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Autore: Vals Fanwriter    26/03/2013    3 recensioni
Stette immobile un bel po' a fissare quella singolare firma. E okay, tutta la scuola era al corrente della passione che aveva per quel telefilm, non poteva dedurre da quel particolare chi ne fosse il mittente. La prese con leggerezza, anche se - doveva ammetterlo e non poteva impedirsi di rimuginarci sopra - a nessuno aveva confessato di quell'episodio di cui era colpevole.
Niff (Nick & Jeff) | OS | Commedia, Fluff, Romantico, Suspense
Genere: Commedia, Fluff, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: -A.

Rating: Verde.

Pairing: Niff.

Prompt: Stalking; Caffè

Genere: Commedia, Fluff, Romantico, Suspense.

Avvertimenti: One Shot.

Note: Io che sono tipo una fissata di Pretty Little Liars, propongo certe idee strambe… e poi la gente mi costringe a scriverle. *shrugs*

 


 

 

 Niff


 

-A

 

 

Alla mia Bulla preferita CHIA,

perché nessuno ti stalkera come faccio io.

 

 

Di messaggi strani ne riceveva un sacco dai suoi amici, in genere, durante il giorno. Il suo telefono ormai era una piccola pattumiera ricolma di sms riguardanti le cose più disparate. Una volta, addirittura, Trent gli aveva inviato un papiro lungo pagine e pagine - che ancora teneva salvato nelle bozze, tra l'altro - nel quale gli spiegava, in maniera un po' contorta, il modo in cui i pinguini si preparavano alla copulazione. Trovava divertente, diceva nel messaggio stesso, che il "Signor Pinguino" facesse un inchino alla "Signora Pinguina"*. C'era un motivo per cui aveva conservato quel messaggio, comunque; era la cosa più imbarazzante che fosse mai uscita dalle labbra del suo amico e a lui piaceva riderne insieme al resto del gruppo. Non per cattiveria, ma perché, a detta sua, in famiglia si condivide tutto.

Altri messaggi che riempivano le sue cartelle, invece, provenivano da quel cucchiaio di miele del suo ragazzo, o dal suo migliore amico. Qualche altro ancora da un Sebastian in vena di fare il pomposo e lo spiritoso. Una volta, lui lo aveva anche ricattato; gli aveva prestato degli appunti che gli servivano assolutamente, altrimenti era fregato, e successivamente - miracolo divino - Sebastian lo aveva ringraziato sinceramente con un sms. La minaccia di rovinare la reputazione di uomo cinico e freddo di Sebastian era rimasta un tormentone per settimane e tuttora veniva usata con l'intenzione di ottenere favori gratuiti da quel demonio.

Per tutti questi motivi, Jeff non si stupì affatto quando gli arrivò un messaggio anonimo sul cellulare.

Che altra scemenza si sono inventati? - gli venne da pensare, scrutando il numero di cellulare sulla testata dell'sms. Non lo conosceva, qualcuno dei suoi amici doveva stare macchinando qualcosa. O forse era semplicemente Sebastian che stava cercando di vendicarsi per quel ricatto. Ad ogni modo, il messaggio diceva qualcosa tipo:

 

"So cos'hai fatto. Se vuoi che Thad non lo sappia, scendi al bar. Avrai un altro messaggio con le mie indicazioni. -A"

 

Stette immobile un bel po' a fissare quella singolare firma. E okay, tutta la scuola era al corrente della passione che aveva per quel telefilm, non poteva dedurre da quel particolare chi ne fosse il mittente. La prese con leggerezza, anche se - doveva ammetterlo e non poteva impedirsi di rimuginarci sopra - a nessuno aveva confessato di quell'episodio di cui era colpevole: la macchia giallastra sull'ultima pagina della copia di "Lampi"** che Thad teneva sul comodino era dovuta al suo tè al limone che, in un momento di distrazione, aveva rovesciato sulla carta. Thad lo avrebbe ucciso, se avesse scoperto che era lui l'artefice di quel disastro - era il suo libro preferito, quello.

Se l'autore del messaggio era Sebastian, poteva scommettere tutto quello che aveva, avrebbe fatto il bastardo fino in fondo - del resto, lui e Thad non si sopportavano, sarebbe andato tutto solo a suo vantaggio.

