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Autore: nene 97    28/03/2013    0 recensioni
Due mondi opposti una sera d'estate si scontrano con forza e in breve tempo ne diventano uno solo.
Justin ed Eva, Eva e Justin.
DALLA STORIA:
- Mi fai risentire quella canzone?
Io subito con voce un bel po’ sopra alla mia tonalità gli dico:
-No
E con un piccolo salto scendo dal mobiletto, per ritrovarmi attaccata a lui, ancora più di prima, con le nostre dita che si intrecciano.
E facendo la faccia da cucciolo mi dice:
- Ti pregoooo
- Odio quando fai questa faccia!
Dico con finta asprezza nella voce
- Ma non voglio commenti!
- Promesso
Ci tengo a dire che questa storia ho iniziato a scriverla due anni fa e l'ho terminata l'anno scorso, vedrete infatti un miglioramento nel mio modo di scrivere nel corso della storia.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percorrevo silenziosamente il vialetto che presumibilmente mi avrebbe portato alla mia nuova casa. Un’ansia improvvisa si infiammò dentro me ed un calore esterno mi fece sudare e allo stesso tempo tremare. Mi fermai di colpo. Ecco che davanti ai miei occhi al posto di un’accogliente dimora si estendeva quel che era un penetrante e oscuro bosco dall’aria estremamente sinistra.
Come un’incosciente mi addentrai al suo interno, e senza guardare dove andavo iniziai a correre a perdifiato lasciandomi alle spalle una sfilza infinita di alberi. E quando allo stremo delle forze mi lasciai cadere sulle ginocchia mi ritrovai di fronte ciò che aveva tutto l’aspetto di una tetra e buia casetta.
E poi… poi mi svegliai, ancora in preda all’ansia e al panico.
Ero tutta sudata e continuavo a spostarmi all’indietro i capelli, respiravo profondamente e mi stavo riprendendo da un altro dei miei incubi. Mi misi seduta appoggiando la schiena alla testiera del letto e piegando una gamba.
Ormai erano diversi giorni che sogni del genere prendevano vita nella mia mente durante il sonno. E come tutte le notti non riuscii più a riaddormentarmi, e sapevo che tanto non ne sarebbe egualmente valsa la pena, erano appena le sei della mattina e tra circa un’ora avrei dovuto abbandonare Aviemore e trasferirmi da un piccolo paesino periferico di montagna in cui risiedevo, in un immensa città dall’altra parte del globo: la California, più precisamente Los Angeles!
Eh già, la mia mamma si stava per risposare e noi due saremmo andate a vivere insieme da colui che sarà il suo nuovo marito.
Egli si chiama Eric e ha altre due figlie gemelle mie coetanee: Jessica e Amber. Mamma continuava a ripetermi tutta entusiasta che finalmente avrei avuto delle amiche, anzi no, qualcosa di più delle sorelle con cui confidarmi e divertirmi…era accecata dall’idea dell’amore tanto da riuscire a programmare ed immaginare un qualcosa di assurdo e non realizzabile.
Giusto la settimana scorsa la mamma ha concluso l’atto di vendita della nostra modesta casina di montagna, con tutti i mobili al suo interno. Questo mi rende triste, perché è qui che sono cresciuta, è qui che ho vissuto numerose avventure e questo è l’unico posto in cui i ricordi del mio papà vibrano nell’aria. Ricordi è una parolona! Egli morì quando io avevo appena compiuto un anno e quindi di lui non so molto.
Ma adesso basta pensare al passato e a tutte queste cose tristi. E’ arrivato il momento di affrontare la verità e anche di pensare al presente. Sì il presente.
Molto lentamente e con grande difficoltà portai al piano di sotto la mia piccola valigia e la mia chitarra, a cui sono molto affezionata. La mamma faceva l’insegnante alla scuola materna locale, e guadagnava pochissimo, e questo poco bastava a stento per farci sopravvivere. Questa chitarra me la regalarono tutti i miei parenti per il mio quindicesimo compleanno, tutti coscienti della mia nota passione per la musica.
