Fanfic su artisti musicali > Conor Maynard
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Autore: xehilarry    25/03/2013    0 recensioni
Dal primo capitolo della storia.
Salutammo in fretta mia sorella, e saltellando come delle caprette in calore, ci avviammo verso il gruppo di ragazze. Entrammo nella fila, cominciando a stringere amicizia con tutte coloro che si trovavano li. Erano tutte nella stessa nostra situazione: borsa stracolma di cibo dato dai genitori, viso sconvolto, capelli legati, struccate e vestite abbastanza alla buona.
“Anche voi vi cambiate prima di entrare?” mi domandò una bellissima ragazza dagli occhi azzurri. Di riposta, annuii sorridendo.
“La maggior parte di noi farà così qua, almeno quando ci vedrà saremo presentabili”, affermò scoppiando a ridere. Ridemmo tutte insieme, cominciano a conoscerci e a parlare del più e del meno. Arrivò ben presto l’ora di pranzo, e mangiammo insieme, sedute per terra, sotto lo sguardo esterrefatto dei passanti. A nessuna di noi però importava, perché stavamo per realizzare il nostro sogno.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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“Alzati Jessica, è ora”, mi sussurrò dolcemente mia madre. I suoi lunghi capelli marroni mi solleticarono il viso. Pian piano aprii gli occhi, e li voltai verso la sveglia, che segnava un orario assai strano. Confusa, mi rivolsi a mia mamma.
“Mamma, sono le quattro e mezzo. Dove diamine devo andare io alle quattro e mezzo?”
Mia madre mi guardò esterrefatta, prima di sgattaiolare in cucina senza darmi una risposta. Convinta della mia posizione, mi rigirai nelle coperte, appoggiai la testa sul cuscino, e mi riaddormentai. Dopo qualche istante, la mano di mia mamma mi afferrò per un piede, scrollandomi.
“Che cazzo vuoi?” risposi malamente. Poi, mi resi conto di quello che teneva tra le mani. Balzai in piedi, saltandole in braccio, urlando come una deficiente.
“Shh, urla piano che sono tutti a letto! Ilaria dorme ancora!”La sua faccia si fece interrogativa. Si era resa conto da sola di aver detto una cagata secolare. Urlare piano? Tralasciammo entrambe questo piccolo dettaglio, perché mia madre cominciò a sventolarmi i cartoncini gialli davanti il viso. I suoi occhi brillavano, era quasi più felice di me.
“Sei contenta che me ne vada via di casa per due giorni, vero?”domandai scherzosamente, avviandomi verso il bagno. Mi feci una doccia veloce e, una volta di fronte allo specchio, cominciai a pizzicarmi il viso. Non poteva essere vero. Stavo realmente andando al concerto del mio idolo? No, era troppo surreale come cosa. Mi sciacquai il viso, per essere sicura che non stessi sognando. L’imprecazione di mia madre mi tolse tutti i dubbi. Si era appena inciampata sull’aspirapolvere, finendo distesa per terra come un sacco di patate. Mi apprestai ad aiutarla, ridendo insieme a lei. D’improvviso la porta della camera di aprii, e ne uscii una ragazza con i capelli a dir poco scompigliati, ed una faccia completamente assonnata.
“Buongiorno Ilaria”, dissi dolcemente.
“Dai, vaccagare. Tu e le tue urla mi avete svegliato.”affermò brutalmente. La capivo perfettamente, essere svegliata da una deficiente che urla e da una madre rincoglionita che inciampa in un’aspirapolvere non deve essere bellissimo. Aprì la porta del bagno e vi entrò, sedendosi nel bordo vasca con le mani nei capelli. Dopo qualche minuto, si rese conto del giorno importante che sarebbe stato per noi.
“Merda. Aspetta. Oggi è il 20 aprile. Oddio. Dammi. Aria.” e si coricò sul lavandino, incredula di tutto quello che stava succedendo. Non mi azzardai a dir parola, altrimenti avrei urlato svegliando l’intero palazzo. Per evitare questo tipo di inconveniente, la lasciai con un semplice: “Preparati, ti aspetto di la.” Una quindicina di minuti dopo, la ragazza uscì dal bagno, sedendosi di fianco a me nel divano. Mi madre correva avanti e indietro, tra imprecazioni e sguardi dolci rivolti a me e alla mia amica. Finalmente, arrivò la telefonata da mio padre. Significava che stava per partire da casa.
