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Autore: Class Of 13    29/03/2013    20 recensioni
Questa fan fiction partecipa al Contest “Anime&Manga&Cartoons” indetto da Moustache sul forum di EFP
[Ferriswheelshipping][AU]
Francia, 1936. White, aspirante scrittrice, e N, aspirante fotografo, si incontrano/scontrano sul binario del treno per Parigi, all'inseguimento del loro futuro. Ma il fato ha in serbo ben altro, per loro. Sognando Parigi, N e White vivranno il loro amore, un amore costretto a fronteggiare l'incombere di una guerra.
***
Rimasero così, abbracciati, ondeggiando lentamente sotto la pioggia fino a che il temporale non cessò.
«Tra quanto partirai?».
«Due settimane».
«...».
«Qualunque cosa accada, io non ti lascerò mai».
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Touko
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Totally Shippin' Out!'
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Titolo: Wish You Were Here.
Autore: Class Of 13
Beta-reading: No

Fandom: Pokemon
Tipologia: One-Shot.
Introduzione: Un'Alternative Universe ambientata negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) basata sui protagonisti di Pokemon Nero e Bianco, N e White. White è una giovane aspirante scrittrice alla disperata ricerca di un editore per i suoi romanzi che vede la capitale francese come il luogo dove i suoi sogni di gloria possono realizzarsi. Ma nel giorno fissato per la partenza qualcosa va storto e, a causa anche del giovane Natural Harmonia Gropius, la giovane scrittrice perde il treno, facendo i conti con gli scherzi del destino.
Rating: Giallo
Personaggi: White (o Touko, se preferite), N Harmonia
Generi: Commedia, Drammatico, Romantico
Avvertimenti: AU, OOC
Pacchetto scelto:Venezia. Ho utilizzato la meravigliosa Wish You Were Here dei Pink Floyd sia nel titolo sia nel finale della storia, in cui, se si presta attenzione, è presente la traduzione di una parte delle parole della canzone.
NdA: sebbene la storia nasca come un’Alternative Universe, e l’ambientazione sia quella degli anni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale, quello che ho voluto rappresentare nella storia è un universo in cui i fatti storici sono all’incirca gli stessi, ma il modo di comportarsi e di rapportarsi tra loro dei personaggi è simile a quello dei nostri giorni. Spero di essere stata chiara, perché era un concetto un po’ complicato da spiegare. xD Ovviamente il pairing trattato è il mio amato OTP, la Ferriswheelshipping.  Questa storia si è classificata nona al Contest ''IL Giro del Mondo In Ottanta Giorni" indetto sul forum di EFP da Soul's Lullaby (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10502671) e partecipa all’Anime&Manga&Cartoons’ Contest – indetto sul forum di EFP da .:MelloH_.

 
 

Wish You Were Here.

 Borgogna, Francia. 25 Febbraio 1937.



