Videogiochi > The Elder Scroll Series
Ricorda la storia  |      
Autore: Hi Fis    25/03/2013    2 recensioni
Breve One- Shot su Skyrim ambientata dopo la fine della campagna principale del gioco, all'inizio della guerra di riunificazione fra Manto della Tempesta e Impero. Basata su una missione reale del gioco, la sviluppa in modo un po' diverso spiegando le ragioni del mio Dovahkiin per combattere la guerra.
Questo pezzo è compagno dei miei precedenti racconti sul Skyrim.
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa one- shot è stata scritta perché fosse complementare alla mia precedente "Il Re Drago e la Regina Grigia" che sebbene sia ambientata successivamente a questa, delinea maggiormente il protagonista del Dovahkiin qui descritto. Per questo, consiglio vivamente di leggerla prima di procedere nella lettura.




Aeta Grande-Marcia ha diciannove anni: non è particolarmente alta, almeno non per una Nord, né ha particolari caratteristiche che la distinguono dai suoi coetanei. Ha due splendidi occhi color cielo e lunghi capelli biondi, che tiene legati in un laccio in modo che non le siano d'ostacolo. Non è dotata di una bellezza fuori dal comune, né di una intelligenza particolare: sotto ogni aspetto, Aeta è piuttosto normale per una terra straordinaria come Skyrim. 

Il suo soprannome le è stato dato per un solo motivo: la sua velocità e resistenza nella corsa. Anche con il suo spadone sulla schiena, solo i lupi saprebbero raggiungere Aeta quando è in marcia. Ed è per questo motivo che la Nord è stata scelta come messaggero particolare tra i vari accampamenti dei Manto della Tempesta: correre da sola fra boschi che conosce come le sue tasche, lontano dalle strade per evitare agguati, è diventato il suo incarico, e Aeta gioisce di questo. Per una persona normale come lei, fare qualcosa di speciale riempie il suo animo di gioia.
Aeta vorrebbe vivere a Winterhold quando la guerra sarà finita: comprare un negozio e creare un piccolo giro d'affari con cui guadagnarsi da vivere fino alla vecchiaia. Sposarsi, avere dei figli. Desideri normali e pratici, che accompagnano la sua corsa verso Windhelm, ignara che queste siano le sue ultime ore a Skyrim. 
Nonostante il suo incarico, questa notte la mente della Nord è lontana dalla guerra: la tregua di High Hrothgar è stata appena sciolta e l'impero sembra essere già in vantaggio. Markarth e le sue riserve d'argento non sono servite a nulla ai Manto della Tempesta, poiché la città è stretta nella morsa dei Ribelli del Reach fin dall'avvicendamento di Thongvor Sangue- Argento al trono dello Jarle. Il nuovo sovrano del Reach è senza alcun dubbio un fedele sostenitore di Ulfric, ma la sua fedeltà non gli ha permesso di inviare ai Manto della Tempesta l'argento promesso, non con ribelli in agguato lungo le strade che bramano il sangue dei Nord più dell'acqua. Nella speranza di pacificare la regione, quasi un terzo delle truppe dei Manto della Tempesta è stato dirottato nel Reach, ma nel frattempo la flotta Imperiale muove da Dawnstar su Winterhold e le poche truppe nel feudo non possono sperare di resistere da sole contro le legioni ben armate della marina di Cyrodill: occorre che il grande Ulfric sia subito informato. 
 
