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Autore: Elfa    14/10/2007    8 recensioni
Sentiva l’odore del sangue e del fumo espandersi nell’aria come un profumo. Chiuse gli occhi, assaporando per un lungo istante il profumo della morte e della disperazione farsi strada in lui, insieme all’ebbrezza della battaglia e della conquista e alla sensazione di essere davvero invulnerabile. Accarezzò l’elsa della grande spada appesa al suo fianco, priva di fodero e ancora macchiata di sangue. ***** Per la verità, sono pessima nei riassunti. Questa è una fiction What if... cioè, cosa sarebbe successo se Frodo non fosse mai riuscito a distruggere l'anello e l'oscuro signore avesse trionfato? Questa è la mia versione dei fatti. Che ovviamente, ha per protagonista il nostro elfo dai capelli biondi...
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elladan, Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: OOC, Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ombre

*

Salve a tutti, Gente!

La vostra Elfa, scrittrice maledetta (nel senso che mi maledite ogni volta x le mie storie a papiro), è tornata con un’altra delle sue assurde avventure nella Terra di Mezzo!

Ancora una volta, Las si è fatto fregare la ragazza, ma questa volta non gli sarà così facile riprendersela, datemi retta! Ormai mi sorprendo che possa usare ancora l’arco, con tutte le seghe che lo costringo a farsi… Comunque…

La storia questa volta ha una caratterizzazione più matura, con ambientazioni più sul gotico, anche se questo è stato un capitolo un po’ di presentazione, aspettate di vedere il seguito…

Se intanto posso fare un po’ di Spoiler, vedrete un Las completamente nuovo dal mio solito, non tanto fisicamente quanto per certe modifiche caratteriali, infatti vedrete un Las più duro, e qualche nuovo potere che gli ho dato, ispirandomi ai Racconti Perduti, nella storia che accenna anche a lui, quando guidò la gente di Gondolin durante la fuga.

Ma ho già parlato anche troppo.

Adesso vi lascio alla lettura.

E confido in qualche recensione, mi raccomando!

Ciao, Ciao!

*

Capitolo 1: Paradise Lost

Sentiva l’odore del sangue e del fumo espandersi nell’aria come un profumo. Chiuse gli occhi, assaporando per un lungo istante il profumo della morte e della disperazione farsi strada in lui, insieme all’ebbrezza della battaglia e della conquista e alla sensazione di essere davvero invulnerabile. Accarezzò l’elsa della grande spada appesa al suo fianco, priva di fodero e ancora macchiata di sangue.

Ne sentiva la superficie dura e gelida al tocco. Gli erano mancate certe sensazioni… tanto che ora quasi stentava a credere di avere di nuovo il suo corpo.

Si aggirò per le sale e i corridoi ingombri di sangue e cadaveri del palazzo. Lothlorien bruciava. Del Regno D’oro non sarebbe rimasto neppure il ricordo.

Però aveva una mezza idea di conservare il palazzo. Sogghignò tra sé: non sarebbe stato male come… residenza estiva.

Uno degli orchi gli si avvicinò. Lo guardò appena, quasi con indifferenza, come qualcosa d’evidente ma privo d’importanza.

“Dove sono?” “In una delle sale dell’ala nord. Si erano barricati dentro.”. Sauron fissò la creatura con un nuovo interesse. “Erano? Devo dedurre che li avete presi?” L’orco annuì. “Nessuno ha toccato la donna, come avevate detto.”. Sorrise appena e superò il mostro, raggiungendo l’ala nord. non fu difficile trovare ciò che gli interessava: difficilmente il passaggio degli orchi passa inosservato.

Quando entrò, il silenzio calò nella sala e tutti gli sguardi si abbassarono contemporaneamente. Tutti, salvo uno. Galadriel era inginocchiata al centro della stanza, le mani legate dietro la schiena e una ferita sulla fronte, ma lo fissava ancora, fiera ed altera, quasi arrogante. La cosa riuscì quasi a guastargli la giornata. Sollevò la spada e le graffiò la guancia, con un sorriso selvaggio, quasi folle. Quanto tempo era passato dal loro ultimo incontro? Non lo ricordava, ma parecchio, sicuramente: all’epoca si faceva ancora chiamare Annatar.