“Mamma, papà ha chiamato, è partito.”Gli occhi di mia madre si fecero ancora più lucidi, mentre mi abbracciava e mi sorrideva, porgendo a me e a Ilaria il borsone con tutte le nostre cose.
“Fate le brave, mi raccomando. E non stressare l’anima a tua sorella per favore. E’ così gentile ad ospitarti.”affermò preoccupata.
“Tranquilla mamma”, sussurrai. Le lasciai un bacio sulla guancia ed aprii la porta di casa, lasciando alla mia amica il compito di chiuderla. Ci avviamo silenziosamente giù per le scale, ritrovandoci nel cortile comune della mia palazzina. Ci sedemmo sui grandini attendendo l’arrivo di mio padre, che in una manciata di minuti fu lì. Salimmo in macchina e, senza accorgercene, ci addormentammo. Mi svegliai quando ero ormai sotto casa di mia sorella. Mi stiracchiai e mi guardai intorno: ero da sola in macchina, mio padre non c’era e neanche la mia amica. Mi ritrovai le chiavi dell’auto appoggiate tra le gambe, sapevo perfettamente cosa dovevo fare. Mio padre non aveva mai avuto il coraggio di svegliarmi, perché secondo lui sono un ‘esserino così dolce’ quando dormo. Aprii la portiera e me la richiusi alle spalle, correndo verso la parte del guidatore per bloccare la serratura. Cominciai ad avviarmi verso casa di mia sorella, aprendo il cancello e successivamente il portone, fino a ritrovarmi di fronte la porta di casa. Presi coraggio, infilai la chiave e la girai, entrando nella confusione più totale. Il mio nipotino più piccolo mi saltò addosso, urlando un “ciao zia” che avrebbero potuto sentire fino a Roma. La più grande invece, mi corse incontro abbracciandomi dolcemente. A questo abbraccio si aggiunse mia sorella, che mi lasciò un bacio sui capelli. Quando ci staccammo, mia nipote mi diede una pacca sul braccio, sussurrandomi all’orecchio “mi sei mancata sorellona”. Sorrisi, rispondendo con un fievole “anche tu piccola”. Amavo quando mi chiamava sorellona. Eravamo praticamente coetanee, eppure era la figlia di mia sorella. Avevamo soltanto due anni di differenza. Io quasi maggiorenne, e lei quasi sedicenne. Era stranissimo avere una nipote quasi della tua stessa età. Quasi tutti ci scambiavano per sorelle, addirittura per gemelle. La voce di mio padre interruppe questi pensieri.
“Devo andare al lavoro, ci vediamo stasera. Le vai a prendere tu le bambine o vado io, eh Ille?” domandò rivolto a mia sorella.
“Bambine? Ti ricordo che tua figlia ha quasi diciotto anni papà. Comunque tranquillo, vado io”, rispose mia sorella. Amavo quando mi difendeva. Appena papà richiuse la porta dietro di se, mia sorella, scherzosamente, mi diede un pugno nella spalla.
“Volete fare colazione?”domandò a me e Ilaria.
“Certo”, rispondemmo in coro. Ci sedemmo tutti in cucina, e tra risate e chiacchere arrivarono le sette e trenta: per i miei nipotini era ora di andare a scuola. Li salutai con un abbraccio, mentre mia sorella consigliava a me e alla mia amica di andare a riposarci un po’.
“Vi sveglio io per le dieci, tranquille.”
Seguimmo il suo consiglio, e ci coricammo nel letto matrimoniale di mia sorella, addormentandoci quasi nell’immediato. Venni svegliata con un bacio sulla fronte, che mi fece sorridere. Guardai l’ora, erano le dieci esatte. Svegliai anche Ilaria, che imprecò e si girò dall’altra parte. Decisi di lasciarla dormire ancora un po’, e mi diressi verso il salotto per cominciare a preparare tutto l’occorrente per la giornata. Andai in cucina e vidi che mia sorella mi aveva preparato di tutto: panini, bibite, pastine, cioccolatini.
