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Autore: Princess Kurenai    31/03/2013    1 recensioni
Nonostante la porta fosse ben chiusa, neanche quella barriera poteva fermare le urla che provenivano dal suo interno. Lo sforzo ed il dolore si mischiavano in un unico acuto lamento e Bifur, anche se non era nuovo a situazioni simili - aveva ‘assistito’ al parto di una sua zia che anni prima aveva messo al mondo due suoi cugini -, non si era mai sentito così teso e nervoso.
Detestava il dolore e sentire la sua compagna - la sua Naldris - soffrire in quel modo per donare una vita... lo faceva tremare - se solo avesse potuto sarebbe entrato lì ad aiutarla, ma non sapeva letteralmente dove mettere le mani -, e quella sensazione gli impediva di restare fermo nello stesso punto.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bofur, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo: Time takes it all, whether you want it to or not
Fandom: The Hobbit
Personaggi: Bifur, OC!Naldris, OC!Boldris, Bofur
Genere: Introspettivo, Angst
Rating: Giallo
Avvertimenti: Oneshot, Het, What if? (E se…)
Conteggio Parole: 2543
Note: 1. Scritta per la #9 Notte Bianca di Maridichallenge. Prompt: “Time takes it all, whether you want it to or not.” ― Stephen King, The Green Mile
2. Scritta anche per : 500 Themes Ita. Prompt: 481. La morte di mille urla
3. Headcanon che condivido, a quanto pare, con William (l’interprete di Bifur) e con altre adorabili persone. Infatti l’immagine del banner appartiene a Papermachette.
4. Naldris e Boldris sono due miei OC (Original Character), rispettivamente la compagna e la figlia di Bifur.
5. Dedicata a Sacchan :3
6. Non betata<3

Nonostante la porta fosse ben chiusa, neanche quella barriera poteva fermare le urla che provenivano dal suo interno. Lo sforzo ed il dolore si mischiavano in un unico acuto lamento e Bifur, anche se non era nuovo a situazioni simili - aveva ‘assistito’ al parto di una sua zia che anni prima aveva messo al mondo due suoi cugini -, non si era mai sentito così teso e nervoso.
Detestava il dolore e sentire la sua compagna - la sua Naldris - soffrire in quel modo per donare una vita... lo faceva tremare - se solo avesse potuto sarebbe entrato lì ad aiutarla, ma non sapeva letteralmente dove mettere le mani -, e quella sensazione gli impediva di restare fermo nello stesso punto.
Percorreva infatti con ampi passi il corridoio davanti alla porta chiusa, fermandosi solo qualche istante in ascolto della sua compagna che ancora urlava prima di riprendere il suo nervoso cammino.
Solo dopo parecchio tempo quei versi di dolore e sforzo si affievolirono, venendo sostituiti da un infantile pianto... era nato.
Suo figlio era nato, ripeté mentalmente con il cuore che, prima di iniziare a battere furiosamente per l’emozione, parve quasi fermarsi.
Rimase fermo, attendendo davanti alla porta la levatrice che non tardò ad arrivare.
“ Mastro Bifur.”, lo chiamo l’anziana Nana, sudata ma con in volto un bel sorriso. “ Può entrare...”
Non attese oltre e varcò la soglia della stanza - mai come in quel momento l’odore del sangue, e di tutto quello che era stato usato durante il parto, gli faceva venire la vita -, scorgendo subito tra le braccia della sua compagna un fagottino strillante.
“ È una bellissima bambina.”, dichiarò la levatrice, aiutando Naldris a mostrare quel piccolo miracolo all’altro Nano.
Era... minuscola e arrossata - lo sfogo sulla sua pelle delicata sarebbe passato in un paio di giorni - e Bifur non aveva mai sentito un neonato gridare così tanto - neanche i suoi cugini Bofur e Bombur erano stati così 'chiassosi' quando erano venuti al mondo - ed alle sue orecchie il pianto della sua bambina sembrava quasi squillare come cento trombe.
Come era possibile che una creatura così minuta potesse avere così tanta energia?
Forse era solo il suo modo di accogliere la sua nascita, utilizzando tutta la forza che aveva in quel piccolo corpo. Ed era così piena di vita che perfino il Nano non riusciva a trattenersi dal sorridere.
Si sentiva... completo.
La prese dalle mani della levatrice che l’aveva lavata e avvolta in una copertina, stando ben attento a non farla cadere perché lui... lui era un solo minatore, non era di certo abituato ad avere a che fare con un qualcosa di così piccolo e fragile. Ma quando la sentì agitarsi tra le sue braccia capì che non sarebbe mai caduta: che lui non l’avrebbe mai fatta cadere.
Si accostò alla sua compagna, sudata e rossa per lo sforzo ma con un’espressione lieta.
“ Lei... è bellissima, Naldris.”, mormorò dolcemente Bifur, sedendosi accanto alla Nana che, sorridendo, lasciò cadere il capo contro la spalla dell’altro.
“ Il suo nome?”, chiese qualche attimo dopo, riprendendo la neonata - ormai calma - tra le braccia.
Bifur ci pensò qualche istante poi, posando le labbra sui scuri capelli di Naldris, soffiò nelle sue orecchie il nome che aveva scelto per la loro bambina.
“ Boldris.”

