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Autore: Melian_Belt    27/03/2013    2 recensioni
Nella Roma del 410 d.C., uno schiavo viene acquistato da una potente famiglia romana e si trova a vivere in un mondo diverso da quello al quale era abituato. Ma l'elemento più disturbante si rivelerà il nuovo padrone, destinato a dare una svolta inaspettata a quello che credeva il suo destino già segnato.
Slash, tanto per cambiare U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella notte, Giuliano è silente nell’attesa. Si irrigidisce quando Leptos entra e, piano, scuote il capo in cenno di diniego. Giuliano stringe i pugni con quel poco di forza che ha ritrovato, i suoi occhi tremolano alla luce del fuoco.
“Fate…quello che dovete fare”.
Il medico annuisce con aria grave: “Bene, ma non è detto che questo possa salvarlo”.
“Dobbiamo almeno tentare”.
Aspetta che Leptos se ne vada, poi solleva il capo verso di me. “Aiutami ad andare da lui”.
“Cosa? Non se ne parla”.
“Antares”. Il suo sguardo, così serio e forte, mi lascia senza parole. “Lo farò, anche senza il tuo aiuto”.
Chiudo i pugni. Stupido! Si è già dimenticato che solo una notte fa sembrava sul punto di morire?
Ma so che niente può fermarlo e scuoto il capo in un moto nervoso: “Tsk, e va bene”.
Porto un suo braccio sulle mie spalle e piano ci solleviamo, fermandoci ad ogni suo segno di sconforto. Per fortuna Alessandro non è stato portato molto lontano, ma Giuliano è esausto solo per il breve tragitto. Ovviamente entrambi i medici ci saltano addosso dandoci dei pazzi incoscienti, ma Giuliano ha occhi solo per il cugino e li zittisce con un gesto della mano. Bel momento per ricordarsi di essere il padrone.
Riusciamo a farlo sdraiare su un divanetto, tenuto sollevato da più cuscini profumati. Ci mette un poco a trovare una posizione in cui le ferite non lo facciano svenire dal dolore, quando riesce allunga una mano. mi stupisce vederlo stringere quella di Alessandro, in una stretta piena d’affetto. Non credevo che andassero così d’accordo, ma in fondo li conosco da talmente poco tempo…nonostante vorrei donare ogni istante che mi è concesso a questo testardo sognatore.
Alessandro non reagisce, il suo respiro è faticoso e ogni movimento del suo petto è accompagnato da un sibilo rauco. La pelle è pallida e umida, ha un colorito cinereo che turba persino me.
Giuliano fissa il volto esangue con intensità: “Potrebbe svegliarsi, mentre operate?”.
“No, siamo riusciti a fargli bere un sonnifero. Unito alla sua debolezza, non tornerà cosciente prima di molte ore, se mai lo farà…”
Giuliano annuisce: “Procedete”.
Leptos prende una piccola sega, mentre l’altro medico afferra la gamba e la tiene stretta. La vista della carna arrossata e ricoperta di pus mi fa salire un conato e devo girarmi, appena in tempo per sentire la lama raggiungere il ciocco di legno su cui avevano poggiato l’arto. La sola idea mi fa girare la testa e devo poggiarmi al muro, prendendo ampi respiri.
Dopo un’altra mezz’ora, i due medici si congedano. Sono esausti per lunghi notti insonni, ma si sistemano poche stanze più in là, in caso i loro servigi siano ancora necessari.
Ora Alessandro è ricoperto dalle lenzuola e non vedo ciò che rimane della sua gamba. Giuliano ha perso molto colorito, ma la sua mano si stringe ancora intorno a quella inerte di Alessandro.
“Sai…” sussurra, con voce flebile e stanca. “Siamo cresciuti insieme, con altri sette bambini…tutti cugini e fratelli”.
Un lieve sorriso gli increspa le labbra ferite: “Vivevamo in una grande casa in campagna, nel sud dell’Italia. C’erano dei colori splendidi, la luce delineava le come se fossero stati dei disegni splendenti. Avevamo tutori, balie, allenatori. Già allora eravamo diversi…”.
Si schiarisce la voce, prende un ampio respiro con un po’ di fatica: “A me piacevano le lettere, lui era bravo in qualsiasi attività fisica. Era un po’ pigro, ma quando lo mettevano nella sabbia buttava tutti a terra in poche mosse, era…forte come un toro. Forse nel nuoto potevo tenergli testa…Ma quando gli dicevano di correre, sembrava trascinato dal vento”.