Proprio non aveva voglia di dargliela vinta ignorando quel messaggio e, a dirla tutta, nonostante quella faccenda gli stesse mettendo addosso un'ansia assurda - e non per l'anonimato dell'sms, piuttosto per la faccenda di cui il mittente lo minacciava - non poté evitare di esaltarsi quando si decise a scendere giù al bar. Sebastian era un vero stronzo, certo, ma lui amava le sfide e gli enigmi, e di certo non si sarebbe lasciato scappare l'occasione di sentirsi protagonista di una situazione così simile a quella di uno dei suoi telefilm preferiti, uno di quelli che lo appassionavano talmente tanto da costringerlo a rivedere le stagioni una dopo l'altra, da capo, anche se le sapeva a memoria. Avrebbe beccato il colpevole intento a mandargli messaggi anonimi nascosto chissà dove, se lo ripromise.

Giunse al bar qualche minuto dopo aver ricevuto l'sms. Il locale era semi deserto dato che erano appena le due del pomeriggio e gli studenti a quell'ora erano a mensa, o rinchiusi in biblioteca a prepararsi per compiti in classe e interrogazioni imminenti.

Non sapeva cosa fare, una volta giunto lì, così si sedette ad un tavolo, iniziando a guardarsi intorno con circospezione, la pelle d'oca per l'eccitazione e l'impazienza.

Era voltato verso la porta dalla quale era entrato, quando il cameriere del bar gli posò davanti, sulla superficie del tavolo, un bicchiere di carta con del caffè all’interno e gli disse cortesemente:

«Il suo caffè è già pagato.»

Jeff boccheggiò, alternando un paio di occhiate dal bicchiere al cameriere.

«Ma io non ho ordinat-»

C'era un post-it attaccato sul bicchiere. Lo fissò a lungo, in silenzio, e l'inserviente ebbe il tempo di fuggire e tornare al suo lavoro, lasciandolo lì, basito. Sul pezzo di carta c'era scritta solo una frase con inchiostro rosso.

 

"Vedi di non versare anche questo. -A"

 

Di nuovo quella firma. Allora era davvero quello il pretesto che stava usando per fargli fare ciò che voleva. Si riferiva davvero al libro di Thad.

Maledetto Smythe.

Fece scorrere di nuovo lo sguardo per tutto il locale velocemente, alla ricerca di una figura sospetta, ma nulla. Si alzò e portò con sé il bicchiere, raggiungendo il bancone del bar, la tensione che iniziava a farsi sentire.

Ma prima che potesse chiedere spiegazioni al cameriere che lo aveva servito, il cellulare gli squillò di nuovo, notificandogli l'arrivo di un messaggio. Lo prese, tolse il blocco allo schermo e lesse:

 

"La miopia è un difetto irreparabile. Non mi vedi ma io posso. -A"

 

Stranezza. Non poteva essere Sebastian a scrivere quei messaggi. L'unico dei suoi amici che lo aveva visto indossare un paio di occhiali era Trent. Non soleva portarli in pubblico dato che era convinto che non gli stessero bene - anche se Nick diceva il contrario. Che fosse Trent, dunque, il misterioso stalker? Non poteva accantonare quell'eventualità; lui ne aveva di motivi per fargli uno scherzo così, non sarebbe riuscito a contarli sulle dita di una mano.

Ma se A poteva vederlo, come diceva il messaggio, allora dov'era? Lasciò perdere il cameriere - non era corretto scovare Trent così, doveva farcela da solo - e si portò la bevanda alle labbra, pensando a cosa fare mentre sorseggiava il caffè.

E poi lo vide. Fuori dalla porta a vetri del bar, un tipo completamente vestito di nero, con tanto di cappuccio in testa a coprirgli il volto, passò come un fulmine, reggendo tra le mani un cellulare in bella vista.

Jeff non aspettò di finire di bere. Lasciò il bicchiere sul bancone e sfrecciò fuori per inseguirlo. E neanche Trent poteva essere, pensò mentre correva in cortile. Quel ragazzo incappucciato era magro e slanciato, non era proprio la fotocopia di Trent.

