Questa one- shot è stata scritta perché fosse complementare alla mia precedente "Il Re Drago e la Regina Grigia" che sebbene sia ambientata successivamente a questa, delinea maggiormente il protagonista del Dovahkiin qui descritto. Per questo, consiglio vivamente di leggerla prima di procedere nella lettura.
Il
suo soprannome le è stato dato per un
solo motivo: la sua velocità e resistenza nella corsa. Anche con il suo
spadone
sulla schiena, solo i lupi saprebbero raggiungere Aeta quando è in
marcia. Ed è
per questo motivo che la Nord è stata scelta come messaggero
particolare tra i
vari accampamenti dei Manto della Tempesta: correre da sola fra boschi
che
conosce come le sue tasche, lontano dalle strade per evitare agguati, è
diventato il suo incarico, e Aeta gioisce di questo. Per una persona
normale
come lei, fare qualcosa di speciale riempie il suo animo di gioia.
Aeta
vorrebbe vivere a Winterhold quando
la guerra sarà finita: comprare un negozio e creare un piccolo giro
d'affari
con cui guadagnarsi da vivere fino alla vecchiaia. Sposarsi, avere dei
figli.
Desideri normali e pratici, che accompagnano la sua corsa verso
Windhelm,
ignara che queste siano le sue ultime ore a Skyrim.
Nonostante
il suo incarico, questa notte
la mente della Nord è lontana dalla guerra: la tregua di High Hrothgar
è stata
appena sciolta e l'impero sembra essere già in vantaggio. Markarth e le
sue
riserve d'argento non sono servite a nulla ai Manto della Tempesta,
poiché la
città è stretta nella morsa dei Ribelli del Reach fin
dall'avvicendamento di
Thongvor Sangue- Argento al trono dello Jarle. Il nuovo sovrano del
Reach è
senza alcun dubbio un fedele sostenitore di Ulfric, ma la sua fedeltà
non gli
ha permesso di inviare ai Manto della Tempesta l'argento promesso, non
con
ribelli in agguato lungo le strade che bramano il sangue dei Nord più
dell'acqua. Nella speranza di pacificare la regione, quasi un terzo
delle
truppe dei Manto della Tempesta è stato dirottato nel Reach, ma nel
frattempo
la flotta Imperiale muove da Dawnstar su Winterhold e le poche truppe
nel feudo
non possono sperare di resistere da sole contro le legioni ben armate
della
marina di Cyrodill: occorre che il grande Ulfric sia subito informato.
Una
radura si aprì improvvisamente di
fronte ad Aeta, illuminata dalla luce delle lune: non è la bellezza
dello
scenario che fermò la sua corsa, ma il silenzio. La donna ha imparato
che la
foresta tace solo quando un pericolo è prossimo:
"Sono
io la preda, o sono solo la
testimone di un agguato?" si domandò Aeta, il suo spadone d'acciaio
sfoderato in un istante.
I
minuti si susseguirono lenti senza che
accadesse nulla, e solo l'istinto e il brivido gelido sulla schiena la
costrinsero a tenere il suo spadone sguainato e alto sopra la testa.
Quando
finalmente accadde, fu dal cielo: enormi ali di cuoio oscurarono le
lune e un
ruggito assordante le fece alzare finalmente la testa. Un drago! Un
drago
enorme e minaccioso, proprio sopra di lei. Era la prima volta che ne
vedeva uno
da così vicino.
Il
suo primo pensiero fu che non avrebbe
dovuto volare; il drago era semplicemente troppo grande per aver
bisogno anche
di volare. Eppure il battito delle grandi ali di cuoio che sostenevano
l'antico
drago contro il cielo continuava imperturbato, mentre la luce delle
stelle si
riversava sulle sue scaglie color rame: il drago incrociò il suo
sguardo per un
solo istante e la nord capì subito di non avere più scampo.
Fu
questione letteralmente di un battito
di ali: un singolo istante e la grande bestia fu a terra. Aeta sentì il
terreno
tremarle sotto i piedi quando il drago atterrò pesantemente davanti a
lei.
