Mi scuso per i tempi di aggiornamento, non sempre propriamente "umani"...comunque sia, è qui. Enjoy^^
Capitolo quinto – Ossessione
…and if you think you’ve won
you never saw me change
the game the we have been playing...
(Chris Cornell – You know my name)
Salone delle feste, ore 22.37
Uno, due, tre minuti. Il tempo era quasi scaduto e Nina tentava di
celare l’euforia che si era impadronita di lei. Ancora pochi secondi e avrebbe
rimediato a quel clamoroso smacco che tanto le bruciava...
Allo scoccare del terzo minuto Dragunov osservava ancora i presenti
con aria annoiata. Nessuna parvenza di malessere. Continuava a bere, ora a
piccoli sorsi, finché il bicchiere non fu completamente vuoto. Nina lo osservava
di nascosto. Ormai erano passati più di tre minuti...forse il veleno aveva tempi
di effetto diversi su soggetti diversi...
Si aggrappò a questo pensiero nel tempo che seguì, continuando a
vagliare ogni suo movimento cercando di scorgere anche un piccolo segno di
cedimento.
Dopo un quarto d’ora, l’unica cosa eclatante che Dragunov fece fu
spostarsi verso le vetrate in fondo alla sala, dove si trovava prima che il
direttore lo chiamasse, e continuare a guardarsi intorno come se tutto quello
non lo riguardasse. Si mise nuovamente a osservare impassibile la neve che
cadeva, mentre Nina si tratteneva dal scaraventare a terra il bicchiere che
reggeva. Era sopravvissuto? Il veleno non aveva avuto alcun effetto su di lui? E
per giunta non si era accorto di nulla – o almeno così sembrava?
Non–è–possibile.
Nina si ripeteva queste parole mentre controllava l’impulso omicida
che ora si era fatto più forte che mai. Avrebbe voluto attraversare la stanza
per colpirlo senza pietà. L’avrebbe fatto, se non ci fossero stati tanti
testimoni. Invece era costretta a stare ferma, a nascondere la furia che le
ribolliva dentro. Tutti i suoi pensieri ormai erano volti in una sola direzione:
ucciderlo. L’ossessione la stava lentamente avvolgendo nelle sue spire mentre il
suo cervello lavorava febbrilmente per trovare il modo di farlo fuori il più
presto possibile.
Continuava ad osservarlo da lontano, tentando di sottrarsi ad ogni
occasione di conversazione per non perderlo di vista. Barannikov e gli altri non
parvero accorgersi di nulla, solo rimasero un po’ spiazzati quando Nina si
defilò frettolosamente inventando una scusa su un’ improvvisa telefonata da
fare.
Dragunov aveva smesso di guardare attraverso la vetrata, e ora
andava a passi lenti e misurati verso la porta che dava sulla hall. Sembrava non
avere fretta, mentre guardava ciò che lo circondava come se semplicemente non lo
riguardasse. Nina lo seguiva facendosi largo tra gli ospiti, tentando di
rimanere a distanza per non essere notata. Arrivata nella hall appena in tempo
per vederlo prendere la strada che portava al giardino d’inverno restò ferma
qualche istante, a pensare: se fosse riuscita nel suo intento, avrebbe dovuto
mettere in atto la fuga più rapida che la storia del crimine avesse mai
ricordato.
Questa prospettiva non fece che aumentare la sua determinazione,
mentre l’adrenalina aveva ricominciato a mescolarsi al sangue.
Attraversò speditamente la hall, prendendo la direzione del
giardino d’inverno. Avvicinandosi avvertiva il sentore di un profumo, vago
eppure persistente. Un profumo intenso, ma allo stesso tempo fresco, come
annacquato. L’odore del ghiaccio che si scioglie.
Nina annusava quella traccia continuando a camminare. Solo una
persona aveva potuto lasciare quella scia odorosa nel corridoio deserto.
A passo felpato attraversò quel passaggio mentre la musica del
salone delle feste si faceva sempre più lontana e ovattata.
Giunse davanti alla porta vetrata del giardino d’inverno, e vide
che era socchiusa. Con l’orecchio teso a percepire ogni minimo rumore e ogni
muscolo pronto a scattare, entrò nell’elegante serra e iniziò a percorrere il
lungo sentiero lastricato che si dipanava in un dedalo di piante e arbusti
fioriti. Il profumo che aveva sentito nel corridoio ora era coperto dalle
fragranze delle piante aromatiche e degli splendidi rosai che crescevano in
grandi vasi.
