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Autore: hussykawa    01/04/2013    2 recensioni
Le coincidenze nella vita sono troppe. Troppe perché noi possiamo ricollegarle con un filo logico. Come diceva il caro vecchio Sherlock Holmes, Se potessimo volare, tendendoci per mano, fuori da quella finestra per osservare dall’alto questa grande città, scoperchiare gentilmente i tetti e osservare le stranezze che accadono, le coincidenze bizzarre, i piani che vengono elaborati, le finalità contra­stanti, il meraviglioso concatenarsi degli eventi nell’arco delle generazioni e i risultati quanto mai outré che ne derivano, qualsiasi romanzo con i suoi convenzionalismi e le conclusioni scontate ci apparirebbe vieto e trito.
Ecco perché bisogna cercare il perché dei fatti, il motivo per cui accadono. Io, ad esempio, potrei es­sere nato maschio perché i miei genitori avevano mangiato un boccone di troppo a cena.
Ma spero di essere nato maschio perché qualcuno, da lassù, l’ha deciso.
Altrimenti saremmo tutti in balia del Caos, no? È sorprendente sapere che è così, e che se ci fosse stata una zanzara di meno, quel giorno, non sarei caduto in una botola. Sfiga, eh?
Ah, già, e il mondo sarebbe finito. Un peccato davvero.
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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RETURN OF APOCALYPSE

 

PROLOGO

Le coincidenze nella vita sono troppe. Troppe perché noi possiamo ricollegarle con un filo logico. Come diceva il caro vecchio Sherlock Holmes, Se potessimo volare, tendendoci per mano, fuori da quella finestra per osservare dall’alto questa grande città, scoperchiare gentilmente i tetti e osservare le stranezze che accadono, le coincidenze bizzarre, i piani che vengono elaborati, le finalità contra­stanti, il meraviglioso concatenarsi degli eventi nell’arco delle generazioni e i risultati quanto mai outré che ne derivano, qualsiasi romanzo con i suoi convenzionalismi e le conclusioni scontate ci apparirebbe vieto e trito.

Ecco perché bisogna cercare il perché dei fatti, il motivo per cui accadono. Io, ad esempio, potrei es­sere nato maschio perché i miei genitori avevano mangiato un boccone di troppo a cena.

Ma spero di essere nato maschio perché qualcuno, da lassù, l’ha deciso.

Altrimenti saremmo tutti in balia del Caos, no? È sorprendente sapere che è così, e che se ci fosse stata una zanzara di meno, quel giorno, non sarei caduto in una botola. Sfiga, eh?

Ah, già, e il mondo sarebbe finito. Un peccato davvero.

 

«AAAAAAAAAH!» la nostra storia inizia con un urlo. Il mio, per essere precisi. Cadevo, cadevo e cadevo... Stupida zanzara. Il suo continuo tormentarmi mi aveva distratto e fatto cadere in un buco. E molto profondo, per giunta. Dopo qualche interminabile istante, atterrai su un morbido cuscino di muschio. Era tutto buio, non vedevo ad un palmo dal mio naso.

Fortuna che portavo sempre con me, appesa alla cintura, una Torcia da Grotta, come la chiamavo io.

Provai ad accenderla con il pensiero, come al solito, ma quel catorcio non rispose ai miei comandi.

Dopotutto, l’avevo recuperata da Fred. Fred il rottamatore, che smerciava oggetti scartati dal Sotto­suolo. E quindi dalla bella vita, quella da cui io ed altri eravamo stati buttati fuori.

La storia della Torcia doveva essere molto buffa. La osservai qualche istante, con cipiglio da esperto: portava alcuni graffi sul touch screen, segno che qualche anziano credeva ancora di riuscire ad ac­cenderla con le dita. Erano cose superate e, anche se quello era un modello abbastanza vecchio, era stato aggiornato e funzionava tramite Sinapsi.

Toccai il mio Conduttore, alla base del collo, dove avveniva il collegamento fra il cervello e il nervo spinale. Lì me lo avevano impiantato, un piccolissimo 8 al contrario con inscritti nei due spazi del numero uno schizzo di Conduttore e un Occhio stilizzato, che vorrebbe dire Vi controlliamo sem­pre: i simboli dell’Impero.

