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Autore: Gan_HOPE326    18/10/2007    8 recensioni
Che si tratti di un capoufficio dispotico o di un professore troppo severo, tutti noi ci siamo imbattuti in qualcuno come “il Commendatore”. Ma nel mondo di Dragon Ball, anche una persona così può nascondere uno sconvolgente segreto…
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Commendatore

Flash-fic scritta per il concorso di Writers Arena sui “Malvagi di Dragonball”. Questa storia mi è stata ispirata da un romanzo, “Stupore e tremori” di Amélie Nothomb. E’ insolita, ma penso originale. Appena comincerete a leggerla vi chiederete: “ma questo che c’entra con Dragonball?”. Dopo dieci righe, vi risponderete: “ma questo non c’entra proprio nulla con Dragonball!”. Per cui, andate fino in fondo. Vi garantisco che c’entra… commentate, mi raccomando!

 

 

Il Commendatore

di Gan_HOPE326

 

Quando la signorina Asegawa consegnava le fotocopie appena fatte, il Commendatore le diceva di rifarle: sempre. Sono troppo scure, diceva, o troppo chiare; o i bordi sono tagliati; o la carta è troppo gialla; o andavano stampate fronte-retro. La signorina Asegawa passava metà della sua giornata alla fotocopiatrice. Nonostante tutto, il Commendatore pretendeva anche che lei svolgesse tutti gli altri incarichi che le competevano alla perfezione, perciò la costringeva spesso a lunghi turni serali di straordinari.

Non solo lei doveva sottostare a queste corvée: tutto il personale dell’ufficio subiva simili vessazioni. Il ragionier Mifune, ad esempio, subiva quella che aveva battezzato “la tortura del caffé”. Suo compito era portare al Commendatore le tazzine di caffé, rigorosamente bollente, che lui pretendeva al ritmo di una ogni mezz’ora, senza poi necessariamente berle davvero. Il distributore automatico era parecchio lontano dall’ufficio del Commendatore, che d’altronde pretendeva che Mifune non usasse alcun vassoio o supporto per trasportare la caldissima bevanda. Come conseguenza di ciò, il ragioniere lamentava continue e dolorosissime vescicole e ustioni a entrambe le mani (nel tentativo vano di trovare sollievo, spostava spesso la tazzina da una mano all’altra, ottenendo il solo risultato di scottarsele entrambe). Solo una volta gli era capitato di lasciar cadere la tazzina sul pavimento, e nessuno conosceva di preciso quale terribile punizione gli fosse stata amministrata, dal momento che egli stesso era restio anche solo a ricordare quel giorno funesto.

La signora Morino, telefonista, riceveva spesso l’ordine di chiamare numeri che si rivelavano poi appartenere ad esotiche ditte di paesi di cui ignorava del tutto la lingua, nonostante vantasse tra le sue referenze la conoscenza di decine di idiomi diversi. Dopo la telefonata, le spettava l’immancabile strigliata. Signora Morino, diceva il Commendatore, credevo di aver assunto una poliglotta, non una balbuziente incapace di comunicare con chicchessia. Umiliata, la signora Morino chinava il capo, diceva sissignore, e tornava al suo posto.

Una sera, durante un effimero momento di pace, gli impiegati si ritrovarono a discutere del perché il loro capo fosse tanto spietatamente sadico. E’ perché non ha famiglia, sostenne la signora Morino; ha un complesso di inferiorità per via della sua scarsa statura, affermò con assoluta certezza il ragionier Mifune; sta male, vedete che brutto colorito ha?, azzardò la signorina Asegawa. Ma tutte queste ragioni potevano spiegare la sua crudeltà, non giustificarla. Gli impiegati continuavano a detestare il Commendatore; e questi ne era felice, perché essere odiati è prerogativa dei potenti.

Alla sera, quando finalmente gli schiavi erano liberi di tornare alle proprie case e alla propria normale dignità, il Commendatore non era mai in giro ad abbaiare ordini o urlare rimproveri. Si chiudeva nel suo studio personale e pretendeva di non essere disturbato da nessuno, per nessun motivo.

Gli impiegati abbandonavano l’ufficio uno ad uno, spegnevano le luci, chiudevano la porta a chiave. Tutto era silenzio.

Alla sera, fissando il grande planisfero appeso alla parete del suo studio, il Commendatore Pilaf ripensava ai tempi in cui sognava di conquistare il mondo, e sospirava.

  
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