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Autore: ferlotta    23/03/2013    1 recensioni
[Ginnaste - Vite parallele]
Carlotta Ferlito è la ginnasta di punta del Centro Tecnico Federale. Non ha paura, è tenace, forte, grintosa. E' una ginnasta magnifica, elegante e potente, con un esercizio a trave davvero formidabile.
Ma alcuni fatti che accadono all'interno del Centro la fanno vacillare e pensare molto al suo futuro. La ginnastica è davvero la mia vita? Devo tornare a casa? Carlotta per la prima volta ha paura, e questo suo nemico così grande le spezzerà le ultime speranze della sua carriera sportiva? Carlotta continuerà ad allenarsi o mollerà tutto per tornare a Catania?
Genere: Commedia, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carlotta uscì dalla stanza correndo. I suoi piedi sbattevano sulla moquette rossa del residence, facendo lamentare i clienti al piano di sotto, ma lei non se ne curò. 
«BETTA!» il suo urlo rimbombò giù per la tromba delle scale. «MUOVITI, SIAMO IN SUPER RITARDO!» 
Erano le nove e venti di un Mercoledì mattina autunnale, e le due ginnaste dovevano essere in palestra già da venti minuti. 
«Arrivo, Carlo, tu corri prima che Paolo ci uccida!» urlò l'amica, ancora in stanza a radunare le cose. «Vai, forza!» le intimò un'ultima volta guardandola bruscamente.
Carlotta si fiondò fuori dal Green Residence Hotel, e corse a perdifiato lungo il marciapiede. Il cielo era grigio, così come lo erano i palazzi, le strade, le macchine e i piccioni. A Milano tutto era grigio. Carlotta era arrivata in quella fredda città a soli 12 anni, ed era sola. Completamente sola. Ci mise molto tempo a stringere amicizie e legami. Era una ragazzina piuttosto timida e riservata, che preferiva lavorare duramente sulla trave piuttosto che perdere tempo a chiacchierare. 
Il freddo entrava penetrante nella sue ossa, ma Carlotta tenne duro e arrivò davanti al Centro. Era un palazzone rettangolare, basso e largo, di mattoni rosso fuoco. Carlotta lo vedeva tutti i santi giorni, e di conseguenza non si curò minimamente di guardarlo. Entrò, andò dritta negli spogliatoi rivolgendo un veloce «Ciao!» a Tiziana, e si cambiò in meno di un minuto. Si soffermò allo specchio.
«Troppo bassa, troppo muscolosa...» mormorò tra sè e sè. Lo specchio rifletteva un'immagine che Carlotta odiava. Odiava il suo fisico. Era troppo bassa, troppo grossa. Tutte le ginnaste diventavano così, ma lei non riusciva a farsene una ragione. Perché per quello stupido sport che tanto amava doveva diventare una specie di nano? Perché?
Carlotta si osservò più attentamente. Almeno aveva un bel viso. Era di un ovale quasi perfetto, la carnagione chiara che rifletteva il castano mogano dei capelli ondulati e degli occhi, azzurri come il cielo della Sicilia. Aveva un sorriso smagliante, bellissimo, che le sue Carliters lodavano sempre. 'Hai un sorriso stupendo', 'Grazie Carlo, di tutto', 'Noi ti amiamo, sappilo!', 'Saremo sempre con te!'. Mille messaggi al giorno, mille tweets, mille richieste d'amicizia, tutte per lei. Centomila ragazzine e ragazzini che la amavano, che la consideravano un idolo e un esempio. Carlotta andava fiera di quel successo. Sapeva che era stato scatenato da un programma televisivo creato solo per scopi commerciali, ma lei sapeva anche che c'erano delle persone, in mezzo a quella massa di fan, che l'amavano per quello che era davvero, per la sua carriera sportiva.
Lanciò un ultimo sguardo allo specchio, si sistemò i capelli, raccolti da un'elastico bordeaux, sfiorò il body nuovo di zecca, con fiammate rosse e gialle sui fianchi, e entrò in palestra. Nessuno sembrò notarla.
La pace non c'era mai in quella palestra. Corpi muscolosi e sudati che giravano sulle parallele, enjambè portentosi sulle travi, diagonali e coreografie nuove ogni giorno sulla pedana del corpo libero. Lacrime, sorrisi, soddisfazioni, delusioni. Elementi e sensazioni contrastanti che si ripetevano in quelle mura impresse di magnesio, quelle mura dove si sviluppava la vita dei ragazzi del Centro.
Quando Carlotta entrò, tuttavia, non c'era nessuno. C'era solo Nicola, in un angolo della pedana, che provava il triplo avvitamento da solo. Non la vide entrare, ma tuttavia la diagonale finiva proprio davanti alla porta. Carlotta si nascose dietro il muro e lo osservò. Era alto, muscoloso, con il torace e le gambe piene di magnesio. Respirò a fondo e partì, correndo, rondata, flick, flick, triplo avvitamento. Nicola si librò in aria come una libellula, le punte tese, le gambe dritte, le braccia avvolte intorno al corpo. Andò in altissimo, con una spinta fortissima, e atterrò un po' bruscamente, storto, cadendo all'indietro. Carlotta corse fuori e lo afferrò prima che cadesse. 
«Oddio, grazie!» disse lui guardandola negli occhi. «Per poco non mi spaccavo una gamba!» disse tutto ciò con quell'accento sardo che Carlotta amava tanto...
«Di niente, figurati.» rispose lei, calma. «Piuttosto, perché sei da solo? Dove sono tutti?» in principio anche lei aveva un forte accento siciliano, ma man mano che frequentava persone del Nord l'aveva perso del tutto.
«Alessia.» sussurrò lui, improvvisamente malinconico. «Si è fatta male alla trave. Stava provando una nuova combinazione, flick smezzato, salto smezzato, flick smezzato, ma è caduta bruscamente sull'altra trave. Si è piegata in due mentre cadeva, e ha sbattuto il ginocchio e la testa. E' svenuta, e l'hanno portata subito in ospedale.»
«Ma come mai se ne sono andati tutti? Perché non è rimasto qualcuno?» Carlotta non era più di tanto scioccata, qualche volta succedeva di sbattere la testa o altre parti del corpo sugli attrezzi, era successo anche a lei. Al massimo ti beccavi mal di testa o lividi. 
«Carlotta, la situazione è grave.» disse lui, fissandola serissimo. «Alessia è in coma.»
  
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