che ho qualcuno con cui parlare. Sai, prima ero quasi sempre da sola se non fosse stato per Maria che si fermava a chiacchierare con me quando mi portava da mangiare, invece adesso possiamo diventare amici e farci compagnia!» esultò tutta contenta.
«Va bene» ricambiò un sorriso anche lui, anche se era ancora un po' teso, «Io mi chiamo Dio. E tu?».
«Coron!».
Quella fu la prima volta che Coron incontrò l'unica persona che nella sua breve vita era riuscita a voler bene.

«Neh, Dio. Tu ce l'avevi una famiglia prima di essere portato qui?».
Seduti vicini, per quanto le sbarre lo potessero permettere, mangiucchiavano un piccolo pezzo di pane portato di nascosto da Maria senza che il dottore la vedesse, e nel frattempo non perdevano mai occasione di parlare.
Avevano solo quel modo per passare il tempo – e poi lei adorava sentire la sua voce e faceva dono di ogni parola che pronunciava. Lei non sapeva cos'era l'amore, né tantomeno qualcuno gliel'aveva mai donato, ma si rendeva ben conto che era felice al suo fianco, e che non voleva separarsi da lui tanto in fretta.
Era questo il motivo principale di quella domanda improvvisa: se lui aveva una famiglia da qualche parte ad aspettarlo, quando li avrebbero fatti uscire Dio sarebbe tornato dai suoi genitori... e avebbe lasciato di nuovo lei da sola.
«Avevo una mamma» mormorò il bambino, ingoiando prima di guardarla negli occhi, «Ma credo sia morta. Anche lei fu presa da quell'uomo che si spaccia come dottore molto tempo fa, e da allora non l'ho più vista».
«Non credi che forse ti abbia abbandonato?» osò chiedere. Dopotutto, i suoi genitori avevano abbandonato lei quando era ancora in fasce, chi lo diceva che lo stesso destino non era successo anche a lui?
«Non lo avrebbe mai fatto» affermò convinto, «Ricordo che mi voleva bene, e che non mi avrebbe mai lasciato di sua spontanea volontà». Coron non ebbe cuore di continuare ad insistere. Dio sembrava così convinto della lealtà della sua mamma che quasi l'avrebbe preferita morta, piuttosto che anche solo pensare che fosse andata via da qualche parte senza di lui. «E tu? Ce l'avevi una mamma?».
Coron scosse la testa, guardando in avanti. «No, non ce l'ho mai avuta» si limitò a dire, senza aggiungere altro.
«Ho capito». Vide con la coda dell'occhio Dio alzarsi in piedi, così anche lei alzò il viso verso di lui e lo guardò mentre le sorrideva, mettendosi una mano al petto, «Allora prometto che quando usciremo da qui, andremo a cercare mia madre ovunque lei si trovi, anche se è morta. E se per qualche miracolo è viva, tu resterai con noi».
«Eh? Che vuoi dire?» mormorò stupita, sperando tanto di non aver capito male.
«Voglio dire che farai parte della mia famiglia», il suo tono era tanto dolce quando mormorava quelle parole, e Coron non poté fare a meno di arrossire, per poi alzarsi in piedi ed esultare tutta contenta.
Quella fu la prima volta che Coron provò la sensazione di una qualche speranza ancora acerba nascere nel suo cuore.

