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Autore: Night Sins    14/10/2007    3 recensioni
Un mese.
Bastava quel pensiero, quelle due parole all’apparenza insignificanti, a riscaldarle il cuore meglio di qualsiasi altra cosa.
Era un mese che lei, Allison Cameron dolce immunologa nel reparto di Diagnostica del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, stava ufficialmente con Gregory House, un misantropo cinico e rompiscatole, nonché suo capo nel suddetto ospedale del New Jersey.
[...] Lei teneva molto a festeggiare il mese più bello che avesse mai sognato di passare, ed ovviamente sperava di passarne molti altri in quel modo.
[...] E lui aveva prenotato per quella sera nel ristorante migliore di tutta la città.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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= Capitolo 1 =

Era pomeriggio inoltrato e la dottoressa Cameron stava svolgendo il suo turno in ambulatorio; quel che ai più sarebbe parso strano era il sorriso che aveva sulle labbra nonostante fossero ormai due ore che era in quella stanza.
Sembrava che la stanchezza non avesse presa sul suo esile corpo, perfino i suoi due colleghi ne erano sorpresi, ma quel giorno niente sarebbe riuscita a metterla di pessimo umore.
Un mese.
Bastava quel pensiero, quelle due parole all’apparenza insignificanti, a riscaldarle il cuore meglio di qualsiasi altra cosa.
Era un mese che lei, Allison Cameron dolce immunologa nel reparto di Diagnostica del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, stava ufficialmente con Gregory House, un misantropo cinico e rompiscatole, nonché suo capo nel suddetto ospedale del New Jersey.
Ancora stentava a crederci e per questo Chase e Foreman non si risparmiavano di prenderla in giro trattandola come una ragazzina e, anche se all’inizio la cosa la infastidiva e imbarazzava, ormai ne era abituata e contenta; lei amava Gregory House e non le importava cosa dicessero gli altri, soprattutto ora che sapeva che i suoi sentimenti erano ricambiati.
Non era però solo quello il motivo di tutta la sua energia, il motivo per cui considerava quel giorno il più bello e importante della sua vita.
Almeno, il più importante giorno della sua vita fino a quel momento.
Lei teneva molto a festeggiare il mese più bello che avesse mai sognato di passare, ed ovviamente sperava di passarne molti altri in quel modo.
Mesi che sarebbero diventati anni ed anni che si sarebbero susseguiti fino a formare decenni, decenni passati accanto alla persona che più amava.
E lui aveva prenotato per quella sera nel ristorante migliore di tutta la città.
Quasi si pentì di aver insistito per incontrarsi direttamente lì; però, avendo entrambi il turno di pomeriggio, sarebbe stata una perdita di tempo se lui sarebbe dovuto andare prima a casa sua a cambiarsi e poi passare a prenderla.
“Arrivederci signora Brooks.” disse sorridendo alla sua ultima paziente prima di lasciare anche lei l’ambulatorio per andare a posare il camice nell’ufficio di Diagnostica.

“Chase, Foreman.” salutò entrando.
“Oh… non è che la bella principessa si è stancata troppo e stasera lascerà in bianco il suo principe azzurro?” chiese, canzonatorio, Robert seduto al tavolo.
“Ah-ah-ah. Non è che tu hai sbagliato mestiere e dovevi far il comico invece che il medico?” domandò di rimando la dottoressa, seppur nemmeno il biondo riuscisse ad innervosirla. “No, meglio di no… non avresti guadagnato nulla.”
“La nostra Cameron ha tirato fuori le unghie.” aggiunse Eric. “In ogni caso, non è stata la sola ad aver fretta di andare via…” continuò, facendole notare l’assenza di House.
“Verso le cinque è andato da Wilson,” spiegò Chase indicando il terrazzo che univa l’ufficio del primario di Diagnostica a quello del primario di Oncologia “e poi non si è più visto.”
“Dev’esser tornato quando noi non c’eravamo, visto che il suo giubbotto non c’è più.” intervenne Foreman.
“Forse ha bisogno di qualcuno che gli rispieghi come funzionano le cose tra un uomo e una donna…” scherzò l’internista.
“Infondo è passato diverso tempo dalla sua storia con Stacy…” gli diede mano il collega.
“Guarda che noi abbiamo già…” sbottò Cameron per poi zittirsi immediatamente, rossa come un peperone, e generando l’ilarità dei due medici.
“Siete due bambini!” disse poi, finito di sistemarsi la giacca, “A domani.”
“Vista la serata… dubito che sarai qui tanto presto.” commentò il neurologo, con ancora le lacrime agli occhi. “Ci vediamo, comunque.”
“Ciao Allison.” salutò Chase, anche lui intento a riprendersi dalle risate.