«Dove..?» ansimò affannato, quando varcò la soglia dell'Accademia. Era sparito troppo velocemente; un momento prima era davanti a lui e un momento dopo non c'era più.

«L'ho perso...» miagolò con voce frustrata, ma, nel frattempo, un'altra caratteristica si aggiungeva al profilo di quel personaggio, che si stava formando man mano nella sua mente. Era veloce nella corsa, quindi doveva appartenere a qualche club sportivo o qualcosa del genere.

Sebastian faceva parte della squadra di lacrosse e la costituzione del ragazzo che indossava quella felpa nera corrispondeva alla sua. Ma Smythe non sapeva della sua leggera miopia, a meno che Trent non fosse andato a spifferarlo al mondo.

Si mise a sbuffare, appena un po' stufo di quella farsa. Jeff amava i misteri, certo, ma era anche un tipo piuttosto impaziente e, oltretutto, odiava essere preso in giro per le sue manie e i suoi difetti. Ciondolò un attimo sul posto, senza sapere cosa fare, forse aspettando un segnale o un altro messaggio. E quest'ultimo non si fece attendere. Stavano giocando a scacchi, solo che era il suo avversario a digli quali mosse fare.

Prese il cellulare, roteando gli occhi, ed aprì il messaggio, rabbrividendo appena per la suspense del momento.

 

"LUI vede tutto e sa tutto. La Sala Comune è il posto giusto, se cerchi la verità. -A"

 

Lui. Beh, era ovvio. In Accademia c'erano solo ragazzi. Ma questo lui... Ecco, adesso se lo stava immaginando con un cappotto rosso addosso, come in quel telefilm. Deglutì.

È lui che comanda.

La cosa si faceva ancora più interessante. Jeff non si premurò neanche di rimettere il cellulare in tasca - poteva arrivargli un nuovo messaggio da un momento all'altro - e iniziò a salire le scale, diretto al primo piano, nella stanza che gli aveva indicato A.

Intanto, rimuginava ancora sull'identità di quei personaggi, Lui e A; ma poco c'era da fare, era difficile arrivare ad una soluzione con i pochi elementi che aveva: sportivo, atletico, alto, magro, capace di mandare sms in corsa - lui sarebbe inciampato al primo gradino se l'avesse fatto.

Mise un altro paio di persone nella lista dei sospettati, nonostante non coincidessero tutti gli indizi per ognuno di essi, e raggiunse la porta, chiusa come al solito, della Sala Comune. Vi si fermò di fronte e sobbalzò quando una musichetta allegra e un po' stupida iniziò a risuonare all'interno della stanza.

«Ma che cazz-?»

Fissò la maniglia della porta con circospezione, quasi avesse paura che fosse infestata dai germi, poi ingoiò a vuoto nuovamente e allungò la mano leggermente tremante verso di essa. La abbassò e aprì la porta per entrare. Si guardò intorno, cercando il punto da cui proveniva quel motivetto, e dopo aver girato la testa per trecentosessanta gradi, ne trovò l'autore. Sul divano sedeva un coniglietto di peluche, la bocca meccanica che si apriva e si chiudeva al ritmo della canzoncina e un cappotto rosso minuscolo che lo vestiva.

È un coniglietto a comandare o cosa? - si chiese esasperato, mentre il suo sguardo ricadeva su una busta da lettere nascosta per metà sotto le gambette del coniglio. Un nuovo indizio.

Si avvicinò al divano con cautela - quasi temeva che il peluche potesse esplodere a fine canzone - e si fece coraggio, più o meno. Diede una piccola spinta al coniglio con l'indice, facendolo ricadere su un fianco, e prese la busta, per poi allontanarsi velocemente da quel mostriciattolo inquietante camminando all'indietro. Scartò la lettera velocemente, alternando lo sguardo da essa al coniglio, quasi si aspettasse che tirasse fuori un piccolo pugnale dalla tasca del cappottino.

«Non è mica una bambola assassina, Jeff.»

Scosse la testa e si mise a leggere il contenuto del pezzo di carta, dimenticandosi un attimo del coniglio in rosso.