Lei non si mosse. Non disse una parola, limitandosi a fissarlo freddamente, con quei suoi occhi di ghiaccio, che non tradivano nessun’emozione, né di gioia né di tormento. Eppure avvertiva distintamente la paura che le covava nel cuore. Sorrise tra sé: neppure lei, ormai, poteva nascondergli ciò che le si celava nel cuore, i suoi sentimenti più profondi, le paure più nascoste… di nuovo al pieno della sua forza, gli esseri viventi erano per lui come un libro aperto.

“Non sei diversa dagli altri…” Un sorriso malvagio attraversò il volto del signore oscuro, mentre fissava la donna inginocchiata davanti a lui. “Provi paura e terrore come chiunque altro. Guarda bene. Mi sono preso il tuo palazzo e la tua terra, la tua gente giace trucidata nelle sale della tua reggia e il loro sangue va a bagnare una terra che non sorgerà mai più!” Fu solo per un istante, ma vide distintamente la disperazione, nei suoi occhi, molto più che la paura per se stessa. Per lui fu sufficiente. Affondò la lama nel suo ventre, dentro, fino all’elsa, rovistando con l’acciaio nelle sue viscere. I suoi muscoli s’irrigidirono per un attimo, poi crollò indietro, senza neppure fare rumore, gli occhi vacui e la bocca piena di sangue e saliva.

Avvertì un rumore alle sue spalle, un’ombra veloce. Alzò la spada appena in tempo per parare il colpo che arrivò. Per una frazione di secondo osservò il suo aggressore. Una donna. La spinse all’indietro, a terra, suo malgrado stupito: Aveva già visto quella donna… Meno di un anno prima, negli occhi di uno di coloro che avevano osato spingersi fino ai cancelli neri. Era un elfo anche lui, lo ricordava bene. E ricordava anche un'altra cosa… che l’elfo in questione era l’unico membro della compagnia, fatta eccezione per l’Istaro, ad essergli sfuggito.

La osservò. Era giovane, poco più di una ragazza. Teneva ancora il suo stocco stretto tra le mani, fissandolo con astio non privo di paura. Conosceva già il nome della giovane.

“Sulaurie Esteldil.” Sussurrò, osservando l’effetto di quelle parole sulla giovane: Si era irrigidita di colpo, sentendolo pronunciare il proprio nome. Lui sorrise. Conosceva tutto di lei: il suo nome, il suo volto, la sua storia, sussurrata a Legolas, come un segreto, sotto gli alberi di Mallorn. Aveva visto il suo volto arrossato dal piacere, mentre godeva sotto quegli stessi alberi.

La scagliò attraverso la stanza senza neppure toccarla. La ragazza battè violentemente la testa e scivolò a terra senza un gemito, confusa ma ancora cosciente. Si avvicinò a grandi passi. Era accaduto tutto così velocemente che nessuno degli orchi era ancora intervenuto e lui si era quasi dimenticato della loro presenza. Ora però ricominciarono a vociare, disturbandolo. Un altro gesto della mano, e le loro inutili esistenze furono spazzate via, quasi senza che loro provassero dolore. Strano. Forse tutti quei secoli d’inattività l’avevano un po’ arrugginito, rifletté per un attimo. Si fermò di fronte alla ragazza, osservandola. Le usciva sangue dal naso e da un angolo della bocca, Aveva il respiro corto e anche il suo cuore batteva troppo velocemente, tuttavia continuava a fissarlo senza che i suoi occhi tradissero altro che una rabbia cieca. Il desiderio di uccidere, di porre fine alla sua esistenza tra la sofferenza, come lui aveva fatto con il resto del suo popolo. Quelli non sembravano gli occhi di una donna, quanto più quelli di una belva assettata di sangue. Il suo stesso sguardo, in effetti… cercò di attaccarlo di nuovo, ne intuì lo scatto nel momento stesso in cui tendeva i muscoli per slanciarsi verso di lui.