La chiacchierata con i due colleghi le aveva fatto perdere del tempo prezioso, erano, infatti, quasi le venti quando arrivò a casa.
Fortunatamente aveva preparato il vestito e tutto quel che le serviva il giorno precedente, altrimenti non avrebbe mai fatto in tempo ad essere al ristorante per le nove e mezza. Così si diresse subito verso il bagno cominciando a riempir la vasca mentre lei andava in camera a prendere gli asciugamani e la biancheria.

Le ventuno e cinque, poteva ancora fare in tempo, si disse mentre controllava davanti allo specchio che il vestito azzurro che indossava fosse in perfetto ordine; si sistemò due ciocche di capelli dietro la testa fermandoli con un elegante fermaglio di madreperla e, come ultimo tocco, due gocce di profumo alla base del collo e sui polsi.
“Pronta.” rassicurò sorridente allo specchio.
Si avviò all’ingresso dove prese il bolero abbinato all’abito ed estrasse dalla borsetta le chiavi della macchina.
Arrivata in auto ricontrollò l’orologio: le ventuno e dodici.
Fortunatamente il traffico era abbastanza scorrevole e riuscì ad arrivare quasi precisamente all’ora stabilita, era da poco più di cinque minuti passata la mezza.
Parcheggiò e si diresse all’entrata guardandosi un po’ intorno per cercare con lo sguardo l’auto o la moto – perché Gregory, ne era convinta, avrebbe potuto anche aver la folle idea di andare al loro appuntamento in moto – del suo compagno, ma per quel poco che poteva vedere dai coni di luce dei lampioni, non c’era né l’una né l’altra. Non ne fece un dramma.
Arrivata al ristorante, un cameriere l’accompagnò al tavolo che House aveva prenotato. Tavolo che ancora non era occupato da nessuno.
“Il signor House non è ancora arrivato, desidera ordinare qualcosa nel frattempo?” domandò l’uomo dopo averla fatta accomodare.
“Mi porti solo un bicchier d’acqua, grazie.” rispose Allison con un sorriso e mentre lo faceva si rese conto che probabilmente era il sorriso più falso che avesse mai fatto a qualcuno, per lo meno da mesi a quella parte. Non sapeva bene spiegarsi il perché, ma all’improvviso vedere il tavolo vuoto le aveva fatto uno strano effetto. Si sentiva quasi in allarme.
Guardò l’orologio: le ventuno e quaranta.
Erano passati solo dieci minuti, si disse di stare calma e non preoccuparsi. “Non è preoccupazione, solo non mi piace aspettare, ecco tutto. Sì, è così.”
Arrivò il cameriere con l’acqua. Le ventuno e quarantuno… quarantadue in quel momento.
Cameron si passò nervosamente il bicchiere tra le mani prima di bere un lungo sorso d’acqua. Quando posò il bicchiere sul tavolo, lanciò uno sguardo all’ingresso della sala, la luce proveniente dalla stanza accanto risultava quasi fastidiosa rispetto a quella soffusa di dove si trovava, ma di House non c’era traccia. Guardò i tavoli intorno a sé: uomini e donne d’ogni età sembravano divertirsi, inconsci dell’ansia che aveva cominciato a scorrerle per tutto il corpo. Si impose di concentrarsi su ogni minimo particolare, per non pensare: le arcate in finto marmo che, aiutate da spesse tende in velluto rosso, dividevano le varie sale e le colonne in stile ionico davano la sensazione di trovarsi in qualche castello imperiale dell’Europa d’altri tempi; i tavoli circolari, coperti da fini tovaglie ricamate, e disposti ordinatamente avrebbero dovuto donare un senso di calma e armonia che però in quel momento riuscivano soltanto ad irritarla.
Un’altra occhiata all’ingresso: nessuno sembrava in procinto di entrare.
Sospirò. Ventuno e quarantasette.
“Forse ha trovato traffico…”
Ventuno e quarantotto.
“Sta per arrivare, sicuro. Non devo preoccuparmi, ha solo avuto un contrattempo.”
Ventuno e quarantanove.
Guardò fuori dalle vetrate che davano sulla strada: macchine sconosciute scorrevano veloci in entrambe le direzioni. Ogni volta che una di esse rallentava per svoltare in qualche traversa il cuore di Allison sussultava e il respiro le moriva in gola; anche se sapeva che non era quella di House irrazionalmente sperava che fosse lui e si voltava verso l’entrata.
“… qualcosa? Signora?!”
Cameron si voltò verso il cameriere che l’osservava quasi preoccupato. “Scusi?!”
“Le ho chiesto se desidera, intanto, ordinare qualcosa da mangiare, mentre aspetta.” ripeté l’uomo accanto a lei.
“Oh…” sembrava caduta dalle nuvole, si guardò velocemente intorno e ricordò dove si trovava e perché era lì, cose che aveva quasi scordato, in ansia com’era; ma l’appetito le era passato del tutto. “No. No, grazie… Mi scusi, mi potrebbe indicare dov’è il bagno?”
“Certo, mi segua signora.”
“Grazie.”