Non
c'era più tempo per scappare: anche
voltandogli le spalle in quel momento, Aeta sapeva di aver perso troppo
tempo a
fissarlo inebetita. C'era solo una cosa che le restava da fare:
impugnare
saldamente la sua spada e gridare la sua sfida.
"Per
Sovngarde!" ruggì, mentre
la luce delle stelle si rifletteva sul suo spadone, prima che Aeta lo
calasse
con tutta la sua forza.
Le
fauci del drago infransero l'acciaio
come se fosse stato di carta: lo spadone andò in pezzi e schegge,
lasciando
Aeta con un'elsa inutile e braccia molli e la paura, che prendeva
possesso
della sua mente.
"NAHKIP
BAHLOKI, JOOR!" ruggì il
drago e Aeta seppe che erano parole. Ma anche se non ne riconobbe il
senso,
seppe subito il loro significato: zanne come schegge di ferro si
aprirono di
fronte a lei e la Nord sentì il fiato del drago, silice bruciata e
sangue.
Aeta
chiuse gli occhi.
La
donna non vide, ma sentì qualcosa
frapporsi fra lei e il drago: un grande spostamento d'aria, una
vibrazione
nella terra e un grande ruggito: tutto troppo rapidamente perché
percepisse
altro che un'impressione sbiadita.
"REK
KOS DII!" ruggì qualcuno,
seguito da un schiocco simile a quello di un tronco che viene spaccato
dal
fulmine.
La
nord osò aprire gli occhi, ma si pentì
subito di averlo fatto: fra lei e il drago di rame era apparsa una...
bestia,
di forma e proporzioni simili a quelle dell'orso e, come un orso,
coperta da
una fitta pelliccia nera che nemmeno le due lune riuscivano a
schiarire. Le sue
lunghe braccia tenevano il drago per le fauci e Aeta comprese che lo
schiocco
che aveva sentito erano state le mascelle del mostro che venivano
spaccate
dalla forza bruta del nuovo arrivato.
Prima
che il drago potesse reagire, la
bestia ne afferrò con entrambe le mani la lingua, immergendo le unghie
nei
muscoli del drago e tirando con tutta la sua forza: la lingua
serpentina venne
via col rumore di una vela strappata, mentre un torrente di sangue si
riversò
su di loro, come una pioggia spaventosa.
Anche
se la bestia di fronte a lei le fece
in qualche modo da scudo, la Nord sentì un sapore vile e aspro nella
bocca che
la fece gemere: sapeva di acida bile e di metallo.
Il
drago ruggì al cielo, e anche se Aeta
non comprese la sua lingua, capì che era un ruggito di dolore e sdegno.
In
quell'attimo la bestia si voltò, e Aeta capì finalmente che cosa fosse
il suo
salvatore: anche sotto tutta quella pelliccia inzuppata di sangue, i
lineamenti
di lupo erano inconfondibili:
"Talos
pres... !" ma la donna
non finì la frase, perché il licantropo di fronte a lei l'afferrò per
il
pettorale e la lanciò nel bosco come se fosse un fuscello.
Aeta
rotolò e rimbalzò fra le radici e le
foglie, riempiendosi la bocca di terra, mentre neve gelata si infilava
dentro i
suoi indumenti e gli stivali, rotolando, una, due volte prima di
fermarsi con
le stelle sopra di lei: fu solo grazie a loro che Aeta capì di essere
sdraiata.
La donna singhiozzò una volta soltanto, prima che una sensazione
inconfondibile
le risalisse dallo stomaco: Aeta ruotò la testa e vomitò sull'erba
tutto quello
che il suo stomaco ancora conteneva. Nel frattempo, ai margini della
sua
percezione, vicino e lontano allo stesso tempo, una battaglia
infuriava: una
battaglia che nello stato in cui era, non le interessava più.
La
donna sentì solo ruggiti e carne che si
scontrava: sentì denti che si chiudevano a vuoto e il rumore di grandi
alberi
che venivano sradicati. Sentì un grande squarcio e un ruggito
feroce.
