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Autore: pandamito    21/03/2013    0 recensioni
Quando esci dall'Arena ti aspetti la libertà, quella tranquillità che hai dimenticato, perso in un bagno di sangue dal quale solo tu sei uscito intatto, perdendo però la tua sanità. Ma si deve imparare che non è affatto così, perché la vita dei vincitori è una prigione, è come l'Arena stessa, solo senza sangue. E allora si può dire di essere stati gli ultimi a rimanere in vita? No, non quando diventi proprietà di Capitol City.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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grazie a Darky ed Ari,
perché soffriamo di shippamenti convulsivi da fangirls.


 

Percorreva il lungo e spoglio corridoio bianco come un cadavere e a Donald era proprio quello che si sentiva di essere. Un cadavere. Perché lui ancora non ci credeva, pensava d'essere morto.
Le ferite che aveva riportato dall'Arena non erano neanche tanto gravi, a parere dei medici, così avevano preferito optare per un'anestesia parziale, anziché totale, per ricucirgliele.
L'avevano lasciato andare, dicendo che sarebbe venuta la sua accompagnatrice a prenderlo, ma lui non li aveva ascoltati, né tanto meno ora sapeva dove andare; si aggirava come uno zombie: l'andamento sbilenco, la schiena ricurva, le braccia a penzoloni lungo i fianchi, il muso lungo, la bocca socchiusa, lo sguardo vuoto e incantato ed il passo lento. La figura del ragazzo bello e forte che tutta Capitol City aveva amato ed acclamato oramai sembrava solo un ricordo. Era sicuro anche che gli fossero spuntate le occhiaie per la prima volta nella sua vita, oltre le borse sotto gli occhi che lo caratterizzavano da sempre. In questo momento non avrebbe mai voluto uno specchio, aveva paura della sua immagine.
Piccoli passi di un tacco basso avanzavano frettolosamente verso di lui, echeggiando per tutto il corridio vuoto.
« Donnie! » trillò una voce infantile e familiare.
Una ragazzina diciottenne si buttò al collo del giovane, incurante del fatto che quello fosse visibilmente scosso ed avesse appena subito un intervento, stampandogli un bacio sulla bocca, come se fosse la cosa più naturale del mondo, in circostanze del genere.
Stavolta indossava un vestito a palloncino giallo con dei pois rossi e le spalline rigonfie, un paio di autoreggenti di merletto bianco, delle ballerine rosse con tacco basso, dello stesso colore del fiocco che ornava lo chignon alto, in cui erano raccolti i suoi capelli castani, e come gli orecchini a palla. Aveva delle palesi ciglia finte - lunghe almeno cinque centimetri - sugli occhi, con un po' di ombretto dorato sfumato verso il rosa, una linea sottile di eyeliner, un lucidalabbra rosa di cui l'odore alla ciliegia si poteva sentire persino dall'altro capo del corridoio e, per finire, sulle guance aveva proprio disegnati degli ellissi rossi. Aveva sempre il suo aspetto infantile e bambinesco, ma, tutto sommato, forse quella era una delle poche volte in cui Donnie aveva visto Laxelyy più... al naturale.
« Sei vivo! » esclamò tutta eccitata, rimanendo ancora attaccata al collo del tributo del Sette ed iniziando a saltellare allegramente.
Nessuno avrebbe mai dubitato che Laxelyy avesse sempre fatto il tifo per lui.
Non dandogli neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo, la capitolina lo prese per una mano e lo trascinò per tutto il corridoio, svoltando a destra e sinistra e ritrovandosi di fronte le porte dell'ascensore. Aveva già iniziato a parlare, non aveva smesso mai e Donnie aveva già rinunciato a seguire i suoi discorsi.
A lui sembrava acora di stringere l'ascia in mano. Ma non era più nell'Arena e, si accorse, indossava ancora il camice. 
Laxelyy continuava a blaterare di fronte a lui; Donnie si guardò il camice, toccandone il semplice tessuto, poi alzò gli occhi confusi e timorosi verso la ragazza.