Una radura si aprì improvvisamente di fronte ad Aeta, illuminata dalla luce delle lune: non è la bellezza dello scenario che fermò la sua corsa, ma il silenzio. La donna ha imparato che la foresta tace solo quando un pericolo è prossimo: 
"Sono io la preda, o sono solo la testimone di un agguato?" si domandò Aeta, il suo spadone d'acciaio sfoderato in un istante. 
I minuti si susseguirono lenti senza che accadesse nulla, e solo l'istinto e il brivido gelido sulla schiena la costrinsero a tenere il suo spadone sguainato e alto sopra la testa. Quando finalmente accadde, fu dal cielo: enormi ali di cuoio oscurarono le lune e un ruggito assordante le fece alzare finalmente la testa. Un drago! Un drago enorme e minaccioso, proprio sopra di lei. Era la prima volta che ne vedeva uno da così vicino. 
Il suo primo pensiero fu che non avrebbe dovuto volare; il drago era semplicemente troppo grande per aver bisogno anche di volare. Eppure il battito delle grandi ali di cuoio che sostenevano l'antico drago contro il cielo continuava imperturbato, mentre la luce delle stelle si riversava sulle sue scaglie color rame: il drago incrociò il suo sguardo per un solo istante e la nord capì subito di non avere più scampo. 
Fu questione letteralmente di un battito di ali: un singolo istante e la grande bestia fu a terra. Aeta sentì il terreno tremarle sotto i piedi quando il drago atterrò pesantemente davanti a lei. 
Non c'era più tempo per scappare: anche voltandogli le spalle in quel momento, Aeta sapeva di aver perso troppo tempo a fissarlo inebetita. C'era solo una cosa che le restava da fare: impugnare saldamente la sua spada e gridare la sua sfida. 
"Per Sovngarde!" ruggì, mentre la luce delle stelle si rifletteva sul suo spadone, prima che Aeta lo calasse con tutta la sua forza. 
Le fauci del drago infransero l'acciaio come se fosse stato di carta: lo spadone andò in pezzi e schegge, lasciando Aeta con un'elsa inutile e braccia molli e la paura, che prendeva possesso della sua mente. 
"NAHKIP BAHLOKI, JOOR!" ruggì il drago e Aeta seppe che erano parole. Ma anche se non ne riconobbe il senso, seppe subito il loro significato: zanne come schegge di ferro si aprirono di fronte a lei e la Nord sentì il fiato del drago, silice bruciata e sangue. 
Aeta chiuse gli occhi. 
La donna non vide, ma sentì qualcosa frapporsi fra lei e il drago: un grande spostamento d'aria, una vibrazione nella terra e un grande ruggito: tutto troppo rapidamente perché percepisse altro che un'impressione sbiadita. 
"REK KOS DII!" ruggì qualcuno, seguito da un schiocco simile a quello di un tronco che viene spaccato dal fulmine. 
La nord osò aprire gli occhi, ma si pentì subito di averlo fatto: fra lei e il drago di rame era apparsa una... bestia, di forma e proporzioni simili a quelle dell'orso e, come un orso, coperta da una fitta pelliccia nera che nemmeno le due lune riuscivano a schiarire. Le sue lunghe braccia tenevano il drago per le fauci e Aeta comprese che lo schiocco che aveva sentito erano state le mascelle del mostro che venivano spaccate dalla forza bruta del nuovo arrivato. 
Prima che il drago potesse reagire, la bestia ne afferrò con entrambe le mani la lingua, immergendo le unghie nei muscoli del drago e tirando con tutta la sua forza: la lingua serpentina venne via col rumore di una vela strappata, mentre un torrente di sangue si riversò su di loro, come una pioggia spaventosa. 
Anche se la bestia di fronte a lei le fece in qualche modo da scudo, la Nord sentì un sapore vile e aspro nella bocca che la fece gemere: sapeva di acida bile e di metallo. 
