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Autore: RubyChubb    21/10/2007    12 recensioni
Erin era una ragazza sorridente. Aveva appena compiuto diciannove anni, un'età abbastanza difficile, a cavallo tra l'adolescenza e la maturità. Tom, famosa rockstar, deve combattere contro i suoi fantasmi, contro le sue stesse scelte di vita, contro se stesso... --- Nuovo lavoro firmato RubyChubb!!!
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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BLOOD IN MY VEINS




I primi parenti arrivarono già verso mezzogiorno, mentre Erin si stava preparando per tornarsene in sala mensa. Da quando era scesa si era sentita sempre osservata, soprattutto dai suoi compagni di piano. Per la prima volta, si sentiva fragile di fronte a tutti. Lei, che aveva sempre camminato a testa alta, per la prima volta dovette abbassarla. Dette una rapida occhiata ai suoi quadri, erano stati appesi un po’ male, un po’ storti… 
Appoggiò i suoi schizzi su un tavolino sgombro, vicino alle sue tele. Si osservò intorno e notò diverse ragazze che la guardavano e la indicavano, confabulando tra loro. Cosa c’era? Non poteva truccarsi anche lei ogni tanto? Era strano vederla con una gonna ed una maglietta carina? Anche loro si erano tirate a lucido, eppure non erano così osservate quanto lei.
Che si fottessero, pensava Erin, mentre se ne tornava verso la clinica. Aveva fame, non aveva fatto colazione per prepararsi. Aveva dovuto ridarsi la matita sugli occhi più di una volta, non era facile avere la mano ferma e stare in equilibrio su un piede solo. Tornata nell’aspetto ad essere quella che non era più, Erin si era sentita un po’ stupida, prima di uscire dalla sua camera. Un tempo, era una a cui piacevano i pantaloni strappati, le magliette strane, il trucco e le unghie nere e le cinture di ferro… Chissà se sarebbe stata ridicola, adesso, in quel modo! Aveva recuperato la sua cintura preferita, abbandonata da un anno e mezzo in fondo al cassetto con il nastro adesivo. Si era pitturata le unghie, un velo di nero sugli occhi, i suoi capelli ricci sempre castigati dal bastoncino di legno scuro. Non avendo scarpe eleganti, aveva indossato le sue, quelle di sempre. Nere con le stringhe fucsia, le era sempre piaciuto l’accostamento di questi due colori.
Tutto sommato, non le pareva di essere una pecora nera: se guardava Ada, con la sua camicetta a fiori, i pantaloni attillatissimi ed i tacchi alti, le pareva più una squillo che una paziente della clinica Sellers.
A mensa, con il vassoio appoggiato sui braccioli della sedia a rotelle, si faceva gentilmente servire dal ragazzo di fronte a lei, il famigerato Vomito-Emil. Odiava le occhiatine che le dava sotto al vassoio.
“Hey, se guardi un’altra volta le mie gambe ti mollo un pugno nello stomaco!”, esclamò lei.
“Allora cosa te la metti a fare la minigonna?”, sbottò lui.
Tre secondi dopo si ritrovò a boccheggiare per il dolore, mentre Polpettone, l’inserviente della mensa e amica di Erin, le faceva l’occhiolino di approvazione, passandole la sua porzione di minestra di verdure. Con lentezza, per evitare che le si versasse tutto addosso, raggiunse il tavolo dove Tom di solito si sedeva. Ma lui non c’era, arrivò quando lei stava quasi finendo la sua mela.
“Hey, cosa hai fatto tutto questo tempo?”, gli domandò.
“Ho dovuto accordare la chitarra.”, fece lui.
“Ah… operazione lunga e faticosa.”, disse Erin, ironicamente, “Cosa hai preparato per lo spettacolino di oggi?”
“Boh, ancora niente… penso che farò un po’ di improvvisazione.”
“Bel programma… e i tuoi allievi?”
“Nessuno vuole esibirsi.”
“Li hai minacciati tu vero?”, disse lei, sorridendo con complicità.
“In parte sì, ma il resto no, si sono quasi ammutinati quando ho detto loro che la direttrice voleva che si esibissero. Poi ho ristabilito l’ordine dicendo che lo avrei fatto io. Da solo….", disse, sbuffando, poi le dette una rapida occhiata con un sorriso di approvazione sulle labbra, "Comunque stai bene, davvero, sei carina.”
“Oh, grazie per il misero complimento.”, fece Erin, tirandogli una palletta di pane.
“No, davvero, stai bene. Sembri un’altra persona.”
Erin sorrise, arrossendo un po’.
“Beh… insomma, ero così molto tempo fa. Non sono sempre stata la sciatta che conosci.”, disse, abbassando lo sguardo per l'imbarazzo.
“Sembreresti quasi una delle nostre fan. Sai, quelle replicanti, che si vestono uguali a noi, soprattutto a Bill.”
“Così mi offendi! Lo stile di Erin è unico, te lo posso garantire!”
“Sì, sì, ma non ti scaldare… e smettila con queste palline di pane!”, protestò lui, coprendosi la faccia dalla raffica di  palline che gli stava tirando Erin.
Attese che lui finisse il suo pasto, poi andarono insieme fuori. Per Tom avevano allestito un piccolo palco, dove si sarebbero anche esibiti i ragazzi che seguivano il corso di recitazione. Nel mentre che Erin si godeva il solicello pomeridiano, lui aiutava gli inservienti della clinica a far funzionare l’impianto audio che era stato noleggiato per l’occasione.
“Belli i tuoi quadri Erin…”, disse qualcuno alle sue spalle.
Lei si voltò, riconobbe Bea, la sua amica… ex amica. Per un momento, le parve di sentire un tono poco amichevole nelle sue parole e lanciò uno sguardo verso le sue tele.
Ecco, avrebbe dovuto aspettarselo...
Si avvicinò al suo spazio espositivo: le tele migliori erano state completamente ricoperte di nero, oppure con un taglierino erano state incise e sfregiate. I suoi schizzi erano spariti.
Le venne solo da scuotere la testa e andarsene, non voleva dare a quelle puttane la soddisfazione di vederla piangere oppure arrabbiata. Se era quello il prezzo da pagare per essere se stessi, allora era contenta di tirare fuori tutti i soldi. Se, come era certa di pensare, tutto questo odio nei suoi confronti fosse dovuto in parte anche alla sua amicizia con Tom, allora era contenta di andarsene in quel modo, senza dare loro il minimo pretesto per festeggiare.
Andò verso il laghetto, lontana dalla festa.


