Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Hotaru_Tomoe    26/03/2013    16 recensioni
Non riusciva ancora a credere di essere lì, in piedi accanto a John.
Testimone dello sposo.
Come accidenti era riuscito John a convincerlo?

Deathfic
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Wedding effect'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimers: Sherlock non mi appartiene. Questa storia invece sì, e credo che nemmeno Moffat ne reclamerebbe mai la paternità.

Trattasi di sclero dettato dal malumore, dagli spoiler che stanno trapelando dal set della terza stagione di Sherlock, dall'ascolto dell'omonima canzone di Avril Lavigne, perfetta colonna sonora di questa pièce ed, infine, dalla mia insana passione per "Storia di una capinera" di Giovanni Verga.



WHEN YOU'RE GONE

Non riusciva ancora a credere di essere lì, in piedi accanto a John.
Testimone dello sposo.
Come accidenti era riuscito John a convincerlo?
"Sei il mio migliore amico e, nonostante tutto quello che mi hai fatto passare, quando penso a chi vorrei vicino in un momento così importante, sei solo tu che immagino."
Sì, forse era stata quella frase o forse lo sguardo speranzoso del dottore.
Non era la prima volta che veniva costretto controvoglia a presenziare ad una cerimonia per la consegna di un riconoscimento o di una onorificenza e, bene o male, si era sempre rassegnato, utilizzando il tempo che perdeva perso nei meandri del suo Mind Palace.
Questa volta però era diverso: era come se qualcosa dentro di lui, gli stesse confusamente urlando di non andare al matrimonio di John. Ma poiché era un pensiero insensato e del tutto privo di logica, scelse di non prestargli ascolto.
Di fronte alla sua esitazione, il suo migliore amico era ricorso ad una battuta "Per favore, Sherlock. Non costringermi a chiederlo ad Anderson."
"Se inviti lui, non mi avvicinerò alla chiesa nel raggio di cinquanta miglia." aveva risposto, segnando con quello la sua capitolazione.
La cerimonia nuziale era fissata per le dieci ma, come lui aveva ampiamente previsto, era iniziata poco prima delle undici, a causa del ritardo della sposa e di qualche invitato. Un'ora durante la quale era rimasto appoggiato ad una colonna, senza muovere un dito, osservando svagatamente John ed un paio di parenti di Mary che si affrettavano a ricevere gli invitati.
Una porta lungo la navata laterale che dava sul chiostro era aperta: si chiese se qualcuno avrebbe notato la sua scomparsa, se si fosse allontanato. Perché quel qualcosa dentro di lui premeva sempre più forte sulle pareti della sua coscienza per emergere in superficie.
"Non voglio essere qui, portami via. Subito, prima che sia troppo tardi." gli sembrava dicesse quella sensazione irrazionale. Mosse un paio di passi verso la porta aperta ed in quel momento John lo raggiunse, trafelato, e gli poggiò una mano sul braccio "So che ti stai annoiando molto, ma ci sono quasi tutti e Mary sta arrivando."
"L'hai detto anche venti minuti fa." sospirò.
"No, davvero - lo tranquillizzò John con un sorriso - è quasi qui. Hai gli anelli?"
"Per la terza volta, John: sì."
"Scusa. - ridacchiò imbarazzato - E' che sono molto nervoso." e poi si allontanò per dare retta alle lamentele di qualcuno.
"Non voglio nemmeno che John sia qui."
Ecco, quello era decisamente un pensiero assurdo. Era il suo matrimonio, non avrebbe avuto senso che John fosse altrove.
"Non sto parlando di senso." Una sfumatura di tristezza si fece largo in lui.
Non aveva mai avuto tanta voglia di fumare una sigaretta.