Il drago ruggì al cielo, e anche se Aeta non comprese la sua lingua, capì che era un ruggito di dolore e sdegno. In quell'attimo la bestia si voltò, e Aeta capì finalmente che cosa fosse il suo salvatore: anche sotto tutta quella pelliccia inzuppata di sangue, i lineamenti di lupo erano inconfondibili: 
"Talos pres... !" ma la donna non finì la frase, perché il licantropo di fronte a lei l'afferrò per il pettorale e la lanciò nel bosco come se fosse un fuscello. 
Aeta rotolò e rimbalzò fra le radici e le foglie, riempiendosi la bocca di terra, mentre neve gelata si infilava dentro i suoi indumenti e gli stivali, rotolando, una, due volte prima di fermarsi con le stelle sopra di lei: fu solo grazie a loro che Aeta capì di essere sdraiata. La donna singhiozzò una volta soltanto, prima che una sensazione inconfondibile le risalisse dallo stomaco: Aeta ruotò la testa e vomitò sull'erba tutto quello che il suo stomaco ancora conteneva. Nel frattempo, ai margini della sua percezione, vicino e lontano allo stesso tempo, una battaglia infuriava: una battaglia che nello stato in cui era, non le interessava più. 
La donna sentì solo ruggiti e carne che si scontrava: sentì denti che si chiudevano a vuoto e il rumore di grandi alberi che venivano sradicati. Sentì un grande squarcio e un ruggito feroce. 
Poi ci fu silenzio. 
Si riscosse solo quando la luce delle stelle venne oscurata da un muso: il licantropo le era così vicino che avrebbe potuto toccarlo senza alzare la mano. Aeta non sapeva dire se fossero passati minuti o ore da quando era stata lanciata via dalla radura, ma l'aspetto del licantropo era cambiato radicalmente dopo il suo scontro col drago: gli mancava un occhio e un orecchio, mentre sangue vischioso colava dalle molte ferite che portava. Stranamente, fu proprio quel suo aspetto vulnerabile a risvegliare la donna dal suo stato: con un grido, Aeta rotolò sul ventre, strisciando nella neve e cercando di sottrarsi alla bestia. 
Il licantropo non le permise di andare lontano: la ghermì per una caviglia e la trascinò di nuovo vicino a lui, cominciando a frugarla. Con uno strattone, l'astuccio con gli ordini che fino a quel momento era rimasto miracolosamente con lei, venne via e il licantropo la lasciò finalmente andare. 
La donna fece allora qualcosa di molto stupido: invece di scappare, Aeta si avventò sul licantropo, cercando di recuperare l'astuccio. Con una sola mano, il licantropo le ghermì entrambi i polsi, alzandola da terra fino a quando i loro occhi furono alla stessa altezza, indifferente agli sforzi di Aeta di liberarsi: alla donna sembrò di prendere a calci del granito. 
"Non avere fretta di morire." le disse con uno sbuffo d'alito caldo in faccia. 
I tentativi di ribellione di Aeta cessarono immediatamente e di nuovo il lupo mannaro la lasciò andare, facendole battere violentemente il posteriore nella neve. Nel suo stupore, Aeta non ci fece caso: 
"... Sai parlare." 
Con un gesto deliberato, il licantropo raccolse una manciata di neve dal terreno, tirandogliela precisamente in faccia e nella bocca che Aeta teneva spalancata dallo stupore: la donna tossicchiò e sputò nuovamente mentre tentava di pulirsi con le mani. 
Indifferente a questo, il licantropo strinse la mano attorno all'astuccio degli ordini, sussurrando qualcosa che la donna non sentì. Aeta comprese che il licantropo aveva pronunciato un incantesimo solo quando attorno al suo pugno si raccolsero le luci di minuscoli fuochi fatui, che crebbero in intensità fino a raggiungere quella di una torcia, per poi scomparire tutti assieme in un lampo di luce. 
Quando il licantropo riaprì la mano, l'astuccio era scomparso. 
"... E sai usare la magia." 
Il lupo non le rispose: sembrava si fosse disinteressato completamente di lei. Si accucciò nella neve, cominciando a leccarsi le ferite. 
 