Vide con la coda dell’occhio Bea avvicinarsi ad Erin, che se ne stava tranquilla, con il naso all’insù e la mano sugli occhi a vedere il cielo ombreggiato dalle nuvole. Non le dette peso, magari era un tentativo di riappacificazione. Quindi tornò su quella marea di pulsanti e manopole che comandavano l’impianto audio, chiedendosi come facevano i tecnici del suono a capirci qualcosa.
Poi, una volta che ebbe compreso quel dedalo di bottoni e il volume dei microfoni e del suo strumento fu regolato alla giusta misura, le venne di cercarla, non vedendola intorno a lui. Era al laghetto, solitaria, con la testa appoggiata sulla mano.
“Che ci fai qua? Non sei dalle tue tele?”, le domandò.
“Le mie tele sono state vittima di un vandalismo idiota. Ma del tutto motivato.”, disse Erin, con voce quasi inespressiva.
“Cosa? Cosa è successo?”, chiese lui, pensando che fosse uno scherzo.
“Vai a vedere tu stesso.”, fece Erin, indicando lo stand con la testa.
Quando tornò qualche minuto dopo, sembrava abbastanza incavolato.
“Sono state quelle stupide, non è vero?”, disse.
“Sì… ma non mi interessa per i quadri… sono gli schizzi, quelli li rivoglio indietro.”
Tom sospirò, rassegnato, chiedendosi che cosa era passato nella mente di quelle idiote. Poi, il suo sguardo fu attirato da qualcosa che galleggiava nell’acqua.
“Sono lì…”, disse lui, indicandogli il lato sinistro del laghetto, in una zona un po’ nascosta alla sua vista, ma soprattutto a quella di Erin, che era seduta.
“Ecco…", sbottò Erin, "Io sono sempre stata me stessa, franca con tutti, non ho nascosto le mie simpatie e le mie antipatie… lo so, sono una stronza e lo sarò per sempre. Ma io non ho mai fatto loro nulla di questo genere, non ho mai distrutto qualcosa che apparteneva loro.”
“Secondo me è stata Ada…”, insinuò Tom.
“Può essere anche stata un’altra ragazza, non mi interessa. E’ stato fatto e basta, è questo quello che conta… sarà meglio tornare alla festa e fare finta di niente...”, disse Erin, spingendo le ruote della sua sedia.


