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Autore: M4RT1    30/03/2013    3 recensioni
Neal è finito all'ospedale e dovrà restarci per ventuno giorni. Che succederà? Chi gli terrà compagnia? Ma soprattutto: riuscirà Neal a sopravvivere a ventun giorni con amici che tentano di tirarlo... su di morale?
**
La storia si comporrà di ventidue capitoli: il primo parla di come Neal è finito in ospedale, poi ce ne sarà uno per giorno. :))
Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Burke, Mozzie-Dante Haversham, Neal Caffrey, Peter Burke, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 N.d.A.: e poi boh... apri EFP, aggiorni la storia, aspetti recensioni che non arrivano e ti accorgi che *PUFF* il capitolo non c'è -.-'' allucinogeni nelle uova di Pasqua? O_o Ciancio alle bande (?), buon lettura ;))


Tiic… tiic… tiic…
No, signore, non si sa ancora…
Diana? Sì, sono in ospedale.
È in prognosi riservata.
Salve, miss FBI. No, resto io con lui.
Tiic… tiic… tiic…
Reagisce bene.
Va a dormire, Peter. Resto io qui.
Mozzie! Tranquillo, sta dormendo.
-Non più…
Quando Neal aprì gli occhi, era sera. Accanto a lui c’era una delle coppie più strane e, nel contempo, più abitudinarie che il ragazzo avesse mai visto: Elizabeth e Mozzie erano in piedi, accanto al suo letto, entrambi con l’aria preoccupata.
-Neal? Neal, come stai? Come ti senti, tesoro?
In un momento, entrambi furono attorno a lui. Neal sbattè le palpebre, troppo lento nei movimenti per provare a scacciarli.
-Hai bisogno di qualcosa, Neal? Come stai?- sussurrò Elizabeth, accarezzandogli i capelli. Lui si ritrasse di scatto. Anche la donna trasalì: -Ti ho… fatto male?- chiese, interdetta.
Scosse il capo. La luce era troppo forte, gli faceva male agli occhi.
-Hai sete, Neal?- li interruppe Mozzie, tranquillo. Se ne stava di spalle, accanto alla finestra: -Sono tre giorni che sei incosciente, finirai per disidratarti. Non mi fido molto dei medici, potrebbero sbagliare dosi, oppure…
-Piantala, Moz.- lo interruppe Elizabeth, seria.
Neal fissò la scena per qualche secondo, poi richiuse gli occhi. Sentiva la mano di Elizabeth indugiare sulla sua fronte calda.
-Hai la febbre.- constatò, fissandolo. Neal percepì il suo sguardo nonostante le palpebre chiuse.
-Lo so…- mormorò. –Elizabeth…
-Sì?
-Voglio Peter.
Riaprì gli occhi. Elizabeth lo stava ancora guardando.
-Lo… lo chiamo subito, Neal. Riposa.
Tiic… tiic… tiic…
Peter? Tesoro, ha chiesto di te.
Eccomi.
Mozzie, puoi andare. Dormi un po’.
Resto con te, tesoro.
È tardi, va a casa.
Tiic… tiic… tiic…

 
 