Il piccolo oggettino, connesso direttamente con i nervi di qualsiasi abitante (o ex-abitante) del Sotto­suolo e impiantato alla nascita, permetteva di utilizzare con la mente qualsiasi aggeggio tecnologico, dalla macchina al frullatore (e anche le Torce) e di spedire messaggi, accedere alla Rete, eccetera ec­cetera. Purtroppo, ogni Conduttore ha un numero identificativo, che permette di individuare chiun­que dovunque. E se si toglie, si strappano i neuroni, si interrompono le sinapsi. Si muore.

C’era un altro strano particolare che mi colpì, della Torcia: delle cavità, ripetute, come se l’oggetto fosse stato sbatacchiato parecchio. Poverina... adesso c’ero io ad usarla.

E, adesso che formavamo una squadra, io e lei, potevo osservare con chiarezza l’interno del cunico­lo: il soffitto era abbastanza alto, e potevo rimanere comodamente in piedi. Le pareti non erano cer­to quelle di una galleria naturale, poiché erano scavate con estrema cura. Sembrava un corridoio.

Spinto dalla curiosità –e siccome non c’era altra direzione- proseguii, stando ben attento a non in­ciampare nelle piante rampicanti che erano emerse dal basso e dall’alto.

Notai che le pareti erano dipinte: sembrava quasi che volessero illustrare una storia. Tutto iniziava nel punto in cui ero atterrato: il disegno raffigurava tanti piccoli oggettini che, scontrandosi, davano origine... «All’Universo, sì!» concluse qualcuno dietro di me. Spiccai un salto dalla paura: quel qual­cuno mi aveva colto alla sprovvista.

Delle risatine femminili provenivano dal buio, nella zona che la mia Torcia non riusciva ad illumi­nare. «Chi è là?» domandai spaventato. Afferrai la Pistola a Raggi e mi misi in attesa, pronto ad or­dinare uno sparo.

«Bu!» fece la voce, questa volta alle mie spalle. Mi girai di scatto e afferrai la mano della sconosciuta prima che potesse scomparire di nuovo. La tirai a me, e mi ritrovai davanti... una ragazzina. Aveva dei bizzarri capelli blu chiaro, a caschetto, Raccolti da un cerchietto rosso con due fiocchi ai lati. Sul naso aveva una spruzzata di lentiggini, che somigliavano molto alle mie, ma la cosa che mi colpì di più furono gli occhi. Enormi, di colore violetto, mi scrutavano a metà fra l’innocente e il birichino.

Le sue mani erano piccole e guantate ma, soprattutto, caldissime.

Indossava una divisa scolastica del Sottosuolo ma dimostrava già 17 anni, per cui mi sembrò impro­babile che si trattasse di una studentessa fuggita. Sopra la divisa portava una specie di spolverino, con 4 enormi bottoni su di un lato, maniche lunghe e aperto su di un fianco, lasciando scoperta una gamba perfetta, liscia e snella. Ai piedi, sopra un paio di calze lunghe fino al polpaccio, calzava un paio di mocassini di pelle.

Lei si dibatté un attimo, ma poi si arrese vedendo che la mia forza era di gran lunga superiore alla sua. «Non ti agitare. Ora dimmi chi sei e che cosa ci fai qui» le ordinai in tono calmo ma fermo e irremovibile. Mi stavo comportando proprio da duro: il mio ruolo era quello.

«Mi s-sono persa» disse lei con voce flebile, sbattendo le ciglia lunghissime. Ma, nel suo piccolo, sa­peva già che non me la sarei bevuta. «Intendevo veramente» ribattei io spazientito.

«Ok, va bene... Ecco la verità. Mi chiamo Ariel e sono venuta con la classe in gita qui nel Soprasuo­lo. Ma sono finita in questa buca...». Ecco. Forse adesso mi stava dicendo la verità. Ma non ne ero del tutto sicuro quindi le feci una domanda, una domanda la cui risposta avrebbe decretato se men­tiva o no.

«Perché io possa fidarmi di te dobbiamo connettere i nostri Conduttori» le dissi, cordiale.

La feci voltare e cercai di afferrare il piccolo dispositivo alla base della testa, ed invece le mie dita scivolarono fra i capelli turchini, accarezzando il collo bianco e liscio, caldo come una stufetta.

