Capitolo 3
It’s time to go shopping!
Sorseggiai
qualche
goccia d’acqua dal bicchiere di vetro e, rivolgendo il mio
sguardo verso
l’immacolato pavimento della piccola cucina, tornai a
contemplare il vuoto.
‘Robert, piacere’ si era
presentato sorridente, tendendomi la mano.
‘Io sono Kristen.’
gli avevo
risposto, impacciata, afferrando quella mano forte e delicata al tempo
stesso.
‘Non sei di qui, vero?’
aveva
chiesto senza interrompere quel contatto e continuando a sorridermi.
‘Io..no.
Sono di Londra, in realtà. Mi sono trasferita qui da
poco.’
‘Io sono di Brighton!’,
sembrava
addirittura entusiasta.
‘Mi sembrava che il tuo accento non
fosse americano, in effetti..’ avevo
confessato sorridendo e per un
attimo mi ero sentita come a casa.
‘Ehi,
che ne dici di pranzare insieme? Potrei parlare con qualcuno che non mi
prende
in giro per la mia pronuncia, finalmente!’ mi aveva chiesto, massaggiandosi la
nuca, quasi fosse imbarazzato.
Senza volerlo, un sorriso si dipinse sulle mie labbra.
No! Mi ammonii mentalmente, Kristen non farlo. Non iniziare a sognare,
smettila!
Ma mi ha invitato a pranzo e mi conosceva
da qualche minuto appena!, intervenne l’altra voce.
Kristen ma l’hai visto?! Sembra un
modello! Farà così con tutte..apri gli occhi!!,
mi fece rinsavire la parte
ragionevole del mio cervello.
Già.
Era davvero bello.
Come potevo piacergli io?
Io così anonima. Io così insicura. Io
così…così io.
‘Posso sapere il motivo di quel sorriso ebete che hai dipinto
in faccia da
quindi minuti buoni?’ una voce interruppe il flusso dei miei
pensieri,
spaventandomi.
Poco ci mancò che il bicchiere mi sfuggisse dalle mani e si
infrangesse al
suolo, dando vita ad una letale –per i miei piedi scalzi-
cascata di schegge di
vetro.
Alzai lo sguardo e trovai Lindsey appoggiata allo stipite della porta
della
cucina, intenta a guardarmi. La mano destra posata sul fianco, in
attesa che le
dessi una risposta.
Arrossii e
cercai di nascondere il mio imbarazzo voltandomi verso il bancone di
granito
per mettere in salvo il bicchiere dalla mia pessima presa.
‘Beccata!’
strillò, eccitata come se le avessero regalato
l’ultima collezione
autunno-inverno di Valentino.
‘Stavi
pensando ad un ragazzo, vero?!?’ indagò con fare
inquisitore.
Elusi la sua domanda, fuggendo attraverso lo stretto corridoio con
l’intento di
raggiungere la mia camera e sigillar mici dentro per il resto della
serata.
Lindsey,
però, non era certo il tipo che si arrendeva facilmente e,
infatti, dopo
qualche istante, eccola lì. Con nonchalance si era buttata
sul mio letto, decisa
a non cedere fino a che non le avessi confessato la verità.
‘Dai Kristen, sputa il rospo! Chi è?!’
mi voltai verso di lei e, mimando il
gesto, sigillai le labbra con una chiave immaginaria e la gettai alle
mie
spalle.
‘Oh suvvia! Non puoi fare questo alla tua coinquilina
preferita, Kris! Chi è?!’
insisté.
Finsi di riordinare la scrivania, già perfettamente
ordinata, e non le prestai la
benché minima attenzione, ma un sorriso sfuggì al
mio controllo e si distese
sul mio viso.
‘Kristen, chi è?? Non voglio essere impicciona,
voglio solo sapere chi ti rende
così allegra!’’ continuò
imperterrita.
Mi volsi verso di lei e la guardai storto.
‘Ok, ok, sono un’impicciona! Ma ti
prego…’ ammise e assunse l’aria da cane
bastonato ingiustamente per farmi sentire in colpa.
‘Ehi! Non è valido cercare di intenerirmi
facendomi gli occhioni dolci!’
protestai, ormai conscia che di lì a poco avrei ceduto.
