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Autore: Markrat    29/03/2013    0 recensioni
Una storia fantasy ma che ha un importante messaggio romantico. Ero indeciso se metterlo qua o sul fantasy. ma l'ho messo qua. Non sono bravo in questo, è la prima cosa """romantica""" che scrivo. spero vi piaccia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Solo per lei

Tutto quello che aveva fatto l'aveva fatto per lei. Aveva lottato, pianto e combattuto per lei. Tra le lacrime di disperazione, sotto una pioggia scrosciante, sotto un sole cocente, in mare e in terra, in una foresta e in una palude, tra gli alberi e tra le rocce. Aveva ucciso. Aveva visto uccidere. Aveva visto uomini perdere la sanità mentale in una guerra troppo lontana per far paura, troppo lontana per destare anche il minimo interesse. A combattere per l'esercito del Re, laggiù, lontani da casa. Talmente lontani da dimenticare la propria patria. Talmente lontano da far sembrare un miraggio la propria casa. Talmente lontano da non avere la forza di tornare indietro. Ma lui l'aveva fatto. Aveva compiuto una marcia stancante.

No, non stancante, devastante. Le sue gambe non avevano retto ma si era rialzato. Tra la polvere e il lerciume di una strada sotto il diluvio.
E l'aveva fatto per lei.

Il suo cavallo aveva ancora forza nelle gambe.

Ne aveva persi molti di quei poveri animali tornando a casa. Non avevano sopportato le intemperie che solo un luogo che non è la tua patria ti può dare. Si era cambiato appena superati i confini. Aveva messo il farsetto più pulito che era riuscito a trovare.

Laggiù aveva dovuto indossare i vestiti di un uomo morto. Di un amico morto. Lo aveva fatto per sopravvivere, per resistere al clima, alle terribili tempeste. Ma anche con quel vestito appariva sporco, i lunghi capelli spettinati e ancora incrostati per il fango. Lo sguardo vuoto, perso in ricordi lontani.

Cercò di pensare a lei, come aveva fatto per tutti quegli anni.

Anni?
Era veramente passato così tanto?

Aveva veramente sguazzato nel fango come un animale per anni?

Laggiù? Nelle lande dei barbari? Dove mangiavano i bambini? Dove lapidavano le persone storpie?

Scosse la testa.

Sai che non è così, l'hai visto.

E forse è proprio ciò che non hai visto che ti ha sconvolto.

I Dahaka gli apparivano ancora inanzi. Con i loro tatuaggi neri come la notte, i loro occhi verdi, i loro capelli legati in stupende trecce. Toccò la sua spada, ancora salda al suo fianco. Dockson gliel'aveva data. Un dono del suo vecchio amico prima di partire per la guerra. Dockson l'aveva persuaso. Gli aveva detto che andando là non avrebbe trovato nulla se non morte e sofferenza.

Ma allora era ancora giovane e non l'aveva ascoltato. Desideroso di raggiungere la fama, di risaltare tra le Nobili Famiglie.

Era partito che era un giovane ragazzo volenteroso e coraggioso, voglioso di fare la sua parte in un mondo che non rallentava per chi restava indietro.

Era tornato che era un uomo distrutto, sia dentro che fuori. Ferito, sia nel corpo che nello spirito. E non desiderava più stare al passo col mondo. Ora voleva solo vederla, rivederla. Toccarla, baciarla.

 

Quando era partito con lui se n'erano andati anche tutti i momenti di dolcezza, di calma, di delicato affetto. Il calore del suo abbraccio era sparito. L'aveva lasciato al freddo abbraccio della notte, da sola. Ripensava alle passeggiate con lui per le vie di Lankaster, il profumo del pane appena sfornato, lui che la portava davanti la vetrina di un negozio e le mostrava un bellissimo anello. Lei aveva sorriso ma sapeva che costava troppo, lui non era un nobile. Aveva sempre cercato di esserlo, di dimostrarsi come loro. Di farsi riconoscere. Le aveva promesso che tornato dalla guerra glielo avrebbe dato. Ma erano passati cinque lunghi, interminabili e dolorosi anni. La vecchia Nylette glielo aveva detto varie volte.