Seduto a cavalcioni sull’altalena, con il suo vestito buono, si dondolava come aveva fatto migliaia di altre volte. Camicia bianca, jeans scuri, e giacchetta. Dava le spalle alla festa, non gli interessava.
In quei due giorni aveva fatto il fantasma: aveva saltato le attività, non era andato in sala computer, né si era fatto vedere altrove, tranne che dal dottor Bebel. Non aveva preso l’ascensore, dove sicuramente avrebbe potuto incontrarla, si faceva sempre le scale, a piedi. Andava a mangiare il più tardi possibile, non metteva il naso fuori dalla sua stanza.
Da quando aveva portato il blocco e l’ipod ad Erin si era completamente volatilizzato, lasciandola vivere e prendere la sua scelta. Qualsiasi cosa decideva, a lui andava bene, sia se voleva rimanere sua amica oppure se non lo voleva più vedere.
Quando, due notti precedenti, era entrato nella sua stanza, lei dormiva profondamente, scossa da tutti gli avvenimenti della giornata. Aveva cercato di non fare rumore, aveva appoggiato le sue cose sul comodino e stava per andarsene. Ma si era voltato, si era chinato su di lei e le aveva dato un piccolo bacio sulla fronte. Lei si scosse lievemente, borbottò qualcosa di incomprensibile e si era voltata dall’altra parte.
Il giorno seguente, messo faccia a faccia con Tom, durante una specie di terzo grado fatto loro da Bebel e dal dottore che stava seguendo Erin, si era chiarito con lui. Gli aveva chiesto scusa per quello che gli aveva fatto e lui aveva accettato, chiedendo perdono a sua volta per aver frainteso il suo tentativo di far calmare Erin. Si strinsero la mano, ma ancora ci sarebbe voluto molto tempo prima di potersi riavvicinare ancora. Non erano fatti per essere amici, era chiaro, l’unica cosa che avevano in comune era Erin, entrambi vicini a lei per motivi totalmente diversi.
Nel mentre che parlava con Bebel, aveva compreso che Erin, negli ultimi giorni, era stata scossa da qualcosa. Non poteva rivelargli cosa, era un segreto professionale, ma gli venne subito da pensare a Ben. Non sapeva spiegarselo, ma era sicuro che fosse tutto ricondotto a lui… forse aveva iniziato a sentire improvvisamente e più forte di prima la sua mancanza. Ma anche lui, con il suo assurdo comportamento, aveva fatto la sua parte, ne era sicuro.
Si sentiva terribilmente in colpa, era anche per questo che scappava da lei. E aveva paura, terribilmente paura, di un suo rifiuto. Lo terrorizzava solo l’idea. Era quasi certo che era questo quello che sarebbe successo, a vedere la reazione che aveva avuto Erin, quando si erano incrociati, anche solo per un attimo, davanti alle porte delle loro stanze…
In quel momento era l’ora di pranzo, tutti erano in mensa, ma lui non aveva fame. Aveva mangiucchiato qualcosa a colazione, ma il suo stomaco sembrava essersi chiuso. Stava bene su quell'altalena.
La sua attenzione, per quel momento monopolizzata solo dai suoi pensieri, fu catturata da un gruppetto di ragazze. Sotto il trucco e gli abiti colorati riconobbe Ada, Bea e Sissy. Andavano risolute verso gli stands, Bea teneva in mano una grossa borsa.
Sotto uno dei gazebo, in particolare il gazebo di Erin, sembravano intente a combinare qualcosa. Si alzò, andando verso di loro. Aumentò il passo fino a correre e le trovò con in mano pennelli di tinta nera e dei taglierini.
“Che cazzo state facendo?”, disse lui.
“Quello che ci pare!”, esclamò Bea, rompendo in due una delle tele di Erin.
“No!”, esclamò Gero, avvicinandosi, ma Ada, che si era accorto di lui gia da un po’, gli versò prontamente un po’ di tinta nera sulla camicia e sui pantaloni.
“Ma sei deficiente?”, fece lui, guardando il suo completo, oramai da buttare nel cesso.
“Tieni, in uno slancio di simpatia.”, fece Sissy, dandogli una delle tele di Erin, salvandola così dallo scempio.
Ricoperto di nero, con la tela sotto braccio, Gero si allontanò dalle tre ragazze, che oramai avevano completamente distrutto i lavori di Erin. La portò al sicuro, in camera sua, e la appoggiò sopra il suo letto. Era la riproduzione di una coppia di girasoli, i fiori preferiti di Erin, che a lui ricordava tanto un quadro famosissimo di Van Gogh… ovviamente tra i due c’era un abisso in mezzo, ma glielo faceva venire in mente. Glielo avrebbe restituito appena poteva, al più presto possibile…
Si guardò allo specchio: era una macchia quasi unica, che andava dalla sua faccia fino alla cintola dei pantaloni. Si svestì e si infilò sotto la doccia, non ne uscì finchè l’acqua che finiva nello scarico non tornò ad essere incolore.
Meno male che quelli non erano gli unici vestiti buoni che aveva: prese un’altra camicia,  un’altra giacca, un altro paio di jeans e fu pronto per uscire di nuovo. Passando davanti alla finestra, vide che il giardino si era ripopolato, la festa stava per iniziare.
Prese un lungo respiro, si sistemò i capelli e uscì fuori dall’edificio.