«Anf... anf... è... tardi... troppo tardi!».
Una ragazza dall’aria piuttosto sconclusionata correva disperatamente per gli ampi corridoi della stazione di un piccolo paesino della Borgogna, scansando con incredibile agilità i passanti e borbottando di tanto in tanto qualche imprecazione su quanto fosse pigra e ritardataria. I folti capelli castani erano stati tirati su in una disordinata coda che ondeggiava vistosamente a causa dei suoi rapidi movimenti. La tracolla di pelle marrone, che sbatteva continuamente contro il ginocchio coperto dalla leggera gonna di lino rossa, le avrebbe sicuramente lasciato un  livido, mentre la gigantesca valigia che si trascinava dietro le creava seri problemi nel mantenere la cospicua pila di manoscritti che teneva in mano. Fare la scrittrice a tempo pieno era un mestiere, sempre se così si poteva definire, più faticoso di quello che sembrava: l’orologio segnava le undici e ventisette, e la partenza del treno che l’avrebbe portata a Parigi con la speranza di trovare un sacrosanto editore era segnata per le undici e ventiquattro minuti. Non c’erano dubbi sul perché la sua famiglia fosse tanto contraria alla sua carriera artistica, ma, francamente, non le poteva importare di meno ciò che i suoi parenti pensavano di lei. Impresse più forza ai muscoli delle gambe, accelerando considerevolmente, fino a che non le si parò davanti agli occhi la figura del treno, come anche l’immagine del vapore che usciva dal comignolo della locomotiva e delle ruote che cominciavano a muoversi sui binari. Più questi si facevano vicini, più ripensava al brillante futuro che la aspettava. Ma il fato aveva deciso che il futuro avrebbe potuto aspettare. Una chiazza verde e bianca sfrecciò tra la folla, dirigendosi anch’essa verso l’ultimo vagone del treno ed entrando inevitabilmente in rotta di collisione con la giovane scrittrice, spargendo nel raggio di un metro i fogli di lui e i manoscritti di lei.
«Ouch! I manoscritti, miseria-», imprecò freneticamente la bruna nel disperato tentativo di raccogliere in tempo il materiale caduto per terra, tentativo interrotto poi dal fischio del treno in partenza.Vide i suoi sogni di gloria svanire in lontananza, e, affranta, scivolò in ginocchio, raccattando con aria rassegnata la sua roba, finché non sentì uno sguardo curioso su di lei. Sollevò la testa soltanto per vedere la causa dell’inconveniente che le aveva fatto perdere il treno della sua vita: un giovane di vent’anni al massimo, con dei lunghi capelli verdi tenuti in una coda, la guardava con uno sguardo pieno di rammarico. Indossava una camicia bianca visibilmente spiegazzata e dei pantaloni marroni di buona fattura ma che avevano l’aria di essere stati utilizzati a lungo, dandogli l’aspetto di qualcuno che originariamente doveva appartenere ad una famiglia benestante. «Sono infinitamente dispiaciuto, signorina, io... ». «TU! Pezzo d’idiota che non sei altro!», lo interruppe la ragazza afferrandolo per il collo della camicia. «Ti rendi conto di quello che hai combinato? Quel treno era la mia occasione del secolo, ho speso i risparmi di una vita per comprare il biglietto e adesso... adesso... », bofonchiò prima di accasciarsi nuovamente a terra scoppiando in un pianto dall’aria infantile. Il giovane s’inginocchiò e le porse un fazzoletto. La ragazza lo guardò interdetta per un attimo prima di soffiarsi rumorosamente il naso.
«Le porgo le mie più sincere scuse, signorina, non volevo farle perdere un’occasione così importante, ma nella foga di raggiungere il treno non ho badato a dove mettevo i piedi. So che non è nulla in confronto alla perdita subita, ma vorrei offrirle qualcosa da bere per farmi perdonare». La giovane scrittrice lo guardò curiosa per un attimo prima di tirare su col naso e alzarsi ignorando bellamente la mano offertale dal ragazzo.

***


27 Febbraio 1937. 

Il Café vicino la stazione era, come al solito, brulicante di gente che chiacchierava del più e del meno, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, anche se, le fotografie che un tempo costellavano le pareti, erano state sostituite con delle testate di giornale incitanti all'antisemitismo. La Francia, come gran parte dell'Europa, stava passando un periodo buio, ma i ricchi borghesi fingevano di non curarsene, continuando la loro vita come se niente fosse. Trovare lavoro in un periodo del genere era diffcile tanto quanto era diffcile vedere una luce sul fondo di quell'oscura epoca che stavano vivendo, ma arrendersi equivaleva a soccombere e soccombere era l'ultima cosa che i cittadini volevano. Quell'orrore doveva finire.
«I signori desiderano?».
«Per me un caffè ristretto, mentre per la signorina- ».
«Per me una birra , grazie», lo interruppe con nonchalance l’eccentrica scrittrice. Il cameriere le scoccò un’occhiata sorpresa, mentre il giovane la osservava quasi divertito, il mento poggiato sul palmo della mano.
«Dica un po’... », cominciò sorridendo lievemente.
«Non darmi del lei, ti prego, mi fa sentire tremendamente vecchia».
«D’accordo... », continuò il ragazzo schiarendosi la voce «per quale motivo ci tenevi così tanto ad andare a Parigi? Sempre se mi è lecito saperlo, ovviamente».
«Dal momento che sono una specie di scrittrice, volevo andare a Parigi alla ricerca di un editore, lì i romanzi sono piuttosto diffusi», disse svuotando in un solo sorso metà del boccale di birra.
Il giovane si lasciò sfuggire una risata sommessa, poi spalancò gli occhi, come se si fosse improvvisamente ricordato di aver lasciato in sospeso qualcosa di molto importante. «Cielo, che maleducato, non mi sono neanche presentato. Sono Natural Harmonia Gropius, in arte semplicemente ‘N’».
«In arte?», domandò la bruna, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Sì, sono un fotografo».
In quel preciso istante gli occhi azzurri di lei si illuminarono, le labbra si incurvarono dolcemente sfoderando una fila di piccoli denti bianchi perfettamente allineati e due graziose fossette agli angoli della bocca. «Piacere mio, N. Io sono White».
Quel sorriso era la cosa più bella che avesse mai visto, avrebbe dato qualunque cosa per immortalarla in quell’istante. La giovane scrittrice finì di vuotare il boccale, lasciando che dei vistosi baffi di schiuma le incorniciassero la bocca.
«Sai White», disse il ragazzo appoggiando la guancia contro la mano con aria sognante, «non credo che ti lascerò andare molto facilmente».
Inaspettatamente, lei sorrise ancora. «Beh, adesso che ho perso il treno, ho parecchio tempo libero da occupare».