«Non hai un Conduttore? Non capisco come ciò sia possibile» esclamai stupefatto.

«Non so di cosa tu stia parlando» ribatté lei freddamente, roteando gli occhi un po' inquieta.

«Questo è un Conduttore. Lo dovrei usare nel caso il mio si danneggiasse: a quel punto rimuoverei il vecchio con un intervento chirurgico e applicherei questo. Ma è tutto molto complesso» cercai di spiegarle, aprendo la mano e rivelando il dispositivo «Non ho mai pensato di doverlo usare per qualcun'altro, ma penso che non mi rimanga altra scelta. Farà un po' male, ma dopo riceverai più benefici che altro».

«Cosa vuoi farmi?» Ariel era sulle difensive.

«Devi metterti un Conduttore o sarai arrestata per Oltraggio Supremo all'Impero. Non sto scherzando. Non so da dove tu venga, forse dalla Grande Foresta. Comunque...».

«Non sono una Selvaggia!» mi interruppe stizzita, stringendo i pugni.

A quel punto la mia pazienza era esaurita. Fulmineo, la bloccai al muro e, con precisione chirurgica, le infilai il Conduttore nel collo.

Ariel lanciò un acutissimo urlo di dolore mentre i i microscopici fili elettrici del Conduttore si attaccavano ai suoi nervi. Io strinsi i denti, cercando di pensare al fatto che tutto questo era per il suo bene. Non mi sarei mai perdonato il far male inutilmente a quella ragazza.

Dai suoi occhi, dopo qualche secondo, si aprì l'Interfaccia della Rete, con i dati personali, la posizione attuale e l'Avatar appena costruito secondo il suo aspetto fisico, per muoversi nel grande universo parallelo della Rete.

-Nome: Anony

-Età: 516 anni terrestri

-Provenienza: Europa, sesto satellite di Giove

-Specie: Caneliana

Ecco ciò che recitava la voce metallica del Conduttore.

«Certo, Ariel» commentai sarcastico. Sapevo perfettamente il motivo per il quale quella creatura mi aveva mentito. E non sarei certo stato io a tradirla. «Avevi paura della mia reazione» le dissi «Anche se sai benissimo che non mi sarei scandalizzato. Ora mi chiedo, caneliana, quanto ancora sai di me?».

«Tutto» rispose Anony. La luce nei suoi occhi blu era la luce di un'immensa conoscenza, data dalla capacità di leggere nel pensiero.

«Il livello di evoluzione raggiunto da te e da quelli della tua razza è sorprendente» aggiunsi, e poi mi fermai. Adesso Anony mi fissava, come alla ricerca di qualcosa che non sapeva.

Ricambiai lo sguardo, e lei smise. Abbassò gli occhi e stette in silenzio. Passarono alcuni secondi e poi mi disse: «Tu non mi denuncerai alle Corazze ed io non ti ucciderò, Cross 'Oneself' Bone. Questo è il nostro Patto, questo è il nostro Vincolo» concluse, mentre le sue mani si illuminavano di una tenue luce blu.

«Accetto, Anony, caneliana del satellite Europa» dissi. Sapevo benissimo le conseguenze del Patto con un alieno, ed era proprio per quello che l'Impero si era chiuso in se stesso, tagliando i ponti con ogni altra società extraterrestre.

«Il Vincolo è infrangibile. Se lo rompi, muori».

«Lo stesso vale per il Conduttore».

«Allora andiamo, e saremo compagni di viaggio».

«Quale viaggio?».

«Quello per salvare il tuo mondo» concluse Anony, voltandosi, e non mi rimase altro che seguirla.

 

ANONY

Cross mi teneva dietro, nonostante camminassi a passo molto veloce, e faceva anche in tempo a osservare attentamente il murales alla nostra destra.

Ebbe un sussulto quando La vide la prima volta, ma proseguì senza fermarsi.

«Ed ecco la Stele della Storia» spiegai giunta alla fine del corridoio «Ora ascoltami, e troverai le risposte ad ogni tua domanda».

Cross obbedì e si appoggiò al muro, in attesa delle mie parole.