-Chi va in guerra torna diverso, bambina. Robert pensa di tornare ricco, famoso, importante. Ma ritornerà spezzato.-

Quanto si era arrabbiata con quella vecchia scorbutica. Poi aveva ripensato a suo marito, al povero Hans. Era partito anni addietro per la Guerra del Circolo. Quando gli stregoni di Zalad si erano ribellati. Era tornato... diverso. Aveva visto cose che nessuno dovrebbe vedere.

Si era impiccato in camera sua, dopo averle detto che la amava.

Robert se n'era andato felice. Quello stupido se n'era andato contento! Era partito subito con il Settimo Reggimento fanti del Colonnello Vinkler. Con lui c'erano altri tre ragazzi: Mawel, Kash e Martin. Tre vecchi amici di Rob. Erano tutti partiti per la lontana guerra del Sud. A combattere una guerra inutile e stupida.

Perché esistono guerre utili e non stupide? Esistono guerre che portino cose positive? No, in un modo o nell'altro, nessuna guerra porta mai nulla di positivo. Qualcuno è sempre perduto. Qualcosa non verrà mai recuperato.

 

Vide la villa poco lontano, vedeva la staccionata, vedeva il viale ornato da quei bellissimi fiori profumati. La prima volta che Mare l'aveva portato là aveva quasi avuto paura di entrare. Lord Elend Ashmor, il padre di Mare, era un uomo fiero, duro e soprattutto ricco. La prima volta che l'aveva visto aveva avuto terrore della durezza dei suoi occhi, della forza della sua voce, del suo fisico possente. Lord Ashmor aveva combattuto nella guerra di Estelyn, nel deserto, quando i Nomadi della Sabbia aveva proclamato la loro indipendenza. Una guerra persa ma Lord Ashmor aveva dimostrato una capacità tattica ineguagliabile. La battaglia delle sabbie rosse era stata una delle più schiaccianti vittorie dell'Alleanza. La prima volta che l'aveva visto aveva provato un timore tale da essere sicuro di non averne mai provato uno eguale.

Quando aveva partecipato alla sua prima battaglia si era dovuto ricredere. Le urla di guerra dei Dahaka, con le loro asce lorde di sangue. I loro tatuaggi neri, che risaltavano nella loro pelle pallida. Spettri bianchi con strisce nere.

Pensa a lei.

Le loro bestie alate, sputa fuoco. Le loro frecce che sibilavano. Una freccia aveva preso al collo Kash ed era morto alla prima battaglia. Quel giorno Robert aveva provato il vero terrore. La paura.

La guerra l'aveva cambiato.

 

La guerra lo aveva cambiato. Lo capì appena lo vide dalla sua camera. Dov'era finito il ragazzo affascinate ed allegro? Orgoglioso e presuntuoso? Vedeva un uomo invecchiato troppo in fretta, stanco, triste. Ma lasciò da parte i suoi pensieri tristi e lasciò spazio all'enorme gioia per averlo rivisto, vivo. Vivo...

 

Poi era morto Martin, durante la terza battaglia. Robert voleva tornare a casa. Il giorno prima aveva ucciso dei Dahaka. Gli aveva passati a fil di lama. La gola di uno si era aperta, facendo fuoriuscire il caldo liquido rosso che aveva inzuppato il terreno. Il suo sangue era rosso, come il suo. Erano umani. Cos'avevano di diverso? Nulla. Avevano una cultura differente e volevano mantenerla, ma ciò non aveva impedito all'Alleanza di muovere loro guerra, ascoltando le parole di un Re troppo altezzoso per vedere poco più in la dei suoi confini e troppo stupido per tollerare le differenze. La pioggia martellava sul suo corpo quel giorno, il fango si mischiava col sangue. Un' ascia aprì la testa di Martin. L'armatura di Robert era inutilizzabile, sporca di fango, ammaccata per le zanne di quelle bestie alate che i Dahaka allevavano. Aveva tolto i vestiti a Martin, al suo amico, e l'aveva lasciato là. Tra il fango e il sangue. Non aveva nemmeno pianto.