 


***


18 Ottobre 1937.


La ragazza guardò mestamente l’ennesima lettera di rifiuto da parte dell’ennesimo editore, cercando però di nascondere la sua tristezza al giovane fotografo. «Pazienza, questi sciocchi plebei non sanno apprezzare la mia arte», buttò  giù in un finto tono stizzito.
N sorrise malinconico. «Nonostante siano passati mesi, non posso fare a meno di sentirmi in colpa per averti fatto perdere quel treno. Se fossi riuscita ad andare a Parigi a quest’ora saresti già una nota e apprezzata scrittrice professionista».
White si alzò sulle punte dei piedi e picchiettò l’indice contro la fronte del ragazzo. «Non dirlo neanche per scherzo. Nessuno ci garantisce che se avessi preso quel treno le cose sarebbero state diverse da adesso, e poi», aggiunse con un sorriso quasi canzonatorio «non ci saremmo mai incontrati, se fossi arrivata puntuale in stazione».
Il giovane si appoggiò alla ringhiera, osservando pensieroso lo splendido panorama autunnale che le campagne della Borgogna gli offrivano. All’improvviso, voltatosi verso la ragazza, le prese una mano tra le sue, arrossendo vistosamente. La ragazza inclinò la testa leggermente di lato, sfoderando un sorriso interrogativo.
«W-White, t-ti prometto che un giorno riuscirò a p-portarti a Parigi, dovessi prenderti in spalla e arrivarci a piedi. Parola di artista». La giovane scrittrice gli rivolse un’occhiata affettuosa, ricambiando la stretta delle sue mani.


***


Parigi, Francia. 25 Aprile 1938.


La primavera aveva colpito Parigi con tutta la sua fresca e profumata irruenza, inondando di fiori e foglie ogni singolo albero della città. Sorseggiava placidamente la sua solita birra, osservando attentamente l’espressione di N mentre coglieva con una vecchia macchina istantanea le meraviglie di ogni singolo anfratto della città più bella d’Europa. Erano lì soltanto per una visita temporanea, ma alla fine avevano davanti una vita intera da trascorrere insieme in quella magnifica città, bisognava semplicemente dare al tempo, o almeno lei sperava fosse così. Le piaceva moltissimo l’espressione seria che lui assumeva quando svolgeva il suo mestiere, sarebbe rimasta ad osservarlo per ore mentre i suoi occhi grigi scrutavano con attenzione ogni singolo dettaglio del paesaggio circostante. Vuotò il boccale, lasciando i soldi sul tavolino, per raggiungere poi di soppiatto il ragazzo che era ancora immerso nella sua arte.
«Mmmmh... quell’albero di pesco non sarebbe male da fotografare, ha dei fiori bellissimi e dietro si vede la Senna». La voce squillante della giovane scrittrice distolse bruscamente il ragazzo dal suo lavoro, facendogli quasi cadere la macchina fotografica per terra. «White, accidenti! Mi hai fatto prendere un colpo!». La ragazza in tutta risposta scoppiò a ridere, mostrando dei baffi di schiuma bianca sopra le labbra.
Click! «Perché mi hai scattato una foto?», domandò riprendendosi dalle risate.
«Perché sei talmente bella con quei baffi di birra che non potevo non immortalarti», rispose il giovane fotografo togliendole delicatamente la schiuma con la mano.
«Eh?! Come hai potuto!».
N si lasciò sfuggire una risata sommessa: White era fatta così, beveva più di molti uomini, sorrideva sempre, era incredibilmente permalosa e a volte un po’ ingenua, spesso, come in quell’occasione, lo riempiva di dolorosi pugni sul petto e sulle braccia, ma subito dopo si scusava nel timore di avergli fatto seriamente male. Era certo che non esistesse nessuno come lei al mondo: attraverso i suoi occhi, sempre così curiosi, passavano tutte le sue emozioni, permettendogli di leggerla come se fosse un libro aperto. Era così minuta che le rare volte in cui trovava il coraggio di abbracciarla aveva paura di romperla, anche se più di una volta aveva dimostrato che in quel corpo così grazioso era racchiusa una forza fisica ben superiore alla sua. Lei era...
«White», disse facendosi improvvisamente serio. I curiosi occhi azzurri della giovane scrittrice incontrarono quelli grigi e seri dell’aspirante fotografo. «...  io farei di tutto per te». Per la prima volta da quando si erano incontrati, fu lei ad arrossire, facendo sì che il giovane si domandasse se fosse quella la bellezza assoluta che gli artisti andavano cercando da secoli. Si era innamorato di lei già dal loro primo fatidico incontro in quella stazione, quando lei gli aveva sorriso per la prima volta con quegli adorabili baffi di schiuma bianca. In un moto di coraggio si chinò in avanti stampandole un rapidissimo bacio sulle labbra, arrossendo istantaneamente. La ragazza lo fissò in stato di shock per qualche istante prima di prendere la rincorsa e abbracciarlo buttandosi di peso su di lui, trascinandolo con sé sul manto erboso. N poté giurare che con la temperatura del suo viso in quell’istante avrebbe potuto fondere l’acciaio.