Miliardi di anni or sono, quando la prima Terra nacque. Era giovane, ma già poteva ospitare la vita. Ed essa nacque, e si sviluppò in tutto il suo splendore. Arrivò l'Essere, e conquistò ciò che gli apparteneva, nella Pace. Ma la coscienza dell'Essere si corruppe e, quando raggiunse l'apice della sua storia, si sgretolò. Furono le Apocalypse Sisters, in sella agli Apocalypse Horses, a distruggere la prima Terra e a riportare l'equilibrio. Quindi, la seconda sorse, e gli eventi si ripeterono. E di nuovo verranno per giudicare, e per chi non merita non ci sarà vita. Due sono coloro che porteranno la coscienza degli eventi, e uno morirà mentre l'altro fuggirà, al termine. A colei di cui non ci si può fidare affidarsi si dovrà, per scampare a coloro che tutto giudicano e che Shini, Sensou, Yamai e Kikin porteranno.

Mi fermai, alla fine, e feci una pausa mooolto lunga. Cross era praticamente sconvolto, non si capacitava quasi di ciò che aveva sentito.

«Percepisco dei brividi e tentennamenti dentro di te» dissi «Usa il Vincolo per calmarti».

«Ovvero? Spiegamelo, non sto quasi in piedi».

«Guarda il tuo palmo destro».

Lui obbedì e si sfilò il guanto in pelle nera, morbida e consunta, rivelando una mano forte, dalle dita affusolate, da ragazzo. Così vide il simbolo del Patto, la sola cosa che ci legava e che lo faceva in modo inscindibile ed eterno.

Era un simbolo complesso e potente; il suo aspetto era questo, e pulsava di una luce azzurrina.

*simbolo*

«Ora concentrati, ed attingi energia da me attraverso quel marchio».

«Non posso, Anony. Mi sentirei una specie di sanguisuga, un approfittatore».

Gli afferrai violentemente il polso ed esclamai: «Io sono potente, cosa credi?! Che in 516 anni di vita io non abbia accumulato una tale energia? Usami, invece, come la tua batteria, come il tuo supporto, come la sola cosa che ti rimane, ed io farò lo stesso con te, in perfetta simbiosi. D'ora in poi siamo una cosa sola e non ci separeremo mai, almeno fino allo scadere del Patto. Siamo la perfetta armonia» la mia voce vibrava mentre gli dichiaravo la nostra unione eterna.

«Capisco, Anony. Ma quando scadrà il Vincolo?».

«Quando uno di noi due morirà, Cross» risposi tranquilla.

 

Dopo che ebbe ripreso le forze, iniziammo a ragionare sul messaggio inciso sulla stele.

«Vediamo cosa hai capito tu» chiesi a Cross.

«Allora...» cominciò «La Terra che conosciamo non è in realtà la prima formatasi, ma la seconda» e qui fece una pausa, fissandomi speranzoso attraverso le lenti dei suoi bellissimi occhiali a specchio. Ricominciò solo dopo che ebbi annuito: «E in passato l'Essere (che sembra sia l'uomo) si era evoluto come ora. Soltanto che poi è decaduto e qualcuno o qualcosa lo ha distrutto. Qui si parla di queste... Apocalypse Sisters?».

«Non era forse parte della vostra dimenticata cultura passata la storia dell'Apocalypse?» domandai, iniziando ad aprire l'Interfaccia della Rete. Avevo capito subito come funzionava, e da quel momento in poi avrei potuto usarla a mio piacimento.

«Ne ho sentito parlare» rispose lui roteando gli occhi ed osservando meglio il cunicolo mezzo buio, strizzando appena appena le palpebre.

«Te la riassumerò in breve. Si tratta... della Fine... del Mondo e dell'Umanità, con il Giudizio Universale che salverà i buoni e distruggerà coloro che non sono degni» spiegai mentre con le dita eseguivo una ricerca nella Rete.

«Ecco! Ho trovato!» esclamai trionfante dopo poco «Vieni a vedere».

Cross mi si avvicinò e gli illustrai alcune immagini: «Vedi? Queste sono le Apocalypse Sisters, ovvero Yamai, Kikin, Sensou e Shini. Nell'antica e morta lingua terrestre giapponese questi nomi significavano Malattia, Carestia, Guerra e Morte. Come mostra l'immagine, cavalcano 4 cavalli demoniaci».

Cross rabbrividì a quelle parole ed io feci lo stesso: dopotutto il Patto che ci legava metteva in comune ogni nostra emozione. Ognuno di noi avrebbe posseduto l'altro, e i nostri cuori avrebbero battuto all'unisono in un'unica, perfetta sinfonia di palpiti.