 

Sin dai suoi primi istanti di vita, Boldris si era rivelata essere un vulcano di energie.
Gridava e strepitava ancor prima di riuscire a parlare, e fissava il mondo con occhi carichi di curiosità sempre alla ricerca di nuove scoperte, accompagnata in ogni passo dallo sguardo vigile ed orgoglioso dei suoi genitori.
Bifur, in realtà, non si era mai sentito un tipo ‘paterno’ - era un Nano, un minatore! - ma giorno dopo giorno anche lui scopriva nuove cose con la sua bambina ed imparava le bellezze dell’essere il padre di una creaturina così piccola eppure forte come cinquecento temporali.
Crescevano insieme, e nascosti nel suo cuore Bifur custodiva tanti ricordi. Come quando Boldris aveva imparato a parlare - adorava la sua vocina squillante mentre lo chiamava con un’infinita sequela di: “ Adad! Adad!” non appena lo vedeva apparire sulla porta di casa dopo una giornata di lavoro - o i suoi primi passi - Boldris gli correva sempre incontro, ridendo e abbracciandogli una gamba prima di venire sollevata dalle sue braccia. O come quando la faceva sedere sulle sue ginocchia e le intrecciava i capelli - neri, come i suoi -, o quando erano i suoi cugini Bofur e Bombur a giocare con lei - il primo soprattutto le raccontava fantastiche storie che la lasciavano sempre senza fiato. E Bifur non poteva far altro che osservare la sua famiglia, stringendo a sé la sua adorata Naldris.
Stupidamente il Nano sperava che la sua bambina non crescesse mai per davvero, che quei momenti di gioia restassero immutati così come nei suoi pensieri. Perché si sentiva felice come non mai.
La sua vita era perfetta. Non poteva descriverla in nessun’altro modo, ma il tempo portava via ogni singola cosa che lo volesse o meno.
Boldris cresceva giorno dopo giorno, ma a la felicità rimaneva come un velo protettivo sulla sua famiglia e neanche la dolorosa fuga da Erebor, alla ricerca di una nuova dimora dopo l’attacco del Drago Smaug, li aveva divisi.
Certo, non era stata una cosa positiva il perdere il proprio lavoro e la casa. Avevano lasciato indietro ricordi e un’intera vita fatta di sacrifici, ma erano insieme in quel viaggio attraverso la Terra di Mezzo.

 