La classe di recitazione era in scena con una serie di monologhi, tratti da alcune poesie di autori vissuti durante la seconda guerra mondiale. Lo spettacolo, profondo e doloroso, era di una noia mortale per Erin. Seduta accanto a Tom, che invece sembrava gustare la rappresentazione quanto bastava per non addormentarsi, tamburellava le sue dita sulla gamba, canticchiando tra sé e sé una canzoncina che era in fase di composizione nella sua mente.
Si risvegliò quando tutti iniziarono ad applaudire, segnando così la fine dell’emozionante spettacolo. Erin vide mamme e nonne commosse, catturare dalla magnifica empatia che si era creata tra attori e pubblico.
“Gesù… pensavo di addormentarmi…”, disse Tom, che si stava stiracchiando senza dare troppo nell’occhio.
“Vai a prepararti… adesso è il tuo turno…”, gli fece Erin, dandogli una pacca sulla spalla.
“Prega per me.”, le rispose lui, calandosi il cappellino sugli occhi.
La direttrice, presentatrice ufficiale della giornata, salì sul palco e lo presentò.
“Beh… il prossimo ragazzo è il nostro ospite speciale della giornata, anzi, è l’ospite della clinica. Forse alcuni di voi lo hanno già visto, forse lo conosceranno grazie ai loro figli. Ad ogni modo, vi pregherei gentilmente di mantenere il riserbo sulla sua identità, una volta che sarete usciti da qui. Mi dispiace dirvi una cosa del genere, ma gli abbiamo promesso di non far proliferare la notizia della sua permanenza nella clinica. Dette queste poche cose, facciamo un bell’applauso per Tom Kaulitz!”, disse la donna, spostandosi di lato per accogliere il ragazzo.
“Vai Tom!”, esclamò Erin, applaudendo più forte degli altri.


“Vai Tom!”, sentì dire da una voce sopra a tutte le altre, la voce di Erin.
In fondo al pubblico seduto, composto da circa duecento persone tra pazienti e parenti, Gero se ne stava comodo, sugli scalini che portavano al parco. Con i gomiti appoggiati indietro e una sigaretta tra le dita, si gustò come tutti gli altri le prime note suonate da Tom… gi ricordavano tanto ‘Coffee and TV’ dei Blur, ma forse si sbagliava. Un tipo come lui, che sembrava doversi portare dietro un arsenale di armi atomiche con quei vestiti circensi, non era uno che ascoltava del brit-pop.
Una figura gli si parò davanti e cercò di richiamare la sua attenzione per farlo spostare.
“Hey… non sei il figlio del vetraio…”, gli disse.
Era talmente di umore nero che non avrebbe sopportato nemmeno il minimo sgarbo nei suoi confronti.
“Ah… scusami…”, fece quello, spostandosi di lato. Poi lo guardò un attimo e gli chiese se poteva sedersi accanto a lui.
“Certo.”, rispose Gero, atono.
Pentitosi per il malo modo con cui si era rivolto allo sconosciuto con cappellino in testa e grandi occhiali neri, tirò fuori il pacchetto di sigarette, gentilmente offerto dalla sua complice Polpettone, dalla tasca della sua giacchetta nera.
“Scusa per prima… ne vuoi una?”, gli disse, porgendoglielo.
“Oh… grazie mille.”, fece lo sconosciuto, prendendone.
Gerò non potè non notare le sue unghie nere... Gli passò anche il suo accendino.
“Grazie ancora.”
“Non c’è di che, figurati…”, rispose Gero, riprendendoselo.
“Da quanto è che ha… oh cazzo!”, esclamò quello strano ragazzo, alzandosi dal suo scalino per guardare ancora meglio davanti a sé, verso il palco.
“Hai visto un fantasma?”, fece Gero, aspirando distrattamente la sigaretta.
“Ma cosa gli avete fatto! Perchè gli avete tagliato i rasta!”, esclamò l’altro, attirando l’attenzione delle ultime file, non vedendoli spuntare dal retro del suo cappello come sempre.
Se due più due faceva quattro, tutto questo interesse per gli ex rasta di Tom e la presenza di quell’altrettanto strano ragazzo lì stava solo a significare che quello era suo fratello, Bill.
“Ma guarda un po’ chi si vede.”, fece Gero, “Tu sei Bill vero?”
“Sì…”, rispose lui, alterato, “Siete tutti pazzi qui dentro vero?”
“Beh… parlando sinceramente, è stata la sua compagna di stanza Erin a tagliarglieli.”, disse Gero, senza nascondere un sorriso di divertimento e soddisfazione, “Si era preso una sbronza pazzesca e, per fargli capire che certe cazzate non si fanno, glieli ha tagliati di notte, mentre dormiva… avresti dovuto vedere la faccia di Tom, era incazzato come una biscia, ma gli è servito di lezione, credimi.”
Bill non sembrava molto contento di quello che aveva sentito e si risedette abbastanza irritato… 
“Io sono Gero.”, disse lui, porgendogli la mano.
“Piacere…”, fece Bill, stringendogliela senza interesse.
“Ti ha fatto venire qui Erin, vero?”
“Sì…”
“Già, c’era da aspettarselo.”, disse Gero.
“Prima ti volevo chiedere da quanto aveva iniziato a suonare…”, chiese Bill, dopo qualche secondo di silenzio.
“Mah, saranno dieci minuti.”, fece Gero. Poi, notando una certa impazienza nel suo interlocutore, gli disse: “Qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare, fallo presto, perchè lo spettacolo sta per finire.”
Non ebbe però tempo di continuare oltre la sua frase che Bill si era alzato. Camminava dritto, lungo il piccolo corridoio centrale tra le due grandi file di sedie, tutti gli sguardi dei presenti si focalizzarono su di lui e si levano diversi mormorii.
Erin, a lato, ringraziò il cielo per aver convinto veramente Bill, ancora incerto dopo la telefonata di quella mattina, a venire lì. Non sapeva cosa stava per accadere e si tenne pronta per scattare in piedi e correre dietro zoppicante al primo dei due che se la dava a gambe.