O forse era stata la pioggia a nascondere le sue lacrime.

 

Ricordò il giorno in cui si conobbero. Lei camminava per le vie di Lankaster, ammirando le vetrine dei negozi. Si era fermata a guardare un anello, quell'anello. Una voce allegra aveva dato voce ai suoi pensieri.

-Lo volete, mia signora?-

Lei si era girata e aveva visto un ragazzo dai capelli castani spettinati, vestito di una sporca camicia bianca, dagli occhi verdi come l'erba e un sorriso da sbruffone. Lei aveva timidamente annuito.

-Che succede? Il gatto vi ha forse mangiato la lingua?-

Lei aveva scosso la testa.

Lui tese la mano verso di lei.

-Robert Spark.-

Lei aveva sorriso.

-Dovreste inchinarvi, la stretta di mano è roba da uomini.-

Il viso del ragazzo si era illuminato.

-Parlate allora! E che voce soave è la vostra. Direi di dover aguzzare la mia vista, vi avevo confuso per il mio muto fratello.- disse inchinandosi.

Provava per lui un misto di antipatia e fascino.

-Mare Ashmor.-

-Ashmor? Siete la figlia di Elend Ashmor? La Lancia del Deserto?>>

Aveva annuito nuovamente.

-Che mi venga un colpo, un mio amico a combattuto per vostro padre. Ci ha rimesso una gamba il povero Dox. Ma vostro padre è un eroe! In ogni locanda si narrano le sue gesta.-

Il padre di Mare era sempre stato duro e freddo, non ricordava mai di averlo abbracciato se non, forse, quando era molto piccola, e forse era solo un ricordo nato dalla sua immaginazione. Suo padre era conosciuto ed era un eroe. Allora perché ogni volta che cercava di parlare della guerra il suo volto si incupiva in quel modo?

-Ma mi chiedo... perché desiderate così tanto quell'anello...-

-Non lo desidero così tanto.-

-I vostri occhi vi tradiscono, mia signora. Mi chiedevo perché desiderate così tanto quell'anello e non lo prendete. Siete ricca!-

-Be'... aspetto che la persona giusta me lo dia.-

-E chi è il fortunato?-

-Brock Dan Febber.-

A quel tempo Brock la stava corteggiando. Uno dei tanti a dire il vero.

-E perché mai non ve là ancora dato?-

-Non... ne ha il tempo.-

Robert aveva riso di gusto.

-E che ha di così importante da fare un nobile oggigiorno? La mia sorellina si vedeva con uno, un coglione se mi passate il termine. Questo non la considerava molto ma a lei piaceva da impazzire. Ah... quando capirò voi donne potrò vivere in pace. Riuscite a provare affetto per le persone che vi disprezzano. Avete una bontà d'animo che vi caratterizza. Sapete... quel bastardo ha pure picchiato la mia sorellina qualche volta. Ma lei gli voleva bene lo stesso. Diceva che non era cattivo, che lo faceva solo perché a volte la sua giornata era stolta.-

Lei pendeva dalle sue labbra. Il suo modo di parlare era quasi ipnotico.

-E io, poi, ho spezzato le gambe a quello là. E lei si è arrabbiata con me, dicendo che non dovevo picchiarlo. Voi donne siete un mistero, un mistero irrisolto. Ma il mio vecchio diceva sempre “Le donne sono un mistero, Robby. Ma sono i misteri che attraggono le persone”-

-E questo che centra con l'anello?- aveva chiesto poi lei timidamente.

-Non ne ho la più pallida idea!- disse Rob ridendo.

Anche lei rise timidamente.