“ Adad! Amadi!”, la vocina di Boldris - lei non parlava: gridava! - li fece sorridere. Correva da una parte all’altra, rallegrando con la sua energia tutti i Nani che, tristi e stanchi, seguivano i loro sovrani verso una nuova casa.
“ Ehi! Vieni qui piccola peste!”, esclamò Naldris, afferrando la bambina che si divincolò tra le sue braccia ridendo.
“ Voglio andare da Bofur!”, dichiarò, stringendo ugualmente le braccia attorno al collo della madre in un affettuoso abbraccio.
“ Dopo.”, la riprese Bifur serio, carezzandole il capo. “ In questa strada di montagna è meglio stare vicini. Potresti cadere e farti male...”, concluse con non poca preoccupazione.
“ Ma dai!”, ridacchiò la bambina. “ Non cado! Non sono così... s... sbagliata?”
“ Sbadata.”, la corresse Naldris baciandole ma morbida guancia e permettendole poi di tornare a camminare con le sue gambe. “ Resta qui, va bene? Dopo ti portiamo da Bofur.”
Boldris si lamentò per qualche istante ma, ubbidiente, continuò a camminare con i suoi genitori, coinvolgendo nei suoi discorsi gli altri Nani che marciavano accanto a loro - molti non erano soliti discutere con dei bambini, ma era impossibile non sorridere nel sentirla parlare su quanto adorasse suo cugino Bofur e i dolci che di tanto in tanto faceva Bombur.
Erano brevi momenti di felicità, strappati a quel crudele tempo di disgrazia che aveva colpito il popolo della Montagna Solitaria... e che durarono ben poco.
Un urlo, un avvertimento fin troppo chiaro giunse alle loro orecchie in quella gola nell’estremo nord delle Montagne Nebbiose.
“ Rakhâs!”
Orchi, che approfittando della loro debolezza, li stavano attaccando da più fronti per privargli degli ultimi residui di dignità che possedevano. Bifur impugnò subito uno dei suoi picconi ergendosi subito in difesa della sua compagna e della bambina.
“ Restate vicine!”, gridò. Non era un guerriero, né forse tra i Nani più coraggiosi, ma per difendere la sua famiglia avrebbe tirato fuori parti di sé che credeva di non possedere.
“ Bifur...”, la voce di Naldris era incerta e preoccupata, ma nei suoi occhi il Nano non lesse timore. Era coraggiosa - forse più di lui - e, impugnando a sua volta un piccone, attirò a sé Boldris per poterla proteggere.
Altre urla seguirono il precedente avvertimento, insieme ad inconfondibili rumori di battaglia e di morte che riempirono quell’infida gola, e Bifur, così come tutti gli altri, si lasciò trascinare da una furia omicida, sterminando ogni orco che osava anche solo avvicinarsi a lui e alla sua famiglia. E Naldris stessa, nonostante il peso di Boldris, si difendeva come poteva - ignorando testardamente il maleodorante sangue che andava a macchiarle gli indumenti e le mani.
Mai come in quel momento i lieti attimi di felicità che Bifur custodiva nel suo cuore sembravano lontani. Aveva cercato con tutte le sue forze - forse stupidamente - di impedire al tempo di scorrere e di lasciare tutto immutato a quando era felice mentre abbracciava sua figlia e la sua compagna... ma alla fine tutto stava scivolando via dalle sue mani come sabbia.
Strinse con più forza il piccone nel pugno, come se quello potesse impedire a quella sensazione di perdita di avanzare ancora verso il suo cuore... ma tutto sembrò sfuggire al suo controllo.
Solo... solo un maledetto secondo.
Aveva colpito un orco, spaccandogli la testa.
Aveva dato per pochissimo tempo le spalle alla sua compagna...
" AMADI!"
E l'urlo di Boldris - forte e acuto come sempre - lo raggiunse come una doccia gelida insieme al corpo di Naldris riverso per terra in una pozza di sangue.
" Svegliati! Ti prego!", la bambina urlava ancora, sovrastando i rumori della battaglia e Bifur smise di pensare.
Colpì con tutta la forza che aveva in corpo l'orco che aveva... no. Non poteva neanche pensarlo - non la sua Naldris, voleva ricordarla sorridente e non nell'ultima espressione della morte -, ingaggiò con quel ‘mostro’ una furiosa lotta gridando alla sua bambina di correre via, di scappare!
" Non possiamo lasciarla!", strillò Boldris disperata, con gli occhi carichi di terrore.
“ Va via! Corri! Non guardare indietro!”, ordinò durò prima di ricevere un violento colpo della mazza chiodata dell’orco sul fianco.
Cadde per terra, senza fiato.
" Adad...", la flebile la voce della bambina - ben diversa dai suoi soliti schiamazzi - lo riscosse e guidato dalla sola forza di volontà e della disperazione si sollevò ancora colpendo in l’orco sulle gambe.
Ogni movimento mandava lungo tutto il suo corpo violente ondate di dolore, poteva sentire il sangue scorrere lungo il fianco... era come se attimo dopo attimo la vita gli venisse lentamente strappata, e ma non poteva arrendersi.
“ Boldris... va via... per M-Mahal...”, la pregò ancora e quando la bambina - incapace di nascondere il terrore - iniziò ad indietreggiare lentamente si sentì quasi più sollevato.
Lei sarebbe scappata e si sarebbe salvata. Doveva crederci... ormai gli rimaneva solo quella speranza. Tant’è che neanche l’ennesimo colpo sul suo fianco già offeso lo ferì più di tanto.
Si lasciò semplicemente crollare per terra, sputando sangue sul terreno già pregno di quel liquido scarlatto.
“ A-Adad...”
Scappa. Corri Boldris.
Nella sua mente si ripetevano quelle parole e con gli occhi chiusi cercò di afferrare i ricordi di qualche attimo prima, quando la bambina chiacchierava e rideva con tutti gli altri Nani.
Quelli di qualche tempo, quando si sedeva vicino al caminetto della loro perduta casa ad ascoltare le storie di Bofur.
Quelli dei suoi primi anni di vita dove ogni giorno faceva una nuova scoperta.
Quelli... della sua nascita. Quando Bifur non si era mai sentito più completo.
Ricordi ormai così lontani.
“ Adad, ti prego!”, Boldris però era tornata.
Piangeva e singhiozzava, scuotendolo con le sue manine tremanti e sporche di sangue.
“ N-non lasciarmi! Alzati!”, tirò con forza la sua tunica, come per aiutarlo ad alzarsi e Bifur, come se si fosse destato, soffiò il suo nome... ma come quei ricordi che sembravano irraggiungibili, sentì il piccolo corpo della bambina allontanarsi violentemente.
Il gemito che abbandonò la bocca di sua figlia era così basso da essere quasi irriconoscibile - data l’energia che la aveva sempre caratterizzata -, e venne seguito da un tonfo sordo quando cadde qualche qualche metro più in là.
“ Boldris...”, la chiamò allarmato, stringendo le dita sul terreno insanguinato per avere un appiglio mentre si sollevava sulle ginocchia. " B-Boldris!", ripeté, cercando di alzare la voce per farsi sentire, arrancando verso il corpo della sua bambina con difficoltà.
Era immobile. Fermo come mai lo era stato perché neanche nel sonno la sua Boldris restava così, era sempre in movimento!
Energica come mille Nani... ma rimaneva lì, ferma, fredda e silenziosa.
" Boldris... p-per Mahal... a-apri gli occhi...", la chiamò ancora e ancora, trascinandosi sul chiassoso campo di battaglia, ignorando la ferita al fianco che gli impediva di alzarsi e combattere come tutti i suoi amici e compagni attorno a lui.
Tuttavia, Boldris non si svegliò né rispose alla sua supplica... e Bifur non sentì nient'altro se non l'odore del sangue e della morte, accompagnato da un assordante silenzio che segnava la morte di mille urla.
Non reagì più, neanche quando l’orco, vedendolo ancora vivo, lo afferrò e lo costrinse a voltarsi.
Lo guardò con occhi vitrei, stampandosi nella memoria il volto compiaciuto di chi lo aveva ucciso strappandogli il cuore.
Il viso di colui che gli aveva rubato senza alcuna pietà quei tempi di gioia e felicità.
Quell’orco che ora impugnava un'ascia - forse rubata, ma non importava - e che non esitò a calarla sul capo di Bifur... ma andava bene così.
Non gli importava né del dolore né della morte che presto sarebbe sopraggiunta anche per lui, perché ormai non voleva più sentire niente.
Bifur desiderava solamente di raggiungere le sue amate Naldris e Boldris...