Dopo pochi metri si ritrovò ai bordi di uno spiazzo dove al centro
una fontana gorgogliava sommessa. Ai lati c’erano alcune panchine di marmo, dove
qualcuno aveva dimenticato qualche rivista. Una nuova scarica di adrenalina
accompagnò la vista di Dragunov, in piedi a meno di due metri da lei, girato di
spalle. Stava annusando una rosa rossa. Ad un certo punto ritrasse la mano, e
Nina vide che non che quella non portava più il guanto. Cercando di staccare il
fiore si era punto, e alcune piccole gocce vermiglie caddero a terra mentre si
portava il dito ferito alle labbra.
In quell’attimo di distrazione lei si sfilò silenziosamente la
stola, sistemandola a mo’ di corda. L’avrebbe strangolato, non vedeva altri
modi.
Avanzò silenziosa, e con un unico scatto riuscì a cingere il collo
della sua preda. Poi iniziò a tirare verso di sé con tutte le sue forze.
Dragunov, preso alla sprovvista, afferrò la cosa che lo stava
soffocando e tentò di allontanarla dalla gola. Dopo qualche tentativo ci riuscì,
tirando uno strattone tanto forte che sia lui che Nina stavano per perdere
l’equilibrio. Senza troppi preamboli iniziò un violento scontro, in cui nessuno
dei due aveva intenzione di darla vinta: Dragunov ricevette un calcio in pieno
petto, a cui reagì con un pugno che colpì Nina sulla guancia. Accecata dalla
rabbia, si lanciò su di lui sferrando i colpi più devastanti che fosse in grado
di mettere a segno. Lui intanto sembrava aver recuperato il controllo di sé e
combatteva senza risparmiare le forze, accompagnato da un’espressione
luciferina.
Entrambi ora volevano la morte dell’altro, anche se per ragioni
diverse. Lei per orgoglio. Lui per puro desiderio.
Dragunov fermò Nina per il braccio poco prima che l’ennesimo pugno
lo colpisse. Lei riuscì a divincolarsi e si allontanò di poco. Nei pochi istanti
in cui si fissarono negli occhi vide che quelli della sua preda scintillare di
una luce malevola, accompagnata da quello che poteva essere scambiato quasi per
un ghigno sprezzante. Ciò non fece che aumentare la furia omicida che Nina
covava e che la spinse ad attaccare nuovamente. Si sfilò la bacchetta appuntita
che teneva l’acconciatura e la brandì come un pugnale scagliandosi in avanti,
mentre ciocche di capelli ricadevano scomposte sul volto, rosso di rabbia. Cercò
di colpirlo più e più volte, quando alla fine si ritrovò bloccata, questa volta
per entrambi i polsi, con la schiena schiacciata contro la fredda vetrata della
porta della serra. L’eccezionale forza con cui lui la teneva ferma la costrinse
a lasciare cadere in terra la bacchetta che tentava ancora di stringere. Presto
la vetrata si appannò, a causa del respiro affannoso e spezzato di entrambi.
In quella posizione avrebbe potuto finirla in pochissimo tempo e
nel modo che preferiva.
Dragunov rivolse uno sguardo penetrante a Nina, che lo resse fiera
fino alla fine. Di certo in quel momento non aveva paura della morte.
In silenzio, un silenzio di piombo, lui sembrava pensare al modo
più doloroso per farla morire, quando qualcosa attirò la sua attenzione
accendendo un guizzo nei suoi occhi gelidi. Nina vide il suo viso avvicinarsi
senza fretta, mentre lui intensificava la stretta tanto che i polsi iniziarono a
farle male. Fu scossa da un lieve tremore, subito controllato, quando percepì le
labbra fredde della sua preda posarsi sull’angolo della sua bocca. Le stesse
labbra che ora si schiudevano lievemente e lasciavano la lingua indugiare per
qualche secondo sulla pelle. Ora era spiazzata, e la sua confusione aumentò alla
vista della macchia rossa che ora spiccava sulla bocca di Dragunov. Aveva
leccato via il rivolo di sangue che colava sul suo volto, conseguenza di quella
colluttazione, e ora si puliva le labbra con velata soddisfazione.
Valutandola abbastanza stordita, lui allentò la stretta, per
lasciarla definitivamente poco dopo.
Nina era turbata. I suoi riflessi ora erano lenti, e comunque i
polsi le facevano davvero troppo male per reagire. Un ultimo, stanco colpo non
riuscì a raggiungere Dragunov che si allontanava senza difficoltà e, sistematosi
con noncuranza lo smoking, sparì nel corridoio.