-No, in realtà volevo dire che... per dimostrare il proprio affetto a volte basta un piccolo gesto. Anche una cosa da poco. Anche prendere un anello falso che assomiglia abbastanza all'originale. Per far vedere che anche se non hai i soldi ci tieni a quella persona. È il pensiero che conta, no?

Centra che se uno ci tiene... non perde tempo per rendere felice colei che ama. Basterebbe far toccare il pollice con l'indice.- disse facendo quel gesto. -E passarlo nel vostro dito.- Lo fece.

-E infine vi do un consiglio, che è il fulcro di questo lungo discorso senza senso. Non fate come mia sorella. Non amate coloro che non lo meritano, non difendete coloro che non lo meritano e non chiedete un anello a coloro che non perdono tempo facendo toccare il loro pollice con l'indice. Un gesto semplice sta dietro alle cose più belle, infondo.-

 

Poi se n'era andato Mawel, il suo migliore amico. Trafitto da una lancia. Mawel si era appena sposato quando erano partiti. Anche quel giorno pioveva, ma ancora più forte. Grandinava forse. La pioggia lo feriva, i tuoi devastavano il cielo. La battaglia era finita, Robert era talmente zuppo di sangue da non riuscire a camminare. Aveva tenuto il corpo di Mawel, nel disperato tentativo di salvare il suo migliore amico. Aveva urlato e pianto mentre Mawel mormorava per l'ultima volta il nome di Rose, sua moglie. Si era aggrappato a lei per non morire, ma era morto comunque.

Robert gli aveva chiesto cos'era la cosa che lo spingeva a continuare a lottare.

Lui aveva risposto che era Rose, il desiderio di rivederla lo teneva vivo.

Quindi Robert aveva pensato a Mare. Ogni giorno, sotto la pioggia e nella neve. Sotto il sole cocente e tra le fiamme delle bestie alate. E ora era lì.

Vivo... seppur devastato.

La villa ora era davanti a lui. Era rimasta uguale, nessuna differenza. Nulla era cambiato. Mare era là, nello stesso posto di quando l'aveva lasciata per partire per la guerra.

Quanti anni fa?

 

Cinque anni. Cinque anni ad attenderlo, a scendere dalla propria stanza e guardare l'orizzonte cercando di vederlo. Ma non l'aveva mai visto. Ora era là davanti a lei. Che scendeva da cavallo con una lentezza incredibile. Appena toccò terra fece una smorfia.

È ferito, stanco, spezzato.

Ripensò alle parole di suo padre quando le aveva chiesto della guerra.

-Vuoi la verità, Mare? Vuoi sapere perché sono così freddo? Così duro? Perché là ho visto cose che nessuno avrebbe il diritto di vedere. Ho dato ordine di commettere azioni che nessuno dovrebbe fare. Ho visto morire uomini coraggiosi e ho ucciso uomini coraggiosi, che combattevano per le loro famiglie. Ho strappato un padre dal calore della sua famiglia, ho strappato un figlio alle cure della madre. E ora sono qui, a casa. Ma mi chiedo... sono qui davvero... oppure sono rimasto là, tra i morti?-

E vedendo Robert capì. Il suo corpo era davanti a lei ma tutto il resta era a Sud, nel fango, assieme ai suoi compagni.

 

Rivederla provocò in lui una strana sensazione. Un misto tra paura e indicibile emozione. Paura per ciò che gli avrebbe detto. Forse si era risposata credendolo morto. Come darle torto? Infondo era morto davvero. Tra il fango e la pioggia, in quelle foreste dagli alberi poderosi. Trafitto da frecce e tagliato da lame. Azzannato da quelle bestie nere sputafuoco.

Eppure era là, in piedi, davanti a lei. Ogni passo sembrava durare una vita. Ogni volta che toccava il terreno gli sembrava di essere ancora lì, a correre cercando di non rimanere incastrato nel fango, mentre i suoi compagni venivano uccisi e gli schizzi di sangue lo colpivano.