Poi
ci fu silenzio.
Si
riscosse solo quando la luce delle
stelle venne oscurata da un muso: il licantropo le era così vicino che
avrebbe
potuto toccarlo senza alzare la mano. Aeta non sapeva dire se fossero
passati
minuti o ore da quando era stata lanciata via dalla radura, ma
l'aspetto del
licantropo era cambiato radicalmente dopo il suo scontro col drago: gli
mancava
un occhio e un orecchio, mentre sangue vischioso colava dalle molte
ferite che
portava. Stranamente, fu proprio quel suo aspetto vulnerabile a
risvegliare la
donna dal suo stato: con un grido, Aeta rotolò sul ventre, strisciando
nella
neve e cercando di sottrarsi alla bestia.
Il
licantropo non le permise di andare lontano:
la ghermì per una caviglia e la trascinò di nuovo vicino a lui,
cominciando a
frugarla. Con uno strattone, l'astuccio con gli ordini che fino a quel
momento
era rimasto miracolosamente con lei, venne via e il licantropo la
lasciò
finalmente andare.
La
donna fece allora qualcosa di molto
stupido: invece di scappare, Aeta si avventò sul licantropo, cercando
di
recuperare l'astuccio. Con una sola mano, il licantropo le ghermì
entrambi i
polsi, alzandola da terra fino a quando i loro occhi furono alla stessa
altezza, indifferente agli sforzi di Aeta di liberarsi: alla donna
sembrò di
prendere a calci del granito.
"Non
avere fretta di morire." le
disse con uno sbuffo d'alito caldo in faccia.
I
tentativi di ribellione di Aeta
cessarono immediatamente e di nuovo il lupo mannaro la lasciò andare,
facendole
battere violentemente il posteriore nella neve. Nel suo stupore, Aeta
non ci
fece caso:
"...
Sai parlare."
Con
un gesto deliberato, il licantropo
raccolse una manciata di neve dal terreno, tirandogliela precisamente
in faccia
e nella bocca che Aeta teneva spalancata dallo stupore: la donna
tossicchiò e
sputò nuovamente mentre tentava di pulirsi con le mani.
Indifferente
a questo, il licantropo
strinse la mano attorno all'astuccio degli ordini, sussurrando qualcosa
che la
donna non sentì. Aeta comprese che il licantropo aveva pronunciato un
incantesimo solo quando attorno al suo pugno si raccolsero le luci di
minuscoli
fuochi fatui, che crebbero in intensità fino a raggiungere quella di
una
torcia, per poi scomparire tutti assieme in un lampo di luce.
Quando
il licantropo riaprì la mano,
l'astuccio era scomparso.
"...
E sai usare la magia."
Il
lupo non le rispose: sembrava si fosse
disinteressato completamente di lei. Si accucciò nella neve,
cominciando a
leccarsi le ferite.
***
"...
Grazie." disse Aeta quando
il silenzio e i minuti si allungarono tanto da diventare
insopportabili:
"Grazie!" ripeté a voce più alta, sottolineando le sue parole con
ampi gesti delle mani.
"...
Non sei del tutto priva di
maniere." le rispose beffardo il licantropo, continuando a passarsi la
lingua sulla pelliccia. Aveva una voce bassa e ringhiante, ma le parole
erano
perfettamente comprensibili.
"Sai
parlare!"
Il
licantropo non si degnò di risponderle
questa volta: con lenti movimenti deliberati, la bestia si alzò in
piedi,
scrollandosi di dosso la neve e la terra che aveva nella pelliccia. Poi
si mise
a scavare.
Aeta
rimase a fissarlo in silenzio, mentre
estraeva dal terreno duro e gelido di Skyrim zolle piene di radici e
spostava
massi che la Nord non sarebbe mai riuscita a sollevare.
"Sotterrerai
le ossa del drago?"
gli chiese dopo un momento.