***

 
"... Grazie." disse Aeta quando il silenzio e i minuti si allungarono tanto da diventare insopportabili: "Grazie!" ripeté a voce più alta, sottolineando le sue parole con ampi gesti delle mani. 
"... Non sei del tutto priva di maniere." le rispose beffardo il licantropo, continuando a passarsi la lingua sulla pelliccia. Aveva una voce bassa e ringhiante, ma le parole erano perfettamente comprensibili. 
"Sai parlare!" 
Il licantropo non si degnò di risponderle questa volta: con lenti movimenti deliberati, la bestia si alzò in piedi, scrollandosi di dosso la neve e la terra che aveva nella pelliccia. Poi si mise a scavare. 
Aeta rimase a fissarlo in silenzio, mentre estraeva dal terreno duro e gelido di Skyrim zolle piene di radici e spostava massi che la Nord non sarebbe mai riuscita a sollevare. 
"Sotterrerai le ossa del drago?" gli chiese dopo un momento. 
Il licantropo la fissò con l'occhio superstite e con l'espressione meno bestiale che avrebbe mai pensato di trovare sul volto di un uomo lupo. Azzurro: il suo occhio era azzurro come il ghiaccio, realizzò la Nord. 
"Non sono un cane, Aeta. Scavo per te." 
"Sai il mio nome... aspetta: cosa?" 
Il licantropo scavò ancora un poco prima di fermarsi: Aeta si rese conto che la buca era ora delle dimensioni perfette per una tomba. 
"Hai bevuto il sangue del drago..." disse il licantropo pulendosi i palmi dalla terra, in un gesto allo stesso tempo umano e alieno per qualcosa di disumano come lui: "... ti ucciderà prima dell'alba. E ormai non manca molto." concluse serafico. 
"... OH!" fu tutto quello che Aeta riuscì a dire: non pianse, non gridò, né strappò la neve con le mani per lanciarla in aria. Non bestemmiò contro gli dei e nemmeno contro il destino. 
Lo accettò, perché si rese conto che era la verità, ed era inevitabile: non era stata la paura o il dolore a farla vomitare nella neve prima. La sua mente sgombra finalmente percepì ciò che il suo corpo stava cercando di dirle da un pezzo: qualcosa si muoveva dentro di lei, dal suo stomaco al suo sangue. Qualcosa di mortale: Aeta aveva già perso sensibilità si piedi e il processo stava risalendo gradualmente lungo le sue gambe. 
"... Mi dispiace." sussurrò il licantropo dolcemente: Aeta alzò gli occhi e vide che le era di fronte. Vicino, troppo vicino, ma la Nord non sentì il bisogno di indietreggiare questa volta: le emozioni e l'intelligenza che pervadevano l'unico occhio superstite del lupo erano così ricolme di affetto da farla commuovere. 
"... Qual é il tuo nome?" disse, allungando la mano e immergendola nella pelliccia nera del licantropo: la trovò soffice e calda. 
"... In questa forma, puoi chiamarmi Haynekhtnamet." le rispose dolcemente. 
"Mi terrai compagnia?" 
"... Se tu lo vorrai." 
"Grazie." riuscì a dire, mentre il licantropo le si accucciava vicino. 
 
