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Autore: Virginia Of Asgard    30/03/2013    3 recensioni
E' il mio primissimo tentativo di Long Slash. Abbiate pazienza :'D
"Non era solito ricevere John da solo. Di solito veniva sempre con Yoko, o con i suoi figli – e Yoko – “Paul, sono venuto a trovarti; Mi fai entrare, o mi lasci fuori?” domandò con la sua solita aria da sbruffone, quell’aria maledettamente affascinante. Esattamente, trovavo il mio migliore amico, John Winston Lennon, affascinate. Una cosa per nulla normale per un trentottenne sposato, un Uomo attratto dalle donne. Non propriamente normale per un uomo come Paul McCartney, essere strambamente attratto da un uomo come John. "
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I. A Cold Night.

Sedevo dinnanzi al camino di casa mia. Faceva freddo, quell’inverno; Era già dicembre, e  Faceva dannatamente freddo. Un freddo capace di penetrarti le ossa, dannazione! Mi domandai come diavolo fosse possibile che neppure un fuoco ardente difronte a me, non riuscisse a scaldarmi completamente.
Rabbrividii, faceva ancora più freddo, e dalle mie labbra usciva aria condensata. Forse avevo lasciato una finestra o due aperte. Forse ero stato talmente idiota da dimenticarmi delle finestre aperte in pieno Dicembre. Mi alzai, volevo controllare che fosse tutto a posto, ma – come avevo già detto, e ri-detto – faceva un cazzo di freddo allucinante!
Mi voltai per prendere una coperta, per riscaldarmi un pochino. Ero in una fottuta casa, con tanto di riscaldamento e televisone, stufa e radio, tutte tecnologie costosissime ed avanzate, eppure mi stavo letteralmente congelando. Fissai per un attimo la foto di me e John, che avevo appoggiato sullo stipite del caminetto, proprio questa mattina. Mi ero detto “Siamo solo amici, Paul, solo amici. E allora che male c’è ad avere una foto di te, ed il tuo migliore amico sul camino? Nessun male, Paul, nessuno, appunto!” E detto ciò, avevo incorniciato quella meravigliosa foto, uscita quasi per errore.
John avevo quello sguardo così concentrato dulle note del piano da non sbagiare, così preso dal suo universo parallelo di pace ed amore, che era adato a crearsi;
Io invece ero stato colto di sorpresa, quindi avevo un dannato sguardo da ebete, stampato in volto. Diciamo che non era uno dei nostri migliori scatti, assieme, ma ci tenevo molto. Entrambi seduti al pianoforte, intenti a meravigliare ancora una volta, tutta quella gente, con le nostre canzoni, con i nostri testi. Eravamo poeti, noi Beatles. Poeti incompresi, poeti schiacciati dalla notorietà, soffocati dall’immagine, coperti da ciò che gli altri volevano che fossimo. Noi, che avevamo inventato la musica, ora ci trovavamo a dover stare al passo con la musica; La nostra musica. La mia musica; quella di John.
Ma questo era successo troppi secoli fa. Ora i Betatles, i favolosi Quattro non c’erano più. Avevamo perso le nostre identità, separandoci, ma a nostra volta le avevamo recuperate, avendo la nuova possibilità di rinnovarle.
Sospirai tremendamente, ricordandomi che dovevo chiudere quelle ipotetiche finestre. Mi avviai per fare una ronda investigativa, all’interno della solitudine di quella casa, quando il campanello di casa suonò più volte. Il campanello aveva suonato. Chi diavolo poteva essere, alle nove di sera, di un Sabato sera?