Il
licantropo la fissò con l'occhio
superstite e con l'espressione meno bestiale che avrebbe mai pensato di
trovare
sul volto di un uomo lupo. Azzurro: il suo occhio era azzurro come il
ghiaccio,
realizzò la Nord.
"Non
sono un cane, Aeta. Scavo per
te."
"Sai
il mio nome... aspetta:
cosa?"
Il
licantropo scavò ancora un poco prima
di fermarsi: Aeta si rese conto che la buca era ora delle dimensioni
perfette
per una tomba.
"Hai
bevuto il sangue del
drago..." disse il licantropo pulendosi i palmi dalla terra, in un
gesto
allo stesso tempo umano e alieno per qualcosa di disumano come lui:
"... ti
ucciderà prima dell'alba. E ormai non manca molto." concluse serafico.
"...
OH!" fu tutto quello che
Aeta riuscì a dire: non pianse, non gridò, né strappò la neve con le
mani per
lanciarla in aria. Non bestemmiò contro gli dei e nemmeno contro il
destino.
Lo
accettò, perché si rese conto che era
la verità, ed era inevitabile: non era stata la paura o il dolore a
farla
vomitare nella neve prima. La sua mente sgombra finalmente percepì ciò
che il
suo corpo stava cercando di dirle da un pezzo: qualcosa si muoveva
dentro di
lei, dal suo stomaco al suo sangue. Qualcosa di mortale: Aeta aveva già
perso
sensibilità si piedi e il processo stava risalendo gradualmente lungo
le sue
gambe.
"...
Mi dispiace." sussurrò il
licantropo dolcemente: Aeta alzò gli occhi e vide che le era di fronte.
Vicino,
troppo vicino, ma la Nord non sentì il bisogno di indietreggiare questa
volta:
le emozioni e l'intelligenza che pervadevano l'unico occhio superstite
del lupo
erano così ricolme di affetto da farla commuovere.
"...
Qual é il tuo nome?" disse,
allungando la mano e immergendola nella pelliccia nera del licantropo:
la trovò
soffice e calda.
"...
In questa forma, puoi chiamarmi
Haynekhtnamet." le rispose dolcemente.
"Mi
terrai compagnia?"
"...
Se tu lo vorrai."
"Grazie."
riuscì a dire, mentre
il licantropo le si accucciava vicino.
Venne
l'alba, e il sole prese il posto
delle lune.
Il
corpo di Aeta era già freddo. I suoi
ultimi momenti erano stati di dolore, perché il sangue dei draghi
contiene così
tanta magia da avvelenare un mortale comune.
Aeta
Grande-Marcia era morta sputando
sangue, nel delirio, con solo un licantropo ad assisterla. Il sangue
del drago
aveva bruciato il suo corpo come una febbre e le aveva tolto ogni
colore: i
suoi capelli biondi erano diventati bianchi, e il corpo era avvizzito
come un
frutto vecchio. Il licantropo l'aveva tenuta stretta a sé fino
all'ultimo,
anche durante la crisi, e ora la guardava tristemente riposare sul
fondo della
tomba che aveva scavato per lei.
Al
suo fianco, si materializzò una porta
di nebbia e fumo, un varco magico nello spazio, a cui Haynekhtnamet non
prestò
alcuna attenzione.
Dal
portale emerse Brelyna Marion, il suo
bastone magico legato sulla schiena e l'astuccio di Aeta legato in
vita:
quell'astuccio che ora conteneva rapporti modificati in modo che Ulfric
mandasse i suoi rinforzi in una trappola.
"...
è morta?" chiese l'elfa a
bassa voce.
Il
licantropo annuì tristemente:
"Sì."
rispose. Poi, con un
brivido, cominciò a mutare: le unghie si accorciarono, i muscoli si
rilassarono
e la pelliccia diventò di nuovo scaglie. La coda rimase, ma si
assottigliò,
ricoprendosi di squame appuntite come una sega. Sulla testa, crebbero
possenti
corna a sostituire orecchie da lupo: dove c'era stato Haynekhtnamet il
licantropo, ora c'era Coda-Spezzata, il Dovahkiin.
"È
morta senza capire il perché.