«Quindi il destino del mondo è di essere continuamente distrutto?».

«In pratica, sì».

«Quindi moriremo?».

«Cross» gli dissi dolcemente «Non l’hai ancora capito? Guarda il murales».

Lui si girò e osservo il punto indicato dal mio dito. Ebbe un sussulto e anch’io sobbalzai. Gli inviai un flusso calmante: era incredibile il potere del Vincolo. Non ne avevo mai stretto uno ed ero inebriata da quell’ondata continua di emozioni umane.

Mi sentivo quasi ubriacata da quel ragazzo: non avrei mai potuto farne a meno, ogni cellula del mio corpo gridava –MIO-!

«Anony…» Cross mi scosse dai miei pensieri «I due della Stele…».

«È QUAGGIÙ!» un urlo maschile e imponente lo interruppe. La voce proveniva dal fondo del cunicolo.

«Mi hanno trovato» disse Cross in preda all’agitazione.

«Chi?».

«Le Corazze, ma non credevo così presto. Dimmi che c’è un’altra uscita!» mi implorò.

Ma, purtroppo, io non potevo creare l’inesistente.

«No» risposi quindi io, affranta.

«Allora siamo spacciati? Se mi prendono morirò, e tu… non ci voglio neanche pensare, Anony».

«Aspetta, c’è un modo per scappare. Ma non ti piacerà».

«Me ne frego. Portami solo fuori di qui!» i passi si avvicinavano: erano tanti uomini, concitati, presi dall’euforia dell’inseguimento come un cane da caccia quando fiuta la preda e sa che non avrà via di fuga. Ma noi eravamo prede molto astute.

«Ok, Cross. Pensa intensamente a dove vorresti essere, e fa in modo che questo sia un luogo possibilmente non molto frequentato».

Lui strinse le palpebre, e avvertii subito il suo pensiero. “Bravo ragazzo” mi congratulai nella mia mente, sicura che mi avrebbe sentito.

Poi chiusi gli occhi e mi dissolsi, come nebbia, trasportando con me Cross. Sfuggimmo dalle grinfie dei nostri inseguitori, certo. Ma mi avevano vista ed ora sapevo che non ci sarebbe stata Corazza nell’Impero che non avrebbe dato la caccia al ragazzo fuorilegge e all’aliena che era con lui.

Questo era il segno che l’Impero attendeva per venire a conoscenza dell’Apocalypse.

 

CROSS

 

La confusione era tutto. Il nulla era tutto.

Cercavo di appoggiarmi disperatamente a qualcosa. Ma non c’era niente a cui potevo appoggiarmi. Anzi, non ero nemmeno sicuro di essere in grado di farlo, visto che non sentivo più né le gambe né le braccia. Non percepivo più un corpo. Ero scomposto in mille pezzettini e vagavo. Poi, una solida presenza: Anony, il suo corpo, e tutto ciò che aveva una sostanza, mi richiamarono indietro da quel limbo in cui mi trovavo.

I miei atomi si riunirono dietro alla bottega di Fred il Rottamatore, ai confini della Grande Foresta. Anony era lì, che mi aspettava.

«Ma che cosa è successo?» domandai intontito, bocconi per terra, mentre faticavo a rialzarmi.

«Ci siamo scomposti in atomi» mi spiegò Anony allegra, mentre mi dava una mano a tirarmi su.

«Perché mi sento così debole?».

«La prima esperienza è sempre traumatica e tu» aggiunse quasi sprezzante, indicandomi «Ne sei la conferma».

La fulminai con un’occhiata e poi, appena accertatomi che le gambe reggevano, guidai Anony dall’unico uomo che avrebbe potuto indicarci una rapida via per l’Impero del Sottosuolo.

Da Fred non c’era nessuno, e quando ci vide arrivare mi salutò amichevole, come se fossi la prima persona che vedeva in tutta la sua vita. Evidentemente gli affari andavano male.

«Cross, che piacere vederti! Come stai?».

«Bene, Fred, anche se me la sono vista brutta. Sarò franco: io ed Anony – la ragazza che è con me- abbiamo urgente bisogno del tuo aiuto, e dobbiamo parlarne ora» tagliai corto.