Quando finalmente la cerimonia ebbe inizio, Sherlock si isolò dalle parole del prete, dal continuo scatto delle macchine fotografiche, dall'odore di incenso misto a quello di fiori e dei profumi degli invitati, chiudendosi nel suo Mind Palace, alla ricerca di qualche caso irrisolto da riesaminare, alla ricerca di qualche particolare nascosto che potesse dare nuovo impulso alle sue indagini.
Non ci riuscì, perché John, accanto a lui, continuava a muoversi inquieto sul posto e l'abito di velluto blu sfregava contro il suo, quasi lo stesse tirando per una manica in cerca di conforto.
Sherlock si voltò per studiarne il profilo e fu in quel momento che tutti i pensieri che aveva insistentemente ignorato sfondarono le paratie del suo autocontrollo, affiorando in superficie.
John, con i capelli biondo cenere lisci e fini, gli occhi blu che erano in grado di zittirlo o lodarlo senza una parola, le labbra sottili e la voce calma e rilassante. John, il suo coinquilino, il suo blogger, la sua coscienza, il suo unico amico.
Se ne andava.
Era l'ultima volta che poteva sfiorarlo con il proprio corpo, che poteva stargli così vicino da sentire il profumo del suo dopobarba o contargli le piccole rughe di espressione attorno agli occhi.
Non sarebbe più stato a Baker Street, seduto accanto a lui a fare colazione, scalzo e con quel maglione a righe bianche e blu, non avrebbe più aspettato pazientemente il suo turno in bagno avvolto nell'asciugamano, non avrebbe più cercato di apparecchiare la tavola nello spazio risicato tra il microscopio ed il becco Bunsen, non avrebbe passeggiato nella sua stanza, svegliato da un incubo nel cuore della notte e lui non avrebbe più avuto alcun motivo per alzarsi ed eseguire la Sonata n.1 per violino di Albinoni, non avrebbe più potuto lanciare un grido dal divano e veder comparire la figura un po' esasperata di John sopra di lui che gli domandava di che altro avesse bisogno. Non lo avrebbe più trovato con lo sguardo, mentre si muoveva per il salotto snocciolando le sue deduzioni, non si sarebbero più scambiati sguardi d'intesa sulla scena di un crimine o mentre valutava se accettare o meno il caso di un cliente.
John c'era stato fino ad allora, ma da quel momento non ci sarebbe più stato.
Cancellato.
D'un tratto non più esistente.
Sentì qualcosa lacerarsi dentro di lui con uno strappo, all'altezza del terzo spazio intercostale.
Non voleva.
"Non era che non volessi essere qui, oggi. Era che non volevo che John si sposasse."
Il pensiero successivo fece sanguinare copiosamente la ferita appena apertasi dentro di lui.
"Perché io lo amo."
La più atroce delle realizzazioni, l'ammissione di una deplorevole debolezza, una spada intrisa di veleno di vespe che gli trapassava il petto.
Amore. Desiderio folle ed irrealizzabile di afferrare la mano di John e trascinarlo via, lontano dagli occhi di tutti.
"...lock? Sherlock?" John lo stava chiamando con un tirato sorriso di circostanza. Si alzò in punta di piedi e gli si avvicinò all'orecchio "Ti prego, esci dal tuo Mind Palace e torna fra di noi, mi servono gli anelli."
Una preghiera appena sussurrata, ma che si riverberò in lui con la potenza fragorosa di un tuono che gli perforava i timpani facendoli sanguinare.
"Sherlock, gli anelli." chiese con più insistenza, perplesso dalla sua immobilità.
"No, no, no, non voglio darteli, perché se lo farò tu te ne andrai."
Registrò che il suo respiro si era fatto più rapido ma i polmoni non sembravano in grado di assorbire l'ossigeno inspirato. Sentì il corpo ricoprirsi di uno strato di sudore bollente, poi rabbrividì di freddo e poi di nuovo il caldo esplose, facendogli formicolare le guance e la punta delle dita e, mentre scivolava privo di forze sul pavimento, cercando di ignorare il richiamo spaventato di John, non sapeva stabilire se si trattasse di un attacco di panico o un problema di pressione sanguigna.