Senza sapere che eravamo nemici. E se anche ero una bestia, mi hai
chiesto di
rimanerlo accanto. E mi ha ringraziato."
Coda-Spezzata
fu scosso da un singhiozzo e
si portò una mano alla bocca per soffocarlo: Brelyna Marion gli fu
accanto,
stringendo la sua mano.
"Una
manciata di Altmer decide che
gli uomini non devono adorare Talos. Perché? Perché l'idea che un
mortale sia
adorato come un Dio è per loro insostenibile. Perché sono convinti che
la loro
filosofia sia l'unica che debba essere praticata e che tutti i popoli
debbano
inchinarsi al loro intelletto. E così tramano nell'ombra per la
sottomissione e
la conquista di uomini ed elfi. Ingannano, mentono e sobillano.
Spargono
miseria e orrore. Arrivano a torturare un giovane principe fino a farlo
diventare loro ignaro complice per destabilizzare Skyrim e
l'Impero..."
"Thalmor..."
disse Coda-Spezzata
sputando a terra: "Solo il loro nome mi disgusta. E mentre ci
affanniamo a
porre rimedio ai loro inganni, esistenze come questa rimangono
prigioniere di
un karma che non hanno scelto. Le sono rimasto accanto Brelyna,
leggendo la sua
mente mentre moriva... Quale magnifica innocenza. E quale terribile
spreco."
"...
Vuoi ancora che sia l'impero a sconfiggere
Ulfric?"
"Non
c'è altro modo. Se io oggi
marciassi su Windhelm, se io sfidassi Ulfric, la guerra finirebbe oggi.
Ma allo
stesso tempo, non riunificherei l'Impero: creerei solo altre divisioni,
mentre
l'intero Nord insorgerebbe sotto al mio comando. Non cambierebbe nulla.
E
questa morte rimarrebbe invendicata."
Coda-Spezzata
unì le mani in preghiera, un
piccolo gesto per accompagnare l'anima di Aeta verso Sovngarde:
"Solo
quando le insegne imperiali
sventoleranno sul palazzo dei Re a Windhelm, solo allora l'impero
dell'uomo
sarà unito davvero, e io potrò volgere il mio sguardo sulle Isole di
Sommerset.
Solo allora Aeta e la moltitudine di suoi simili potranno riposare in
pace."
Detto
questo, tra le mani dell'Argoniano
rifulse la luce di un nuovo incantesimo e il suo aspetto cominciò di
nuovo a
mutare: ma questa volta si trattava solo di una illusione, così
perfetta da
sostituire la realtà. Quando la luce si disperse dal suo corpo, Aeta
stava
fissando se stessa sul fondo della tomba, i lunghi capelli biondi al
vento. Un
singolo fiore, ultimo viatico ai morti, venne gettato nella tomba dalla
Nord.
"Potresti...
?" chiese a
Brelyna. Anche la voce era un'illusione perfetta: nessuno avrebbe
saputo
accorgersi della differenza.
"Certo,
amore mio." uno svolazzo
delle mani, un semplice incantesimo di trasmutazione, e la salma fu
sepolta e
la tomba chiusa. Invece di una lapide, Brelyna fece sorgere un curva di
pietra,
simile ai Muri che i Nord avevano eretto nei tempi antichi in tutta
Skyrim e
che portavano iscrizioni in lingua Dovah.
Aeta/
Coda-Spezzata passò la mano su
quella pietra liscia e dove toccava il granito, rune draconiche
venivano incise
in un fuoco imperituro. Quando ebbe finito, Brelyna lesse a voce alta:
"Dovahkiin
Wahlaan Qethsegol
Vahrukt
Aeta Lot Yoriik
Wo
Dovah Sos Krii
Kotin
Keizal Kein"
"Il
Dovahkiin eresse questa pietra in
memoria di Aeta Grande-Marcia, che il sangue di drago uccise nella
Guerra per
Skyrim." tradusse l'illusione al suo fianco con la voce di Aeta:
"...Non degno di lei, ma non avrebbe desiderato nemmeno questo."