‘Oh, si che è valido, carissima! Tutto
è lecito in guerra tra coinquiline!’
ribatté
con fare giudizioso.
‘Ma il detto non era: tutto è lecito in guerra e
in amore?!’ la schernii.
‘Poche
ciance, donna. Sputa il rospo.’ Sorrise risoluta.
Mi arresi. Le raccontai tutto per filo e per segno.
Lindsey ascoltò rapita e rise quando accennai vagamente alla
caduta e alla mia
difficoltà a rimanere lucida in presenza di Robert, ma si
maledì quando le
dissi che avevo rifiutato l’invito a pranzo, per lei.
Un momento. Cosa?! Che mi ero persa?
‘Shopping? E perché?’ le
chiesi confusa.
Lindsey
sospirò con fare sconsolato. Si passò una mano
sugli occhi e poi afferrò il
cuscino azzurro e bianco che si trovava dietro di lei.
Oh-oh.
‘Kristen.
Jaymes.
Stewart. Non. Dirmi. Che. Ti. Sei. Dimenticata. Della. Festa. Di.
Benvenuto.
Per. Le. Matricole. Di. Cui. Ti. Parlo. Da. Più. Di. Una.
Settimana!’ mi urlò
ridendo accompagnando ogni parola con una cuscinata. Tentai di
proteggermi il
viso con le mani e cercai invano di arretrare per evitare i suoi colpi.
Quando
finalmente si fermò, scoppiai a ridere e fingendo di
raccogliere qualcosa dal
pavimento, afferrai il cuscino verde ai piedi del letto e glielo
lanciai in
piena faccia prendendola alla sprovvista. Ovviamente non se lo
aspettava e
rimase esterrefatta.
‘Oddio
Lindsey’ tentai di parlare, nonostante mi mancasse il fiato
dal troppo ridere.
‘Dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Sei
esilarante!!!’. Scoppiai
di nuovo, tenendomi la pancia.
‘Ah ah ah, davvero molto divertente, londinese!’
disse con fare fintamente
acido. ‘Me la pagherai cara. E quale migliore occasione che
non un bel
pomeriggio intensivo di shopping. Ah ah, vedremo chi riderà
per ultimo!’
aggiunse sorridendo.
Tornai
seria e sbiancai.
COSAA?!?!
‘No…ehi Lindsey, io scherzavo. Cioè
insomma…tu lo sai che io odio fare shopping
e poi comunque non credo di venire alla
festa….sai…ehm…non sto troppo bene e
poi domani devo svegliarmi presto per andare a lezione…non
posso fare tardi.’
Dissi accaparrando scuse su scuse.
Tutto pur
di evitare la festa. Già avevo poca autostima, se poi dovevo
anche confrontarmi
con tutte le ragazze dell’università le avrei
detto addio definitivamente. E
poi…si stava così bene in compagnia di un buon
libro.
‘Punto
primo: tu stai benissimo. Punto secondo: domani
l’università è chiusa perché
è
domenica. Punto terzo: smettila di cercare scuse inesistenti. Punto
quarto:
prendi la borsa che dobbiamo andare…’ mi
urlò dal corridoio verso il quale si
era avviata.
‘Ma
Lindsey..sul serio io non st…’cercai di
convincerla.
‘Punto quinto: muoviti immediatamente o ti vengo a prendere
di peso, tesoro.’
Mi interruppe senza troppi giri di parole.
Era
inutile. Tutto inutile. Doveva sempre averla vinta lei.
Accidenti!
‘Dittatrice..’
mormorai a denti stretti, ormai rassegnata. Afferrai la borsa e il
cappotto e
mi avvia verso la porta dove la mia ‘dolce’
coinquilina mi stava aspettando con
una mano destra sul fianco e un sorriso a trentadue denti stampato sul
viso angelico.
‘Ci divertiremo un sacco, vedrai!!’
trillò abbracciandomi quando fummo sul
pianerottolo di casa.
‘Lo sapevo
che saresti venuta!’ aggiunse iniziando a scendere le scale.
Come se avessi avuto altra scelta,
pensai sconsolata e mi lasciai trascinare da un negozio
all’altro per tutto il
pomeriggio.