Non si accorse di lui subito, continuò ancora a suonare, ad improvvisare, mettendoci un po’ di accordi delle canzoni dei Tokio e un po’ di inventati sul momento. Non si sentiva molto in forma, suonava solo perchè voleva scendere al più presto dal palco. Non dette nemmeno uno sguardo al pubblico, non gli interessava che quello suonasse piacesse loro, né di ricevere qualche applauso alla fine della sua esibizione.
Voleva solo tornarsene in camera a pensare. Aveva provato, qualche minuto prima di uscire dall’edificio, a chiamarlo, per sapere come stava… ma niente, lui non aveva risposto e, al terzo tentativo di chiamata, Bill aveva spento il telefono. Deluso profondamente, non gli era rimasto altro che andarsene fuori. Sapeva che era colpa sua se erano arrivati a quel punto e, proprio per questo, voleva cercare di rimettere le cose in sesto. Non voleva che lui venisse a vederlo, non era per quello che lo aveva chiamato.Voleva solo parlargli, spiegarli che aveva compreso i suoi sbagli, che era pronto a tornare sui suoi passi e a chiedere perdono.
Perdono per tutte le azioni, perdono per tutte le parole, perdono per tutti i silenzi.
Perdono per riaverlo.
Per tornare ad essere una famiglia.
Per tornare ad essere Tom e Bill.
Stava cercando di unire il suo tentativo di improvvisazione con il refrain di ‘Rette mich’, una canzone che in quel momento avrebbe voluto con tutto il cuore spedire dritta verso suo fratello.
Poi gli parve come se il pubblico stesse borbottando, forse si stava annoiando. Aprì un attimo gli occhi e li avrebbe richiusi subito, se non avesse visto che Bill, il suo Bill, stava di fronte a lui, a qualche metro dal palco. Mani in tasca, cappellino, capelli legati… si mordeva il labbro inferiore. Si tolse gli occhiali.
Non ebbe più la forza di suonare, la musica si fermò, facendo aumentare il parlottio del pubblico.
I due si guardavano a vicenda, come fossero fermi nel tempo.
Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene.”, disse Tom, interrompendo la piccola confusione e tramutandola in silenzio totale.
Aveva citato un verso di una canzone… della loro canzone… una parafrasi, un giro di parole, un tentativo…
Bill sembrava impassibile, duro di pietra, fermo tra il pubblico. Tom vide una sua lacrima scendergli lungo la guancia, velandola del nero del suo trucco. Non potè fare altro che buttare la chitarra a terra, facendo tremare le orecchie del pubblico per il gracchiare dei suoni che uscivano dalle casse, scendere con un salto dal palco e buttarglisi alle braccia, stringendolo così forte che Bill dovette chiedergli di allentare la presa o lo avrebbe soffocato.

Appena vide Tom gettare via la chitarra, Erin si tenne pronta per scattare, anche se la sua caviglia non era per niente d’accordo con il resto del corpo. Ma quando poi vide che le intenzioni del suo amico non erano quelle di scappare via, si rilassò, sorridendo, mentre tutto il pubblico vicino a lei si chiedeva cosa diavolo stesse succedendo.
Allora si alzò e, con una certa difficoltà, raggiunse il palco, vi montò sopra, superando le milioni di domande che gli stava ponendo la direttrice sulla situazione poco piacevole che si era creata.
Rubò il microfono dalla sua mano e, con scarso equilibrio, andò fino al centro del palco, dove si appoggiò ad una delle aste che erano state lasciate inutilizzate dopo lo spettacolo di recitazione.
“Ehm… si sente?”, disse lei, facendo fischiare il microfono e rintronare per la seconda volta le orecchie di tutti.
I due fratelli Kaulitz si voltarono per sentire le sue parole.
“Ok, scusate per questa interruzione… Ehm…”, disse Erin, alla quale non riuscivano bene i discorsi in pubblico, soprattutto quelli del tutto inventati sul momento, "Insomma, non è bello vedere due fratelli riappacificarsi? Per me è una cosa bellissima. Mi dispiace non averti avvertito del suo arrivo, Tom, ho voluto farti questa sorpresa, un po’ per ricompensarti di tutto l’aiuto che mi hai dato, un po’ perchè sono anche io buona dentro… solo un pochino…”
Tom le abbozzò un sorriso.
“Voi siete fortunati ad avere l’un l’altro… davvero fortunati…”, continuò poi.
Le si ruppe la voce e, dopo averla rischiarata diverse volte, ricacciando dentro le lacrime che le erano salite in superficie, tornò a parlare.
“Dai, andiamo, salite sul palco e allietateci con una bella canzone…. Forza! Muovetevi!”, esclamò, vedendo soprattutto la reticenza di Bill. Tom lo prese per la mano, la strinse forte e lo fece salire sul palco.
“Beh… non credete che ci stia proprio bene un bell’appaluso qui?”, fece Erin, cercando di invitare il pubblico a farlo.
Mentre la gente applaudiva, scese dal palco.
“Appena l’ho visto l’ho subito saputo che eri stata tu…”, disse Tom, quando si incrociarono.
“Sono diventata così prevedibile? Mio dio, no!”, fece lei, sorridendogli. Dette un abbraccio veloce ad entrambi e se ne tornò verso la sua sedia a rotelle, dato che la sua caviglia sinistra aveva iniziato a reclamare pietà a gran voce.
“Ehm… questa è ‘In die Nacht’.”, disse Bill, prendendo il microfono che Tom gli aveva dato. Di nuovo un piccolo applauso, qualche urletto proveniente dalle solite galline scervellate, e Tom partì con la canzone, seguito qualche attimo dopo da Bill.