***


Borgogna, Francia.15 Agosto 1939.


La brezza estiva le scorreva tra i capelli, lasciando che la solita disordinata coda di cavallo ondeggiasse liberamente, mentre le nuvole in cielo si compattavano rapidamente accompagnate dal fragore di qualche tuono lontano. Presto pesanti gocce di pioggia colpirono il suolo, rivitalizzando come un balsamo benefico le spighe dorate del campo. N le afferrò improvvisamente la mano, trascinandola via dall’albero che forniva loro riparo e invitandola con un inchino a danzare con lui. Mentre le sue braccia le cingevano delicatamente la vita, posò la testa sul suo petto, ascoltando il battito accelerato del cuore. Si aggrappò istintivamente alla sua camicia, sentendosi stringere di più. Rimasero così, abbracciati, ondeggiando lentamente sotto la pioggia fino a che il temporale non cessò.
«Tra quanto partirai?».
«Due settimane».
«...».
«Qualunque cosa accada, io non ti lascerò mai».


***

 

29 Agosto 1939.

Aveva promesso di non piangere, e non lo fece. Neanche quando vide il suo sorriso malinconico attraverso il finestrino del treno in partenza. Non doveva piangere, dopotutto la guerra non era ancora scoppiata, e lui sarebbe stato via soltanto nove mesi. E poi... 
«
W-White, sposami».
«Cosa?!».
«A - al ritorno dal servizio militare».
Lo avrebbe aspettato, e lo avrebbe riaccolto così come lo aveva salutato: col sorriso sulle labbra.


***


«4 Settembre 1939
DICHIARATA GUERRA ALLA GERMANIA: L’ESERCITO FRANCESE SI PREPARA ALL’ATTACCO».

 

White strinse con forza il quotidiano, mentre le lacrime cadevano bollenti sulle sue mani e sul nefasto pezzo di carta. Non era riuscita a mantenere fede alla sua promessa, aveva ceduto alla paura, quella paura che l’aveva perseguitata da quando N le aveva stretto le mani, dicendo che avrebbe fatto di tutto per lei. Erano passati già tre anni da quella meravigliosa primavera parigina, e lei si trovava sempre al solito posto, camminando sempre per le stesse campagne della Borgogna, un’anima dispersa in una boccia per pesci che girava in tondo, incappando sempre nelle solite paure del passato. Non voleva perderlo. Quanto avrebbe voluto che fosse lì con lei, a posare la mano sul suo ventre ormai visibilmente gonfio con quel suo sorriso infantile.


***  

 

Luglio1940


C’era la stessa brezza di quel giorno ad accarezzarle i capelli, lo stesso albero, la stessa malinconica musica nel fruscio del grano, mancava solo lui. Accarezzò dolcemente la bambina tra le sue braccia, regalandole il più dolce dei sorrisi. Iniziò ad ondeggiare leggermente, come se stesse danzando sulle note di un’impercettibile melodia. E lei rise. Rideva con gli occhi, gli stessi occhi grigi di suo padre, in quello stesso campo dalle spighe dorate.
«Qualunque cosa accada, non ti lascerò mai».

   
 
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