Pensa a lei non alla guerra. La guerra è finita. Non sai come ma è finita e ora lei è finalmente davanti a te. I suoi lunghi capelli biondi e...

Le fiamme che divampavano, la tenda che andava a fuoco. Il manico della sua spada che sembrava l'unica cosa a cui aggrapparsi per non cadere. La sua lama che squarciava i Dahaka. Loro che cadevano a terra, fatti a pezzi.

Scosse con forza la testa cercando di liberare la mente ma si ritrovò Mare davanti, che lo avvinghiava in un abbraccio. Da quanto tempo non veniva abbracciato?

Cinque anni. L'unico abbraccio che aveva provato laggiù era stato quello di un Dahaka enorme, che aveva tentato di spezzargli la schiena. Risentirla tra le sue braccia fu la sensazione più bella di sempre. Ma... non riuscì a sopportare quell'abbraccio. Non lo meritava.

 

Sentì che Robert sembrava ritrarsi da quell'abbraccio. Perché lo faceva? Non era felice di rivederla dopo cinque anni? Dopo cinque anni terribili passati ad aspettarlo, a cercare di dormire tra le lacrime. Non sapeva quanto aveva sofferto aspettandolo?

Stupida, si disse.

Lui ha passato ben peggio del non riuscire a dormire per le lacrime. Lui non riusciva a dormire per il terrore che i Dahaka lo sgozzassero nel sonno.

 

-Che cos'hai?- le chiese.

Robert distolse da lei lo sguardo.

-Niente.-

-Non sei felice di vedermi.-

Lui le prese le mani.

-Non ho desiderato altro per... tutti quegli anni.-

-Cinque.

-Cinque... per tutti e cinque gli anni.-

Cinque?!

Ho perso cinque anni della mia inutile vita per uccidere?

-Allora perché sei così freddo?-

Lui abbassò lo sguardo.

-Non dovrei essere qui. Sono qui ora ma... sento che una parte di me, una grande parte di me, è rimasta lì. Morta assieme ai miei amici.-

Lei lo accarezzò con enorme delicatezza.

-Oh Robert. Cos'è accaduto laggiù?-

-Cosa non è accaduto.-

-Dimmelo, voglio sapere.-

Perché? È così dannatamente interessante? Me l'hanno già chiesto due viandanti al ritorno e pure un fabbro. Perché siete così fottutamente curiosi?

-Non mi va di parlarne.-

-No, Robert, voglio sapere cosa ti ha ridotto così.-

Vuoi saperlo? Vuoi sapere tutto. Bene.

Lui la guardò con gli occhi più simili a due spilli di ferro.

-Vuoi sapere cosa mi ha ridotto così. Perfetto!-

Lei si allontanò di due passi, intimorita.

-Sono state le battaglie nel fango e nella pioggia. Sono state le ferite delle spade e delle asce Dahaka. Sono state le loro bestie alate grandi come una casa che sputavano fuoco. Sono state le loro frecce che ancora adesso mi sibilano nelle orecchie. Perennemente, ininterrottamente. Sono state le torture che ho dovuto subire per quattro giorni quando il mio accampamento era stato attaccato nella notte. Sono stati gli incubi che mi tenevano sveglio, il terrore di ogni rumore che proveniva fuori dalla tenda. Sono stati gli amici che ho visto morire, martoriati, in un luogo troppo lontano da casa. Sono stati i ragazzi di a malapena sedici anni morire sotto le asce Dahaka. E vuoi sapere il peggio? Vuoi sapere la cosa curiosa? I Dahaka non sono bestie! Non Sono animali. Sono persone come te e me! Amano, odiano, ridono, piangono. Soffrono per una ferita come tutti noi! Non mangiano i bambini, non uccidono gli storpi. Io ho tenuto tra le mie braccia dei bambini Dahaka, ho riso e scherzato con loro. Due giorni dopo ho visto quello stesso piccolo, allegro e ospitale villaggio dato alle fiamme dal mio stesso esercito!

