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Autore: _Trixie_    23/03/2013    3 recensioni
Qualche giorno prima dell’inaspettato ricovero di Henry in ospedale, Teddy decide di trascinare il marito a conoscere i suoi genitori, i signori Veronica e Ed Altman. Insomma, questo genere di incontri non hanno quasi mai un lieto fine, no?
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Burton, Teddy Altman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
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Nickname: _Trixie_
Titolo: Pantaloni sporchi e passerotti
Personaggi: Teddy Altman, Henry Burton, Veronica e Ed Altman (i genitori di Teddy, OC)
Pairing: Het, Henry/Teddy
Raiting: Verde
Genere: fluff, romantico
Lunghezza: One-Shot
Avvertimenti: -
Note: -
Contesto: Settima stagione
Introduzione: Qualche giorno prima dell’inaspettato ricovero di Henry in ospedale, Teddy decide di trascinare il marito a conoscere i suoi genitori, i signori Veronica e Ed Altman.
 
 
 

Pantaloni sporchi e passerotti

 
 
Henry parcheggiò nel vialetto di una grande casa su due piani, seguendo le indicazioni della moglie.
Teddy inspirò a fondo l’aria dell’abitacolo, sorridendo lievemente nel distinguere il profumo di suo marito tra tutti gli altri.
«Rilassati, sei più agitata di me» la apostrofò Henry, appoggiandole una mano sulla spalla.
«No, non posso rilassarmi. Mia madre di solito è una donna adorabile, ma ha la pessima abitudine di demolire sistematicamente l’autostima di ogni ragazzo che porto a casa» disse lei, con lo sguardo fisso sulla saracinesca del garage di fronte, a lei familiare. «Tu non le piacerai, Henry, fidati».
«Io piaccio alle madri» la rimbeccò lui piccato. «E sarò l’ultimo ragazzo che presenterai ai tuoi genitori, sia chiaro» precisò, con una lieve punta di gelosia nella voce.
Teddy si lasciò sfuggire una piccola risata, prima di sporgersi verso il marito e baciarlo con gratitudine.
Poi annuì, prima di uscire dall’auto subito imitata da Henry, che la prese per mano.
Si fermarono di fronte alla porta d’ingresso, le dita di Teddy arrivarono qualche centimetro dal campanello, quando la porta si spalancò di colpo, facendo sobbalzare entrambi.
«Finalmente! Mi chiedevo quando vi sareste decisi a scendere dalla macchina!»
La donna che si trovarono di fronte era una versione invecchiata di Teddy. Gli anni ne avevano ammorbidito la figura e i fianchi, che una volta dovevano essere stati spigolosi, ora avevano una seducente rotondità, come le guance piene e il seno prosperoso.
«Mamma!» esclamò Teddy, sorridendo.
«Oh, Theodora, quanto tempo è passato!» esclamò la donna in risposta, abbracciando di slancio la figlia.
Henry avrebbe voluto ridere nel sentire usare il nome completo della moglie, che lei detestava, e si trattene a stento.
«E tu devi essere lo pseudo marito di mia figlia. Sono Veronica Altman, chiamami pure signora Altman, giovanotto» si presentò la donna, porgendogli la mano, mentre Teddy abbozzava un’espressione di scuse alle sue spalle.
«Henry Burton, signora Altman, e non sono più un giovanotto da molto tempo, purtroppo» disse Henry, stringendo la mano di Veronica Altman più forte di quanto avrebbe normalmente fatto con una donna.
«Papà è in salotto a leggere il giornale, tesoro» aggiunse la padrona di casa scostandosi per far entrare gli ospiti, per nulla turbata dalla stretta di Henry. «Io vado in cucina a preparare del tè per tutti. Perché tu intanto non gli presenti…»
La signora Altman lasciò la frase in sospeso, non ricordandosi il nome del novello genero che le venne prontamente in soccorso.
«Henry, signora».
«Sì, giusto, Henry» ripeté la signora Altman, come se si trattasse del nome del garzone del negozio dietro l’angolo e non quello del marito della sua unica figlia.
