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Autore: shadowsymphony    21/03/2013    0 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gaga si svegliò all’improvviso, sentendo qualcosa sulla faccia. Si rigirò nel letto, aprì gli occhi e si ritrovò nella stanza buia. Non capiva dove fosse. Sentì qualcosa di caldo vicino alla mano sinistra e, girandosi di nuovo, vide Taylor addormentato vicino a lei. Subito si ricordò cos’era successo, e sorrise: si era addormentata sul divano, lui l’aveva portata a letto e poi si era sdraiato vicino a lei. E poi si era addormentato anche lui. Lo guardò nella penombra; riusciva a scorgere il suo profilo, il suo naso, le sue labbra socchiuse. Era così carino anche mentre dormiva. Si ricordò poi che doveva parlargli. Aveva pensato a cosa dirgli per quasi un’ora, poi si era addormentata e aveva dimenticato tutto. Che figura. Doveva alzarsi? Rimanere a letto? Non era casa sua, non poteva andare in giro come voleva. Però stava morendo di sete, così andò in cucina. C’era ancora un po’ di luce, erano le 6.10. prese un bicchiere sul lavello e lo riempì d’acqua. Lo bevve e poi vide il telefono di Taylor sul tavolo, vicino al suo. Fu tentata di controllarlo. Voleva sapere se aveva veramente ricevuto i suoi stupidi messaggi, e se magari non avesse scritto altro e non lei non l’avesse ricevuto. Si stupì nel vedere la foto del blocca schermo: era una foto che si erano fatti qualche mese prima, di notte, in mezzo alla neve di Chicago, sul ponte del fiume omonimo. Dietro di loro, le luci della città e la luna. Anche lei aveva una foto simile come blocca schermo del suo telefono, fatta nella stessa occasione. Sbloccò lo schermo e vide che c’era una foto che le aveva fatto qualche tempo fa come sfondo. Aveva tenuto le sue foto. Non l’aveva cancellata dalla sua vita… o almeno dal telefono. Controllò i messaggi e trovò la famigerata conversazione. Non l’aveva eliminata. La aprì e vide il suo “va bene”. Nella barra del testo, però, c’era scritto “buon compleanno, Stef” ma non era stato inviato. Aveva pensato a lei. Si era ricordato del suo compleanno. Mai una cosa così semplice e sciocca l’aveva resa tanto felice! Uscì dai messaggi, bloccò il telefono, lo appoggiò sul tavolo e si sedette sul divano.