Erin mosse la sua carrozzina, allontanandosi dal pubblico. Oramai il suo compito era stato assolto… e un po’ le dispiaceva, ora non aveva più obiettivi da perseguire, non aveva più nessun Tom da guarire. Andò verso il gazebo dove erano esposti le due tele e trovò qualcosa che la scioccò.
Sissy, Petra e Ada stavano chinate sul pavimento plastificato, con spunge e acqua, a pulire le macchie di vernice che erano colate durante la loro opera di imbrattamento. Si accomodò sulla sedia a rotelle, a guardarle. Parlò solo quando la sua presenza fu notata.
“In caserma di solito danno gli spazzolini per pulire per terra… ritenetevi fortunate.”, disse loro, “Mi piacerebbe sapere chi ha fatto la spia.”
“Indovina un po’…”, fece Ada, che aveva interrotto la sua attività cenerentoliana solo per lanciarle una brutta occhiata, invece della spugna sporca come avrebbe voluto.
“Vabbè… ad ogni modo pulite per bene… qui c’è una macchia.”, disse Erin, indicando loro una piccola goccia di vernice scampata alla loro vista.
Chi rompeva pagava, era giusto così, pensò Erin, mentre usciva dal gazebo per tornare all’aria aperta.
Du bist alles was ich bin und alles was durch meine Adern fließt . Immer werden wir uns tragen . Egal wohin wir fahr'n. Egal wie tief .” *, stava cantando Bill, quando lei tornò a godersi il duo Kaulitz che si esibiva in una canzone che a lei, personalmente, non piaceva molto, ma le cui parole sembravano descrivere perfettamente il rapporto speciale ed unico che c’era tra loro due. Era molto distante da tutti, in disparte, e sorrideva, pensando a quante cose sarebbero cambiate da quel momento in poi…
“Secondo te sono stato troppo cattivo a fare la spia su quelle tre alla preside?”, disse Gero, cogliendola di sorpresa alle spalle.
“Sì… cioè, volevo dire no…”, fece Erin, imbarazzata. Anche se lui era alle sue spalle, lei non riusciva ad alzare il suo sguardo, fissatosi sull’orlo della sua gonna.
“Sono riuscito a recuperare solo questo.”, disse lui, porgendole la piccola tela dei girasoli.
“Ah… grazie mille…”, disse Erin, mettendosi il quadretto sulle gambe.
“Hai fatto un buon lavoro con quei due… perchè da grande non diventi una psicologa?”, chiese lui.
“Non voglio avere a che fare con tipacci come me.”, rispose lei.
“Allora lo farò io lo psicologo.”, fece Gero, sorridendo.
“E perchè?”
Lui le girò intorno, si fermò di fronte a lei e si accucciò sulle gambe, per mettersi al suo stesso livello.
“Perchè io voglio avere a che fare con tipacce come te…”, le disse, guardandola dritta nei suoi occhi sfuggenti.
Erin, bocca socchiusa, si sentì avvampare le guance. Mise le mani sulle ruote della sua sedia e fece qualche centimetro indietro, volgendogli le spalle. Ecco, lei che doveva acciuffare il fuggitivo Bill o Tom della situazione, stava scappando…
Ich will da nicht allein sein, lass uns gemeinsam in die Nacht . Irgendwann wird es Zeit sein, lass uns gemeinsam in die Nacht.”**, canto Bill, in quell’istante.
Erin si fermò, colpita dalle parole della canzone
Halt mich. sonst treib ich alleine in die Nacht . Nimm mich mit und halt mich sonst treib ich alleine in die Nacht .” ***
Noi ci supporteremo l’uno con l’altro… non importa dove andremo.”, disse lei, citando alcune delle parole della canzone
Non importa quanto in profondità.”, rispose Gero.
“Ma tu sei… tu sei… un mio amico…”, fece Erin, con voce quasi rotta dal piangere.
Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene…”, disse Gero, che a fatica tratteneva le sue lacrime, “Per me non sei solo un’amica, sei di più, molto di più… e se questo ti sconvolge, non fa niente. Se non vorrai più vedermi, lo accetto. Io voglio la tua felicità e non mi interessa in che modo lo avrai.”
Quelle parole, che Gero aveva sentito spesso durante quegli improponibili film d’amore, in quel momento non suonavano più retoriche, né stupide. Gli salirono alle labbra, perfette per esprimere il suo stato d’animo ed i suoi sentimenti. La sua eterna amica Erin gli dava le spalle, seduta sulla sua sedia, a meno di tre passi da lui, eppure gli sembrava così lontana ed irraggiungibile.
Gli era mancato quasi il fiato quando l’aveva vista sul palco, con il microfono, mentre improvvisava un discorso… Gli sarebbe sempre piaciuta in tutti i modi, vestita come sempre ed in quel modo, con un aria così impertinente che metteva ancora di più in evidenza il suo carattere ribelle, indipendente ed anticonformista. Stonava rispetto all’eleganza dei parenti seduti. Contrastava con le ragazze del terzo piano, tutte colorate ed ingioiellate, così come lui non si accordava per niente con le giacchette ed i pantaloni di stoffa dei ragazzi. Beh, anche lui aveva la sua giacca, ma la sua camicia spuntava fuori dai pantaloni di jeans e non era agganciata fino al collo.
Entrambi così diversi dagli altri, ma simili l’un con l’altro. Con lei aveva trovato il suo vero io, aveva imparato a deviare dal resto della mandria e a non uniformarsi, perchè il diverso, anche se emarginato, spiccava sempre, prima o poi.
Si voltò, per tornare verso la clinica. Oramai era il momento di eclissarsi e lasciare che Erin andasse avanti, senza lui accanto. Rimanere amici, dopo quello che le aveva detto, non avrebbe avuto più senso…
Sentì la sua mano afferrata da qualcosa… qualcosa di caldo… dalla mano di Erin.
“Ma… come hai fatto… non ti ho sentito avvicinarti…”, gli disse lui, a pochi metri dalla porta dell’edificio.
“Forse eri troppo impegnato dai tuoi pensieri.”, fece lei, abbracciandolo più forte che poteva. Lui contraccambiò, felice e sorpreso, e non gli parve averle dato un abbraccio più significativo di quello, tra tutti quelli che c’erano stati prima.
“Non mi importa cosa siamo e cosa diventeremo. L’importante è che tu non mi lasci da sola…”, gli disse, un attimo prima di scoppiare a piangere.