«D’accordo, mamma» annuì Teddy, togliendosi la giacca.
«Oh, che sbadata, date pure a me i cappotti!» esclamò, afferrando saldamente quello della figlia, ma lasciando cadere quello di Henry, che giunse a terra producendo un cupo tonf sul parquet.
«Che sciocca, perdonami, Harry!» esclamò, portandosi le mani alla bocca.
«Mi chiamo Henry, signora Altman. E non c’è alcun bisogno di scusarsi per il cappotto, si figuri» aggiunse il genero, chinandosi a raccogliere la giacca con un sorriso, mentre internamente digrignava i denti, pregando che il suo cellulare, acquistato solo qualche giorno prima e per il quale aveva speso una piccola fortuna, non avesse riportato alcun danno.
«Grazie, caro, scusami» sorrise la signora Altman prima di sparire in cucina di gran carriera.
«Scusa» bisbigliò Teddy prendendolo per mano per mostrargli la strada del salotto.
«Spero che almeno tuo padre si ricordi il mio nome».
«Papà!» disse lei a voce alta, sulla soglia del soggiorno per richiamare l’attenzione dell’uomo sprofondato in una comoda poltrona di fronte al fuoco.
«Passerotto!» rispose lui, alzandosi in piedi con un’agilità sorprendente. Era un uomo alto e dinoccolato, dalla figura asciutta e le gambe lunghe.
Henry si appuntò mentalmente il soprannome con cui il padre aveva chiamato Teddy,passerotto, e ringraziò il signor Altman per aver trasmesso alla figlia quelle gambe lunghe e toniche, che lo facevano impazzire.
L’uomo abbracciò la figlia, poi si rivolse al genero.
«E tu devi essere Henry Burton, non è vero? Edward Altman, piacere di fare la tua conoscenza. Chiamami pure Ed, figliolo» aggiunse bonariamente, stringendo la mano a Henry, colto alla sprovvista, e assestandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
«Oh, piacere, signor Alt-, cioè, Ed» si corresse il giovane.
A questo certo non era preparato: lui piaceva alle madri, non ai padri, dai quali si aspettava un cipiglio autoritario e un atteggiamento sospetto.
«Ha già conosciuto la mamma, non è vero?» chiese Ed divertito, guardando la figlia.
Teddy annuì, prendendo posto sul divano e invitando Henry a fare altrettanto, mentre il signor Altman tornava alla sua poltrona.
«Che donna!» lo sentì bofonchiare, prima che Veronica Altman arrivasse in soggiorno con il tè che si era affrettata a preparare.
«Lascia che ti aiuti, mamma» si offrì Teddy afferrando la teiera bollente, ma la signora Altman fu lesta a strappargliela di mano.
«Me ne occupo io, tesoro».
Versò meticolosamente il tè nelle quattro tazze di fine porcellana, dipinte a mano e dall’aria incredibilmente costosa, secondo il giudizio di Henry.
«Allora, che lavoro fai, figliolo?» chiese Ed con espressione curiosa.
«Al momento nessuno, purtroppo, a causa della mia malattia» rispose lui lievemente imbarazzato.
«Era un giocatore di baseball professionista, papà» intervenne Teddy, appoggiando una mano sul ginocchio del marito e rivolgendogli un sorriso orgoglioso, che scaldò il cuore di Henry.
«Davvero? Complimenti, ragazzo, complimenti! Lo sport è l’attività migliore cui un uomo possa dedicarsi» sentenziò il signor Altman, prendendo la tazza che la moglie gli stava porgendo. «Subito dopo rendere felice la propria donna, sia bene inteso!» aggiunse poi con espressione furba.
Henry annuì divertito e stava per rispondere al suocero quando sentì scottare la gamba e un tonfo sordo sul pavimento.
Sussultando, l’uomo guardò verso il basso, dove una macchia scura di tè si stava allargando sui suoi pantaloni. Si alzò, reprimendo un’imprecazione e sorridendo a denti stretti alla signora Altman.
