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Autore: HeartBreath    19/03/2013    1 recensioni
[SPOILER 2X17]
Ad attenderlo c'erano anni lunghi e monotoni, ma si era preparato molto tempo fa. Il suo piano era iniziato molto prima che la maledizione venisse scagliata, non doveva fare altro che continuare a seguirlo.
Avrebbe tenuto d'occhio tutti quegli insulsi burattini danzanti. E, soprattutto, avrebbe tenuto d'occhio Regina.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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ATTENZIONE: Contiene spoiler dell'episodio 2x17.
Il resto può aspettare la fine della lettura :D






La prima cosa che passò per la mente del Signore Oscuro appena riprese coscienza del mondo, era che non dormiva così profondamente da quando ne aveva memoria.

Non si sentiva più riposato del solito – la sua esistenza arrancava ogni giorno con la stessa, piatta energia -, ma aveva l'impressione di aver dormito di più, come se nel frattempo si fosse perso qualcosa. D'altronde, il suo sonno era sempre stato piuttosto leggero, perché capitava spesso che qualcuno richiedesse i suoi servigi in piena notte. Perché era di notte che i cuori si spezzavano, le tragedie assalivano i popoli, le vite sarebbero state disposte a pagare qualsiasi prezzo per essere salvate. Invece stavolta, Tremotino si sentiva come se niente fosse stato capace di svegliarlo per ore, ore, ed ore.

Fu colpito da una luce molto più intensa di quanto non si aspettasse: nelle prigioni dei nani, il sole non irrompeva mai così violentemente. Non che questo gli dispiacesse. Anzi, questa era l'unica cosa rimasta uguale a quando dimorava nel suo castello: l'oscurità.

Girò la testa dall'altra parte rispetto alla fonte di tutta quell'odiosa luce, come un vampiro, e solo allora i suoi occhi furono liberi di aprirsi col minor fastidio possibile.

Inizialmente la sua vista era offuscata, ma già da allora ebbe l'impressione di non riconoscere le figure sfocate che guardava.

Il suo corpo riprese la sensibilità persa nel sonno, e allora Tremotino si accorse di non essere steso su quell'asse di legno che i nani avevano soprannominato “letto”. La sua testa poggiava su un cuscino, il suo corpo era adagiato su un vero materasso e avvolto da pesanti coperte.

Si sforzò di mettere a fuoco ciò che lo circondava e, mentre sollevava la schiena e si sedeva, capì.

L'ultima cosa che ricordava, era di aver sentito arrivare la nube di tuoni e sofferenza che avrebbe fatto iniziare tutto.

Quello non era più il suo mondo.

La maledizione l'aveva distrutto, e tutto il popolo del suo regno era stato mandato .

Con una certa, infantile curiosità, Tremotino fece per saltare giù da quell'ampio letto e vedere di più di quel nuovo mondo.

Appena cercò di sollevarsi in piedi con le proprie gambe, una fitta familiare gli fece scappare un rantolo di dolore, e sedere di nuovo sul letto.

Ma certo. La magia non gli scorreva più nelle vene, non c'era più nulla che curasse la ferita al piede.

Questa era una seccatura imprevista, ma pensò subito di poter sopravvivere lo stesso. D'altronde, aveva sempre saputo che quel mondo era senza magia e, quindi, di dover rinunciare a tutte le comodità che essa gli aveva garantito. Ma, se non altro, Regina gli aveva promesso che avrebbe vissuto di rendita nel nuovo mondo. Almeno avrebbe avuto la libertà che Cenerentola gli aveva tolto, e il potere sufficiente per controllare la situazione finché non fosse arrivata la Salvatrice – Emma, Emma, Emma, Emma, Emma...

Ad attenderlo c'erano anni lunghi e monotoni, ma si era preparato molto tempo fa. Il suo piano era iniziato molto prima che la maledizione venisse scagliata, non doveva fare altro che continuare a seguirlo.

Avrebbe tenuto d'occhio tutti quegli insulsi burattini danzanti. E, soprattutto, avrebbe tenuto d'occhio Regina.

Istintivamente, il suo sguardo andò su un comodino accanto al letto, e lì ci trovò appoggiato un bastone pregiato, nero con un'impugnatura d'oro. Proprio nel suo stile. Lo osservò per diversi istanti, prima di afferrarlo. Lo incuriosiva e insospettiva allo stesso tempo: era come se stesse lì ad aspettarlo, come se ce l'avesse messo proprio lui la sera precedente, prima di addormentarsi.

E per un istante gli sembrò di vedere l'ombra del suo braccio che si allungava per appoggiarlo...

Scosse la testa freneticamente. Impossibile, era uno sciocco scherzo della sua mente. Era appena arrivato lì, come avrebbe potuto ricordare di aver posato il bastone, se non era mai successo, se non l'aveva mai visto prima, se non ne aveva avuto bisogno per anni?