Si guardò allo specchio: i capelli erano in uno stato pietoso, “Quante volte ci avrò passato le mani?”, sospirò per l’ennesima volta ed estrasse il cellulare dalla borsa.
Le ventidue e zero tre.
Digitò il numero del cellulare di House, premé ‘chiama’ e sperò che rispondesse subito.
“Il cliente da lei chiamato potrebbe avere il cellulare spen…” recitò la voce registrata e Cameron la bloccò prima che finisse.
Compose poi il suo numero di casa, non pensava se ne fosse scordato, ma magari era successo qualcosa. Sperando che non fosse così, premé nuovamente il tasto per far partire la chiamata. Il telefono squillò per diverse volte a vuoto, poi sentì la sua voce; per un attimo pensò che dovesse dimostrarsi arrabbiata, invece che sollevata come in realtà era, ma quando si accorse che era solo la segreteria riattaccò velocemente. Sistemò il cellulare in borsa e alzò lo sguardo verso lo specchio, anche se non ne aveva bisogno per sapere che alcune lacrime stavano premendo per uscire.
Come si sentiva diversa da quel pomeriggio, non le sembrava quasi vero di stare vivendo la stessa giornata. Gioia e spensieratezza si erano trasformate in delusione e preoccupazione.
“E se gli fosse successo davvero qualcosa?!”
Guardò ancora una volta l’orologio, erano ormai le ventidue e dieci, “Se ci fosse stata un’emergenza all’ospedale avrebbe lo stesso chiamato… Forse è arrivato ora…”.
Tornò al suo tavolo, ma ancora non c’era traccia di House. Si mise a sedere.
Ricominciò tutto come prima: uno sguardo all’entrata, uno fuori dalla finestra e uno all’orologio. Ventidue e dodici. Aveva cominciato davvero a non sopportare più quell’attesa di cui non sapeva quanto ancora avrebbe dovuto durare; il piede si muoveva nervosamente su e giù e solo perché la gamba era accavallata sull’altra non faceva rumore.
Un’altra occhiata alle macchine fuori.
Ventidue e dodici.
Un cameriere si avvicinò e la sorpassò.
Ventidue e dodici. Ancora.
Il tempo sembrava aver rallentato la sua corsa.
Sospirò mentre osservava nuovamente le macchine in movimento e si ritrovò a mordersi le unghie, “Da quanti anni è che non lo facevo?”.
Un’ennesima occhiata all’orologio: finalmente, le ventidue e tredici.
“E se ha avuto davvero un incidente?”, si bloccò immediatamente.
Quel pensiero la paralizzò per diversi secondi.
Si alzò automaticamente, non poteva rimanere ancora lì a sedere - e non ci sarebbe nemmeno riuscita - senza far nulla, soprattutto.
Pagò e si diresse velocemente verso la propria auto.
Nel frattempo telefonò al Princeton Plainsboro Hospital e chiese se c’era il dottor House, sia come medico sia come paziente. La risposta fu in entrambi i casi negativa e da una parte ne fu sollevata. Avrebbe voluto chiamare tutti gli ospedali della città, ma non aveva i numeri sul cellulare, così decise che era meglio passare prima da casa di House, per vedere se non fosse stato lì, bloccato da qualcosa.