Facendo meno rumore possibile, mi siedo accanto a lui. Poggio la mano sul suo fianco, muovendo il palmo in cerchi confortanti.
“E…” manda giù un groppo in gola, i suoi occhi si fanno lucidi e questo mi lascia di sasso. Ma non più delle sue parole successive. “…quando una lunga malattia si portò via mio fratello minore, il mio sole di dieci anni, lui non mi lasciò mai”.
Torna a guardarmi, la sua mano libera mi afferra e incastro le dita con le sue. Sta per piangere, Giuliano è sull’orlo delle lacrime, non credevo avrei mai visto una cosa simile, mi sta uccidendo.
“Potrà essere un irresponsabile vanitoso, ti ha ferito…è anche un po’ superficiale ma…è l’unico che…che…”.
Strofino la fronte contro la sua, tenendo il suo viso tra le mani. Si stringe a me con forza, ma sono solo brevi istanti. Con un sorriso affettuoso ma imbarazzato si separa da me. Si abbandona contro i cuscini e da un’ultima stretta alla mia mano, prima di riprendere quella del cugino.
 
Quattro giorni sembrano passare in un’eternità. Non c’è stato modo di allontanare Giuliano da Alessandro, io non ho tentato più di tanto. Fino a che non si agita al punto da riaprire le ferite, non vedo il motivo di un simile allontanamento. Sgranchisco la schiena, occhieggiando la fasciatura intorno al mio braccio. Ero stato talmente preso dal dolore e dalle ferite di Giuliano, da quasi dimenticarmi delle mie.
Scuoto il capo con un sorrisetto: sono proprio diventato un idiota. Rientro nella stanza, trovando Giuliano seduto, anche se sorretto dalla solita torre di cuscini. Se questi giorni gli hanno restituito un po’ di salute, lo stesso non si può dire per Alessandro. Ancora non si è svegliato del tutto, a parte qualche movimento senza lume non ha riacquistato consapevolezza di sé.
Sono riusciti a fargli ingerire qualcosa, ma il tempo lo sta deperendo velocemente, gli zigomi sporgono ed evidenziano le fosse che gli circondano gli occhi. Giuliano mi saluta con lo sguardo, quando mi siedo vicino a lui poggio il mio fianco contro il suo, le nostre gambe si toccano.
“Antares?”.
“Hm?”.
“Non te l’ho mai chiesto…tu hai una famiglia?”.
Un tempo questo pensiero mi avrebbe irritato, avrebbe provocato una rabbia che serviva a nascondere un dolore più profondo. Sono contento di non provare nulla di tutto ciò, solo una lieve amarezza: “Forse…non la ricordo più bene”. La sorpresa ci coglie a sentire un colpo di tosse, proveniente da nessuno di noi due. Giuliano volta il capo per guardare Alessandro, gli afferra la mano e stringe con forza, la speranza evidente nei lineamenti del viso. Un istante che sembra durare per sempre passa, non succede nulla.
La speranza svanisce veloce come è giunta e china gli occhi al suolo, cercando di mascherare la delusione. Una pressione stringe la sua mano quando Alessandro lo afferra di rimando. Gli occhi di Giuliano si sollevano di scatto, incapaci di credere. Non sembra nemmeno accorgersi di me quando mi alzo per vedere meglio, mentre le palpebre di Alessandro si sollevano lentamente.
Tossisce di nuovo e Giuliano si allunga verso un piccolo comodino per afferrare un bicchiere d’acqua. Lo aiuta a prenderne un sorso, adagio e sostenendo il peso di Alessandro con un po’ di difficoltà.
“Come ti senti?” gli chiede in un sussurro, poggiando con cautela la sua testa sul cuscino.
“Stanco…” risponde Alessandro, con un tono ancora più flebile. La sua voce è roca e tossisce più volte, il suo intero corpo trema in un breve spasimo. “Strano…eppure devo aver dormito per…parecchio…”.
Giuliano sorride, io mi sposto verso la porta per non disturbare.
“Decisamente parecchio, sì”.
Alessandro risponde al sorriso: “Sono contento che tu te la sia cavata…non mi andava di organizzare un altro funerale”.
Si guarda intorno, corruga la fronte: “Dove sono? Cosa…cosa è successo? Ricordo solo un bruciore infernale…”.