La mandò di nuovo a sbattere contro il muro, schiacciandole le costole con il piede. Poté udire distintamente le ossa del torace della ragazza scricchiolare sotto la sua pressa, mentre la spingeva contro la parete. Gemette, ma non urlò di dolore, continuando a fissarlo con occhi carichi d’odio. Da quando l’aveva attaccato non l’aveva mai sentita pronunciare una parola. Cominciava persino a trovarla divertente. Interessante lo era sicuramente. Sotto parecchi punti di vista. Pensò, divertito, guardandola dimenarsi inutilmente nel tentativo di liberarsi.

Che cosa doveva fare di lei? Per un momento pensò di tagliarle la testa e fare in modo che Legolas la trovasse. Ma in fondo, non era completamente sicuro che fosse ancora vivo, e ancora meno era sicuro di sapere dove si trovasse. E poi, aveva l’impressione che sarebbe stato un po’ uno spreco. Rise piano, tra sé: sì, decisamente l’alternativa era la scelta migliore. La notizia gli sarebbe arrivata alle orecchie da sola, prima o poi. Chissà che effetto fa sapere che il tuo peggior nemico si fotte la tua promessa sposa. Si domandò con sadica malizia, un sorriso terribile ad increspargli le labbra sottili e quasi esangui.

“Credo che ti terrò con me.” Disse, un ghigno freddo che gli attraversava il volto, carezzando le guance eburnee della giovane. “Almeno finché non mi stufo…”

Questa volta la sentì parlare eccome. Rise forte, sinceramente divertito: doveva ammettere che certe espressioni neanche immaginava che una donna potesse saperle!

La stanza era avvolta nella semioscurità. L’unica luce proveniva dal fuoco morente nel caminetto. Si avvicinò al letto, su cui intravedeva la sagoma della giovane, stesa sotto le lenzuola. Afferrò la coperta e gliela strappò di dosso. Rimase un momento immobile, fissando il giaciglio vuoto. Si guardò intorno. Nulla. Possibile che fosse scappata? No! Si rifiutava di credere che ci fosse riuscita! Corse alla finestra e la aprì di scatto, fissando l’oscurità sottostante. E prima di rendersene conto, si ritrovo lungo disteso sul pavimento, la guancia dolorante per la botta.

“Non posso quasi credere che tu sia caduto in un trucco tanto stupido!” ghignò la giovane, calandosi di nuovo all’interno della stanza. Si era calata su uno dei rami di Mallorn che sorreggevano il talan e da lì si era arrampicata fino al tetto, giusto sopra la finestra. Da lì sopra era stato uno scherzo aggrapparsi ad una sporgenza e tirargli una pedata dritta in bocca appena metteva quel suo brutto muso fuori della finestra!

Ora non indossava nessuna maledetta armatura che potesse deviare i suoi colpi e lui era a terra. Se si fosse fatta scappare l’occasione, non avrebbe più avuto neppure il coraggio di guardarsi allo specchio!

Lo fissò con odio, stringendo il piccolo pugnale in una mano. Si slanciò verso di lui con un urlo di rabbia, puntando al suo cuore. La lama grattò contro il pavimento con uno stridio. Lei avvertì un colpo secco alla nuca e crollò a faccia in giù, il fiato mozzo: ancora una volta si era mosso più velocemente di lei.

Lui le schiacciò il volto a terra, bloccandola e disarmandola senza fatica. La fissò a lungo, freddo, mentre lei scalciava e si contorceva, sibilandogli contro la sua rabbia. Le strinse i polsi, strappandole un gemito di dolore.