Le ci sarebbero voluti almeno quindici minuti buoni per arrivarci, traffico permettendo.
Durante tutto il tragitto continuava a passarsi nervosamente una mano tra i capelli ed a domandarsi se non avrebbe dovuto preoccuparsi prima.
Anche se House era famoso per i suoi ritardi, quella non era una cosa di lavoro o un appuntamento accettato per dovere; era un giorno importante per lei e anche per lui era altrettanto importante… doveva esserlo, no? Infondo se era arrivato a dichiararsi, a modo suo, voleva pur dire qualcosa.
Certo, forse un mese non era poi un tempo così lungo da passare con una persona, ma per lei che gli era stata dietro per più di tre anni, prima di esser felice, sembrava un tempo quasi interminabile; sicuramente ogni giorno poteva essere un’incognita con House, ma fino a quella mattina andava tutto bene, non le era sembrato che fosse successo qualcosa, soprattutto non tra loro…
Era quasi arrivata a casa sua; si sentiva molto agitata. “Calma, vedrai che non è accaduto nulla di grave… è tutto ok… tutto ok…”
Parcheggiò dietro una Volvo grigia e scese velocemente dalla macchina diretta al portone.
Appena entrata nell’atrio fu colpita dal suono di due risate, le ci vollero pochi istanti per capire che provenivano dall’appartamento di House. Si avvicinò lentamente alla porta, quasi avesse paura che, se avesse fatto troppo rumore, sarebbe esplosa.
Le voci erano di House e Wilson, non ne aveva dubbi. Ma perché Wilson era lì? Anche lui sapeva che lei ed House avevano un appuntamento; inoltre, perché House era rimasto a chiacchierare con lui?!
Era sempre più confusa. Non capiva molto, ma si sentiva molto triste.
Stava per bussare, quando sentì la voce di Wilson e si fermò; non avrebbe voluto spiarli, ma qualcosa la spinse a restare in ascolto.
“House, ma… stasera non… non saresti dovuto uscire con Allis… Ahi! Perché mi hai picchiato?!”
“Non sai farti gli affari tuoi.”
“Ma… so come vanno certe cose, e non…”
“Zitto!”
“Che… che fai, ora?”
House non rispose subito e Cameron probabilmente non avrebbe saputo mai cosa stava facendo perché si era allontanata velocemente, le lacrime ora stavano scendendo senza timore dai suoi occhi. Si fermò davanti alla propria auto giusto il tempo per asciugarsi il volto e poi salì in macchina per tornarsene a casa, sperando di riuscire ad arrivarci.



Continua...



Eccomi qui alle prese con la mia seconda fic Cotton... non sarà niente di svenevole e zuccheroso, tutt'altro, e non sono sicura nemmeno sul lieto fine.
Avevo un'idea divertente in mente e nonostante la mia avversione per Cam ho deciso di seguirla... o forse proprio per la mia insofferenza della stessa, visto che non sarà certo molto felice, ma per una volta si scontrerà con un House più... House.
Chiedo scusa fin da subito: gli aggiornamenti saranno molto lenti; è una storia su cui voglio ragionarci molto e per bene prima di metterla per iscritto.
   
 
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