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Autore: yknow    31/03/2013    1 recensioni
Ramona, ragazza con un doloroso passato alle spalle si trasferisce a Berkeley con suo fratello maggiore, Lou.
Suo fratello, giocatore di football fin da piccolo, sarà uno dei piu’ popolari ragazzi della nuova scuola mentre Ramona, batterista fin da piccola, finirà nel gruppo dei punk.
Tra i due inizierà una battaglia senza fine.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 1.
I don't give a fuck anyway.






31 agosto 1988.

«Sei pronta per partire?» domandò mio fratello bussando alla porta della mia camera.
Scossi la testa, negando «Voglio rimanere qui».
«Mamma ci sta aspettando a Berkeley» si passò una mano tra i capelli «Quindi muovi il culo e scendi giù, dobbiamo andare».
Mio fratello aveva diciasett’anni e amava governare su tutto, inclusa la mia vita.
Io ero la sorellina più piccola, avevo sedici anni precisamente e dipendevo da lui.
Era molto legato a me, ma non mi trattava nei migliori dei modi.
Sospirai, prendendo il borsone per poi scendere a malincuore al piano inferiore.
Arrivammo alla fermata dell’autobus. Già, per arrivare a Berkeley ci serviva l’autobus, non era poi così lontana da Emeryville, la nostra città. Mi sarebbe comunque mancata.
L’autobus arrivò puntuale. Sospirai prima di salire e lasciare questa città.
Ad ogni fermata sospiravo. Il mio corpo era nell’autobus, ma il mio cuore era lì, a Emeryville.
Dopo un’oretta scarsa arivammo a destinazione.
Berkeley.
Casa King.
Ero davanti al cancello, con il borsone in mano, a guardare un punto indefinito.
Mio fratello spinse il cancello di ferro, sorpassandomi.
«Hai intenzione di fare la statua là davanti?» mi domandò, facendomi ritornare alla realtà.
«Mh? Oh, ora entro» abbassai lo sguardo, seguendolo.
«Piccoli miei!» esclamò mamma vedendoci entrare.
«Ehi mamma!» la salutò mio fratello.
Mi limitai ad abbozzare un sorriso, mentre ci abbracciava.
«Le vostre camere sono al piano superiore, posate le borse e scendete per il pranzo, ok?» sorrise, staccandosi da noi.
Salii le scale, per poi camminare attraverso il stretto corridoio che portava alla mia camera. Arrivata davanti ad essa la aprii. Era grande, con i muri color ciliegia.
Buttai il borsone sul letto, dopodiché uscii dalla camera, chiudendo la porta.
«Hai già finito?» domandò mia madre vedendomi entrare in cucina. Intanto stava apparecchiando la tavola.
Con le braccia incrociate poggiai la schiena sul muro. 
«Ho buttato il borsone sul letto, sta sera sistemo» risposi, guardandomi intorno.
«Perché dopo pranzo non esci? Tanto per farti un idea del quartiere» sorrise allegramente mia madre.
«No. Non ne ho voglia» ero una tipa piuttosto asociale. 
Non mi andava di uscire e vedere com’era il quartiere, non mi andava nemmeno di conoscere nuova gente.
Il giorno dopo sarebbe cominciata scuola, no?

 

1 settembre 1988.

