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Autore: Barbycam    08/10/2007    3 recensioni
[...]<< Oh, buon giorno signorina…? >> ad accoglierla fu proprio la donna in viola, la professoressa che urlava contro il coach in presidenza. Maxime sgranò gli occhi e cercò di indietreggiare, ma la mano della signorina Anders sulla sua schiena la fermò, spingendola dolcemente in avanti.
<< Maxime Connelly, buon giorno a lei. >> rispose cauta la ragazza, entrando in classe. Non l’avesse mai fatto! In seconda fila c’era il capellone!
<< Questa è una persecuzione! >> esclamarono contemporaneamente lei e il capellone, per poi scoccarsi uno sguardo di sfida.
<< Qualche problema, signor Danforth? >> gorgogliò la professoressa, facendo tacere tutti. Il ragazzo scosse la testa, mentre Maxime si andava a sedere nell’ultimo posto in fondo.[...]

UUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUHHHHHHHHHHHHHHHHH sono tornata! Commentate, eddai ^^ Kiss a tutti!
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Quello che non sai

Quello che non sai

 

 

<< NO! No, no, no, NO! Anita! Io non ci vado a scuola! >> urlò una ragazza dai lunghi capelli rossi. Si chiamava Maxime, ed era francese da parte di sua madre. 

<< E invece sì, ragazzina! Tuo padre vuole che tu vada a scuola e tu ci andrai, capito? >> le rispose sempre urlando la sua matrigna, una donna dagli occhi color cioccolato come i capelli.

<< NON ME NE FREGA UN CASPIO DI QUELLO CHE DICE PAPÀ! MI BUTTERANNO FUORI ANCHE DA LÌ, SENZA CHE IO ABBIA MAI FATTO NULLA! NON CAPISCI, NELLE ALTRE TRE SCUOLE SONO STATI ALTRI, IO NON HO MAI FATTO NIENTE! OH, MA COSA CI PARLO A FARE CON TE, NON CAPISCI UN CAVOLO! >> sbottò la ragazza, prendendo il cappotto ed uscendo di casa, sbattendosi la porta alle spalle. Quella matrigna del cavolo… attaccò la musica del suo lettore Mp3 e si mise le cuffiette alle orecchie. Partì Once Upon A December di Anastasia, il cartone. Sorrise. L’amava quella canzone. Sua madre gliela cantava spesso prima di farla addormentare, prima che morisse per l’incidente d’auto. Sentì le lacrime punzecchiarle gli occhi verdi, ma si trattenne. Cominciò ad intonare la canzone, si calò bene il cappellino sugli occhi e andò avanti, senza avere una direzione precisa. Si trovò a vagare per una cittadina che non era la sua. Un parco che non era il suo. Si trovò davanti ad una scuola che non era la sua. Che non sarebbe mai stata sua, neanche se ci avesse provato veramente.

<< Ehi bambola! Guarda che la scuola è di qua! >> le annunciò una voce maschile da dietro alle spalle. Imperterrita, la rossa continuò a camminare, cantando sempre più forte.

<< Tesoro! Che hai sei sorda? Oh, stai ascoltando la musica… ma stai cantando Anastasia?? Una bambina! >> rincarò il ragazzo dietro di lei. Maxime si voltò verso di lui e lo quadrò da testa a piedi. Sicuramente doveva essere uno sportivo, dato che aveva in mano una palla da basket e aveva dietro di sé una mandria di ragazzi con gli stessi vestiti.

<< Hai sbagliato parte, genio. La stalla è di là. Di certo tu e i tuoi caproni non vorrete arrivare in ritardo per la razione giornaliera di croccantini. >> gli rispose a tono Maxime. Incrociò le braccia al petto, mentre si godeva l’espressione scandalizzata del ragazzo in prima fila, che addirittura aveva perso di mano il pallone! Solo un ragazzo dietro a lui, sorrise divertito. Si avvicinò alla ragazza, che lo squadrò.

<< Troy, piacere, tu? >> si presentò, porgendole una mano. Lei ghignò. Tanto non l’avrebbe mai visto, no?

<< Maxime. >> afferrò la mano e la strinse con forza. Troy la guardò bene. Era bella, molto bella, con i capelli rossi corti e gli occhi verde sfavillante. Portava una maglia a maniche corte nera che le arrivava fino a coprirle la vita, una minigonna bianca e degli anfibi da militare neri. Il cappellino nero.