In quel momento Nina si rese conto che doveva fare in fretta, se
voleva scappare.
Non perse tempo a correre fuori dalla serra e rientrare in albergo
da una porta di servizio da dove raggiunse la sua camera senza farsi vedere, per
prendere tutto il materiale compromettente e un cappotto – era congelata
nonostante avesse passato solo pochi istanti fuori.
Nella ventiquattrore riuscì a sistemare il computer e il fucile,
poi prese il revolver e il coltello, pronta a usarli se ce ne fosse stato
bisogno. Se Dragunov aveva già chiamato rinforzi doveva scappare più velocemente
possibile. Riuscì a guadagnare l’uscita sul retro e poi iniziò a correre più
veloce che poteva verso il primo nascondiglio che avrebbe trovato. Dopo, seduta
in un vicolo buio e completamente senza fiato, si mise in contatto con il
comando giapponese riuscì ad assicurarsi un aereo di ritorno prima del tempo
stabilito, raggiungendo l’aeroporto con un’auto che sarebbe venuta a prenderla
in meno di un quarto d’ ora. L’appuntamento a tre isolati dall’albergo, quindi
doveva muoversi. Si alzò e raggiunse il luogo stabilito cercando di farsi notare
il meno possibile.
Finalmente si sentì al sicuro nell’abitacolo dell’anonima
utilitaria verde, dove l’aspettavano due membri dell’esercito giapponese
abbastanza agitati. Non rispose a nessuna delle loro domande, decisa che se
avesse dovuto parlare, l’avrebbe fatto solo con il generale Itama. Li zittì con
uno sguardo eloquente, tornando a massaggiarsi i polsi che ancora le dolevano e
immergendosi nei propri pensieri. Questa volta aveva peccato di avventatezza, se
ne rendeva conto. Si sistemò più comodamente sul sedile e chiuse gli occhi per
recuperare un po’ le forze. Ora le immagini dello scontro appena avvenuto
riaffioravano nitide e precise: rivedeva la smorfia contratta di Dragunov mentre
tentava di soffocarlo, la luce maligna nel suo sguardo quando ormai la teneva in
pugno, bloccata contro la parete, quell’improvviso cambio di espressione, il
sorriso compiaciuto appena accennato mentre si puliva la bocca con il dorso
della mano.
Era stata colta di sorpresa, non se ne dava pace. Proprio quel
momento di defaillance, in cui era troppo confusa e turbata per fare
qualsiasi cosa, le era costato un’altra opportunità di farlo fuori. Un tremito
di rabbia la scosse, ma era troppo stanca anche per quello. Per il momento non
desiderava altro che dormire, anche se sapeva che doveva prima arrivare
all’aeroporto.
Presto l’aereo privato prese quota, e Nina poté addormentarsi,
cadendo in un sonno in cui fece i sogni più stani, rivedendo episodi della sua
vita –quella che ricordava, ovviamente– che si mescolavano e ricreavano un
mosaico bizzarro e a tratti inquietante. La figura di Dragunov entrava e usciva
dalle varie scene senza motivazione o scopo apparente, il che la fece svegliare
più distrutta e arrabbiata di prima. Durante il volo non mangiò nulla, né parlò
con nessuno.
La sua rabbia stava lentamente accrescendo il seme dell’ossessione.
Presto ne sarebbe stata completamente corrosa, e allora non sarebbe servita
altra cura che la morte.
Quella della sua preda, o la sua.
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Quinto capitolo...difficile
da scrivere, ancora di più da perfezionare. Comunque quello che più mi è
piaciuto scrivere.
Innanzitutto ringrazio la collaborazione di due persone particolari, che mi
hanno aiutato non poco. (loro sanno chi sono^^)
Grazie a:
Vergil_grazie per i tuoi complimenti, che ricevo con immenso piacere^^
annasukasuperfan_spero di continuare a stupirti...non sai quanto mi rendi
felice quando mi dici che vedi Nina integrata nella storia^^
Silver Princess_non so cosa dire se non...grazie, grazie e grazie! *_*
Valy_Chan_sono contenta che tu pian piano ti stia innamorando di
Dragunov, chissà se un giorno non dovrò "essere gelosa"
XD...e
l'adrenalina, quella c'è sempre^^ grazie per la recensione, ammora :-*
Alla prossima (spero in questa era...) ;-)
Miss Trent