La mia voglia di alzarmi e fare nuove conoscenze era pari a zero. 
Il sole che entrava dalla finestra aperta mi stava accecando.
Una brezza di aria ancora estiva mi sfiorò la pelle.
Feci per riaddormentarmi quando mia madre cacciò un urlo. Probabilmente aveva capito che io e mio fratello non ci eravamo ancora alzati.
Sbuffai decidendo di alzarmi.
Ero molto nervosa quella mattina e tutto ciò che trovavo sotto le mani veniva buttato sul muro.
Aprii l’armadio, prendendo un paio di pantacollant, una canottiera e gli anfibi.
Buttai tutto sul letto, per poi prendere un vestito per volta.
Dopo aver finito scesi giù, correndo per le scale.
Presi la borsa e uscii rapidamente di casa, senza aspettare mio fratello.
Arrivai davanti al cancello della scuola. Un paio di ragazzi erano già presenti. Tutti messi in riga, trucco perfetto e vestiti all’ultimo momento.
Mi lanciarono qualche occhiata, bisbigliando qualcosa.
Sinceramente non me ne fotteva un granché.
Non andavo appresso alle critiche e ai giudizi della gente e non mi aggrappavo ai loro ideali. Ero me stessa.
Entrai dentro scuola, fermandomi alla segreteria. Presi il mio orario e mi avviai verso la mia prima ora di lezione: matematica.
Non avevo ancora visto mio fratello e non ci tenevo nemmeno. 
Entrai dentro la classe, era vuota. 
Avevo l’imbarazzo della scelta. Sedermi davanti ed apparire una brava ragazza agli occhi dei professori oppure sedermi all’ultimo banco e fare casino così da avere già il dito puntato contro?
Scelsi la seconda. Era nella mia natura stare all’ultimo banco e cazzeggiare.
Mi sedetti, posando con violenza la borsa sul banco. 
Alla scuola di Emeryville ero riconosciuta come casinara, i professori mi avevano preso di mira per colpa dei miei scherzi. Ero stata sospesa più volte ed ero stata beccata a fumare nel bagno della scuola.
Il vocio degli altri ragazzi entrò dentro l’aula. Si stava riempiendo.
Dopo qualche minuto anche la professoressa era entrata.
«Ben tornati dalle vacanze ragazzi, spero per voi che quest’anno sia migliore dell’anno scorso e bla bla bla» non aveva tanta voglia di lavorare «Facciamo l’appello!».
Il suo dito puntò su un nome.
«Armstrong!» esclamò alzando la testa, stava cercando il volto del ragazzo «Hm, a quanto pare ha deciso di non presentarsi oggi» si schiarì la voce con un colpo di tosse.
Fece per continuare l’appello, quando la porta si spalancò. Sulla soglia della porta c’era un ragazzo. Capelli corvini, occhi verdi...
«Come al solito in ritardo, Armstrong» sbuffo l’insegnante.
Il ragazzo senza parlare prese posto al banco accanto al mio.
La professoressa continuò a scorrere il suo dito ingioiellato sul registro «King!» esclamò, distogliendomi dal guardare il ritardatario.
«Presente» dissi a stento.
«Lei è la nuova arrivata, giusto?» domandò «Bene, non seguire mai l’esempio dell’Armstrong seduto lì infondo».
Seguire il suo esempio? Non mi sembrava un ragazzo così ribelle o danneggiante.
Sicuramente lo avranno preso di mira, così come hanno fatto con me all'altra scuola.
Lo guardai, stava rigirando una pallottola di carta tra le mani, probabilmente annoiato per aver sentito per l’ennesima volta la stessa frase. O no?
Spostai il mio sguardo sulla professoressa «Ehi Armstrong» lo chiamai, si voltò verso di me, guardandomi «Mi devi insegnare ad essere come te» feci un sorriso beffardo.
La professoressa andò su tutte le furie, i capelli si drizzarono.
«Signorina King! Non è educato prendere in giro i professori!» sbraitò, diventando rossa.
«Ma non la sto prendendo in giro, sto solamente stringendo amicizia» sorrisi di nuovo.
«Solamente perché è il primo giorno di scuola non ti mando dal preside!» alzò un dito in aria, scuotendolo.
Incrociai le braccia al petto. Gli occhi della classe erano puntati su di me, inclusi quelli dell'Armstrong.
La professoressa iniziò a spiegare le prime cose che c'erano sul libro.
Lo aprii, squadrandolo. Io e la matematica non eravamo mai andate d’accordo.
 
Mi stavo dirigendo verso la prossima aula di lezione. Nel svoltare l'angolo intravisi il ragazzo si prima, l'Armstrong, con tre suoi amici. 
Il suo nome ancora non lo conoscevo.
Alzò il volto, poggiando per qualche secondo gli occhi su di me, dopodiché guardò il suo amico moro e borbottò qualcosa.
Una mano si poggiò sulla mia spalla.
«Come sta andando?» mi domandò mio fratello, costringendomi a guardarlo.
«Bene» mentii «Hai stretto amicizia con qualcuno?» tirai fuori una domanda a caso.
«Sì, stanno laggiù» mi indicò un gruppo di ragazzi «Tu invece?» domandò a sua volta.
«Sì... Ho parlato con qualche ragazzo, diciamo» incrociai le braccia.
«Trovati un'amica questa volta, invece di stare sempre appresso ai maschi» rise «Mi stanno aspettando, vado» mi salutò, andandosene.
Sospirai. Avevo mentito davvero tanto. La giornata era iniziata nei peggiori dei modi e non avevo stretto amicizia con nessuno.
E poi io odio avere amiche femmine.
Dopo la giornata di scuola tornai a casa.
Aprii la porta trovando mia madre alle prese con le pulizie.
Era più veloce della luce, girava per la stanza, posizionando tutto al meglio.
Era davvero schizzinosa.
Feci per posare la borsa per terra, quando mia madre urlò.
«Non ci provare neanche!» indicò la borsa «Porta quella cosa piena di germi fuori di qui!».
«Mamma, è una fottutissima borsa» la guardai perplessa, a volte esagerava. Forse troppo.
«È piena di germi! Portala in camera tua! E stai attenta che ho appena pulito!».
Quando era in ferie mamma era così, puliva casa da cima a fondo, togliendo anche l'ultimo granello di povere, faceva luccicare anche le superfici piu' cupe.
Tra qualche giorno sarebbe tornata al lavoro.
Entrai in camera mia, buttando la borsa sul letto, poi mi ci buttai anche io, sprofondando dentro.
Mio fratello non era ancora tornato, questo significava tranquillità e tranquillità significava "è il momento di rifletere".
La scuola a Berkeley era identica a quella della mia città. 
L'Armstrong era un ragazzo davvero interessante.
I professori sono dei.. ehm.. rompipalle assurdi, mi hanno già puntato il dito contro.








y'know?
Saalve gente, questa è la mia seconda fanfiction sui Green Day, spero vi piaccia.:) 
Ramona: https://fbcdn-sphotos-h-a.akamaihd.net/hphotos-ak-ash3/530482_492513330801101_1883396400_n.jpg
Lou: http://24.media.tumblr.com/tumblr_luidejOs3k1r629poo1_500.jpg

adios gente:)


p.s: le foto le ho trovate su internet.
  
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