Ho rubato i vestiti di un mio amico morto per sopravvivere e l'ho abbandonato là, immerso nel fango e nel sangue. Ho pianto e mi sono nascosto durante più di una battaglia. Ho anche combattuto in preda alla furia. Ho ucciso tutti i Dahaka che mi si paravano davanti, come se fossero carne da macello. Mi sono fatto un nome, sono diventato famoso nell'esercito Mi hanno pure promosso di grado, sono diventato importante! Ma a quale prezzo? La mia unità è morta, parte dell'esercito è disperso e il ritorno a casa è stato quasi più faticoso della guerra. Ho visto compagni uccidersi a sassate per poter mangiare un pezzo di pane! Dimmi se ne è valsa la pena. Dimmi se quei cinque anni di guerra, cinque lunghi, dolorosi, estenuanti, sanguinari come non mai anni di guerra sono serviti a qualcosa! Sono partito per la guerra in cerca di fama e l'ho ottenuta. Ma sono spezzato, come una lama colpita con forza da un martello. Sono partito che ero un ragazzo... ma poi sono diventato un assassino. E non c'è nulla che valga tanto da arrivare a questo.

Nulla.-

 

Robert aveva urlato tra le lacrime, la voce dura come l'acciaio. All'inizio aveva provato paura ma poi aveva visto l'enorme sofferenza. L'enorme paura che l'aveva afflitto e che lo affliggeva ancora. Devo aiutarlo, si disse. Devo fare qualcosa per lui.

Ciò che ho provato io non è stato niente, assolutamente nulla. Sono state giornate tristi ma tranquille. Lui ha visto la guerra in tutta la sua brutalità, in tutta la sua sporca infamia. Il mio amore è diventato un fantasma. Il suo sorriso allegro è svanito. Di lui non resta che il corpo.

NO!

no lui c'è ancora. È ancora lì, da qualche parte. Lo so, lo sento. Una persona stupenda come lui non può svanire. Può nascondersi, ma può essere comunque trovata.

Lei gli prese la testa tra le sue mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

-Guardami bene, Robert. Guardami. Quello che hai passato è stato tremendo e ti ha marchiato. Ti ha lasciato un segno indelebile sulla tua anima. Ma tu sei forte e hai resistito. Sei sopravvissuto. Ti sei spezzato nello spirito ma il tuo corpo ha resistito.-

Lui sbuffò.

-E che è un corpo senza il suo spirito?-

-Il corpo serve per rimanere su questa terra e cercare il proprio spirito, se lo si perde.-

Robert abbassò lo sguardo. Lei ripensò alla proposta di matrimonio che le aveva fatto, ancora cinque anni fa. Era stato incredibilmente impacciato, aveva tentato di dirglielo ma era venuto fuori a malapena un insieme di parole sconnesse. Ma lei aveva intuito. Era rimasta amareggiata dalla sua assenza di coraggio. Ma non si era arrabbiata.

Si era arrabbiata molto di più per il coraggio spavaldo che ebbe nel dirle che partiva per la guerra. Per lui era quasi un gioco.

Lei aveva pianto per la rabbia.

Ora era timido come quel lontano giorno di cinque anni fa.

-Il corpo... si era perso pure lui. Nel fango, sotto la pioggia. Quando le fredde lame dei Dahaka apparivano nel buio. Ma io ho resistito. Ho resistito anche alle fiamme delle loro bestie alate. E ho resistito alle loro torture.-

Lei lo accarezzò con dolcezza. Aveva una folta barba e la sua pelle era ruvida. Non si lavava da giorni, forse mesi.

-E cosa ti ha fatto resistere? Cosa ti ha fatto rialzare ogni volta che sei caduto?-

Lui le prese le mani. Le sue mani, come il suo volto, erano ruvide. Ma la sua stretta era delicata.