« Laxelyy. » provò a chiamarla.
Niente, quella non accennava a chiudere il bello.
« Laxelyy. » la chiamò una seconda volta, mordendosi le labbra per non scoppiare in una crisi di panico.
Questa volta la capitolina tacque, notando il gesto delle labbra del giovane ed irrigidendosi completamente. Amava quando lo faceva, anche se lui non se ne rendeva conto.
Le porte dell'ascensore, finalmente, si aprirono, ma loro rimasero immobili.
« Io ho ancora il camice. » fece notare il ragazzo col tono calmo di un bambino ingenuo, gli occhi nocciola fissi in quella della coetanea, come se si aspettassero che quella facesse qualcosa.
La castana cercò di ricomporsi in fretta, afferrando una mano del boscaiolo e trascinandolo immediatamente dentro l'ascensore, prima che le porte si chiudessero e che lei si incantasse nuovamente a fissare i suoi occhi.
« Oh, non importa » affermò, premendo il numero corrispondente a quello del piano dove dovevano andare, « tutti gli abiti che ti hanno cucito gli stilisti sono di sopra, non preoccuparti. »
L'ascensore salì rapidamente ed era così silenzioso che era quasi impossibile notare che si stessero muovendo.
« Lo sapevo che avresti vinto! » squittì l'altra, con un tono più entusiasta rispetto al resto del discorso. Naturalmente, aveva già ricominciato a parlare. « L'ho sempre saputo! »
Donnie non sapeva se appoggiarsi o no alle pareti di metallo; avrebbe tanto voluto per via della stanchezza e dello scombussolamento, ma alla fine optò per restare in piedi, perché, sinceramente, quell'affare non lo faceva sentire per niente al sicuro, specialmente con la giovane capitolina di fianco.
Penguin sospirò, mentre il ricordo di Tigre e Scarafaggio si faceva vivo nella sua mente. 
Erano morti. Entrambi.
Come tutti gli altri, del resto.
Era rimasto solo lui in vita ed ancora non se ne rendeva conto.
Aveva visto Beetles ricoperto e mangiato da - gli strateghi si erano divertiti con la sorte - piccoli ibridi somiglianti a scarafaggi, Tiger squartato e trapassato dalla lama del ragazzo dell'Uno. Al solo pensiero iniziava a tremare, le mani semiaperte, come se stesse ancora impugnando il manico di quell'ascia che l'aveva portato alla vittoria. Ricordava ancora la lama che volava, tagliando l'aria, e si conficcava nelle fronti degli avversari, o di come le loro teste venivano mozzate, le loro gole tagliate ed i loro corpi aperti a metà, con le membra distrutte come se fossero stati alberi da abbattere. Ed era proprio quello di cui Donald si convinceva per non dar peso alla morte di una persona: faceva finta che fosse uno dei tanti alberi del suo Distretto che doveva tagliare, solo che quegli alberi potevano ucciderti se non lo facevi prima tu.
Quei ricordi costrinsero Donnie a prendersi la testa fra le mani ed a stringerle su di essa, chiuse gli occhi, sperando di cacciar via quelle visioni che voleva dimenticare.
Solo il campanello dell'ascensore - che indicava che erano finalmente arrivati - lo riportò  alla realtà. Sbarrò gli occhi, guardandosi attorno per accertarsi che non stesse più nell'Arena e si rese conto che oramai il brusio che proveniva dalle labbra di Laxelyy - che non aveva sputato neanche un secondo - per lui non emanava più alcun suono.
Seguì, seppur titubante, l'accompagnatrice nel piccolo corridoio antistante l'appartamento e subito dopo dentro esso. Non ricordava che a Capitol City vi era tutto quel lusso, come non ricordava che profumo avessero i pini del Distretto 7. Si guardò attorno, stupito, alzando gli occhi al soffitto e rischiando di inciampare nel divano, sul quale si soffermò a tastarne il tessuto. Aveva già soggiornato lì, ovviamente, solo che voleva accertarsi che tutto fosse come se lo ricordava.