Le sbarre della cella fecero un rumore assordante, quando si aprirono. Coron socchiuse appena gli occhi, indispettita da quel suono che l'aveva svegliata, e guardò la porta della sua cella. Ma quella era chiusa.
Aggrottando confusa le sopracciglia, guardò dalla parte opposta, nella cella di Dio. Il dottore e Maria stavano svegliando il ragazzino ancora dormiente nel suo letto – e non seppe perché, ma lo sguardo dell'uomo non le piacque molto, men che meno quello di Maria, che teneva gli occhi chiusi in un'espressione totalmente indifferente.
«Dove lo state portando?» sussurrò nel panico, completamente sveglia. Stavano portando Dio via da lei? Perché? Non voleva, lei voleva restare con lui per sempre, ed avere quella famiglia che non aveva mai avuto!
Il dottore non rispose, limitandosi a sorridere solo in modo alquanto sinistro che le mise paura. Maria uscì velocemente dalla cella, attendendo fuori che l'uomo fosse riuscito a prendere il corpicino scosso dai tremiti. Vide Dio svegliarsi di soprassalto, guardarsi attorno spaesato non capendo cosa stesse accadendo, per poi urlare mentre veniva trascinato via.
Coron non riuscì a fare altro che guardare quella scena in silenzio, bloccata nel suo letto presa dalla paura, per poi scoppiare a piangere come mai aveva fatto prima, sperando e pregando di poterlo rivedere presto, che Maria lo avrebbe riportato con sé quando sarebbe venuta a portarle il pasto quotidiano, che sarebbe tornato con il suo sorriso dicendole dolcemente che erano liberi e che adesso sarebbero potuti andare a cercare una casa tutta per loro. Insieme.
Pregò tanto finché non cadde di nuovo addormentata tra le lacrime.
Passò del tempo in cui niente accadde. Dio non tornò, Maria non venne a portarle del cibo, il dottore non portò altre persone nelle celle vuote di quei sotterranei. Era rimasta sola... ancora una volta.
Non sapeva affatto che cosa fare; sentiva dentro di sé di dover fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di rivedere Dio, ma era imprigionata là dentro e con le sue – poche – forze non sarebbe mai riuscita a scappare per poterlo ritrovare, ovunque egli fosse.
Quando ormai ogni speranza sembrava perduta, Maria tornò. Aveva tra le braccia un fagotto fatto con delle coperte, da cui uscivano delle gambe e delle braccia. Coron riconobbe all'istante che quello era Dio, non aveva alcun dubbio; tante volte aveva toccato quelle mani che vedeva ciondolare nel vuoto e aveva stretto quelle dita tra le sue – nonostante ci fossero delle sbarre a dividerli. Preferì non pensare al peggio, mentre si avvicinava cautamente alle sbarre e guardava la scena dove Maria posava con delicatezza Dio sul suo letto e se ne andava, senza proferire parola.
«D–Dio..?» sussurrò, con voce tremante, «Stai bene? Dio?».
Dio non rispose mai a quei richiami. Coron riuscì solo a vedere del sangue rosso macchiare le lenzuola del letto e colare copiosamente, fino a formare quasi una pozza sul pavimento. Fu inutile continuare a chiamarlo, allungare una mano in un vago gesto di raggiungerlo: Dio rimase immobile in quella posizione, tanto che nemmeno lei riuscì a capire se il ragazzo fosse ancora vivo o no. Non le rimase altro che piangere ancora, scivolando lungo le sbarre e abbracciandosi le gambe, con la sensazione che da quel momento in poi sarebbe rimasta da sola per sempre.
Quella fu l'ultima volta che Coron vide Dio, e l'ultima che restò in quel posto.

Il giorno dopo fu il suo turno. Venne svegliata in malo modo e trascinata via da quei sotterranei, tra urla e pianti, ma niente riuscì a impietosire l'uomo. Fu buttata malamente su un ripiano scomodo, vide Maria bloccare i suoi arti con delle cinghie strettissime che le fecero male – tanto che quasi non riuscì più a sentirsi i piedi e le mani.
L'ultima cosa che ricordava, furono le sue urla, le parole del dottore che le mormoravano che ʻavrebbe sentito un po' di dolore, ma sarebbe tutto finito in frettaʼ, qualcosa di appuntito che veniva infilzato nella sua carne e un improvviso fuoco che cominciò a bruciarle dall'interno – e dolore, tanto tanto dolore.
Quella fu l'ultima volta che il cuore di Coron batté, prima di fermarsi per sempre.


I suoi occhi si aprirono ancora una volta, però.
Coron si ritrovò di nuovo nella sua cella, stesa per terra. Non sentiva niente, nessun dolore. Nemmeno fame o sete. Si guardò attorno: nella cella al suo fianco non c'era nessuno. Persino il corpo di Dio, adesso, era scomparso.
Si rese ben conto che la porta della sua cella era aperta, e ghignò soddisfatta – ignorando il riflesso di se stessa su quella pozza d'acqua ai suoi piedi, che mostrava una bambina dalla pelle tendente al grigio, dagli occhi spenti e incavati.
Adesso poteva scappare, e andare a cercare quella famiglia che Dio le aveva promesso.

  
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