L'istinto del Signore Oscuro, fece stare Tremotino allerta. Corrugò la fronte e si convinse che non aveva nulla da temere: prese il bastone e lo usò per sorreggersi.

Fece un passo e usò la fermezza del legno per fare l'altro.

La zoppia è come andare in bicicletta, pensò. Una volta che hai imparato, non lo dimentichi più.

Un istante dopo si chiese come facesse a sapere cos'era una bicicletta.

Era sveglio da pochi minuti, ma quella situazione diventava sempre più strana ogni secondo che passava.

Arrancò senza meta per la stanza, finché lo sguardo non gli andò sulla mano.

Venosa, con i segni della vecchiaia che aveva sempre detestato – e un anello azzurro mai visto prima, ma che gli piacque da subito -, le unghie non più nere e lunghe.

Fece dietro front e andò verso uno specchio in fondo alla stanza, attaccato al muro.

Fissò la propria immagine con la piacevole sorpresa di rivedere un vecchio amico incontrato per caso. I suoi occhi non erano più neri come la pece, la sua pelle era normale, senza squame, i capelli lisci e argentei.

Ecco l'unica cosa che gli era mancata della mortalità: l'aspetto di un uomo normale. L'oscurità nella sua anima l'aveva reso a dir poco orrendo. E questo non gli aveva creato particolari problemi, perché il Signore Oscuro doveva essere spaventoso, e coprire gli specchi del suo castello non lo costringeva a guardare quell'inquietante viso.

Ma dentro di sé, aveva sempre saputo di essere un mostro. Dentro e fuori.

Nel suo aspetto normale, la sua anzianità si notava molto di più, ma lo preferiva di gran lunga.

Tremotino prese un pesante respiro col naso e tornò sui suoi passi, oltrepassando di nuovo il letto e andando alla finestra.

Attraverso il vetro, vide una distesa di edifici, case di colori modesti e chiari, volti lontani e innocenti - un po' diversi da come li conosceva. Una città. Non più un regno, ma una città.

Una città che si svegliava al sorgere del sole, pronta a vivere una giornata che si sarebbe ripetuta all'infinito.

Per ventotto anni.

Tremotino pensò che avrebbe fatto meglio a prepararsi anche lui. Aveva intenzione di spendere al meglio il tempo in quel posto sconosciuto.

Al suo risveglio seguì una serie di cose che non aveva idea di sapere. Usare l'acqua corrente, una macchinetta per il caffè, cosa fosse il caffè, dove fossero i suoi vestiti, come annodare una cravatta. Cosa contenesse un portafogli.

Dentro al suo – di pelle marrone scuro -, infilato nella tasca di una giacca, Tremotino cercò subito i documenti.

Trovò la carta d'identità, con stampata sopra una foto senza il minimo sorriso.

E il suo nome.

Tremotino lesse quelle lettere e sulle labbra si accennò un ghigno divertito.

Gold, c'era scritto.

Gold...

Oro.

La maledizione, d'altra parte, era una sua creatura: piena di ironia, esattamente come lui.

Si rimise in tasca il portafogli con la sua nuova identità dentro, e uscì in strada.

Appena mise piede sul marciapiede al di là del giardino, voltò lo sguardo verso destra, e i suoi piedi si mossero da soli.

Sapeva già dove doveva andare.

Sempre più singolare, pensò.

Attraversò le strade principali della città e osservò più da vicino il suo operato. Era tutto così tranquillo, genuino, naturale. E gli abitanti sembravano abituati a tutto questo. Tremotino conosceva ognuna di quelle persone, ma riusciva a riconoscerle solo guardandole in faccia: tutto il resto del loro aspetto era completamente diverso. Adesso tutti erano così ordinari, così banali. Come lui, del resto.

L'assenza di magia aveva reso il Grillo Parlante di nuovo umano, Cappuccetto Rosso incapace di trasformarsi in un lupo, Cenerentola una semplice ragazzina incinta, la Fata Turchina la madre superiora di un convento.

Mentre camminava accompagnato dal freddo vento autunnale, la curiosità vinse su di lui e si guardò intorno in cerca di un volto in particolare. E, come se l'avesse chiamata, la vide uscire da quello che sembrava una locanda di proprietà della nonna di Cappuccetto Rosso, con un caffé in mano.

Camminava impacciata e timida, non certo come una principessa avrebbe dovuto presentarsi. I suoi capelli non erano più una cascata di lunghe ciocche corvine, ma a malapena le circondavano la testa ora. La gonna lunga azzurra che spuntava da sotto la giacca chiara, sicuramente, era nel suo stile, ma ben poco regale.

Ma dopotutto, Biancaneve era sempre la più bella del reame.