“Che è, sto partendo per la maratona di New York?”domandai scherzosamente. Lei mi guardò malamente, mi tolse la borsa di mano e cominciò a infilarvi dentro di tutto. Dopo essersi accorta che metà della roba non ci stava, corse in camera, e tornò con la borsa della mia amica, iniziando a riempire anche la sua. Scrollai le spalle, e mi avviai verso la camera, cercando qualcosa da indossare per il concerto della sera. Forse feci un po’ troppo rumore, perché svegliai Ilaria, che si alzò dal letto stropicciandosi gli occhi.
“Deciso cosa metterti da vestire?” domandò, cominciando a frugare anche lei tra le sue cose.
Alla fine di questa grande ricerca, optammo per un paio di jeans, una canotta e un cardigan. Ci infilammo i jeans e piegammo il resto. Avevamo deciso che ci saremmo cambiate la maglia e ci saremmo truccate prima di entrare; anche se sinceramente nessuna delle due sapeva perché. Infilammo tutto dentro le borse, che non riuscimmo nemmeno a chiudere.
“Sembriamo due coglione con le borse aperte”affermai scocciata.
Mia sorella apparve sulla soglia delle porta, e con un cenno del capo ci fece capire che era ora di andare. Salimmo in macchina e dopo una ventina di minuti ci trovammo di fronte alla grande discoteca. Era già pieno di ragazze, tutte in fila all’interno di due transenne che contrassegnavano l’entrata. Salutammo in fretta mia sorella, e saltellando come delle caprette in calore, ci avviammo verso il gruppo di ragazze. Entrammo nella fila, cominciando a stringere amicizia con tutte coloro che si trovavano li. Erano tutte nella stessa nostra situazione: borsa stracolma di cibo dato dai genitori, viso sconvolto, capelli legati, struccate e vestite abbastanza alla buona.
“Anche voi vi cambiate prima di entrare?”mi domandò una bellissima ragazza dagli occhi azzurri. Di riposta, annuii sorridendo.
“La maggior parte di noi farà così qua, almeno quando ci vedrà saremo presentabili”, affermò scoppiando a ridere. Ridemmo tutte insieme, cominciano a conoscerci e a parlare del più e del meno. Arrivò ben presto l’ora di pranzo, e mangiammo insieme, sedute per terra, sotto lo sguardo esterrefatto dei passanti. A nessuna di noi però importava, perché stavamo per realizzare il nostro sogno. Finito il pranzo, io e la mia amica ci fumammo una sigaretta, in felice compagnia di altre ragazze che si aggiunsero a noi.
“Da quanto fumi?”mi domandò una ragazza dai lunghi capelli biondi.
“Ormai son tre anni, tu?”
“Cavolo son parecchi. No, io solo da qualche mese.”
Da questo momento in poi partirono svariate domande sul fumo. Il tipo di sigarette, come mai abbiamo iniziato, se siamo dipendenti e cose varie. Amavo quel clima. Vedevo il viso sorridente delle ragazze che mi stavano attorno, vedevo i loro occhi brillare, sentivo il loro cuore palpitare. Tutte tra poco avrebbero realizzato il proprio sogno. Compresa me. Mi voltai verso la mia amica, aveva intrapreso un’animata conversazione con una ragazza della nostra età, anche lei amante del gruppo ‘One Direction’. Interessata, mi aggregai anche io. Passarono così le ore, fino a quando non cominciò a farsi buio, e la nostra agitazione cominciò a salire, soprattutto nel momento in cui un addetto del locale uscì fuori, annunciando: “Tra trenta minuti Conor Maynard arriverà al Vox Club.”
La nostra reazione? Urla, pianti, abbracci, sorrisi a trentadue denti. Poi, la ragazza con cui io e Ilaria avevamo stretto amicizia, Gioia, cacciò un urlo, facendo zittire tutte. Si alzò in piedi e proclamò: “Mayniacs, al rapporto. Mancano trenta minuti, giusto? Dobbiamo cominciare a cambiarci e a sistemarci per il suo arrivo, poi faremo le prove per le canzoni.”