«Ok, Cross. Ah, e lieto di conoscerti, Anony, io sono Fred il Rottamatore. Diciamo che… riutilizzo al meglio quello che loro scartano» aggiunse Fred stringendole la mano guantata di bianco, sottolineando la parola loro con un tono sprezzante, riferendosi a quelli del sottosuolo «Venite pure, sarà una cosa veloce e di sicuro troverete la soluzione al vostro problema».

Il piccolo e calvo ometto, di natura solida e affidabile, ci guidò nel suo magazzino, una baracca molto più grande di quelle in cui vivevano tutti gli esiliati.

«Qui conservo ogni cosa che trovo o mi arriva. Sembra in disordine ma non lo è» disse facendosi strada.

La capanna era semibuia ma i miei occhi si erano presto abituati, praticamente da quando Fred aveva alzato la saracinesca arrugginita. Con la coda nell’occhio sbirciavo Anony che, con un’espressione curiosa dipinta sul bel viso dai lineamenti infantili, osservava le varie cataste di rottami più o meno funzionanti disposte senza alcun criterio apparente.

«Allora, parlatemi del vostro problema. Siate celeri, ho del lavoro da sbrigare» Fred si era fermato, ad un tratto, e ci fissava con fare impaziente, tamburellando le dita sull’Orologio mezzo rotto, dallo schermo quasi del tutto frantumato.

In realtà, non c’era proprio niente che Fred dovesse fare. Quello era semplicemente il metodo che utilizzava per togliersi d’impiccio il prima possibile e magari dedicarsi ad una nuova e bizzarra invenzione, che arrangiava con i materiali di scarto dell’Impero.

Feci finta di niente e gli spiegai: «Dobbiamo andare al piano di sotto, e il prima possibile. Conosci un modo rapido per arrivarci?».

Non avevo neanche finito che già Fred era schizzato via, correndo per nulla impacciato con quelle sue gambette ossute. Mi ero sempre chiesto come facessero a sostenere tutto quel peso, concentrato in quel piccolo corpo, perlopiù nella grossa pancia. Insomma, Fred non era certo quel che si dice una persona proporzionata ma, in quanto a inventiva, non aveva pari.

«Allora? Cos’hai trovato?» lo chiamò Anony impaziente.

«Un momento… ci sono quasi!» fece lui da un punto imprecisato dell’enorme magazzino.

«EUREKA!» esclamò ad un tratto, riemergendo da una catasta. Erano secoli (nel vero senso della parola) che non si usava più quell’espressione. L’Impero l’aveva vietata da tempo ma noi, poveri esiliati della superficie, eravamo diciamo ‘esclusi’ dal rispettare alcune regole. Specie quelle idiote.

Fred teneva fra le braccia una lastra di lucido metallo. Troppo lucido. Doveva essere molto importante.

Poi capii. «NO, Fred, neanche per idea. Io non metterò un solo piede…» lo frenai io seriamente preoccupato.

«Eddai, Cross!» mi incitò lui «Non dirmi che hai solo paura di un giretto… uno solo! Per la tua amichetta potresti?».

Anony, che aveva perfettamente capito di che cosa si trattasse quella lastra, sbatté le ciglia e mi chiese in tono dolce, avvicinandosi a me: «Potresti?».

La distanza fra di noi era spaventosamente ridotta: potevo sentire il suo respiro velocissimo, quasi impercettibile, che tradiva la sua natura, e i battiti del suo cuore, troppo rapidi per un essere umano.

«Ok, va bene, mi arrendo!» sbuffai alzando le braccia in segno di resa.

«Yesss!» Anony si lasciò sfuggire un esclamazione di trionfo, mentre Fred sogghignava.

«Ma avremo bisogno di attrezzatura adatta per questa piccola gita» aggiunsi io, preparandomi al peggio.

«Don’t worry, be happy!» mi rassicurò Fred. Si capiva benissimo quando parlava normalmente inglese e quando invece deformava il proprio accento, che sembrava quasi femminile.