Tremotino era piuttosto divertito da come tutto sembrasse normale in quella situazione, come se non fosse successo nulla. Quella ragazza aveva partorito poche ore fa, e adesso camminava per strada ignara della nascita di sua figlia – Emma, Emma, Emma, Emma, Emma... -, della gravidanza, di essere la causa del mancato lieto fine di tutti. Biancaneve ora si confondeva tra la folla, probabilmente si credeva una donna come tante senza una particolare importanza nel mondo. Ma quella città era un enorme palco scenico, e su di lei era costantemente puntato il riflettore di Regina.

Biancaneve guardò l'orologio di sfuggita e trasalì, Tremotino riuscì a notarlo dall'altra parte della strada: la vide iniziare a correre. Probabilmente era in ritardo per qualcosa.

Svicolò in una strada laterale giusto in tempo per non incontrare Regina.

Tremotino riuscì a stento a trattenere una delle sue inquietanti risatine. Regina era sul marciapiede opposto al suo, vestita di una giaccia pesante e un abito scuro, che si guardava intorno curiosa e sbalordita esattamente come lui.

Prima che lo sguardo di quella strega gli arrivasse addosso, Tremotino assunse un atteggiamento vago. Ricominciò a camminare ad un'andatura regolare, si finse distaccato da qualunque cosa vedesse, come se nulla fosse diverso dal giorno prima. Non la guardò più, perché sapeva che lei lo avrebbe notato presto.

Perché far sapere a Regina che la maledizione non prevedeva che anche l'Oscuro dimenticasse di essere tale?

Era molto più conveniente farle credere di non sapere più nulla sulla verità di quella città. Al momento dell'arrivo della Salvatrice, sarebbe stato un vantaggio non indifferente agire senza gli occhi sospettosi di Regina addosso. E, doveva ammetterlo, prenderla in giro era un divertimento che non riusciva a negarsi mai.

Passò accanto alla scala sopra la quale Geppetto stava riparando un'insegna, e solo guardando in alto ne notò un'altra poco lontano. Sopra c'era stampato a lettere cubitali il suo nome. Cioè, il suo nuovo nome.

Prima ancora di potersi fare domande, la sua mano si era già infilata nella tasca della giacca e dentro c'aveva trovato delle chiavi. Subito dopo, una parte di sé gli diede dello stupido per non esserselo ricordato: le chiavi erano sempre state lì.

Aspetta: cosa!?

Il suo respiro si smorzò.

Ci stava quasi per cascare.

Era colpa della maledizione, stava cercando di risucchiarlo nella routine che avrebbe sopportato per ventotto anni, convincendolo, già dal primo giorno, che non aveva mai avuto inizio.

Tremotino doveva solo continuare a ripetersi che niente era vero, niente era definitivo, presto sarebbe finita.

E il suo piano sarebbe passato alla fase successiva.

La fase finale.

Era un sollievo pensare che tutto ciò per cui aveva lavorato, distava di una sola parte del progetto. Una parte, e ventotto anni.

Ne sarebbe valsa la pena.

Baelfire ne sarebbe valso la pena, sempre.

Tremotino aprì la porta di quell'edificio apparentemente di sua proprietà, e quando vi entrò, capì che non c'era pericolo di dimenticare chi fosse realmente.

Si trovò davanti un emporio, un negozio pieno di oggetti che riconosceva. Erano soprammobili del suo castello, cianfrusaglie che aveva preso come ricompensa per la sua assistenza, oggetti appartenenti ad altre persone.

Ognuna di quelle cose raccontava una parte della storia di Tremotino, demonio centenario, mago dalle mille risorse, stratega senza eguali, diabolico mostro.

Quell'emporio sarebbe stato la sua ancora, un modo sicuro per ricordare in ogni momento la verità.

Grazie a tutto quel ciarpame ammassato in uno spazio minimo, il signor Gold non avrebbe mai dimenticato di essere il Signore Oscuro.









Piaciuta? Spero di sì, perché inquadrare un personaggio come Tremotino è davvero un'impresa, e questa è la prima volta che provo a pubblicare qualcosa su di lui.
La visuale del Day One di Regina a Storybrooke nell'episodio 2x17 mi ha ispirata, mi sono chiesta subito come sia stato per Tremotino ritrovarsi sulla Terra.
E la storia della maledizione che autoconvince la gente di aver avuto un passato a Storybrooke è totalmente inventata, ho pensato che fosse più semplice che scrivere di tutti i procedimenti di Tremotino e Regina per capire come vivere nel nostro mondo :)
Che altro posso dire? Fatemi sapere se non è troppo OOC oppure se lo è, così potrei anche regolarmi per scrivere altro in futuro.
Tanti baci, alla prossima!

V

  
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