<< Francese? >> domandò, inarcando un sopracciglio, Troy. Maxime sorrise.

<< Solo per metà. >> gli rispose. Lo squadrò bene. Era un caprone, ma era diverso. Aveva i capelli castani, gli occhi azzurri brillanti e un viso simpatico. Portava dei pantaloncini rossi e bianchi, con delle scarpe da basket bianche e una canottiera bianca con disegnato un grande gatto rosso. << Basket? >> continuò la ragazza, indicando i compagni di gregge di Troy. Lui annuì.

<< Pure francesina? Lo sai che sono le più facili? >> esclamò nuovamente il ragazzo di prima, dopo essersi ripreso e dopo aver recuperato la palla. Maxime lo guardò con il veleno negli occhi. Con stremata lentezza, alzò il polso, poi con un sorriso d’angelo alzò anche il dito medio, scandalizzando ancora di più il ragazzo davanti a lei. Brutto non è, peccato sia stupido. Pensò scoraggiata la ragazza, con uno sbuffo. Il ragazzo davanti a lei era di colore, i capelli ricci tenti indietro da una fascia rossa, vestito alla stessa maniera di Troy e con gli occhi nocciola scuri.

Senza dire una parola, il gregge cominciò a dileguarsi, diretti dentro all’edificio.

<< Ehi amico, vieni o stai ancora con la francesina? Abbiamo gli allenamenti! >> il ragazzo dai capelli ricci chiamò Troy, rimanendo ultimo dalla fila per aspettare il suo amico. Troy scosse la testa e si allontanò da Maxime correndo.

<< Ah, ci si vede, Max. >> sorrise e sparì all’interno dell’edificio con un braccio dell’altro ragazzo sulle spalle. Maxime si sedette sul bordo della fontana, mentre la musica continuava a scorrere nelle sue vene. Chi diavolo era quel ragazzo? E quel Troy? Chi erano tutti quelli lì? Ma non si trovò risposta. Prese il cellulare e scrisse un breve messaggio alla sua migliore amica, Marie, in Francia. - I miss U. L - e lo inviò. Poco importava se aveva speso una cifra enorme per mandare quel messaggio dall’altra parte del mondo. Marie era l’unica cosa che le rimaneva della Francia, la sua Francia. La nazione che l’aveva vista crescere e sognare. Purtroppo, dopo la morte di sua madre, avvenuta tre mesi prima, il padre aveva avuto la grandiosa idea di ritrasferirsi in America. Nonostante Marie avesse tentato in tutti i modi di tenere Maxime con lei, non c’era stato verso, così la sua migliore amica era partita per il New Mexico. Ad Alberqueque precisamente, un paesino isolato, con un solo liceo. La rossa così aveva dovuto impararsi alla perfezione l’inglese per quella stupida ed improvvisa partenza. La cosa divertente in tutto questo, era che il suo caro paparino si era bellamente innamorato di una donna che l’aveva spinto a ritrovarsi le origini. Che bella cosa, aveva subito pensato Maxime, peccato che il suo adorato genitore l’avesse mollata con la matrigna a casa, da sole, per due settimane intere.

Così presa dai suoi pensieri (che comprendevano l’uccisione della matrigna provando a farle passare le peggiori sofferenze che una donna di mezza età potesse sopportare), non si accorse di essere trascinata da un gruppo di ragazzi all’interno dell’edificio nel quale, poco prima, erano spariti i caproni. In men che non si dica si trovò all’interno e si coprì gli occhi con le mani, tanto era bianco. C’era un via vai di gente da far venire la nausea, e sulle porte di vetro c’era un piccolo foglio bianco. - La signorina Maxime Connelly è desiderata in presidenza. – diceva il biglietto. Maxime sgranò gli occhi, non capendoci più nulla.

<< Grandioso, e dove cavolo è la presidenza?? >> ringhiò a denti stretti. Il primo giorno di un nuovo anno. Un nuovo anno di sventure che tutti, come sempre, avrebbero addossato alla nuova arrivata. Con i neri a fior di pelle, la ragazza picchiettò la spalla del primo ragazzo che si trovò davanti. Questo si girò e la guardò negli occhi sconvolto.