Era rimasto sdraiato vicino a lei, a guardarla dormire, per quasi due ore. Era una tentazione continua, voleva solo svegliarla con un bacio e sperare che quello bastasse a farle dimenticare tutto. Ma quella non era una fiaba, non funzionava così. Così si era messo a elaborare un discorso decente da farle quando si fosse svegliata, non troppo lungo, diretto… ma anche solo pensare alle cazzate che aveva fatto e detto lo faceva sentire l’essere più orribile dell’intero universo. Tutto per colpa dell’ennesimo articolo di giornale dove l’avevano, come al solito, collegato a lei. Stavano parlando del SUO lavoro, ma la maggior parte dell’articolo era su di lei. Le prime volte non gli aveva dato fastidio, ma andando avanti col tempo la cosa aveva iniziato a irritarlo… fino al culmine, un mese prima. Non ce l’aveva più fatta a tenerlo dentro. L’aveva già avvisata di questa cosa prima di quell’occasione, ma lei non ci aveva dato importanza, pensava fosse una cosa stupida. Ma quella volta era stato veramente troppo, ed era esploso. Il suo intento era stato solo quello di metterla a faccia a faccia con la realtà una volta per tutte, ma la conversazione era degenerata. Qualcosa gli diceva “vuoi sistemare tutto? Lasciala. È colpa sua”. Ma era solo colpa del suo orgoglio. Se n’era pentito un secondo dopo quel “va bene”, ma non aveva più trovato la forza di replicare. E questo cos’aveva causato? Era rimasto un mese senza vederla, né sentirla, perché ovviamente era quello che le aveva detto di fare: “non sentiamoci più”. La sua codardia gli aveva impedito di rimediare. Ma dopo un mese lei ora era lì, a pochi centimetri da lui, e dopo aver dormito per settimane in un letto freddo e vuoto, finalmente aveva quel corpicino caldo vicino al suo. L’aveva ritrovata. No, lei l’aveva ritrovato. Anzi, LORO si erano ritrovati. Se ne rese effettivamente conto solo in quel momento, e si sentì così felice. Era lì, a pochi centimetri dal suo viso, sentiva il suo respiro e tutto il corpo rannicchiato sotto la coperta. Stava dormendo profondamente. Prese coraggio e le cinse il fianco con un braccio. Finalmente la sentiva di nuovo con le sue mani. Si strinse un po’ di più a lei. Sentiva il suo fiato caldo e delicato sul viso. Chiuse gli occhi e la baciò dolcemente sulla guancia. Subito, lei si mosse. L’aveva svegliata. Non avrebbe fatto in tempo a scendere dal letto, l’avrebbe visto. Finse di dormire, sperando che non lo scoprisse. La sentì rigirarsi nel letto, sbadigliare, e cercò di stare il più fermo possibile.  Chissà cosa stava pensando, ritrovandoselo vicino nel letto! Pochi istanti dopo la sentì scendere dal letto e uscire dalla stanza. Aprì un occhio per controllare: non c’era più nessuno. La scena era davvero tragicomica, e per poco non scoppiò a ridere. Subito dopo, però, si ricordò che era venuto il momento di parlarle e si agitò. Cercò di calmarsi, fece un respiro profondo. Sentì l’acqua del rubinetto in cucina scorrere per un istante. Si alzò dal letto e, lentamente, andò in cucina. La vide seduta sul divano e disse “hey”.

Taylor si era svegliato. Era lì, davanti a lei, illuminato dalla poca luce che entrava dalla finestra. “hey” disse. “hey” disse anche lei, nervosissima, cercando di apparire calma. Sorrise. Si fissarono per un attimo, poi lui si sedette vicino a lei sul divano. “hai dormito bene?” chiese lui.

“si si grazie. E scusa se mi sono addormentata, ma stavo morendo di sonno”. “accendo la luce?”. “no, no, non c’è bisogno…”. Parlava piano, quasi sussurrando. Non parlava mai così, lei era un tipo che voleva sempre farsi sentire. “cosa c’è?” chiese, e le mise un braccio attorno alla vita. Al suo tocco, sobbalzò e quasi si ritrasse. Non rispose. Allora appoggiò la testa sulla sua spalla. Sentiva il suo collo caldo vicino alle labbra, doveva baciarla lì come faceva sempre, ma allontanò il pensiero e sospirò. Doveva dirglielo. Ora.

“senti…” le arrivò nell’orecchio, un sussurro, dalla sua bocca a pochi millimetri dal suo collo. Sentì il cuore ricominciare a batterle forte. Le ritornò in mente, un flash, la sera di due anni prima in cui le aveva detto che era innamorato di lei. Gliel’aveva detto nell’orecchio, quasi timoroso, poi l’aveva baciata sul collo una, due, tre, infinite volte, poi era salito fino alla bocca e non l’aveva più lasciata andare. Ma poi l’aveva fatto. Con un messaggio. Per un attimo, fu invasa da tutta la rabbia che aveva accumulato nel mese in cui l’aveva lasciata andare, quell’egoista.  “mi dispiace” disse lui.

“mi dispiace, ma dovremo fare così. Non c’è altro modo”

Il cuore le batteva sempre più forte, riusciva a sentirlo attraverso il suo collo. Fece un respiro profondo. Aveva dimenticato tutti i discorsi che aveva preparato, così disse tutto quello che gli veniva in mente. “non so cosa mi era preso, in quel momento ero fuori di me… pensavo… solo a me stesso. Ero io quello egoista, non tu. Non tu…” e poi gli mancarono le parole.