Lanciai un ultimo frettoloso sguardo alla casa ormai vuota e mi affrettai ad uscire consapevole del fatto che mia madre aveva già acceso il motore della macchina e che quindi desiderava intensamente arrivare all’aeroporto senza perdere il volo.
Così deposi le mie valigie sul retro del vecchio trattore e mi apprestai a sedermi sul sedile del passeggero.
- Sono sicura che ti piacerà tesoro!
Incredibile! Dopo tutto questo osava anche rivolgermi la parola! No, sono io che non intendo parlarle, motivo per cui presi il mio i – pod di seconda mano ed iniziai a sentire musica a tutto volume. Non so quante altre volte avesse tentato di rivolgermi la parola senza ottenere una mia risposta, ormai avevo perso il conto.
Scese dall’aereo e recuperati i nostri bagagli la mamma si mise a scrutare in mezzo alla folla alla ricerca di Eric e eccolo lì, proprio vicino alla sua Lamborghini bianca tirata a lucido che correva in modo molto appariscente verso di noi.
- Ciao!
Disse e si apprestò a baciare mia mamma lei ricambiò e il che non mi lasciò indifferente, era una cosa ripugnante! Non la capivo. Feci una smorfia, ma mi parve che nessuno dei due se ne accorse. Erano troppo impegnati…
-Ciao, tu devi essere Eva! Aspetta che ti aiuto a portare la valigia.
E così dicendo provò a prendermela dalle mani, ma io gli lanciai un’occhiataccia e trassi più vicina al mio corpo il bagaglio.
A questo punto accanto a noi sfrecciò un taxi ed io in modo istintivo lo fermai e salii a bordo.
- Mi porti a first beach.
Mia madre iniziò a correre (per modo di dire) sui suoi tacchi a spillo, per impedirmi di andare, ma non ce la fece ed il taxi sfrecciò subito via.
Da quando stava con questo uomo la mamma si vestiva in modo molto appariscente, continuava a sperperare i suoi soldi, o meglio, quelli che gli inviava Eric, e la cosa più buffa è che mi comprava abiti insoliti e troppo, troppo vistosi che di sicuro non facevano per me.
Prima che litigassimo mi aveva obbligato ad indossare un abito fucsia senza spalline, cortissimo e molto, molto aderente.
Io le dissi che l’avrei messo per il viaggio ma questa mattina lasciai tutti quegli abiti orrendi e stravaganti che mi aveva regalato o che mi aveva spedito Eric nel mio vecchio armadio.
In pratica tutto il mio guardaroba. Questa era la prima volta che incontravo Eric, perché tutte le volte che lui veniva a far visita alla mamma io andavo a dormire in un hotel mentendo e dicendo che andavo a stare da un’amica: se ce ne avessi avuta una, magari ci sarei andata; ma io non ho amici! Invece se lei andava da lui io me ne restavo sola soletta a casa.
Il tassista frenò bruscamente e si voltò per guardare.
- Bellezza siamo arrivati
- Grazie…
Sussurrai timidamente
Diedi i soldi al conducente del veicolo e scesi frettolosamente dal taxi.
Feci affondare le mie converse nere nella sabbia, e gustai questa sensazione provata solo poche volte. Ero abituata ad un freddo pungente e alla continua neve che cade da un cielo bianco. Qui è tutto così diverso, il caldo è insopportabile e il cielo non più bianco ma di un blu acceso con un sole abbagliante al centro.
Non ero mai andata in vacanza da nessuna parte e avevo toccato solo la sabbia di lago, e adesso mi ritrovo spaesata in questa città enorme di cui non so niente, la spiaggia era famosa ed il nome mi era noto perché veniva ripetuto più volte nei film, ma non sapevo di preciso dove si potesse collocare, avevo potuto constatare che non era troppo lontana dall’aeroporto, meglio così!
Mi andai a sedere su uno scoglio vicino e posai la mia valigia in terra. Poi tolsi la chitarra dalla fodera ed iniziai a suonare.
Il genere di musica che più adoro è quella classica, ma anche l’ R&B non mi dispiace.