Erin, stretta tra le braccia di Gero, non riusciva a pensare a momento più felice di tutta la sua vita da un anno a quella parte… Aprì gli occhi; erano annebbiati dalle lacrime che le stavano scendendo lentamente ma che la stavano solcando dentro.
Un’immagine distorta, per niente nitida, si staccava dal verde alla sua destra. Ben, mani in tasca, un sorriso sul suo viso. Si avvicinò un dito alla  bocca, come per dirle di fare silenzio. Poi si inchinò, facendo uno svolazzo con la mano, mandò un bacio alla sorella e le fece ciao con la mano… E si dissolse in un battito di ciglia.
Da quel momento, non lo avrebbe mai più visto, in tutta la sua vita, se non nei suoi ricordi o nelle fotografie…




Ho messo le traduzioni della canzone ‘In die Nacht’, (troppo scontata?) che mi è servita per scrivere questo intenso capitolo… mi ci sono voluti tre giorni per buttarlo giù, per cercare le parole giuste e le scene giuste… spero di aver fatto un buon lavoro. E spero anche che le traduzioni siano giuste, ho studiato tedesco anche io per lunghi anni, ma non sono fatte da me perchè mi sarei bloccata alla prima strofa… Se ci sono delle imprecisioni fatemele notare, così le correggo! No scopo di lucro, neanche per la citazione di ‘Rette mich’.

* Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene. Noi ci supporteremo l'uno con l'altro. Non importa dove andremo. Non importa quanto in profondità.

** Non voglio essere li da solo, lasciateci insieme nella notte. Qualche volta sarà il tempo, lasciaci insieme nella notte.

*** Tienimi altrimenti sarò solo nella notte. Prendimi con te e tienimi altrimenti sarò solo nella notte.

Benchè questo capitolo sia stato postato stamattina, cioè domenica mattina, i ringraziamenti sono stati scritti ieri notte, sabato notte, all'una e mezza... scusate, ma non avevo voglia di andare a letto, anche se avevo molto sonno... quindi è molto probabile che i miei discorsi saranno molto più disconnessi del solito!!!

MissZombie: E l'email che dicevi? Dov'è? Il postino ha fatto sciopero per caso? XD scherzo! Comunque non sono riuscita ad ubriacarmi, sigh, il prosecco non fa niente, a parte stimolare la produzione di aria intestinale... ma lasciamo perdere... sì, anche io penso come te che Tom abbia due facce, come del resto tutti noi. Da un lato quella pubblica, dall'altro quella privata. Entrambe con le loro sfaccettature particolari. Per me è bello cercare di parlare di personaggi che, durante la storia, si evolvono e mettono in luce tutto il loro carattere, o per lo meno gran parte di esso. Non amo le Mary Sue, adoro i personaggi che rappresentano i due opposti: forte-fragile, cattivo-buono. Tutti noi siamo un grande miscuglio di peculiarità... anche i nostri personaggi!!! Ci sentiamo su msn! Un bacione!