Questa volta, l’aveva davvero fatto infuriare! Avrebbe dovuto essere grata d’essere ancora viva! E invece quella piccola vipera l’aveva attaccato per la seconda volta. Stupida. Stupida e arrogante. Nessuno l’aveva mai attaccato o ferito senza poi pentirsene amaramente. E tutti loro, presto o tardi erano incorsi in una pessima fine.

Fissò ancora la ragazza, gli occhi colmi di una rabbia fredda e calcolatrice. Voleva farle del male. Voleva sentirla piangere e chiedere pietà, ma senza ucciderla. Non ancora, almeno.

Le spinse di nuovo il volto contro il pavimento gelido e le alzò il vestito fino ai fianchi, eccitato già solo nel sentire una nota d’autentico panico nella sua voce che pur continuava ad insultarlo e minacciarlo.

La penetrò di colpo nel retro, strappandole un piccolo strillo di dolore e sorpresa. Si chinò su di lei, divertito, cercando di vedere la sua espressione, ma la ragazza teneva il volto praticamente schiacciato contro il pavimento. Sorrise di nuovo sadicamente, prendendo a muoversi in lei con forza, penetrandola profondamente, assaporando il piacere del calore e della pressione attorno al suo membro. Si passò la lingua sulle labbra, ascoltando il suo corpo farsi più caldo e i battiti del cuore accelerare. Per contro, le natiche bianche della fanciulla erano sorprendentemente fredde.

Ora sentiva anche il suo respiro farsi più irregolare. Aveva voltato il capo in modo da tenere una guancia contro il gelido pavimento di marmo. Il suo volto era sudato e rosso, ma teneva gli occhi serrati e le labbra erano livide, il labbro inferiore stretto tra i denti. Si stese su di lei, schiacciandole le braccia e respirando il suo fiato, sempre più eccitato. Sentiva il proprio membro, sempre più turgido, farsi strada più faticosamente in lei.

Gemette, in preda ad un’estasi profonda, mentre il calore sembrava farsi più intenso nello spazio sempre più angusto intorno a lui. Avvertì una sorta di strappo, quasi doloroso, al basso ventre. Le strinse i posti e venne senza trattenersi, stringendo le labbra, mentre il piacere traboccava. Aveva il fiato corto, soddisfatto.

Si puntellò sui palmi, lasciandole i polsi. Restò in lei ancora qualche istante, poi la lasciò andare e si ricompose. Si volse a guardarla: si era alzata in ginocchio, coprendosi. Lo fissava.

Ammise con se stesso di esserne quasi ammirato: non aveva aperto bocca, non si era lasciata sfuggire neanche un gemito. Era abituato a sentire le donne gemere, supplicare o piangere, davanti a lui. Lei si era limitata a restare immobile, mentre lui la prendeva, e ora lo fissava con occhi gelidi e fieri, forse appena lucidi, ma che non tradivano né paura né vergogna, lasciandogli addosso la fastidiosa sensazione di averlo lasciato fare.

Digrignò i denti, furioso, e le tirò uno schiaffo che risuonò con uno schiocco per la stanza. Lei si portò una mano alla guancia, ma senza abbassare lo sguardo. Sostenne i suoi occhi ancora per un po’, quindi si volse e uscì, chiudendo la porta a chiave, lasciandola sola.

Si allontanò lungo il corridoio.

Sentiva ancora gli occhi si Sulaurie fissi sulla sua schiena e provò rabbia contro se stesso: lui aveva piegato uomini e terre sotto il suo gioco. Fatto crollare imperi e città millenarie. Grandi eroi non avevano potuto nulla contro di lui. Non aveva mai abbassato lo sguardo, nemmeno davanti a Morgoth in persona. Eppure non riusciva a sostenere lo sguardo di una ragazzina che non voleva piegarsi al suo volere. Perché quelli erano gli unici occhi che non riusciva a guardare a lungo?

Sulaurie rimase a guardare la porta chiusa, in silenzio.

Odio.

Rabbia.

Vergogna.