 

"Sai che c'è? I conigli ti donano. Nasconderli è un peccato. -A"

 

Sgranò gli occhi e il cuore gli iniziò a battere un po' più veloce. Eh, no, questo no. A parte Nick nessuno sapeva che...

I pezzi del puzzle parvero incastrarsi di nuovo per un attimo. Anche Flint era a conoscenza di quei boxer incriminati, quelli cosparsi di piccoli coniglietti bianco latte, quelli che gli aveva regalato sua zia Patrice per Natale. Se ne vergognava come un bambino, ma qualche volta li indossava perché erano un suo regalo e perché non erano poi così male. E poi sotto i pantaloni chi li vedeva? Eppure, quella volta, qualcuno era riuscito ad adocchiarli: era in camera sua con Flint, che gli aveva chiesto di prestargli un libro che teneva da secoli, senza avere la minima intenzione di riconsegnarlo in biblioteca - ormai era diventato quasi suo e stazionava nella polvere del suo scaffale - e lui si era alzato sulle punte e aveva allungato le braccia per potere raggiungere il ripiano; indossava dei jeans che gli scoprivano la base della schiena, perciò Flint li aveva visti, ma non aveva fatto nessun commento idiota. Si era limitato a dire:

«Carini i tuoi boxer.»

E Jeff era arrossito, dandogli il libro in fretta e furia e abbassandosi la maglietta sui fianchi.

Flint faceva parte della squadra di basket, ragionò; era abbastanza veloce. Che si stesse vendicando per la storia del libro che non aveva mai restituito?

«Naah, Flint non è così meschino.» disse a voce alta e, quasi avesse sentito la sua voce, il cellulare suonò ancora una volta.

Stava iniziando a scocciarsi ed era passata soltanto un'ora da quando aveva letto il primo messaggio.

Ma non si sarebbe dato per vinto. A sapeva tutto di lui; probabilmente sapeva anche che era solito spalmare la nutella sui marsh mallow. Avrebbe potuto denigrarlo di fronte a tutta la scuola con una foto, un biglietto, qualsiasi cosa. Era ovvio che stesse facendo tutto quello con la convinzione che Jeff sapesse perfettamente di cosa era capace. Non lo avrebbe lasciato in pace fino a che il gioco non sarebbe finito.

 

"L'assassino torna sul luogo del delitto. LUI ritorna a quello d'inizio. Hai il coraggio di raggiungerlo e guardarlo in faccia? -A"

 

Rilesse il messaggio un paio di volte e, ogni volta che lo fece, si sentì percorrere il corpo dai brividi e avvertì lo stomaco contorcersi man mano di più. Il coraggio di raggiungerlo. A lo credeva un fifone, quindi?

Gonfiò le guance, col suo solito fare infantile, e sollevò il mento in maniera orgogliosa.

«Ti faccio vedere io se ho il coraggio oppure no.»

Prima di andare via da quella stanza, diede un’ultima occhiata a quel coniglio, ancora rovesciato sul divano. Arricciò il naso, ma non si preoccupò di prenderlo e portarselo via, per nasconderlo agli occhi degli altri studenti. Lo inquietava, lo inquietava da morire. Ma fece semplicemente finta di snobbarlo, come se fosse uno straccio sporco, e se ne andò a passo veloce, mentre l’agitazione cresceva dentro di lui.

Il solo fatto che il messaggio parlasse di assassini lo faceva andare fuori di testa. Tuttavia, si convinse a non avere paura; era solo uno stupido scherzo. Quando avrebbe scoperto l’artefice di quel casino, ci avrebbe riso su – e lo avrebbe colpito con uno scappellotto probabilmente.

Percorse la gradinata in fretta e furia, diretto al piano dei dormitori, col fiato corto per la fatica e per l’ansia. Il luogo d’inizio doveva essere per forza quello. A si riferiva al posto da cui era iniziato il suo gioco e, prima di recarsi al bar, Jeff era proprio lì, in camera sua.

Strinse i pugni gelidi e tremanti e si prese un momento per riprendere fiato, alla fine della scalata. Il respiro gli rallentò, ma il cuore continuò a tamburellare veloce, scandendo i secondi.

Si chiese come poteva Lui essere nella sua stanza, dato che solo Nick e Thad ne possedevano le chiavi – Thad era solito fuggire da Sebastian, quando quest’ultimo gli faceva saltare i nervi.