«Oh, mamma» esclamò Teddy, come se avesse il sospetto che la madre avesse rovesciato la tazza di proposito.
«Scusami, Gerry, sono così maldestra!»
«Henry, mamma» la corresse la figlia, accigliandosi.
«Non c’è bisogno di scusarsi, signora Altman, sono cose che capitano» sorrise Henry affabile. «Tesoro, potresti indicarmi il bagno?» aggiunse poi, voltandosi verso Teddy.
«Segui il corridoio, la seconda porta a destra» disse la donna, indicando il lungo corridoio tappezzato di quadri e foto di famiglia con un dito affusolato. «Vuoi che ti accompagni?»
«Non preoccuparti, rimani pure seduta. Con permesso» disse poi, rivolgendosi ai signori Altman. Ed sorrideva sotto i baffi, divertito dall’atteggiamento della moglie. Entrambi fecero un breve cenno di assenso.
Henry si allontanò e la signora Altman attese di sentire la porta chiudersi in lontananza, prima di guardare la figlia con espressione severa.
«Mamma, quei pantaloni erano il mio regalo di Natale a Henry!» protestò Teddy, chinandosi finalmente a raccogliere la tazza di tè, ormai vuota. «E il tappeto… che disastro».
«Non ha abbastanza soldi nemmeno per comprarsi i vestiti?» sbottò Veronica, guadagnandosi uno sguardo scioccato da parte della figlia e uno di divertita tolleranza dal marito.
«Mamma! Ma di che diavolo stai parlando?»
«Modera il linguaggio sotto questo tetto, signorina. Quell’uomo è uno squattrinato che si è servito, e continua a servirsi, dei tuoi soldi e della tua bontà, non lo vedi?» rimbeccò la signora Altman con acidità.
«Non è vero! Ma come ti è venuto in mente?!»
«Un matrimonio civile, nessun invito, nessun rinfresco! Vi siete sposati per la tua assicurazione sanitaria, Teddy, come puoi chiamarlo marito?» sbottò Veronica Altman, incrociando le braccia davanti al petto.
«Mi sono innamorata di lui. E lui di me. Non mi ha chiesto lui di sposarlo per l’assicurazione, gliel’ho chiesto io, mamma, io!»
Tutto ciò che tratteneva le due donne dall’urlare, era la possibilità che Henry Burton potesse sentirle e le loro parole si erano ben presto trasformate in sibili concitati.
«E lui non ha esitato ad accettare!»
«E da allora non mi ha mai chiesto niente, mamma, mai!»
«Ragazze, forza, calmatevi» intervenne allora Ed Altman sospirando, avvezzo a discussioni del genere tra moglie e figlia.
La prima, la ricordava ancora, era scoppiata quando Teddy si era ostinata a non voler andare al ballo della scuola accompagnata da un certo George Rich, il ragazzo perfetto per Teddy, a detta di sua madre. La giovane si era invece presentata al braccio di un certo Patrick. Alla signora Altman per poco non era venuto un infarto, nel vederlo arrivare in smoking guidando una due ruote dall’aria sinistra.
«Tra poco vedrò iltuo fondo fiduciario, risultato d’immensi sacrifici da parte mia e di tuo padre, a suo nome?» domandò Veronica.
«Non gli ho mai detto di avere un fondo fiduciario!»
«Ragazze…» ripeté Ed, sapendo che nessuna delle due lo avrebbe ascoltato.
Come la volta in cui Teddy annunciò di voler frequentare medicina e diventare chirurgo.
La signora Altman aveva storto il naso. Sognava sua figlia felicemente sposata e senza pensieri. Non voleva che lavorasse. Veronica aveva lavorato da adolescente, fino a quando non aveva incontrato Ed, i cui affari le avevano permesso di dedicarsi completamente alla famiglia e alla casa.
«Quando rimarrai povera in canna non venire a lamentarti da noi!»