Presi a suonare e risuonare alcune note, e senza accorgermene riuscii a creare una vera e propria melodia. Il tempo passava, ed io ignoravo continuamente lo squillare del mio cellulare. Il primo giorno di vacanze ero piena di aspettative, ma di sicuro non pensavo che avrei trascorso tutto il mese di Agosto così.
All’improvviso guardai l’orologio del cellulare e vidi che si erano fatte giusto le venti e trenta e tutto era diventato buio. Percepivo una certa fame.
Certo, oggi non avevo ancora toccato cibo. Così presi la mia valigia e mi issai in spalla la chitarra. Ormai sarei dovuta tornare a casa altrimenti la mamma si sarebbe fatta venire un vero e proprio infarto.
Così risalii la strada e aspettai che un taxi passasse. Mi feci portare all’abitazione di Eric, e quando il conducente spense i motori davanti ad un’immensa villa di un color bianco immacolato, il mio respiro si arrestò. Allora è in posti come questi che vivono i ricchi….che schifo!
- Certo che lei è fortunata ad essere stata invitata a casa del presidente!!!!!!!!
Presidente??? Ok, qui mi sfuggiva qualcosa. Ecco come faceva ad essere così ricco questo! E’ un presidente. Ora tutto mi è più chiaro.
- Già, dissi io… - con voce indifferente e piena di odio ed imbarazzo.
Così scesi dal taxi e recuperati i miei bagagli mi avvicinai incerta al cancello. Qui trovai un portiere che si rivolse a me con aria scocciata ma professionale.
- Salve, cosa posso fare per lei?
Prima ancora che potessi rispondere la mamma ed Eric si precipitarono da me ed aperti i cancelli la mamma cercò di abbracciarmi, ma io mi scostai con aria riluttante!
- Eravamo così in pensiero per te!
- Non dovevate!
Dissi io freddamente e poi entrai dando una spallata a Eric, mi avviai lungo il viale di ciottoli e mi guardai ai lati: alberi, fontane, panche…di tutto e di più!
Davanti ai miei occhi era presente un enorme spazio, esso non era minimamente descrivibile come un semplice giardino da villa. Sembrava più una prateria da re, con fontane, statue e numerosi vialetti che si intrecciavano qua e là lungo la via principale. Senza rendermene conto mi ritrovai a correre, tutta questa immensità era troppa per me, corsi e corsi fino a che non raggiunsi la casa, e a quel punto mi arrestai stupefatta: indescrivibile! Solo la porta era una facciata della mia vecchia casa, e questa era anche composta da diversi piani! Ok, tutto ciò è solo un terribile incubo, sarebbe bastato pizzicarmi il braccio e in men che non si dica io mi sarei risvegliata e tutto sarebbe finito, scomparso, vaporizzato….ma ovviamente non era così, e io questo lo sapevo alla perfezione….
La mamma ed Eric mi stavano raggiungendo, beati, tranquilli…chissà cosa le aveva detto quello per renderla così tranquilla, ma certo, le avrà detto che lui era più esperto perché di figlie ne ha due e che queste erano cose normali, ovvero le solite frasi fatte da film in cui tutto sembra filare liscio, in cui tutto risulta così facile e dove c’è sempre il lieto fine.
Senza pormi problemi entrai, la porta era socchiusa, ed io gli diedi uno scossone, di certo essa non si spostò di molto, cioè non grazie a me, un uomo sulla sessantina capelli brizzolati e penetranti rughe ai bordi degli occhi; ecco chi, dopo aver percepito il mio tentativo di entrare, aveva veramente aperto la porta. Perfetto, pensai in tono furioso, qui avevano anche gli schiavi, sono pronta a scommettere tutto ciò che posseggo sul fatto che Eric i suoi dipendenti non li paga neanche un quinto di tutto ciò che guadagna e con la stessa fermezza sono pronta ad affermare che li fa lavorare più delle ore a lui necessarie.
Egli si sfilò il cappello e fece una specie di inchino con il capo, in segno di rispetto, passai oltre, non per mostrare superiorità, no, io credevo fermamente sul fatto che ogni uomo è uguale.
E fu solo dopo aver compiuto pochi passi all’interno dell’edificio magnificamente arredato mi resi conto che nella hall erano presenti altre due ragazze.