"...
Vuoi che venga con te?"
chiese Brelyna passandogli gli ordini falsificati.
"Non
ce n'è bisogno. Ruberò una
divisa da Manto della Tempesta sulla strada e sarò di ritorno prima
dell'alba
di domani."
"Ti
aspetterò." disse Brelyna,
baciandolo sulla guancia: dove le sue labbra si posarono, l'aspetto di
Aeta si
dissolse come onde sull'acqua, rivelando per un attimo scaglie nere,
che
vennero poi nuovamente nascoste da pelle rosea.
Prima
di dileguarsi fra gli alberi e
dirigesti verso Windhelm, Aeta rivolse un ultimo sguardo a Brelyna,
pieno di
indecifrabili emozioni. Ma Aeta non indugiò in esse: in un istante la
Nord fu
subito lontana.
Coda-Spezzata
avrebbe onorato il nome Grande-Marcia
fino alla fine.
Brelyna
lo guardò fino a quando non
scomparve: solo quando fu di nuovo sola ponderò nuovamente il
significato
dell'iscrizione sulla tomba.
"Dovahkiin
e Dovah Sos:
letteralmente, nato di drago e sangue di drago... termini che sono
spesso
confusi fra loro. Mio amato, hai forse intenzione di prendere su di te
ogni
morte che questa guerra causerà?"
Quale
follia, sospirò Brelyna: tutto quel
dolore era troppo perché un singolo uomo potesse farsene carico. Ma non
era in
fondo proprio questa nobile follia a rendere Coda-Spezzata
insostituibile
all'elfa? Per lei era più semplice: lei seguiva il Re Drago, suo
marito. E
poiché i Thalmor erano nemici di Coda-Spezzata lei li avrebbe consumati
con
gioia. Brelyna Marion sosteneva suo marito, non per amore o dedizione,
ma
perché come tutti i Telvanni, lei era supremamente egoista:
Coda-Spezzata era
suo.
Chiunque
si fosse messo sulla strada del
Dovahkiin avrebbe sofferto per mano della strega.
Brelyna
batté il suo bastone sul terreno.
E la foresta fu di nuovo vuota.
Bentornati a tutti, lettori, recensori e casuali curiosi! E ben
arrivati alla
fine di questo pezzo, mio piccolo tributo a Skyrim e al Dovahkiin.
Spero vi sia piaciuto, nel qual caso recensite: ho bisogno di pareri! ;)
Messo da parte questo mio egoista desiderio, mi rendo conto che ci sono
cose in
questa one shot che potrebbero risultare... un po' oscure. Non le ho
spiegate
nel testo perché l'avrebbero reso inutilmente pedante e avrebbero
spezzato il
ritmo. Permettetimi quindi di farlo ora: per esempio, cosa significano
le due
frasi in lingua dragonesca che sono nel testo?
Nutri la mia fame, mortale! detto dal drago, e Lei è mia! in risposta.
E sì, il mio Dovahkiin, in forma di licantropo, sa usare la magia:
essere arcimaghi
del colleggio di Winterhold dovrà pure servire a qualcosa, no? ;)
Mi rendo anche conto che incantesimi di teletrasporto come quello usato
da
Brelyna non sono normalmente utilizzabili, ma poiché esistono nel gioco
e non
c'era spazio in questo pezzo per tentare di giustificare complicate e
astruse
teorie di spostamento magico, sopportatemi.
Chi si è preso la briga di svaligiare l'ambasciata Altmer durante la
campagna
principale del gioco, forse ricorderà un interessante Dossier su
Ulfric, che
viene considerato dagli Altmer, cito testualmente "... agente in
incognito." Quel dossier ha motivato molte delle mie scelte durante la
parte finale della storia: non pretendo siano giuste, però di certo non
mi
vedrete mai simpatizzare con i Manto della Tempesta.
Infine un'ultima cosa: Haynekhtnamet non è un nome scelto a caso. Chi
si
ricorda "L'ultima danza del Wamasus?"
Un saluto a tutti.