Poi si diresse verso una ben precisa catasta, a passo sicuro. Ne estrasse una scatola; la aprì e ce ne mostrò soddisfatto il contenuto: «Ecco qua» iniziò deciso, tendendo in mano due pallini argentati «Uno skateboard virtuale e una moto –so che ne vai pazzo-. Si apriranno subito dopo il vostro ingresso. Comprende anche due caschi, e sono di ultima generazione. Mi sono permesso di apportare qualche piccola modifica, però» specificò infine guardandomi, curioso di vedere la mia reazione.

«Che genere di modifiche?» Anony mi aveva preceduto, e aveva posto la domanda con fare sospettoso.

Ho già capito come è fatto questo tizio. So tutto di lui, ormai” mi comunicò Anony attraverso il pensiero. Sbirciai il palmo sotto il guanto: il Vincolo era lievemente luminoso, ma non abbastanza per dare nell’occhio. Fortuna che indossavo qualcosa per coprirmi le mani.

Ma c’è qualcosa che non sai?” le chiesi un po’ infastidito da quella sua onniscenza.

No” mi rispose sfacciata “Anzi, forse sì. Non riesco a capire i sentimenti delle persone. C’è una specie di porta chiusa e ben rinforzata. Ad esempio, se non mi avessi presentato Fred non avrei mai capito che eravate amici. Idem per un marito e una moglie. Senza fedi né indizi di nessun tipo, non riuscirei mai a intendere il loro legame, anche se profondo come solo lo può essere l’Amore. L’Amore è molto più potente del Vincolo, Cross. Anche se noi due siamo ormai una cosa sola, potremmo benissimo detestarci. Il Vincolo non impone sintonia mentale né corporale, ma solo per quanto riguarda l’Anima. L’Amore, invece, porta Anima, Corpo e Mente sullo stesso piano. Capito?” Anony troncò il discorso con una fugace occhiata, anche perché Fred aveva finito di cercare tutti i supporti che ci sarebbero serviti.

Io rimasi un po’ scosso dalla conversazione che avevamo avuto, ma cercai di non darlo a vedere e chiesi a Fred: «Allora? C’è altro?».

«Sì. Per quanto riguarda le modifiche… lo scoprirete da soli. Usate i Conduttori e saprete perfettamente come usare queste meraviglie della tecnologia. Invece, qui ho altra roba per voi» e, dal piccolo mucchietto di cose accatastate ai suoi piedi, prese due quadratini di tessuto sintetico.

«Zaini, immagino» tirai ad indovinare.

«Esatto» confermò lui con un cenno del capo «Poipoipoipoi… ecco. Infine, una G-4 ciascuno, e due K-3».

«No, Fred, non posso accettare» lo fermai io con gentilezza prima che potesse consegnarci ogni cosa, comprese le due pistole e i coltelli.

«Prendili pure, Cross. Non so esattamente quale sia il motivo che vi spinga ad andare là sotto, ma dev’essere molto importante per compiere un simile folle gesto. Io non tornerei nell’Impero neppure se mi pagassero, ma voi fate un po’ come credete. Il minimo che posso fare per voi è fornirvi tutto il necessario perché sopravviviate. A proposito, ho messo un po’ di New Dollars nel tuo Account. Ad Anony ci pensi tu, io non posso perché non abbiamo mai connesso i nostri dispositivi ma immagino che fra voi non ci sia alcun problema».

«Beh, Fred, non so cosa dire. Ti conosco appena e hai già fatto tantissimo per me. Grazie infinite, davvero. Spero che la tua gentilezza rimanga immutata nel tempo» disse Anony accorata.

Io sorrisi e abbracciai affettuosamente il mio amico, che subito dopo mi consegnò tutto l’occorrente per il nostro viaggio.

«Spero di rivederti presto Cross, my friend» mi salutò Fred, appoggiando a terra la lastra di metallo.

«Anch’io, Fred» risposi commosso all’ometto, che aveva attivato ormai il Portale.

Anche se dubito fortemente che ci rivedremo mai. Mi mancherai, carissimo.

Poi, consegnati ad Anony i suoi armamenti e stretti in mano i miei, mi tuffai nel vortice elettrico, unico Portale che dalla superficie conduceva alla Rete.

Poi chiusi gli occhi e mi lasciai scomporre e ricomporre in pixel, mentre iniziava la corsa contro il tempo mia e di Anony, che viaggiavamo per salvare il mondo.

Aggiungo che, se tutti coloro che leggono non recensiscono, eliminerò la storia.
   
 
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