Le fissai a disagio, entrambe avevano pelle perfetta e senza l’ombra di graffi o imperfezioni. Snelle e infinitamente curate. La prima era bassina, minuta, capelli biondi, occhi celesti contornati da un trucco rosa fioco, naso proporzionato al resto del viso e delle labbra ricoperte di un lip - gloss lucidissimo e pieno di brillantini. Per non parlare del resto del corpo fasciato da un scintillante vestito fucsia senza spalline aderente al busto e ricoperto di brillantini verso la sommità di esso, verso il basso si apre una gonna che arrivava poco sotto il suo fondoschiena, probabilmente al primo passo che avrebbe fatto quest’ultima si sarebbe alzata, ma non mi stupirebbe se il suo intento fosse proprio questo, come scarpe, due decolté con tacchi a spillo ricoperte di piccoli diamantini, il tutto dello stesso colore del vestito. La seconda aveva uno stile molto simile. Stessi capelli ma occhi leggermente più scuri, su una tonalità verdina, essa portava un rossetto rosso acceso, ma quanto agli occhi come la sorella portava un ombretto rosa non molto visibile. Il vestito invece era in contrasto all’altra di un blu notte che si stringeva appena sotto il seno e poi era largo e velato fino poco sotto il sedere, proprio come la sorella, le scarpe sempre blu notte dello stesso colore ma più massicce. Entrambe con pettinature strane e complicate.
Quando mi resi conto di fissarle, solo alloro notai la loro espressione, scocciate, innervosite…. viziate. Entrambe alzarono contemporaneamente un sopracciglio e si scambiarono un’occhiata di fuoco. Poi iniziarono a camminare e vennero verso di me, mi passarono una da una parte e una dall’altra sculettando e atteggiandosi e poi uscirono dalla porta che il portiere continuava a tenere aperta forse per loro. A quel punto feci riferimento al mio essere… capelli castani chiari, tipo biondo ramato e non biondi platino come quelle due, inoltre io li portavo sciolti sulle spalle, occhi celesti che spesso variavano contornati da una fitta matita nera, per me truccarmi in quel modo era routin e non lo variavo mai, niente rossetti o lucidalabbra. Per quanto riguarda i miei vestiti: jeans shorts sfilettati ad arte, canottiera nera e Converse sporche dello stesso colore. Forse la tonalità del mio vestirmi era un modo di nascondermi agli occhi degli altri, anche perché non mi è mai piaciuto mettermi in mostra, non mi sono mai piaciuta io! Bene, questo di certo era proprio un buon inizio! Dalla porta entrarono proprio a quel punto mamma e Eric che fermò una badante sulla cinquantina e le disse con tono di superiorità di condurmi alla mia stanza, secondo piano terza porta a destra e di aiutarmi in qualsiasi cosa, e poi che avrebbe anche dovuto apparecchiare nuovamente la tavola per me e farmi compagnia. A quel punto iniziò a rodermi un po’. Come osava trattare la gente in questo modo? Così istintivamente risposi senza neanche riflettere veramente su ciò che dissi.
- No grazie, non ho fame
E detto questo presi ed andai tranquillamente verso dove Eric aveva indicato alla badante.
Sentivo dietro di me un certo chiacchiericcio di protesta da tutti e tre, ma non li stetti veramente ad ascoltare. Viste le figlie di Eric e la loro educazione penso proprio di averne abbastanza per oggi!
 


 
SPAZIO DELL’AUTRICE:

 
Ciao!! Sono Irene e questa è la prima storia che pubblico qui su EFP!
Volevo dirvi solo un paio di cose:
 
1)   Questa storia l’ho già pubblicata sulla mia pagina facebook dedicata a Justin, però mi è stato consigliato di pubblicarla anche qui.
2)   Scusate se trovate errori o un cambio di tempi verbali da qui alla fine della storia, ma l’ho scritta in un arco di tempo di due anni e sono cambiate molte cose da quando l’ho iniziata.
3)   Per sapere quando aggiorno seguitemi su twitter: sono  
@23__March2013
 
Spero vi piaccia! Fatemi sapere, Un bacio, Irene.

  
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