-Sei stata tu.-

 

Se non ci fosse stata lei, nei suoi pensieri, lui sarebbe morto molto presto. Forse anche subito, alla prima marcia forzata. Ma lei lo aveva salvato, lei aveva retto la sua anima senza farla cadere. Il suo corpo aveva sofferto, era caduto, ma la sua anima era restata immobile. Lei l'aveva resa indistruttibile. Aveva legato le sue catene al suo corpo rendendo anche il suo corpo indistruttibile. Perché nonostante tutto quello che aveva passato non era morto.

 

-Io? Ma io... non ho fatto niente!-

Lui sorrise debolmente.

Spesso il suo sorriso la lasciava perplessa. Era un sorriso del tipo “Sei troppo ingenua per capire”. Nei primi anni le dava fastidio, ma ora quello sguardo sembrava dire “Sei troppo ingenua per capire, ma io ti spiego tutto, perché sei importante”.

-Non è ovvio? Tu sei... ogni cosa. Sei l'alba e il tramonto, il mare e la montagna. Sei un sorriso e una dolce risata. Sei una stella luminosa nella notte. Sei il faro che illumina il mare per i navigatori. Sei una persona perfetta. Sei simpatica, dolce, dura, affascinante, sensibile e testarda. Soprattutto testarda. I tuoi scappellotti sulla testa per ogni volta che facevo una cazzata sono sempre stati un ottimo insegnamento.- disse ridendo.

-Ogni cosa che hai fatto per me è stata importante. Anche la più banale, anche la più stupida. Io ho fatto poco, molto poco. Ho solo...- si interruppe a causa di una breve risata nervosa. -Ti ho solo dato due dita unite... a fare un anello.-

 

Unì le dita e fece passare il dito di lei tra le sue grosse dita da soldato. Le sue mani erano più grosse ora.

Appena fece quel gesto sentì i suoi occhi gonfiarsi di lacrime. Non vedeva quelle dita unite da cinque anni. Era un gesto banale, semplice, molti lo avrebbero trovato stupido.

Ma solo ora lei capiva ciò che significava. Lui le aveva reso speciale il più banale dei gesti. Quel semplice gesto era più speciale di quell'anello che voleva.

-Comunque...- disse lei tra le lacrime.

-Era un si.-

Il suo sorriso riapparve all'improvviso. Come un giorno di quiete diventato improvvisamente tempesta. Ma una tempesta di gioia. Il sorriso più bello che avesse mai visto. E capì di amarlo più di ogni altra cosa.

 

Il sorriso di lei, tra le lacrime di gioia, fu la cosa più bella che vide nella sua vita. La prima cosa bella, dopo cinque anni che gli avevano portato solo sofferenze.

E ora tutto era chiaro. Ora il ricordo di ciò che aveva passato era nitido e non aveva più paura di quelle ombre. Tutto quello che aveva fatto l'aveva fatto per lei. Aveva lottato, pianto e combattuto per lei. Tra le lacrime di disperazione, sotto una pioggia scrosciante, sotto un sole cocente, in mare e in terra, in una foresta e in una palude, tra gli alberi e tra le rocce. Aveva ucciso. Aveva visto uccidere. Aveva visto uomini perdere la sanità mentale in una guerra troppo lontana per far paura, troppo lontana per destare anche il minimo interesse. A combattere per l'esercito del Re, laggiù, lontani da casa. Talmente lontani da dimenticare la propria patria. Talmente lontano da far sembrare un miraggio la propria casa. Talmente lontano da non avere la forza di tornare indietro. Ma lui l'aveva fatto. Aveva compiuto una marcia stancante.

No, non stancante, devastante. Le sue gambe non avevano retto ma si era rialzato. Tra la polvere e il lerciume di una strada sotto il diluvio.
E l'aveva fatto per lei.

Per un suo sorriso, per una sua lacrima di gioia, per toccarle la pelle un'altra volta. Solo un'altra volta. Le prese la mano e le sorrise, mentre una solitaria lacrima scendeva dal suo occhio destro. Era il momento di rincominciare la sua vita. Era il momento di tornare quello che era. Solo per lei.

Ma anche per se stesso.

 

  
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