<< No, ancora tu no! >> sibilò, riducendo gli occhi nocciola a due spilli velenosi.

<< Stai pur certo che se sapevo che eri tu non ti disturbavo. Ho interrotto la vostra riunione? Dovete decidere chi diventa capo branco? >> ribatté lei, incrociando le braccia al petto, indispettita.

<< Cosa vuoi? >> fece il ragazzo, abbassando il capo per fermarlo a pochi centimetri dal viso della rossa. Questa si leccò le labbra e schioccò la lingua all’interno della bocca, come se ci stesse pensando su.

<< La presidenza. >> rispose, sventolando il foglietto che aveva strappato dalla porta a vetri. Il ragazzo cominciò a giocare con la palla, passandosela da una mano all’altra, facendola di tanto in tanto girare su un dito. Esasperata, Maxime alzò gli occhi al cielo e se ne andò per il corridoio gremito di studenti.

<< Sempre dritto poi alla prima a destra. Non ti puoi sbagliare, la porta è l’unica nera. >> si sentì urlare da dietro alle spalle. Alzò la mano senza voltarsi, giusto per far capire che aveva capito. Oh beh, tanto non ho nulla da perdere. Pensò, mentre svoltava a destra, come le aveva indicato il ragazzo. Effettivamente aveva ragione, c’era un’unica porta nera e probabilmente era quella della presidenza. Bussò ed aspettò qualche secondo che le dicessero di accomodarsi. Dopo poco, una donna con i capelli neri e gli occhi nocciola le fece segno di entrare, sfoderando un sorriso a 32 denti. La fece accomodare in una piccola saletta, probabilmente era la sala d’attesa. Sentì da dietro ad una porta delle urla, e si spaventò non poco.

<< Oh, non preoccuparti tesoro. Sono il coach Bolton e la professoressa Darbus che litigano. >> la rassicurò la donna. Maxime si risedette diligentemente ed aspettò che i due finissero d’urlare. Questo accadde dopo una decina di minuti, quando la porta della presidenza, come covo del Diavolo, si spalancò. Ne uscirono un uomo ed una donna, che si guardavano in cagnesco. Lui portava una tuta come quella di Troy e del gregge, mentre lei un lungo vestito violetto con uno scialle dello stesso colore. La montatura degli occhiali com’era? Esatto, violetto. Che fantasia..., commentò mentalmente la ragazza, mentre i due passavano davanti a lei. Senza aspettare l’invito, entrò nel covo, chiudendosi la porta alle spalle.

<< Se non sbaglio, lei dovrebbe essere la signorina Connelly, esatto? – Maxime annuì. – Molto bene, ben venuta alla East High School! Io sono il preside Matsui, mentre la donna che l’ ha fatta entrare è la signorina Anders, la segretaria. Per qualunque cosa si rivolga a lei, io provvederò. Ora, veniamo a noi, lei è nella classe… oh, eccola, nella classe 3^ A. Ecco la pianta dell’edificio, è bene che la memorizzi subito. Se non le dispiace vorrei parlare con sua madre. >> l’uomo le porse un foglio con una serie di quadrati e rettangoli che Maxime non inquadrò immediatamente come stanze e laboratori. Rimase a fissarla per un po’, poi si riscosse quando si accorse degli occhi dell’uomo puntati addosso.

<< Oh, ehm… mia madre è morta tre mesi fa, mio padre ha intrapreso l’altro ieri un giro per l’America per riscoprire le sue origini e non tornerà prima di due settimane. La persona che è più simile ad un famigliare per me sarebbe mia zia in Francia, ma non credo che abbia tempo e voglia di venire qui. >> si affrettò a rispondere. La sua matrigna non era una sua parente. Per quanto cercasse di prendere il posto di sua madre, non lo era e non lo sarebbe mai stata.

<< E la signora Rammar? >> Maxime fece una smorfia con la bocca.

<< La mia matrigna. Beh, ecco, le do il numero. Io e lei non siamo in buoni rapporti. >> spiegò con un sorriso falso sulle labbra. Scarabocchiò con la sua grafia elegante una decina di cifre su un foglio bianco, per poi passarlo al preside. Questo annuì spaesato, poi la fece accompagnare dalla signorina Anders in classe. La donna bussò alla porta e una voce baritonale, difficilmente riconducibile a quella di una donna, li invitò ad entrare.