Giuliano lo scruta con tristezza. Alessandro non si è ancora reso conto della mancante parte di sé. Vorrei aiutare Giuliano in questo momento, ma non sta a me intromettermi.
“Ricordi la ferita alla gamba?”.
Alessandro annuisce: “Sì…difficile dimenticarla. Ha cominciato a prudere più di un formicaio”.
Giuliano prende fiato per parlare, ma in quel momento Leptos fa la sua entrata alle mie spalle. Sorride a trovare il paziente sveglio e le sue spalle si rilassano, come se liberate da un peso.
“Oh, bene. Ci hai fatto temere il peggio in questi giorni”.
Alessandro gli rivolge uno dei suoi soliti ghigni: “Chiedo scusa”.
“Stavamo perdendo la speranza. La decisione non è stata facile da prendere, ma ti ha salvato la vita”.
Alessandro corruga la fronte, una luce turbata gli brilla nello sguardo: “Come? Di cosa stai parlando?”.
Il medico sembra preso alla sprovvista. Giuliano ha un improvviso interesse per il pavimento e stringe le mani a pugni con forza, la mascella serrata.
Leptos comprende e si sforza di mantenere un tono neutrale quando riprende: “La gamba era infetta, un veleno ti stava uccidendo. Abbiamo dovuto amputare”.
Alessandro fissa la propria gamba, o meglio il punto in cui dovrebbe essere. Fino ad allora aveva sentito un dolore sordo, ma lo aveva collegato alla ferita. Confuso dalla febbre, stremato, non aveva notato come ora la mancanza di sensazioni all’altezza della gamba.
Lentamente, sposta il lenzuolo, incapace di crederci. Guarda il moncherino senza espressione, ma smette di respirare. C’è solo un moncherino, niente ginocchio, niente polpaccio, niente piede. Gli sembra di guardare la gamba di qualcun altro, non può essere la sua, è così surreale...sbagliato. No no no, non è la sua…
“Beh…poteva andare peggio” commenta, con un ottimismo che lascia tutti senza parole. Giuliano lo fissa ad occhi sbarrati. “Avrei potuto lasciarci le penne, giusto?”.
Giuliano scuote appena il capo, attonito. Il mondo di Alessandro si è appena rovesciato e questa è la sua reazione?
“Alessandro…”.
“Insomma…sarà un bel cambiamento” balbetta, i suoi occhi si spalancano sempre di più e la voce prende una nota di panico. La sua maschera comincia a cedere. “Tu eri il filosofo della famiglia, il cervellone sempre perso nel suo mondo…ora anche io avrò il mio titolo. Quello di un inutile, disgustoso storpio!”.
Ridacchia, ma gli occhi si fanno lucidi.
“Alessandro…mi dispiace”.
Solleva il viso, di colpo distrutto, senza più difese, verso il cugino. “Lo rifarei di nuovo…” sussurra. Un sorriso gli fallisce sulle labbra e la tensione emotiva straripa. Giuliano lo avvolge con le braccia e il primo singhiozzo esplode dal petto di Alessandro, che afferra disperatamente il davanti della tunica del cugino.
A Giuliano sembra di essere tornato a molti anni prima, quando Alessandro aveva appena tre anni e lui già sei. Al tempo piangeva spesso, ma bastava un abbraccio e un bacio sulla testa da sua madre o sua zia, e tutto il dolore passava. Ma nulla sarebbe più tornato come prima, nulla gli avrebbe più ridato la sua gamba.
Non può confortarlo come vorrebbe, desidera con tutto il cuore ritornare a quei giorni. Non è possibile e si limita a stringerlo, sentendo la prima lacrima scendere.
Io osservo dalla porta, prima di andarmene in silenzio. Cammino nel rumore del mare e da esso mi dirigo, attratto da questo gigante che mai prima aveva incontrato. La sabbia è morbida sotto i miei piedi, un tappetto di cristalli scintillanti sotto il sole. Il vento ha un odore che ha sapore, si poggia ruvido sulla pelle, insaporisce le labbra. Guardando questa distesa infinita piena di vita, i dolori sembrano di un altro mondo.
Mi siedo, raccolgo le gambe al petto e aspetto il resto della mia esistenza, che finalmente è davvero mia.   




Bene! Ordunque si è arrivati alla fine anche di questa! Il prossimo sarà l'epilogo! :)



  
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