Il suo primo contatto con la realtà fu una pezza umida appoggiata sulla fronte. Aprì gli occhi e mise a fuoco il viso di John, che si abbandonò ad un tangibile sospiro di sollievo. Era stato sdraiato su un divanetto, probabilmente nella sagrestia della chiesta e qualcuno aveva provveduto a sfilargli la cravatta e togliergli le scarpe. Probabilmente lo stesso uomo che gli aveva bagnato il viso.
"Ehi."
Non sapeva cosa rispondere a quel cameratesco richiamo, non ne aveva la forza.
"Normalmente è la sposa a svenire ai matrimoni, non il testimone dello sposo." scherzò John.
Un macigno gli schiacciò le viscere sentendolo pronunciare quelle parole.
"La cerimonia...?" chiese debolmente.
"Conclusa." rispose John con un sorriso e la ferita nello spazio intercostale riprese a sanguinare copiosa. Sherlock abbassò lo sguardo sul suo petto, aspettandosi di vedere una macchia rossa che si andava allargando velocemente, sporcando il bianco abbacinante della sua camicia di seta. Era ciò che sarebbe dovuto accadere, perché quel dolore interiore era troppo forte perché non sfociasse in una evidenza fisica.
John.
Sposato.
Andato.
Per sempre.
"Ovviamente ci siamo interrotti quando sei svenuto ed è una fortuna per te che io abbia i riflessi pronti, altrimenti avresti picchiato la testa sui gradini dell'altare."
"Magari fosse successo, così avrei smesso di pensare, così non mi sarei più risvegliato e questo dolore ora non esisterebbe."
"Ti ho portato qui in sagrestia e mi sono accertato che stessi bene. Non ho chiamato un'ambulanza perché so bene quanto detesti gli ospedali. Quando ho visto che polso e pressione erano normali, ti ho lasciato riposare e noi abbiamo concluso." John proseguiva imperterrito, la sua voce grondante affetto che piantava tormentosi chiodi nella sua carne. La sensazione di oppressione sul petto tornò prepotente e cercò di mettersi a sedere: voleva andarsene da lì, lontano, il solo avere John seduto accanto a lui, non più suo, mai più suo, gli impediva quasi di respirare.
"Calma! - lo ammonì il dottore, trattenendolo con dolcezza - Non alzarti troppo in fretta o ti girerà la testa."
"No, adesso sto bene." Fu sollevato nel vedere che riusciva a mentire con l'usuale disinvoltura. Si aggrappò con forza alla sua unica armatura.
"Sì - convenne John - probabilmente è stato l'incenso, non tutti sopportano quell'odore particolare. A questo aggiungi il fatto che non mangi nulla da ieri mattina ed anche che non sei abituato a portare la cravatta ed ecco perché sei svenuto. Sai, non credevo che l'avresti indossata per davvero."
"Era scritto sull'invito."
"Ma a te non importa nulla di queste formalità. Mi - si fermò un istante ed il suo sorriso si fece più luminoso - mi ha fatto piacere che tu l'abbia messa." Gli porse il lungo nastro di seta verde arrotolato sul palmo della mano. Se ora glielo avesse stretto attorno al collo urlandogli i peggiori insulti, Sherlock non avrebbe potuto sentirsi più male.
Era come se i denti bianchi nascosti dietro le labbra rosee di John gli stessero azzannando a sangue il volto e le dita delicate, ancora posate sul suo polso per contare i battiti del cuore, fossero strette in una morsa d'acciaio che frantumava e sbriciolava le ossa sottili. L'altra mano di John gli toccò la guancia a saggiarne la temperatura e l'insopportabile gentilezza di quel gesto fu assai più tormentosa del pugno che gli assestò sullo zigomo anni prima.
Non era mai stato così stare accanto a John. Da dove venivano quelle spaventose reazioni del suo corpo, si chiese smarrito. Quale filtro era caduto? Perché quei gesti usuali, dolci, che John aveva sempre avuto nei suoi riguardi, ora erano il più doloroso dei tormenti?
Oh.
Ovvio, così ovvio.
L'amore.
Colpito, folgorato, incenerito dalla consapevolezza di amarlo, ogni cosa era cambiata dentro di lui.
Aveva o non aveva ragione? Non era forse la più pericolosa delle debolezze quel sentimento?
Certo che lo era, era letale, poiché non era possibile liberarsi dalle sue spire.
Lui amava John e questo era un incontrovertibile dato di fatto.
John non lo amava e non immaginava nulla del tumulto interiore che lo stava lacerando e ciò era un elemento altrettanto indubitabile.
Altro non avrebbe mai avuto da lui e la logica gridava forte per imporsi dentro di lui, suggerendogli che doveva troncare ogni futuro contatto con John, qui ed ora, perché quella sofferenza insensata andava soffocato al più presto, ma il neonato amore, forte ed irruento, non lo permise e pretese che gli fosse lasciata l'infernale vicinanza con quella fonte di dolore che era diventato colui che un tempo era il suo migliore amico, ora amore intoccabile.
Si infilò le scarpe, tenendo un braccio sollevato a mo' di scudo, per impedire che John lo toccasse ancora. Inquadrò la porta ed uscì deciso, schiena dritta, ignorando le vertigini, il ronzio persistente nelle orecchie e John, che gli domandava con stupita innocenza "Sherlock, e il pranzo?"

