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Autore: Mirokia    21/03/2013    3 recensioni
Il suo nome rimbomba anche mentre lavi via il sangue dalle mani e dalle braccia. Vorresti davvero che fosse suo, quel sangue. Vorresti ferirlo a morte, hai quel desiderio inevitabile di piantargli la spada nel petto ogni volta che lo vedi, col suo sguardo impettito e sfrontato e quella ignoranza nel fondo degli occhi. Per fargli patire quello che hai patito tu. Per ucciderlo come lui ha ucciso te.
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushimi Saruhiko
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Rosso





 



Ogni raggio di sole, flebile, sottile, tiepido o insistente, brucia sulla pelle allo stesso modo, dal momento che annuncia l’inizio di una nuova giornata. Un altro giorno senza significato, destinato a concludersi con il solito, fastidioso amaro in bocca, un prurito insistente sul petto, la sensazione di essere nient’altro che un corpo morto, un contenitore vuoto. Questo da quando anche le lacrime hanno smesso di venir fuori.
Vuoto, con l’insano, sicuramente  disumano, desiderio di venire a contatto con cose vive, per andare a ricostruire quel qualcosa che avevi dentro e che ora non c’è, non più.
Anche oggi ti sei sollevato dal letto in cui hai passato un’altra notte priva di sogni, senza davvero riposarti, come una macchina, che per dormire ha bisogno di essere spenta o distrutta. Anche oggi hai indossato quella tua impeccabile divisa sempre più blu, quel blu scuro che sembra volerti inghiottire, come il mare di notte, piatto tiepido e assassino. Il blu che indossi ogni mattina aiuta a esorcizzare le immagini rosso vivo che hai cucite nel cervello, perché quelle, per quanto tu possa svuotarti, quelle non vanno via, e come una malattia insistono, premono, prosciugano la razionalità che un tempo, forse, hai avuto. Non esiste razionalità in quello che fai ogni mattina prima di raggiungere il quartier generale degli Scepter 4, e lì continuano a rimproverarti per il ritardo che continui a fare, e non capiscono che non è a causa della sveglia che non suona o del pane che non si tosta. E’ incorretto persino chiamarla insanità mentale: è un’ossessione, sottile, che ti si insinua nei circuiti, a te che sei una macchina, e ti manda in tilt, ti danneggia, ti spezza dentro, ti consuma gradualmente, ti priva delle facoltà mentali, alimenta quelle fisiche.

Misaki, Misaki, Misaki.

Anche oggi hai ucciso un uomo, in un vicolo cieco. Non sai chi sia, che faccia abbia, come tu sia riuscito ad avvicinarlo, ma quando gli hai affondato la spada nel ventre, hai sentito di poter riuscire ad arrivare alla fine anche di questa giornata. Ti condannerebbero a morte se venissero a sapere cosa hai fatto, con quelle tue mani che dovrebbero lottare per ristabilire l’ordine, ma continui a bagnartele, quelle mani, come fossi un automa, imprimendo quel rosso nei tuoi occhi, nella tua pelle, nella carne, avvertendo il calore di qualcosa di vivo che cola giù per le braccia.

No bone, no blood, no ash!

Voci confuse ti tormentano, come ogni volta, col tono del richiamo alla vita di un morto. Rosso, rosso liquido che quasi ti acceca, la camicia immacolata è adesso macchiata di peccato, di rosso, quel rosso che è peccato, quel rosso che è Misaki.

Misaki, Misaki, Misaki.

Sollevi la mano sporca in un gesto meccanico e vai a grattarti il petto, il marchio, esplodendo in una risata malsana. Pensi che quel sangue non è abbastanza per soddisfare la tua smania, non è abbastanza vivo da riprodurti un’immagine tangibile di Misaki. Dovresti avere tra le mani il suo cuore, il suo sangue, perché possa essere davvero, finalmente tuo. Perché è sempre stata la tua unica brama.

Misaki, Misaki, Misaki.

Il suo nome sulle tue mani rosse e lucide, sulla spada che lucida piantata nello stomaco della tua vittima, sui muri dei palazzi, sul piatto del pranzo, nel cielo se piove o se è sereno o se nevica e c’è vento. Nell’aria, sempre. Sui tuoi occhi.
Lo sai che non è amore, che amore lo è stato, amore fortissimo, doloroso, spaventoso, speranzoso, solitario, agognato, frainteso, illuso, ignorato, sofferto, mostruoso. L’hai capito tardi che l’amore ha da essere positivo, e tu stavi tanto male da volerti strappare la pelle a mani nude. L’hai capito tardi che la tua s’era ormai tramutata in ossessione, malattia morbosa che sembrava volerti far impazzire al punto da rivolgerti contro la tua stessa spada. Potevi lasciare che lo facesse, lentamente, accogliendo il dolore con spirito masochistico, ma hai deciso di lasciare l’HOMRA, perché tu morivi a poco a poco, e Misaki, quell’essere immondo, quel ragazzetto stolto e cieco, sorrideva a qualcun altro, rideva ad ogni sciocchezza altrui, con gusto, sino alle lacrime, e mai che l’avessi visto rivolgere quello sguardo infantile e divertito a te. Perché lui non ti vedeva. Non vedeva la malattia che ti ammazzava mangiandoti le interiora.
Adesso sai che ti odia, sa che almeno hai un posto in questo mondo, sa che da qualche parte ci sei e che lo stai odiando anche tu. E lo odi davvero, perché è lì presente sulle tue mani, tatuato sugli occhi, impresso a fuoco sul tuo petto, e non se ne va, la sua presenza costante continua a consumarti dentro e a rafforzarti fisicamente. Ogni giorno muori e  diventi più potente. Vuoi mostrarglielo, a Misaki, che puoi diventare più forte di quel Mikoto. Quel fottuto, detestabile Mikoto. Vuoi mostrarglielo, che puoi dargli tutto quello che  vuoi, tutto ciò che concerne te, perché Misaki è la tua sola brama, e se lo ottieni null’altro avrà più importanza.
L’attimo di estasi sembra già scorrere via, come la pozza di sangue che  si espande sotto quel corpo esanime contro il muro. Riponi la spada nel fodero senza ripulirla, recuperi gli occhiali caduti nell’impatto e ti metti addosso la lunga giacca blu che hai lanciato di lato prima di assalire l’uomo con occhi da pazzo. Copri le mani macchiate vergognosamente infilandole nelle tasche e torni indietro con passo pacato, per poterti cambiare i vestiti coi movimenti meccanici di ogni mattina.

Misaki, Misaki, Misaki.

Il suo nome rimbomba anche mentre lavi via il sangue dalle mani e dalle braccia. Vorresti davvero che fosse suo, quel sangue. Vorresti ferirlo a morte, hai quel desiderio inevitabile di piantargli la spada nel petto  ogni volta che lo vedi, col suo sguardo impettito e sfrontato e quella ignoranza nel fondo degli occhi. Per fargli patire quello che hai patito tu. Per ucciderlo come lui ha ucciso te. E poi baciargli la bocca semi aperta in cerca d’aria mentre se ne sta immobile ed esanime sotto di te, finalmente pronto a riceverti.

Misaki, Misaki, Misaki.

Vuoi baciarlo, Misaki. Vuoi ammazzarlo, Misaki.
Lo vuoi intorno, Misaki. Vuoi cancellarlo, Misaki.
Esiste lui, solo lui, tu sarai sempre suo. Una maledizione pulsa nel tuo petto. E così sarà, sempre.
Sempre.




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Mirokia






   
 
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