 

L’arrivo di Bofur, Bombur e Bifur era sempre atteso con grande gioia dai bambini delle varie città che visitavano. Non importava l’età o la ‘razza’ - Nani, Uomini oppure Hobbit -, tutti li adoravano e impazzivano per i giochi che preparavano per loro.
Certo, i bambini preferivano di gran lunga la presenza allegra e positiva di Bofur che raccontava loro delle avventurose storie di eroi e principesse, di Draghi e altri mostri, ma non disdegnavano mai neanche la timida ed imponente - per loro ovviamente - figura di Bombur o quella silenziosa di Bifur, avvolta dal mistero dell’ascia che portava conficcata sulla testa.
Erano impossibile non essere incuriositi da quel Nano e gli rivolgevano spesso domande, cercando di ottenere una risposta che non sarebbe mai arrivata - se non sotto forma di qualche mugugno in Khuzdul.
E Bofur non poteva fare a meno di notare come ogni volta quelle attenzioni sembrassero quasi... distruggerlo. Diventava quasi più silenzioso del solito quando sentiva le allegre risate dei bambini che correvano davanti alla bancarella che allestivano e si rabbuiava quando i bambini cercavano di coinvolgerlo nei loro giochi.
Era come se non riuscisse a sopportare quell’infantile felicità. Era come se provasse rabbia dinnanzi a quella gioia e Bofur sapeva che non era del tutto sbagliata quell’impressione. Sapeva che Bifur non provava astio verso i bambini, ma sentiva semplicemente la mancanza di... di qualcuno. Qualcuno che non avrebbe mai potuto ridere o giocare come quei bimbi.
Naldris e Boldris, la famiglia che Bifur aveva perso durante un agguato degli orchi. La stessa battaglia che lo aveva distrutto, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente...
Erano passati quasi cinquant’anni da quell’infausto giorno, ma suo cugino non era mai stato in grado di superare quel lutto.
“ Mastro Bofur! Mastro Bofur! Che è successo a Mastro Bifur? Perché ha un’ascia sulla testa?”
L’aspetto di Bifur era sempre un argomento di domanda davanti all’innocente curiosità dei bambini ma Bofur per loro non aveva nessuna delle sue epiche storie di battaglie e di avventure. Non per suo cugino almeno... perché lui e Bombur erano la sua famiglia e non voleva ferirlo più di quanto non avesse già fatto il crudele scorrere del tempo, che troppo velocemente lo aveva privato di tutta la sua felicità, lasciandolo quasi insensibile a quella nuova realtà.
Infatti Bofur poteva solo sorridere triste e carezzare le testoline dei bambini che lo fissavano con i loro occhioni carichi di curiosità, rispondendo con un semplice: " Perché... ha perso il suo cuore."

 

Naldris e Boldris: il significato del loro nome in khuzdul si ricollega a "cuore"
Adad: Padre
Amadi: Madre
Rakhâs: Orchi

 

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