Io ero solo – completamente, dannatamente solo – in casa, di sicuro un po’ di compagnia non mi avrebbe danneggiato la serata. Sospirai, notando le nuvolette biancastre di aria condensata: dovevo ancora chiudere le finestre! Feci per dimenticarmi del campanello, e partire alla ricerca degli infissi, che il campanello tuonò un’altra volta. Sospirai nuovamente, e trascinai le mie ciabatte ed il mio corpo avvolto da una coperta rossa – che mi era stata regalata qualche natale fa, da Dio solo ricorda chi – verso il portone di entrata.
Mi diressi ad aprire la porta, e con mio gran stupore mi apparve un John Lennon, piuttosto trasandato.
“John…” sussurrai, lievemente stupito da quella visita. Non era solito ricevere John da solo. Di solito veniva sempre con Yoko, o con i suoi figli – e Yoko –  “Paul, sono venuto a trovarti; Mi fai entrare, o mi lasci fuori?” domandò con la sua solita aria da sbruffone, quell’aria maledettamente affascinante. Esattamente, trovavo il mio migliore amico, John Winston Lennon, affascinate. Una cosa per nulla normale per un trentottenne sposato, un Uomo attratto dalle donne. Non propriamente normale per un uomo come Paul McCartney, essere strambamente attratto da un uomo come John.
“Hem, certo, certo! Entra pure, è solo che mi hai beccato nel peggiore dei momenti!” dissi io, facendolo accomodare a casa. Fotruna che Dio non gli aveva donato anche il dono della lettura del pensiero!
“Fa un freddo cane, qui dentro!” esclamò John, sedendosi su di una poltrona, che dava sul camino. Spalancai gli occhi preoccupato: avrebbe visto la nostra foto! Non doveva vederla, diamine! Mi avrebbe preso per un frocio sentimentalista del cazzo!
“Tieni una nostra foto sullo stipite del camnio, Paulie?” mi domandò, con una risatina al seguito. Ecco, era successo. L’aveva vista.
“Bhe…” inziai, sedendomi accanto a lui, e passandogli un po’ di coperta, visto che si gelava,ed io non avevo più intenzione di chiudere alcuna finestra. Ora ero solo, con lui.
“…è una gran foto!” scoppiai a ridere; “Mi ricorda i vecchi tempi, quando eravamo sempre strafatti di Marijuana, e non c’importava nulla di nessuno, se non scopare, bere e fumare. Bei ricordi, no? Solo ricordi…” risposi con un velo di malinconia nel parlato. Maledizione a me, ed alla mia stupida malinconia. Ora John mi avrebbe visto come Checca, ancora più di quanto mi vedesse prima!
“è vero, cazzo è vero. Paul, che cazzo ci è successo, in tutti questi anni?” mi domandò, senza voltare lo sguardo, fissava unicamente quella foto, quella maledetta foto. “ Non lo so John…siamo invecchiati, abbiamo messo su famiglia… siamo diventati – Dio come suona male – siamo diventati responsabili” sentenziai impregnandomi di malinconia, più di quanto avessi mai fatto. John si voltò a fissarmi, mi guardava senza proferire una sola, dannata, piccola parola. Mi guardava, con quel suo mezzo sorriso, mi guardava.
“Che c’è?” domandai come una delle più ovvie persone del pianeta. “Responsabili?” mi domandò, con un ghigno sul volto “Fai ancora uso di qualche…piccola droga goni tanto?” mi domandò come se non mi conoscesse abbastanza da sapere che nel cassetto di camera mia c’era un decello di Marijuana pronta all’uso.
“Hem…ogni tanto, perché?” domandai, fingendomi innocente, a volte mi divertiva giocare al Bambino, con John. Era una delle cose più divertenti, perché alla fine facevamo la lotta, come i bambini e poi finivamo a sbronzarci canticchiando vecchi successi dei nostri anni. Cazzo, mano ne avessimo ottanta, di anni.
“Allora non sei responsabile, Paulie!” esclamò ridacchiando “Hey!” sbottai, lamentandomi. Gli avevo tirato una leggiera pacca sulla spalla, per scherzare, ed in quel momento avevo sfiorato la camicia di lino – fuori stagione, come sempre – dei brividi inspiegabili, si erano presi possesso del mio busto.

 
 
   
 
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