-Da quanto tempo sei qui?
-Quasi due ore.
-Scusa, Peter, io… io mi sono…
-…addormentato, lo vedo.
Peter si alzò dalla poltroncina su cui si era seduto e si avvicinò a Neal. Per un attimo restarono così, seri, a fissarsi. Poi l’agente si accomodò ai piedi del letto del ragazzo. Sospirò:
-Come ti senti?- chiese, accennando alla fronte con un cenno del capo.
-Io credo… credo di aver vissuto giorni migliori.- tentò Neal. Odiava lamentarsi, lo sapevano entrambi.
-Credo anch’io.- annuì l’altro. Fissò i vani tentativi che il ragazzo faceva per versarsi da bere con la sola mano sinistra. –Forse avresti bisogno d’aiuto.- constatò.
-No, io… ce la faccio da solo.
Sapevano entrambi anche questo: Neal non chiedeva aiuto, mai.
-D’accordo.
E non sarebbe stato Peter ad insistere.
Restarono ancora in silenzio. Neal riuscì a versarsi da bere con una combinazione di salto acrobatico, contorsionismo e qualcosa che includeva l’uso di una sola mano, poi tornò soddisfatto al suo posto.
-Hai usato questa tecnica per quel furto al museo di arte contemporanea?- si informò Peter, curioso. L’altro sbottò in una risatina:
-Perché mai avrei dovuto fare un furto da disteso e con una sola mano, scusa?- chiese. L’agente scosse il capo:
-Perché… non so, sei un esibizionista?- tentò.
-Fuori strada.
-Allora perché eri, non so… appeso a testa in giù con una corda?
-Ritenta, sarai più fortunato- commentò Neal, poi cambiò idea: -Anzi, no. Non tentare più di indovinare, potresti riuscirci.
L’agente sorrise:
-Ti darebbe molto fastidio, vero?- chiese, avvicinandosi.
-Devo ammetterlo: se arrivassi a capire i miei piani, non avrei pace- finse Neal, la voce un po’ impastata.
Peter sospirò.
-Tra quanto mi dimettono?- domandò allora Neal, già annoiato.
-Ventuno- rispose Peter senza fissarlo.
-Ventuno ore? E perché devo restare qui per ventuno ore, se sto bene?- cominciò a protestare il ragazzo, ma l’altro lo fermò:
-Giorni, Neal. Ventuno giorni- precisò, e l’amico parve sgonfiarsi sotto il peso di quella notizia devastante.
-Giorni, Peter?- mormorò flebilmente, accasciandosi sui cuscini.
-Neal, cerca di capire: hai passato tre giorni incosciente i medici hanno dovuto operarti perché avevi un’emorragia interna, senza contare il trauma cranico, la mano e…- elencò Peter, provando a fargli comprendere la situazione.
-Sono comunque troppi, Peter!- frignò l’altro senza ritegno.
-Piantala, Neal!
Qualcosa cominciò a vibrare.
-E’ il tuo, Peter…- mormorò Neal, la voce piatta.
L’agente si avvicinò alla finestra, poi rispose. Neal lo sentì parlare per qualche minuto, alternando i suoi sussurri alle parole della persona all’altro capo del telefono, poi la conversazione finì.
-Era Elizabeth.- lo informò: -Voleva sapere come stavi.
-A quanto pare sto male…
-E se avevi bisogno di qualcosa.
-Tipo una forcina?
-E voleva anche… una forcina?
-Per evadere, no?- replicò Neal con aria di ovvietà: -Dio, Peter, come hai fatto a prendermi? Anzi: come ho fatto a non sfuggirti?- si chiese, teatralmente.
Seguì un smorfia.

Passarono un paio d’ore, divise tra silenzio e lamentele, poi l’effetto dell’anestetico cominciò a svanire. Fu allora che Peter desiderò evadere, eclissarsi, scomparire per rimaterializzarsi in Papuasa. Perché Neal Caffrey odiava lamentarsi, ma lo faceva. Lo faceva fin troppo.
 
 
Neal cominciò a stare veramente male verso le cinque del pomeriggio.
La mano, la testa, la pancia, tutto faceva incredibilmente male. E poi c’era la stanchezza che lo prendeva a ondate, che gli impediva di stare sveglio, e allo stesso tempo gli negava un riposo duraturo.
La faccia di Peter appariva e scompariva, inghiottita dall’oscurità delle palpebre che calavano e, subito dopo, risputata fuori con la luce troppo forte. Luce bianca, asettica, che gli dava ansia.
E la mano pulsava, la fronte bruciava, il respiro era irregolare.
Non aveva mangiato, doveva essere quello… ma no, non c’entrava niente. Aveva male ovunque. Tremava, forse.
-Neal? Neal, l’infermiera deve farti l’iniezione, svegliati.
E si svegliò, a fatica. Peter lo tirò a sedere, brusco. L’ago gli entrò nel braccio, veloce, accompagnato da un leggero pizzicore.
Va tutto bene, ora starai meglio.
Va tutto bene, il dolore ti passerà in dieci minuti.
Va tutto bene, riposa.
Va tutto bene.
Buonanotte, Neal.
  
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