Venne l'alba, e il sole prese il posto delle lune. 
Il corpo di Aeta era già freddo. I suoi ultimi momenti erano stati di dolore, perché il sangue dei draghi contiene così tanta magia da avvelenare un mortale comune. 
Aeta Grande-Marcia era morta sputando sangue, nel delirio, con solo un licantropo ad assisterla. Il sangue del drago aveva bruciato il suo corpo come una febbre e le aveva tolto ogni colore: i suoi capelli biondi erano diventati bianchi, e il corpo era avvizzito come un frutto vecchio. Il licantropo l'aveva tenuta stretta a sé fino all'ultimo, anche durante la crisi, e ora la guardava tristemente riposare sul fondo della tomba che aveva scavato per lei. 
Al suo fianco, si materializzò una porta di nebbia e fumo, un varco magico nello spazio, a cui Haynekhtnamet non prestò alcuna attenzione. 
Dal portale emerse Brelyna Marion, il suo bastone magico legato sulla schiena e l'astuccio di Aeta legato in vita: quell'astuccio che ora conteneva rapporti modificati in modo che Ulfric mandasse i suoi rinforzi in una trappola. 
"... è morta?" chiese l'elfa a bassa voce. 
Il licantropo annuì tristemente: 
"Sì." rispose. Poi, con un brivido, cominciò a mutare: le unghie si accorciarono, i muscoli si rilassarono e la pelliccia diventò di nuovo scaglie. La coda rimase, ma si assottigliò, ricoprendosi di squame appuntite come una sega. Sulla testa, crebbero possenti corna a sostituire orecchie da lupo: dove c'era stato Haynekhtnamet il licantropo, ora c'era Coda-Spezzata, il Dovahkiin. 
"È morta senza capire il perché. Senza sapere che eravamo nemici. E se anche ero una bestia, mi hai chiesto di rimanerlo accanto. E mi ha ringraziato." 
Coda-Spezzata fu scosso da un singhiozzo e si portò una mano alla bocca per soffocarlo: Brelyna Marion gli fu accanto, stringendo la sua mano. 
"Una manciata di Altmer decide che gli uomini non devono adorare Talos. Perché? Perché l'idea che un mortale sia adorato come un Dio è per loro insostenibile. Perché sono convinti che la loro filosofia sia l'unica che debba essere praticata e che tutti i popoli debbano inchinarsi al loro intelletto. E così tramano nell'ombra per la sottomissione e la conquista di uomini ed elfi. Ingannano, mentono e sobillano. Spargono miseria e orrore. Arrivano a torturare un giovane principe fino a farlo diventare loro ignaro complice per destabilizzare Skyrim e l'Impero..." 
"Thalmor..." disse Coda-Spezzata sputando a terra: "Solo il loro nome mi disgusta. E mentre ci affanniamo a porre rimedio ai loro inganni, esistenze come questa rimangono prigioniere di un karma che non hanno scelto. Le sono rimasto accanto Brelyna, leggendo la sua mente mentre moriva... Quale magnifica innocenza. E quale terribile spreco." 
"... Vuoi ancora che sia l'impero a sconfiggere Ulfric?" 
"Non c'è altro modo. Se io oggi marciassi su Windhelm, se io sfidassi Ulfric, la guerra finirebbe oggi. Ma allo stesso tempo, non riunificherei l'Impero: creerei solo altre divisioni, mentre l'intero Nord insorgerebbe sotto al mio comando. Non cambierebbe nulla. E questa morte rimarrebbe invendicata." 
Coda-Spezzata unì le mani in preghiera, un piccolo gesto per accompagnare l'anima di Aeta verso Sovngarde: 
"Solo quando le insegne imperiali sventoleranno sul palazzo dei Re a Windhelm, solo allora l'impero dell'uomo sarà unito davvero, e io potrò volgere il mio sguardo sulle Isole di Sommerset. Solo allora Aeta e la moltitudine di suoi simili potranno riposare in pace." 
Detto questo, tra le mani dell'Argoniano rifulse la luce di un nuovo incantesimo e il suo aspetto cominciò di nuovo a mutare: ma questa volta si trattava solo di una illusione, così perfetta da sostituire la realtà. Quando la luce si disperse dal suo corpo, Aeta stava fissando se stessa sul fondo della tomba, i lunghi capelli biondi al vento. Un singolo fiore, ultimo viatico ai morti, venne gettato nella tomba dalla Nord. 
"Potresti... ?" chiese a Brelyna. Anche la voce era un'illusione perfetta: nessuno avrebbe saputo accorgersi della differenza. 
"Certo, amore mio." uno svolazzo delle mani, un semplice incantesimo di trasmutazione, e la salma fu sepolta e la tomba chiusa. Invece di una lapide, Brelyna fece sorgere un curva di pietra, simile ai Muri che i Nord avevano eretto nei tempi antichi in tutta Skyrim e che portavano iscrizioni in lingua Dovah. 
Aeta/ Coda-Spezzata passò la mano su quella pietra liscia e dove toccava il granito, rune draconiche venivano incise in un fuoco imperituro. Quando ebbe finito, Brelyna lesse a voce alta: 
 

"Dovahkiin Wahlaan Qethsegol 
Vahrukt Aeta Lot Yoriik
Wo Dovah Sos Krii 
Kotin Keizal Kein"