Thad. Poteva mai essere il suo migliore amico, il responsabile di tutto? Lui sapeva veramente morte e miracoli di Jeff; non aveva bisogno di chiedergli niente, Jeff glielo raccontava di sua iniziativa.

‹‹Thad non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere.›› si convinse e iniziò ad avanzare, un passo dopo l’altro, verso la porta della sua camera.

Ne contemplò la superficie liscia per qualche secondo, quando raggiunse la stanza, e tenendo gli occhi fissi su di essa, affondò una mano nella tasca del blazer e recuperò la chiave. La fece scivolare dentro la serratura a fatica, dato che il braccio gli tremava, e mentre la girava, si immaginò di trovarsi faccia a faccia con Red Coat, che lo attendeva proprio oltre la soglia.

Aprì la porta e sbirciò all’interno, attraverso uno spiraglio. La stanza era quasi completamente buia, solo la luce della lampada sulla scrivania era accesa e illuminava la superficie di legno del tavolo, diffondendosi a mala pena da quell’angolo per il resto dell’ambiente.

‹‹Chiudi la porta.››

La voce che aveva raggiunto il suo orecchio era camuffata, profonda e gelida. Jeff avrebbe voluto mettersi a piagnucolare pregandolo di non fargli del male – la paura iniziava ad assalirlo per davvero – ma era talmente teso da non riuscire a proferire parola. Obbedì. Era Red Coat, era capace di tutto Lui, se non si eseguivano gli ordini all’istante. Forse stava mischiando la realtà con la finzione, certo, ma tutta la situazione stava diventando così reale e pericolosa.

Rimase vicino alla porta, tenendo lo sguardo rivolto verso il punto in cui c’era la lampada ad irradiare un po’ di luce. E poi apparve Red Coat, il cappuccio rosso calato sulla testa a coprirgli il volto, già poco distinguibile nella penombra.

‹‹Io so che giorno è oggi. Ma tu? Tu lo sai?››

Quella voce gli faceva venire i brividi. Si appiattì contro la porta e si strinse le mani al petto, aggrottando la fronte e cercando di capire di che stesse parlando.

‹‹Certo che lo so che giorno è… È il 6 Marzo…›› biascicò senza muovere un passo, seppure con voce decisa e sicura.

‹‹Non hai dimenticato nulla, quindi?›› gli domandò la figura misteriosa.

‹‹Cos’avrei dovut-?››

Red Coat gli impedì di continuare. Lo sorprese facendo un paio di passi indietro verso la parete e Jeff lo vide allungare una mano in direzione dell’interruttore della luce. Lo pigiò e tutta la stanza venne illuminata dalla luce giallastra del lampadario. Jeff strizzò gli occhi, ormai abituati al buio, e aspettò un attimo prima di aprirli, temendo di venire a conoscenza di quello che lo aspettava. Un cadavere? Il corpo di Nick legato e imbavagliato in un angolo? Uno psicopatico con una motosega in mano? Non ne aveva idea.

Prese un respiro profondo e aprì soltanto un occhio, puntandolo sul pavimento dove qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Aprì anche l’altro, stupito da quello che aveva davanti. Sul pavimento c’era una tovaglia spiegata sulla quale troneggiava un numero considerevole di contenitori, bottiglie e bicchieri di carta. Schiuse le labbra. Sembrava quasi che Red Coat avesse intenzione di organizzare un picnic in camera.

Red Coat? Un picnic?

Sollevò lo sguardo verso la figura vestita di rosso. Non indossava più il cappuccio – probabilmente se l’era tolto quando si era incantato a studiare gli oggetti sparsi sul pavimento – e Jeff poté riconoscerla senza alcuna difficoltà.

‹‹Ma sei…››

Non fece in tempo a dire il suo nome perché il cellulare che ancora teneva stretto in una mano squillò.

‹‹Leggi.›› disse Lui, facendo un cenno con la testa per intimargli di aprire il messaggio.