<< Oh, buon giorno signorina…? >> ad accoglierla fu proprio la donna in viola, la professoressa che urlava contro il coach in presidenza. Maxime sgranò gli occhi e cercò di indietreggiare, ma la mano della signorina Anders sulla sua schiena la fermò, spingendola dolcemente in avanti.

<< Maxime Connelly, buon giorno a lei. >> rispose cauta la ragazza, entrando in classe. Non l’avesse mai fatto! In seconda fila c’era il capellone!

<< Questa è una persecuzione! >> esclamarono contemporaneamente lei e il capellone, per poi scoccarsi uno sguardo di sfida.

<< Qualche problema, signor Danforth? >> gorgogliò la professoressa, facendo tacere tutti. Il ragazzo scosse la testa, mentre Maxime si andava a sedere nell’ultimo posto in fondo.

<< Ehm ehm, signorina Connelly, potrebbe gentilmente togliersi il cappellino? >> intimò la professoressa, riferendosi al cappellino nero strabordante di spille che Maxime non si era degnata di togliere. La ragazza senza una parola lo toglie e comincia a svuotare la tracolla che si era preparata per il primo giorno. Danforth si voltò a fissarla un attimo, dato che l’alternativa era seguire quello che diceva la professoressa sulla tecnologia moderna. Doveva ammetterlo, la nuova arrivata non era per nulla brutta. E poi era l’unica che gli aveva risposto a tono…

<< Signor Danforth! Si può sapere cosa diamine sta fissando di così interessante nella signorina Connelly? >> lo richiamò alla realtà la professoressa, battendo una mano tutta ingioiellata sulla cattedra. Il ragazzo si riscosse e guardò spaventato la donna, che avanzava velocemente verso di lui.

<< Io… ehm… oh… eh… >> balbettò, senza riuscire ad esprimere una parola che fosse una.

<< Credo che un’ora di detenzione le sarà d’aiuto. Ho giusto bisogno di qualcuno che rivernici la luna dell’anno scorso. È stato veramente un peccato che le signorine Montez e McKessie se ne siano andate dalla scuola. Ma nuovo anno, nuovo musical! >> cinguettò la professoressa con il tono più falso di un bambino che garantisce alla mamma di non aver mangiato la nutella quando ancora aveva la bocca sporca di cioccolato. Il ragazzo sbuffò e sprofondò sempre di più sulla sedia. Maxime, si mise a ridere silenziosamente. Li stava solo bene a quel caprone…

<< Anche per lei, signorina Connelly credo che farà bene un’ora di detenzione, così aiuterà il nostro caro signor Danforth. >> la rossa sgranò gli occhi verdi impaurita. Un’ora con l’orso bruno in violetto e con il caprone con la palla??? Oh no, un suicidio. Sbatté il quaderno sul banco e sbuffò, incrociando le braccia al petto.

Detenzione con l’orso bruno in violetto e con il caprone con la palla da basket più grande del suo cervello. Ma che bello! Ma ancora una volta venne distolta dai suoi pensieri da un qualcosa che la colpì in fronte. Stava per urlare qualsiasi insulto le fosse venuto in mente, quando vide che era un biglietto di carta piegato talmente tanto da sembrare una pallina. Lo aprì meticolosamente, maledicendo chi glielo aveva mandato e lesse le poche parole che esso conteneva.

- Guarda che è solo colpa tua. – sgranò gli occhi e spalancò la bocca, oltrepassando con lo sguardo le due ragazze che sedevano davanti a lei per fissare la massa di ricci castana.

- Se non sbaglio sei tu che mi hai fissata per primo, testa di… oh, lasciamo perdere. – con diligenza, si alzò e finse di andare a buttare un pezzetto di carta, così quando parrò accanto al ragazzo gli posò il biglietto sul banco.

 

 

Ed ecco che Barbycam tornò all’attacco con una nuova long-ficcy! Sperando ovviamente di riuscire a finirla. Allora, cosa ne pensate? Ve l ’ho detto, è l’ispirazione che viene e che va, prendetevela con lei ^^

Spero in qualche commentuccio, uccio uccio. Almeno so se la faccio andare avanti o se la finisco qui ^^

Baci, Barbycam      

  
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