Sentiva il desiderio disperato di urlare fino a non avere più voce, ma non riusciva a fare altro che restare a fissare l’uscio in silenzio, tremando, incapace di muoversi.

Si strinse su se stessa. Voleva piangere e aveva la nausea. Aveva voglia di vomitare, ma era tutto come bloccato a metà, nel petto che sembrava scoppiarle.

Era come se si trovasse sott’acqua: non riusciva a respirare bene e tutto sembrava muoversi più lentamente, come in un sogno. I suoni, i colori, gli odori e le sensazioni del tatto… tutte le sembrava ovattato e lontano, persino il dolore alla guancia e al sedere. Anche il ricordo di quegli ultimi istanti era sbiadito e confuso: sapeva esattamente cosa le era successo… ma pareva che invece che a lei fosse capitato ad un’altra persona e lei avesse semplicemente guardato da fuori la scena, con un misto di compassione e disgusto. Ma era capitato a lei, invece! Ma era così confusa… non riusciva a rendersene conto… Però sentiva così forte il bisogno di piangere… il bisogno di vedere le sue stesse lacrime.

Lacrime… Vala, quanto avrebbe voluto riuscire a piangere. Si alzò e si stese a letto senza coprirsi. Il suo corpo le sembrava così pesante… Chiuse gli occhi, cercando di non pensare più a nulla, ma le immagini della battaglia continuavano ad attraversarle la mente come se anche in quel momento le stesse ancora guardando.

Lothlorien bruciava. Stava bruciando, anche in quel momento. Sentiva l’odore del legno bruciato e quello delle pire di cadaveri d’elfi e orchi.

Aveva sempre odiato l’odore della pelle e della carne che bruciata.

Strinse gli occhi, cercando di regolare il proprio respiro. Vide nella mente la sua signora morire infinite volte, cadendo a terra come un giovane albero abbattuto dalle asce, senza emettere un suono, lasciando solo un’orribile sensazione di vuoto attorno a sé. Credette di riuscire a piangere, ma ancora le lacrime non volevano uscire…

“Legolas…” Lo chiamò piano, quasi inconsciamente. Dov’era? Perché l’aveva lasciata sola laggiù? No! Non era andata così. Non doveva essere ingiusta… era stata lei a non voler andare con lui. Quando era successo? Dovevano essere passate… circa sei settimane, più o meno, da quando se n’era andato per la seconda volta. La prima era stata più di un anno prima, quasi due ormai. Si erano lasciati senza disperazione quella prima volta: lei sapeva benissimo dove stavano andando, così come sapeva quanto potesse sembrare disperata la loro missione, ma come avevano detto la stessa Galadriel e Mithrandir, in quei viandanti c’era più di quanto non si potesse vedere con gli occhi.

Ma ora erano morti entrambi, e la speranza non era mai parsa a Sulaurie tanto lontana.

La ragazza si mise a sedere, fissando il buio oltre la finestra, senza vedere tutta la distruzione sottostante, spingendo lo sguardo più lontano, cercando Legolas in quella notte così buia, e pregò affinché giungesse a Bosco Atro sano e salvo. Lei si rigirò l’anello che portava al dito: vi era inciso lo stemma dei Greenleaf. Il principe le aveva detto che se mai avesse dovuto cambiare idea e raggiungerlo, quello avrebbe fatto in modo che le guardie la lasciassero passare. In quel momento, un po’ vigliaccamente, si pentì di non essere andata con lui quella volta che glielo aveva chiesto: forse, in quel caso, a quella stessa ora si sarebbe trovata lontano, al sicuro, probabilmente sposata con la persona che amava. Tanto non è che qui sia servita a granché… L’unico motivo per cui era rimasta, era stato quello di difendere la sua signora. Eppure non era riuscita a fare altro che restare a guardare.

E ora, non poteva fare altro che stare a rodersi per la vergogna, la rabbia e il rimpianto, chiusa in quella stanza!

  
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