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Autore: _blueebird    30/03/2013    4 recensioni
Ci vogliono pochi minuti per leggerla e altrettanti per innamorarti di loro.
Camille, una sedicenne che lotta tutti i giorni per rimanere a galla in una società di pregiudizi, ingiustizie e in continua lotta con la sua timidezza e con i suoi problemi, si innamora. Tra i banchi di scuola, tra gli amici veri e le cattiverie, troverà l'amore che la porterà a crescere, a soffrire e a combattere i suoi demoni.
Una storia che vi prenderà e che vi scalderà il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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“Dove stiamo andando?” gli chiesi mentre strinsi ancora più forte il suo giubbino per paura di cadere. “E’ una sorpresa.” Si limitò ad aggiungere lui.

 Il sedere mi faceva terribilmente male. Il portapacchi era davvero scomodo ma non avevo altra scelta che rimanere seduta in quella posizione e sperare che mancasse davvero poco alla nostra meta. Il tempo era meraviglioso, l’aria primaverile che odorava di fiori di pesco e tepore, mi entrava dentro scaldandomi tutta e stropicciava i miei capelli gettandoli disordinatamente qua e là.
Rivoltai il collo all’indietro e chiusi gli occhi per sentire tutto quella benefica sensazione su di me. Avevo voglia di dimenticare quello che era successo. E sentirmi libera.
Per una volta mi ero sentita leggera, ero riuscita a dire a mio padre tutto ciò che provavo ed ero riuscita a buttare fuori  tutta la sofferenza che avevo portato dentro per ben 10 anni.
Ma nello stesso momento che pensavo a lui e ai suoi occhioni verdi fissare il pavimento di marmo del salotto, mi salivano nuovamente le lacrime agli occhi. Scivolavano veloci e fredde verso le tempie, fino alle orecchie e si confondevano nell’aria e tra i capelli.
Mi tornò in mente mia madre con le chiavi in mano e la borsa in spalla, la matita sbavata sotto gli occhi scarlatti e la punta del naso rossa. Mi aveva fatto un gran sorriso e mi aveva detto che non sapeva se sarebbe tornata per cena. Sarebbe andata da Matilde, come sempre. Come tutte le volte che si metteva a piangere per nostro padre perché ripartiva, quando aveva bisogno di un buon caffè degno di quel nome.
Mi aveva solo detto di non tornare a casa tardi.
Sorrisi ad occhi chiusi. Non le avevo ancora detto che volevo andare a fare un giro che mi aveva letto nel pensiero. Questa era la mia mamma, quella che sapeva cosa pensavo e se c’era qualche cosa che non andava, solo guardandomi negli occhi.
 
“Siamo quasi arrivati.” Aggiunse Francesco, interrompendo i miei pensieri. Misi dritta la testa e aprii gli occhi che fecero fatica ad adattarsi alla luce del sole. Eravamo su un marciapiede di un cavalcavia e sfrecciavamo abilmente tra i pedoni. Sotto di noi un canale verdastro e increspato dal riflesso del sole che sembrava seguire la nostra corsa.
Dopo qualche stradina poco trafficata e un groppo da strada che suonava Jazz, Francesco frenò davanti ad un negozio di fumetti.
Non conoscevo quella via. C’erano delle bellissime betulle tra i marciapiedi, i palazzi erano colorati di un acceso color mattone e c’erano un sacco di striscioni e bandiere ovunque. Non so come mai ma mi ricordava Londra, San Francisco o una piccola cittadina del Minnesota. Era davvero bello avere uno piccolo spazio colorato e carino anche qui.
“Vieni.” Mi disse Francesco tenendo a braccio la bicicletta. Ci introducemmo dentro la viuzza che costeggiava la fumetteria, molto più ariosa e pulita di quell’altra vista lo stesso giorno e arrivato quasi alla fine di questa appoggiò la bicicletta al muro.
Mi afferrò la mano e con un affettuoso “Andiamo.” Mi giudò dentro ad un locale.
 
La stanza era piccola e buia; la poca luce giallo-verdastra che filtrava dalle finestre sporche non era sufficiente per vedere accuratamente l’interno, ma a Francesco non importava perché sapeva esattamente dove stava andando.
Salimmo due rampe di scale a chiocciola, di quelle scure e in ferro, che traballavano tutte e che odiavo terribilmente, ma forse ne valse la pena perché quello che vidi era davvero meraviglioso.
 
Una stanza enorme, dal soffitto altissimo e le pareti di un bianco puro e naturale. Sulla mia destra delle vetrate che coprivano completamente il muro, si affacciavano sul retro del palazzo; mentre sull’enorme parete sinistra c’era un gigantesco mosaico fatto di vetri e specchi che raffiguravano il viso astratto di una donna. I capelli tutti colorati e mossi da un vento immaginario, brillavano creando giochi di luce meravigliosi. Mi ero completamente INNAMORATA di quel luogo.
Da una parte all’altra delle pareti c’erano dei fili dai quali pendevano decine e decine di foto in bianco e nero, mentre su un tavolo di noce posto sulla parete di fronte c’erano tantissimi pennelli e colori, ma anche tele e cavalletti. Tutta la stanza era disseminata di cavalletti e quadri. Alcuni finiti, alcuni incompleti.
 