 
"Il Dovahkiin eresse questa pietra in memoria di Aeta Grande-Marcia, che il sangue di drago uccise nella Guerra per Skyrim." tradusse l'illusione al suo fianco con la voce di Aeta: "...Non degno di lei, ma non avrebbe desiderato nemmeno questo." 
"... Vuoi che venga con te?" chiese Brelyna passandogli gli ordini falsificati. 
"Non ce n'è bisogno. Ruberò una divisa da Manto della Tempesta sulla strada e sarò di ritorno prima dell'alba di domani." 
"Ti aspetterò." disse Brelyna, baciandolo sulla guancia: dove le sue labbra si posarono, l'aspetto di Aeta si dissolse come onde sull'acqua, rivelando per un attimo scaglie nere, che vennero poi nuovamente nascoste da pelle rosea. 
Prima di dileguarsi fra gli alberi e dirigesti verso Windhelm, Aeta rivolse un ultimo sguardo a Brelyna, pieno di indecifrabili emozioni. Ma Aeta non indugiò in esse: in un istante la Nord fu subito lontana. 
Coda-Spezzata avrebbe onorato il nome Grande-Marcia fino alla fine. 
Brelyna lo guardò fino a quando non scomparve: solo quando fu di nuovo sola ponderò nuovamente il significato dell'iscrizione sulla tomba. 
"Dovahkiin e Dovah Sos: letteralmente, nato di drago e sangue di drago... termini che sono spesso confusi fra loro. Mio amato, hai forse intenzione di prendere su di te ogni morte che questa guerra causerà?" 
Quale follia, sospirò Brelyna: tutto quel dolore era troppo perché un singolo uomo potesse farsene carico. Ma non era in fondo proprio questa nobile follia a rendere Coda-Spezzata insostituibile all'elfa? Per lei era più semplice: lei seguiva il Re Drago, suo marito. E poiché i Thalmor erano nemici di Coda-Spezzata lei li avrebbe consumati con gioia. Brelyna Marion sosteneva suo marito, non per amore o dedizione, ma perché come tutti i Telvanni, lei era supremamente egoista: Coda-Spezzata era suo. 
Chiunque si fosse messo sulla strada del Dovahkiin avrebbe sofferto per mano della strega. 
Brelyna batté il suo bastone sul terreno. E la foresta fu di nuovo vuota.




Post Fazione:


Bentornati a tutti, lettori, recensori e casuali curiosi! E ben arrivati alla fine di questo pezzo, mio piccolo tributo a Skyrim e al Dovahkiin.
 
Spero vi sia piaciuto, nel qual caso recensite: ho bisogno di pareri! ;)
Messo da parte questo mio egoista desiderio, mi rendo conto che ci sono cose in questa one shot che potrebbero risultare... un po' oscure. Non le ho spiegate nel testo perché l'avrebbero reso inutilmente pedante e avrebbero spezzato il ritmo. Permettetimi quindi di farlo ora: per esempio, cosa significano le due frasi in lingua dragonesca che sono nel testo?
 
Nutri la mia fame, mortale! detto dal drago, e Lei è mia! in risposta.
E sì, il mio Dovahkiin, in forma di licantropo, sa usare la magia: essere arcimaghi del colleggio di Winterhold dovrà pure servire a qualcosa, no? ;)
Mi rendo anche conto che incantesimi di teletrasporto come quello usato da Brelyna non sono normalmente utilizzabili, ma poiché esistono nel gioco e non c'era spazio in questo pezzo per tentare di giustificare complicate e astruse teorie di spostamento magico, sopportatemi.
Chi si è preso la briga di svaligiare l'ambasciata Altmer durante la campagna principale del gioco, forse ricorderà un interessante Dossier su Ulfric, che viene considerato dagli Altmer, cito testualmente "... agente in incognito." Quel dossier ha motivato molte delle mie scelte durante la parte finale della storia: non pretendo siano giuste, però di certo non mi vedrete mai simpatizzare con i Manto della Tempesta.
Infine un'ultima cosa: Haynekhtnamet non è un nome scelto a caso. Chi si ricorda "L'ultima danza del Wamasus?"
 
Un saluto a tutti.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > The Elder Scroll Series / Vai alla pagina dell'autore: Hi Fis