«Mamma, smettila, Henry non è un delinquente. Se tu la smettessi di trattarlo male, vedresti che è un bravo ragazzo! Per papà non ci sono problemi, non è vero, papà?» domandò Teddy.
La domanda riportò Ed indietro di dieci anni, a un’altra discussione. Teddy voleva partire per l’Iraq. Era stato lui ad insegnarle ad amare il proprio paese e l’intraprendenza della sua bambina lo aveva inorgoglito come un vecchio pavone, ma rabbrividiva al pensiero di sua figlia in una zona calda, dove sarebbe potuto capitarle di tutto.
«Theodora sa cosa è meglio per lei» disse, ripetendo le parole che usò quel giorno.
«Sei troppo liberarle, con lei!» decretò Veronica Altman.
Nessuno poté aggiungere altro, perché Henry aprì la porta del bagno e si unì nuovamente a loro. L’atmosfera era tesa, Henry stesso sembrava essersi incupito e tutti sobbalzarono quando il telefono di Teddy suonò, qualche minuto dopo.
«Pronto?» rispose la donna, prima di alzarsi e corrugare il viso. «Cosa? Cristina, non urlare, ripeti con calma, non capisco nulla!»
 Nella stanza scese un silenzio rispettoso, tutti guardavano Teddy come in attesa di notizie.
«D’accordo, Cristina, hai fatto la cosa giusta. Continua, tra meno di un’ora sarò lì!» esclamò poi, dirigendosi verso l’ingresso senza nemmeno aver chiuso la telefonata.
«Mamma!» urlò, dall’altra stanza. «Dove hai messo il cappotto?»
«Nel guardaroba!» esclamò Veronica Altman, prima di essere zittita da un’anta di legno sbattuta violentemente.
Teddy tornò in salotto trafelata, ma già vestita di tutto punto, lanciando una giacca a Henry.
«Mamma, papà, un’emergenza, mi dispiace, devo scappare» si scusò, precipitandosi a dare un bacio sulla guancia ad entrambi i genitori, mentre Henry si vestiva.
L’uomo si sentì afferrare una mano e trascinare fuori dalla moglie fino all’auto.
Si mise dalla parte del guidatore più per istinto che per volontà e si lasciò guidare dall’abitudine anche nel mettere in moto e allontanarsi dalla casa dei signori Altman per tornare al loro appartamento.
«Grazie al cielo Cristina mi ha chiamata!» sospirò Teddy non appena la casa dei suoi genitori non fu più visibile negli specchietti retrovisori.
«Sei felice per una chiamata d’emergenza?» chiese Henry, confuso.
«Oh, non è davvero un’emergenza!» disse la donna, sorridendo. «Ho promesso a Cristina un intervento in cambio di questa chiamata. Lei sa gestire le emergenze anche da sola, doveva solo salvarci».
Henry annuì tetro e Teddy capì che il marito doveva avere altri pensieri per la testa.
«A cosa stai pensando?» domandò a bassa voce, come se temesse di disturbarlo.
«A niente».
«Oh, andiamo, Henry» sbottò Teddy.
«Non sto pensando a niente» ripeté acidamente Henry, cambiando marcia.
«È per via di madre? Fa così con tutti, non ti preoccupare, cambierà atteggiamento» tentò di rassicurarlo la moglie, individuando nel comportamento della madre la possibile causa del malumore materno.
«Ah, davvero? E quando? Quando si sarà convinta che non sto con te per i soldi? E, buon Dio, hai un fondo fiduciario?!» domandò Henry, senza staccare gli occhi dalla strada. «Cosa sei, una specie di superereditiera?»
«Hai sentito la discussione tra me e mia madre?»
«Certo che l’ho sentita! I muri di quella casa sono di paglia» spiegò Henry.
«Mi dispiace, è solo molto diffidente».
«Diffidente? Mi crede un truffatore, Teddy. E non ha tutti i torti, lo sai? Insomma, ti ho sposato per l’assicurazione! Non che non abbia avuto un debole per te da sempre, ma non ci siamo sposati per amore, bisogna ammetterlo» disse Henry in tono concitato. «E tu stavi per andartene in Germania con quel surrogato di Principe Azzurro, che di sicuro tua madre avrebbe adorato!»