Mi sentivo come una bambina in una stanza piena di caramelle. Non facevo altro che rimanere a bocca aperta e a naso in su roteando introno a me stessa, cercando di guardare ogni foto, ogni quadro, ogni… ogni cosa. Tutto ciò che era in quella stanza era a dir poco meraviglioso.
“Ti piace?” Mi chiese Francesco mentre mi si avvicinò con cautela, la mano sinistra in tasca. Indicò la foto che stavo guardando, inclinando lievemente la testa verso me. Raffigurava un riccio che camminava cautamente su un tappeto di foglie autunnale. Era una foto degna di un bravissimo fotografo. La zampetta dell’animale sollevata, pronta ad appoggiarsi su una foglia di acacia madida di rugiada e il musino tenero. Era spettacolare. “L’ho fatta due anni fa’ a Londra.”
 
“Non ho mai visto una cosa così bella. Insomma, sono senza parole. E’ un posto così incantevole… Insomma… non ho parole.” Aggiunsi seriamente sconvolta e stupita. Francesco mi sorrise mostrando i denti bianchi e inclinò timidamente la testa verso il basso. “Sei la prima persona che la vede oltre a Jack, il ragazzo che mi ha dato questo locale.” “E’ il tipo della fumetteria?” chiesi. Annuì.
“Mi aveva notato tempo fa, mentre fotografavo delle betulle qui fuori. Era rimasto davvero stupito dalle foto che avevo fatto e mi aveva detto che avevo del talento. Dopo averlo conosciuto meglio e averlo aiutato in negozio durante l’estate, qualche mese fa’ ha deciso di darmi questo posto dove avrei potuto esprimermi al meglio.” Rise.
“Se lo avessi visto solo due mesi fa’. Era completamente pieno di ragnatele.”
“Quindi… mi stai dicendo che quel mosaico lo hai fatto tu?” Gli chiesi senza parole. Annuì ancora.
“Era una parete troppo spoglia e non sapevo cosa farci.” Aprii la bocca come un’ebete, la gravità la attirava così in basso che mi servivano due braccia per tirarla su.
 
“Ha un nome?” Chiesi dopo 5 minuti che osservavo quella donna mosaicata in tutta la sua bellezza e intensità. “Madre Natura. Rappresenta, con tutti i suoi colori la bellezza di questo mondo.”
“E questa?” Chiesi incuriosita indicando una foto che penzolava sopra le nostre teste. Una distesa di tetti e camini. Davvero molto suggestiva. “E’ la foto del terrazzo.” Disse stupito. “EH?!”
Tornammo dalla scala traballante a chiocciola di prima e mi guidò verso la rampa di scale successiva.
 
Dietro alla porta si apriva un gigantesco terrazzo che si affacciava sulla città. “Oh che meraviglia.” Riuscii a dire. Mi avvicinai al cornicione e sporgendomi un po’ ispirai profondamente l’aria pura; gli occhi chiusi, la sensazione di volare.
“Perché hai scelto proprio me?” Mi guardò con aria interrogativa. “Mi hai detto che non hai mai mostrato a nessuno questo posto all’infuori di Jack. Perché proprio io?”
“Perché quando sono triste e voglio evadere, vengo qui.” Disse guardando i tetti della città. Aveva davvero un bel profilo. I capelli neri gli uscivano dal berretto e aveva una dolce bocca rossa e carnosa. Arrossii lievemente. “Hai mostrato a tua madre o a tuo padre i tuoi capolavori? Sono sicura che se sapessero del tuo talento cercherebbero il modo per farti fare qualche mostra…”
“Mia madre lo sa ma è davvero troppo impegnata con il lavoro e con mia sorella. Non è facile per lei mantenere due figli tutta da sola. Mio padre sfortunatamente è venuto a mancare quando avevo 14 anni.”
 
“Oh mio Dio. Mi dispiace tantissimo.” Dissi sconvolta portandomi una mano alla bocca. “Non fa niente.” Disse infine facendo spallucce. “Ormai non ci faccio più caso. E’ per questo che faccio lo scientifico. Devo laurearmi per trovare un lavoro decente e aiutare mia madre. A fare l’artista non si campa.” Si mordeva il labbro inferiore con uno spiccato nervosismo. Gli occhi bassi. La tristezza nel cuore.
 
“G-grazie.” Dissi con la voce rotta e impastata. Le lacrime cominciavano a scendermi veloci lungo al viso. Il suo volto si era incupito vedendomi piangere. “Perché sei triste?”
“Perché ho appena cacciato praticamente a pedate mio padre, mentre tu… tu…” Francesco rise dolcemente.
 
“Che idiota.” Il vento pizzicava le mie guance mentre osservavamo i tetti della città.
 






*Angolo dell'autore*
Personalmente questo capitolo mi è piaciuto molto. Voglio che però ascoltiate una canzone mentre state leggendo questo capitolo,
o se lo aveve già letto, BEH RILEGGETELO CON LA CANZONE DI SOTTOFONDO! 
La canzone è "Zedd ff. Foxes - Clarity" 
Esprime molto bene come si sente la protagonista in questo momento, perchè da un senso di libertà.
Commentateeeeeee.
-Sel-
 

  
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