« Insomma, hai vinto l'altro giorno ed ho saputo che già il tuo prezzo è salito alle stelle! » ridacchiò Laxelyy e questa fu una delle poche frasi che Donnie riuscì a sentire.
Si voltò lentamente verso di lei, confuso, mentre la guardava versarsi qualcosa da bere nel bicchiere, nella zona del mini-bar. 
« Il mio prezzo? » domandò il diciottenne, non avendo la minima idea a cosa l'altra si riferisse.
Quella sbatté le ciglia e spalancò gli occhi, come sorpresa di sapere che l'altro non fosse al corrente di nulla.
« Ma come, veramente non ne hai idea? » domandò, ma, notando l'espressione di Donald, non poté far altro che lasciarsi sfuggire una risatina. « Ora che sei un vincitore, sei anche proprietà di Capitol City. » spiegò, avvicinandosi cautamente al suo protetto.
Donnie strabuzzò gli occhi, spostando lo sguardo sul pavimento ed immergendosi nei suoi pensieri.
« A mio parere, sei uno dei più bei tributi che abbiamo mai avuto; poi, sei carne fresca, stai pur certo che sarai richiesto moltissimo ed anche ben pagato! » il tono di Laxelyy suonò come se quella fosse una rassicurante buona notizia; ma all'altro parve di essere considerato come carne da macello, di nuovo.
Donnie di sedette sul divano, le gambe gli cedevano; si portò le mani alla testa, la rivolse verso il basso e posò i gomiti sulle ginocchia.
L'unico pensiero che ora gli veniva in mente era la sua Wendy, di come l'avrebbe affrontata. Si rese conto che, seppur aveva vinto, la sua vita non era libera, ma più imprigionata di prima, non avrebbe potuto mai vivere felicemente con la donna che amava e, se prima aveva ammaliato tutti col suo bel faccino per ottenere sponsor, ora era costretto a venderlo per evitare che alle persone a lui care venisse fatto del male. 
Silenziosamente prese a singhiozzare, al solo pensiero di provocare un dispiacere alla sua ragazza e di non potersi opporre, mentre delle calde lacrime salate iniziarono a rigargli il suo bel viso, che forse ora era diventata la sua condanna.
Laxelyy, preoccupata, posò il bicchiere sul tavolino e si avvicinò a lui, sedendosi di fianco ed accarezzandogli la schiena, incapace di fare qualsiasi cosa.
« Donnie? » lo chiamò, titubante. « Donnie, cos'hai? » domandò, terribilmente in pensiero.
Laxelyy non era mai stata cattiva con lui, era ingenua come tutti gli altri capitolini e non si rendeva conto del dolore che gli Hunger Games portavano nei vari Distretti, forse parlava troppo, ma in fondo lei si era innamorata del suo tributo sin dal primo istante, aveva sempre cercato di aiutarlo e questo Donald Penguin lo sapeva.
Ma il nuovo vincitore del Sette non rispose, continuò a piangere per aver realizzato il suo triste destino.
Gli Hunger Games avevano decretato che lui non era proprietà di Wendy, della donna che amava. No, lui, oramai, era proprietà di Capitol City.








 



pandabitch.
Bao a tutti!
Questa è una one-shot estremamente What If sul mio tributo del Distretto 7 della fanfiction interattiva Run, so we'd both be free di darkneko_angel.
Donald 'Donnie' Penguin del Distretto 7 è sotto il mio copyright, così come Jake Beetles del Distretto 5.
Wayne Tiger del Distretto 12, invece, è di AriiiC_.
Mentre Laxelyy è l'accompagnatrice creata, appunto, da darkangel98.
E non scassate, nella mia immaginazione Laxelyy è giapponese.
Se non mettete i volti voi, è ovvio che io faccio di testa mia.
Un po' come Jean-Paul Carter, il marito di Abigail, l'accompagnatrice del mio Rafe di Everything's gonna be alright.
E' palesemente ovvio che quell'uomo è Jude Law coi capelli arancioni! E' un figo, non ammetto il contrario!
Per altre mie storie andate su Pandamito EFP su facebook.
Oppure seguitemi su twitter come @pandamito.
Ehm... what else?
Ah, boh, non ho voglia di pensare.
Baci e panda, Mito.

   
 
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