Non si sa bene in base a quale principio, ma la ragazza riuscì a trasmettere calma a tutte le altre, che cominciarono a tirare fuori trucchi e cambi, e a prepararsi per incontrare il proprio idolo. Dopo una quindicina di minuti eravamo tutte truccate e cambiate, e notammo che eravamo praticamente vestite uguali: jeans maglia e cardigan.
“Viva la fantasia”, affermai scherzosamente.
Cominciammo poi a far le prove per le canzoni, partendo con ‘Vegas girl’ per poi proseguire con ‘Animal’ e così via. L’agitazione si stava facendo sentire, le nostre voci tremavano e io cominciai a sudare freddo. Poi, una macchina color nero con i vetri oscurati si fermò davanti al locale. Ci zittimmo tutte, per poi cominciare ad urlare e a saltare quando dall’auto ne uscì proprio lui. Avevo il mio idolo davanti agli occhi. Cominciai ad un urlare e, trattenendo le lacrime, iniziai a far foto a raffica. Conor si avvicinò a noi, porgendo la mano alle sue fan. No, chiedo perdono. Porgendo la mano alle sue mayniacs. Si stava avvicinando sempre di più a noi. Fino a quando non me lo ritrovai davanti.
“Hi”, disse.
Io mi voltai all’indietro, incredula che stesse parlando proprio con me.
“Oh no, I’m talking to you”, affermò sorridendo. L’unica cosa che riuscii a dire fu un: “Oh my god”, al quale lui sorrise, facendomi l’occhiolino. Le altre ragazze cominciarono a guardarmi sbalordite, senza dir parola.
“How are you?”mi domandò.
“Very good, because in an hour I’ll meet my idol. Oh no, wait. I’m talking to my idol – sogghignai alla figura di merda che avevo appena fatto – and you?”
“Oh, fine thanks. See you later babe”, e con queste parole abbandonò me e le ragazze, camminando verso l’entrata del locale. Ilaria, che fino a prima non aveva osato pronunciar parola, mi saltò addosso e cominciò ad urlare.
“Conor ti ha parlato, si a te, cazzo a te, a te!”
Le altre ragazze mi lanciarono un applauso, cercando di corrompermi in tutti i modi. La cosa più buffa fu quello che mi disse Giulia, la ragazza dagli occhi azzurri.
“Se diventa tuo marito potete adottarmi come figlia?”
Tutte queste attenzioni mi fecero a dir poco felice, e cercai di tranquillizzare le mie nuove amiche, che erano persino più agitate di me. Il problema era che forse non mi ero neanche resa conto di quello che era successo. Gioia mi porse la sua macchinetta fotografica, facendo partire un video. Aveva filmato la ‘conversazione’ mia e di Conor. Dopo aver visto quel video, mi resi conto che non avevo sognato, e che il mio idolo mi aveva seriamente rivolto la parola. Fui distratta dalle urla improvvise delle ragazze, e fui costretta a volgere il mio sguardo verso la porta. Conor era uscito, e continuava a fissare nella mia direzione, fino a quando non incrociò il mio sguardo e mi sorrise. ‘Non è possibile’pensai.
“The meet&great is about to begin”affermò dolcemente il ragazzo.
Cominciammo tutte ad urlare e a sbraitare, a momenti avremmo avuto il nostro idolo a poca distanza, e ci saremmo fatte una foto con lui. Eravamo a dir poco sconvolte. Soprattutto io. Come mi sarei dovuta comportare con il mio idolo? Come se non mi avesse parlato? Come se non mi avesse fatto l’occhiolino? Come se non mi avesse sorriso? Come se non mi avesse chiamato ‘babe’? Questi pensieri furono interrotti da un rumore arrugginito: gli addetti stavano spostando le transenne. Merda. Stavo per incontrarlo nuovamente. Le farfalle cominciarono a svolazzare nello stomaco, e la testa iniziò a girare. Aiuto. Entrammo nel locale.
“Welcome my mayniacs!”


 

Salve donzelle. Che ne pensate di questo capitolo?
Ho pensato di scrivere una ff  diversa,
immaginando quello che succederà al concerto di Conor.
Se vi piace lasciate una recensione. 
Per domande o qualsasi cosa, io su Twitter sono @ohimaynard.
Bacioni bellezze mie.

  
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