Buio. I rintocchi lontani del campanile che batteva le ventitré.
Non ricordava come fosse tornato al suo appartamento (suo, solo suo ormai, non più loro, mai più loro) e nemmeno gli importava.
Accolse con rassegnazione il suono dei passi di John sulle scale e la sua figura sulla soglia del salotto con in mano una pesante busta, dalla quale proveniva odore di cibo.
Lo stomaco si contrasse e si ribellò, all'odore ed alla premura di John.
"Sono venuto a portarti qualcosa dal banchetto, in caso tu abbia fame..."
"Assenzio, genziana e bergamotto." [1]
"Grazie." riuscì ad articolare comunque.
"... ed anche a scusarmi." concluse il dottore, prendendo posto nella sua solita poltrona.
"Perché?" domandò guardingo, temendo di aver commesso un errore fatale e di avergli rivelato in qualche modo ciò che doveva restare per sempre segreto, grato che la penombra del soggiorno celasse il suo volto.
"Per averti costretto a partecipare ad una cerimonia che per te non aveva alcun significato."
"Ti sbagli, John. Ne ha avuto, più di quanto immagini, solo non nel senso che credi tu."
"Non sono arrabbiato con te per il fatto che te ne sei andato così su due piedi. - si affrettò a fargli sapere - Scommetto che a quel punto eri annoiato a livelli cosmici e l'idea di un intero pranzo di nozze doveva apparirti intollerabile."
"Sei tu che mi sei intollerabile, ora. La tua amicizia che continui ad offrirmi, obbligandomi a berla dalle tue mani chiuse a coppa mentre mi guardi con fraterna innocenza è la mia morte. Ma quella stessa innocenza mi preclude di confessarti ciò che provo, perché ti amo e non voglio distruggerla."
"Non farlo." lo ammonì con voce severa.
"Cosa?"
"Non preoccuparti per me, non serve."
"Ma io sono tuo amico, Sherlock. Mi preoccuperò sempre per te, anche se non vuoi."
"Continuerò a ferirti con le mie attenzioni, ti farò sanguinare il cuore con i miei sorrisi, lacererò le tue carni con le mie carezze e le cospargerò di sale quando ti saluterò per tornare a casa mia. E continuerò a tornare da te ancora ed ancora per offrirti immagini illusorie di un amore che da me non avrai mai, instillerò nel tuo sangue il veleno della consapevolezza che ciò che tu provi me non verrà mai corrisposto."
Sherlock si limitò a fissare il vuoto oltre le spalle di John e non ebbe mai il coraggio di dar voce al grido silenzioso che lottava per affiorare sulle sue labbra "Smettila. Ti imploro, John. La tua gentilezza mi uccide." e John non lo intuì. Lo rassicurò ancora una volta che non l'avrebbe abbandonato del tutto solo perché adesso era sposato e c'era più di mezza città a dividere le loro vite e se ne andò.

E Sherlock lasciò che John lo uccidesse ogni giorno della sua vita, perché, per quanto tormentose fossero le sue visite, lui lo amava.
Si può impazzire d'amore, si può morire d'amore [2] ma all'amore non si può sfuggire.
Il dolore dentro di lui non scemò mai, nemmeno di un grado, e riaffiorava sempre vivido ogni volta che John varcava la soglia di Baker Street, raggiante per la sua felice vita matrimoniale, inconsapevole sole che ad ogni visita inceneriva il suo essere e le speranze che non aveva mai avuto.
Lo nascose sino alla fine, sino a quell'ultima, fatale imprudenza, quella coltellata di un balordo che gli lacerò il fegato. Quasi non si accorse del dolore, tanto era abituato a provarlo e quando John, in lacrime, si chinò su di lui, implorandolo di resistere, premendo con le mani sul sangue che finalmente era libero di sgorgare scuro e denso dalla sua ferita, si limitò a scuotere il capo, accarezzandogli i capelli con la mano e mormorando "Hai Mary, starai bene."
Fino all'ultimo represse ciò che avrebbe voluto dirgli, almeno una volta, lasciare che parole intrise d'amore abbandonassero le sue labbra come il sangue stava ora abbandonando il suo corpo, rinunciò a dirgli "Mio diletto John." [3], perché lo amava e scelse di morire con il ricordo di quel sorriso ignaro che gli divorava l'anima, piuttosto che vederlo spegnersi a causa della sua rivelazione, fino all'ultimo protesse John dal provare il dolore che lui provò fin dal giorno del suo matrimonio.
Perché lo amava.

= < > = < > =


NOTE

[1] Ho volutamente citato tre cibi molto amari: il bergamotto è utilizzato prevalentemente in profumeria o solo come aromatizzante, perché il suo gusto aspro-amaro (molto più amaro del pompelmo) lo rende quasi inutilizzabile per il consumo come agrume. La radice di genziana, che si usa per aromatizzare le grappe, è amara al limite della tossicità.

[2] Frase pronunciata da Angela Marie Bettis nell'adattamento cinematografico di Zeffirelli di "Storia di una capinera".

[3] Omaggio al romanzo "Mio diletto Holmes" di Rohase Piercy.

   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Hotaru_Tomoe