E Jeff obbedì, nonostante gli si fosse formato un broncio contrariato sul viso, per quella scoperta clamorosa e indesiderata. Ma il messaggio riuscì a calmarlo e a fargli distendere i muscoli del viso. Il testo recitava più o meno così:

 

6 Marzo. Un incontro. Un disastro. Eppure sei ancora qui. Avresti dovuto aspettarti una cosa del genere. Da Red Coat non si scappa. Duv-Al”

 

Ecco cosa si era dimenticato: quel famoso 6 Marzo in cui lui, in visita all’Accademia con i suoi genitori per svolgere una sorta di orientamento scolastico, aveva incontrato Nick la prima volta. Anche l’altro ragazzo era lì per lo stesso motivo e si erano trovati quasi subito, parlando l’uno con l’altro. Nessuno dei due avrebbe mai previsto che, una volta iniziato l’anno, si sarebbero rincontrati e avrebbero diviso la stessa camera. Il tempo, poi, aveva fatto il resto.

Come aveva fatto a scordarsene, non lo sapeva. Ma Nick era lì davanti a lui e aveva inscenato una cosa assurda per potergli fare una sorpresa. E ora si sentiva tremendamente pieno di vergogna per non aver preparato niente per lui.

‹‹Mi dispiace. Non chiedermelo, non so come ho fatto a dimenticarmi di oggi.›› si scusò con voce tremolante e lo sguardo dispiaciuto; ma Nick non sembrava avercela con lui. Aveva un sorriso dei suoi sul viso, talmente raggiante che avrebbe potuto sostituire il sole.

‹‹Tranquillo. È stato più facile organizzare la sorpresa così.›› ridacchiò e iniziò a sbottonarsi il cappotto rosso che – pensò Jeff – doveva avere sgraffignato dall’armadio di sua sorella.

‹‹Eri tu tutto il tempo, quindi?›› domandò Jeff, una smorfia sul viso, un po’ offeso per lo spavento che Nick gli aveva fatto prendere.

‹‹In realtà,›› iniziò lui, mentre posava il cappotto sul letto con cura, ‹‹Ho chiesto a Sebastian di farsi vedere da te fuori dal bar e di mandarti i messaggi. Così io intanto ho potuto preparare questo.›› Si sollevò e allargò le braccia in direzione del piccolo picnic che stanziava sul pavimento.

‹‹Lo sapevo che era Sebastian.›› borbottò Jeff, ma non rimase per nulla arrabbiato, anzi, sul viso gli comparve un sorriso tenero, ‹‹Però è stato divertente. Mi sono sentito un sacco figo ad inseguire A.››

Nick rise di nuovo e si avvicinò a lui, circondandogli la vita con le braccia quando lo ebbe di fronte.

‹‹Tu non hai bisogno di essere figo, Jeffie. Lo sei già.››

Si allungò a posargli un bacio leggero sulle labbra e lo sentì sorridere sotto di esse. Jeff dimenticò in un batter d’occhio le mille domande che gli affollavano la mente; avrebbe voluto sapere tutto delle dinamiche con cui il suo ragazzo aveva messo in scena quella finzione, tutte le imprecazioni che erano uscite dalla bocca di Sebastian, prima che accettasse di partecipare a quella farsa, e quando il suo ragazzo aveva deciso di architettarla. Però non le fece in quel momento. Disse soltanto un dolce “Ti amo”, prima di baciarlo di rimando, e accantonò la sua curiosità per tutto il pomeriggio.

Fecero merenda lì, seduti sul pavimento a gambe incrociate, con dei tramezzini che aveva preparato Nick con quello che era riuscito a racimolare nel supermercato più vicino. Jeff gli raccontò tutto quello che aveva provato dal momento in cui aveva ricevuto il primo sms. Per quello non poteva aspettare; Nick era il suo ragazzo, non si sentiva in pace con se stesso a tenersi per sé quelle emozioni.

E risero come due idioti, si guardarono teneramente e si baciarono, per tutto il giorno.

 

Fine.

 

 

Qualche noticina:

* Io che faccio dei mega crossover. La storia dei Signori Pinguini viene da How I met your mother. È una delle cose che fa ridere Robin come se non ci fosse un domani. xD

**  Di Dean Koontz. È il libro preferito di Thad ma è anche il libro preferito (nella categoria fantascientifica) di una certa persona. ♥




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