CowgirlSara: sono contentissima di sapere che la storia di abbia coinvolto, davvero! E che palle però, avevi già capito da un pezzo che cosa sarebbe successo tra Bill e Tom! O forse sono stata un po' troppo scontata io a tirare fuori quella canzone... il dubbio mi sta perseguitando... Eppure mi sembrava una canzone perfetta, ora piango... sigh sigh... XDDD ci sentiamo su msn!!! ps: se ti va di disegnare Erin, visto che la recensitrice di cui sotto (alanadepp) mi ha chiesto di poter vedere come l'ho immaginata... tanto so che la ritrarrai come l'ho in mente io, ne sono sicura! Se hai tempo, e soprattutto se ne hai voglia... mi raccomando!

Alanadepp: se la tua amica fa un salto sul sito e legge capità chi sono! XD E non sono morta mille anni fa, anche se ogni tanto sono talmente antiquata nelle idee che mi vorrei mettere da sola in esposizione al mercato dell'antiquariato... comunque grazie sempre di tutto!!!

Martuccia: le idee le tiro fuori dal cilindro magico! No, purtroppo non è così, ma come ho detto sempre mi vengono prima di addormentarmi, dopo sveglia o sotto la doccia! Oppure anche semplicemente in un momento di relazzze... tranquilla se non hai recensito, talvolta anche il mio pc decide di andare in vacanza. Ne ha tutti i diritti, con le brutte parole con cui lo prendo quando si incricca!!! Un bacione!!!

Momentito di pausa: su mtv stanno passando i TH..... per chi avesse visto il video di ubers ende der welt (scusate per l'assenza dell'umlaut): non avete notato che quello di ready set go è fatto dei ritagli di quel video e che, in certi punti, le labbra di bill non cantano le parole della canzone in inglese??? cioè è fuori sincro, in termini di doppiaggio??? mah, che pessimo lavoro... intendo il video di ready set go, non quello di ubers ende der welt... almeno che si impegnassero a rigirare completamente le scene cantate in inglese!!! Meno male che Martina, alias MissZombie, mi ha informato dell'uscita del nuovo video 'An deiner Seite'... ancora non l'ho visto, ma lo farò presto! E spero che, se uscirà un altro video dei TH su una canzone di Scream, si impegneranno a fare un taglia e cuci migliore....

Sososisu: se la tua recensione dell'altra volta non ti è piaciuta, allora sappi che mi faccio schifo quando scrivo questi ringraziamenti... perchè mi sembra di non ringraziarvi mai abbastanza per il sostegno che mi date, veramente, non sto scherzando! E pensare che sono partita circa sei o sette mesi fa con la prima storiella sui TH e l'hanno recensita solo in 14... e ora ne ricevo almeno nove o dieci solo per un capitolo!

Lidiuz93: Poarin? Di dove sei? Del nord vero? Poarin lo dice sempre un mio amico di Verona!!!

Claudia9 + Alice94: Eccovi accontentate! Speriamo vi sia piaciuto! Grazie mille!!!

SweetPissy: in quante mi hanno chiesto di essere ricoverate alla clinica Sellers... ma ormai non c'è più posto, è full, no vacancies, tutti si sono presi una dipendenza o sono diventati bulimici... che deprimenza! Beh, la scena dell'abbraccio ci stava proprio bene, come i cani ed i gatti quando stanno un pomeriggio a battagliare e poi li trovi a dormire l'uno accanto all'altro... che teneri! Visto? Bill e Tom non hanno litigato e Erin e Gero si sono riappacificati... Va bene così? XD grazie mille!!!

Dark_irina: come ho detto a SweetPissy purtroppo la clinica non ha nemmeno un posticino libero! Tutti malati in Tedeschia appena hanno saputo di Tom!! XD comunque grazie mille per quello che hai scritto, mi ha fatto molto piacere!

Carillon: ma quanto siete curiose tra tutte! La prossima storia che faccio la farò pallosa a mille, per vedere se mi stressate la vita lo stesso!!! XDDD ovviamente scherzo!!! Bill Bill Bill... povero Bill, forse l'ho fatto comparire troppo poco... ma non me ne pento, avevo voglia di giocare con Tom! Grazie mille!!!!

Ruka88: ecco, hai sollevato una cosa che stavo quasi per dimenticare mentre scrivevo questo capitolo... mi ero dimenticata che Bill non aveva visto Tom senza rasta, perchè era venuto a trovarlo quando lui ancora non era stato vittima dell'atto vandalico ma giustificatissimo di Erin... e meno male che, prima di buttare giù questo chap, ho dato una rilettura veloce alla storia e mi è tornato a mente questo fatto! Altrimenti sarebbe stato troppo strano che lui non ci facesse proprio caso! Bea non ci sarà più, è andata all'ikea... scusa la pessima rima e battuta, ma sono le due di notte... grazie mille comunque!!!

   
 
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