«Ma sono rimasta, per te, Henry» si difese Teddy. «Non capisco dove tu voglia andare a parare».
Il marito rallentò, poi accostò la macchina sul ciglio della strada, fiancheggiata da campi di granoturco a perdita d’occhio.
Henry prese un gran respiro, poi la guardò Teddy negli occhi.
«Divorziamo».
L’organismo di Teddy si bloccò, le sue funzioni vitali cessarono, il respiro non raggiunse i polmoni, il sangue non tornò al cuore, i neuroni impazzirono nel suo cervello.
«Cosa?» ansimò, mentre il suo corpo cercava di tornare alla normalità.
«Oggi stesso, divorziamo» ripeté Henry.
«No, io non voglio divorziare da te!»
«Scendi dalla macchina» disse l’uomo, indicando l’esterno.
«Stai scherzando? Vuoi lasciarmi nel bel mezzo del nulla perché sono innamorata di te e non voglio divorziare?» domandò Teddy incredula.
«No, scenderò con te, guarda» disse Henry, scendendo per primo dall’auto e portandosi dal lato di Teddy per aprirle la portiera.
Titubante, la donna scese e rimase di fronte a lui ad osservalo preoccupata. Amava quell’uomo, non voleva perderlo.
Rimase a bocca aperta quando Henry si inginocchiò di fronte a lei.
«Voglio divorziare da te, Teddy, e poi sposarti di nuovo. Voglio vederti in ambito bianco sfilare lungo una navata lunghissima, mentre gli occhi di tutti gli invitati sono puntati su di te. Voglio portare la fede al dito, con il tuo nome inciso sopra. Voglio portarti in luna di miele, in un posto caldo, dove passerai intere giornate indossando solo un bikini, la fede e il mio amore. Ti sto chiedendo, Teddy Altman, di divorziare dall’uomo in fin di vita cui serve un’assicurazione, per sposare Henry Burton, l’uomo con i pantaloni sporchi di tè e una voglia disperata di vederti felice. Perché ti amo» concluse Henry, guardando verso l’alto l’espressione stupita e commossa di Teddy.
«Accidenti, Henry, sì!» rise. «Sì, Henry, sì!»
L’uomo si alzò in piedi, per stringere Teddy tra le braccia, baciandola come se non la vedesse da molti anni.
«Mia moglie vuole sposarmi!» urlò poi, al vento, strappando a Teddy un’altra sonora risata.
«Torniamo a casa, passerotto?» chiese Henry, dopo un altro breve, ma non meno appassionato, bacio.
Teddy lo colpì scherzosamente alla spalla.
«Non chiamarmi così!» esclamò, cercando di colpirlo di nuovo.
Henry fu rapido e si scostò da lei, allontanandosi di qualche metro in direzione del campo più vicino.
«Non posso, passerotto? Vieni a prendermi, allora!» la stuzzicò l’uomo. Non appena Teddy mosse un passo nella sua direzione, lui si allontanò di nuovo.
«Non vorrai che ti insegua!»
«Vola da me, passerottino
Ancora folle di gioia per la proposta di matrimonio, Teddy si mise a correre nella direzione del marito, che le diede filo da torcere per qualche minuto inoltrandosi tra le spighe di grano prima di lasciarsi cadere a terra. Teddy lo imitò qualche secondo dopo.
«Preso!» esclamò ansimante, abbandonandosi sul petto di Henry.
Risero, per poi rimanere stretti l’uno all’altra per qualche minuto.
«È bellissimo stare qui, in mezzo al grano» bisbigliò, quando il respiro di entrambi tornò regolare.
«Qualsiasi posto sarebbe bellissimo se ci fossi tu» rispose Henry, strappando un sorriso alla moglie.
Passò parecchio tempo prima che una pioggerellina leggera iniziasse a cadere, costringendoli a tornare alla loro auto, mano nella mano.

   
 
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