“no”
“fidati, è meglio per tutti”
“non puoi”


“tu… tu…” poi non parlò più. Lo sentiva respirare pesantemente vicino all’orecchio. Voleva parlare, reagire, ma il suo cervello non capiva cosa stesse succedendo.

“per favore. Te l’ho detto, è meglio per tutti”

“tu… io…” non ci riusciva. Il momento di coraggio era svanito. Aveva troppe cose da dire, tutte insieme, non riusciva ad esprimerle.

“non possiamo parlarne con calma più tardi?” cercava una scusa per farlo smettere, sperando che cambiasse idea. Non stava succedendo veramente. Non lo stava facendo veramente. Non poteva farlo!

“è…” il suo respiro caldo e pesante raggiunse la sua guancia. Ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Aveva la mente piena di cose da dirgli, ma non riusciva a farle uscire dalla bocca.

“no”
“come no?! Mi vorresti scaricare così, senza un motivo valido? Perché quelle che mi hai detto sono tutte cazzate, caro”


“erano tutte cazzate” disse poi, tutto d’un fiato.

“non sono cazzate, quante volte te lo devo dire?”
“si che lo sono! Ma cazzo, ti rendi conto di quello che mi hai detto? È da mezz’ora che mi dici solo stronzate” cercò di scrivere il messaggio, ma le lacrime annebbiarono la vista. Lasciò cadere il telefono sul tavolo e si asciugò le lacrime, che continuavano a riempirle gli occhi.


“non mi rendevo conto di quello che dicevo. Ero così arrabbiato, volevo solo farti capire… le mie stronzate. Volevo scaricare tutto su di te. Ma non volevo. Non volevo” e all’improvviso si mise a piangere. Non l’aveva mai visto piangere. Non pensava che un uomo forte e determinato come lui ne fosse capace. Sentì le sue lacrime sul collo e si girò e lo abbracciò, come faceva sempre lui quando lei piangeva. Appoggiò la guancia alla sua e lo baciò. “lo so, lo so” sussurrò, come una mamma che calmava il suo bambino. Aveva pianto tanto per lui, e finalmente era arrivato anche il suo momento. Singhiozzava nelle sue braccia, cercando di dire qualcosa, ma lo zittì ancora. Anche lei stava per piangere, ma doveva essere quella forte quella volta. “shh, shh… lo so, lo so” ripeté. Gli accarezzò la testa e lo abbracciò forte. “va tutto bene, non piangere” gli disse. “ma sono…”. “ho capito. Ma lo sapevo già… secondo te perché sono venuta qui, per vedere la tua moto?” sorrise, e lui rise tra i singhiozzi. “no, beh, anche per quella” e gli diede un altro bacio sulla guancia.


“hey, ti sei dimenticato del mio compleanno” gli disse, poco dopo. Erano sdraiati l’una sull’altro, sul divano. Lei aveva messo il viso tra il suo collo e la sua spalla, sentiva le sue labbra calde e morbide sul collo. “no, non è vero. Ti ho anche comprato un regalo” disse, accarezzandole i capelli. “davvero? Cosa?” esclamò lei, alzando la testa per guardarlo in faccia. Si stava facendo buio, non riusciva a vederlo bene. “dopo vedrai”. “ma ieri è stato un compleanno orribile, non me lo puoi dare adesso?” lo pregò con la sua vocetta da ragazzina che usava sempre quando parlava con lui. Rise. “non ti preoccupare. Possiamo festeggiare oggi… un giorno dopo”. “come?”. “andiamo a cena fuori, se vuoi. Non voglio festeggiare con altra pasta e ketchup”. Anche lei rise. Era così bella quando rideva. “ci sto!”.
 


lo so che dopo 8 snervanti capitoli siete tutti stufi, ma la storia non è ancora finita! manca il gran finale... con qualcosa che non vi aspettate ;)
p.s.: se non si capisce, anche negli altri capitoli, le parti in corsivo sono quelle del famigerato messaggio e ambientate un mese prima del resto della vicenda.
   
 
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