BLOOD IN MY
VEINS
I primi parenti arrivarono già verso mezzogiorno, mentre Erin si stava
preparando per tornarsene in sala mensa. Da quando era scesa si era sentita
sempre osservata, soprattutto dai suoi compagni di piano. Per la prima volta,
si sentiva fragile di fronte a tutti. Lei, che aveva sempre camminato a testa
alta, per la prima volta dovette abbassarla. Dette una rapida occhiata ai suoi
quadri, erano stati appesi un po’ male, un po’ storti…
Appoggiò i suoi schizzi su un tavolino sgombro, vicino alle sue tele. Si
osservò intorno e notò diverse ragazze che la guardavano e la indicavano,
confabulando tra loro. Cosa c’era? Non poteva truccarsi anche lei ogni tanto?
Era strano vederla con una gonna ed una maglietta carina? Anche loro si erano
tirate a lucido, eppure non erano così osservate quanto lei.
Che si fottessero, pensava Erin, mentre se ne tornava verso la clinica. Aveva
fame, non aveva fatto colazione per prepararsi. Aveva dovuto ridarsi la matita
sugli occhi più di una volta, non era facile avere la mano ferma e stare in
equilibrio su un piede solo. Tornata nell’aspetto ad essere quella che non era
più, Erin si era sentita un po’ stupida, prima di uscire dalla sua camera. Un
tempo, era una a cui piacevano i pantaloni strappati, le magliette strane, il
trucco e le unghie nere e le cinture di ferro… Chissà se sarebbe stata
ridicola, adesso, in quel modo! Aveva recuperato la sua cintura preferita,
abbandonata da un anno e mezzo in fondo al cassetto con il nastro adesivo. Si
era pitturata le unghie, un velo di nero sugli occhi, i suoi capelli ricci
sempre castigati dal bastoncino di legno scuro. Non avendo scarpe eleganti,
aveva indossato le sue, quelle di sempre. Nere con le stringhe fucsia, le era
sempre piaciuto l’accostamento di questi due colori.
Tutto sommato, non le pareva di essere una pecora nera: se guardava Ada, con la
sua camicetta a fiori, i pantaloni attillatissimi ed i tacchi alti, le pareva
più una squillo che una paziente della clinica Sellers.
A mensa, con il vassoio appoggiato sui braccioli della sedia a rotelle, si
faceva gentilmente servire dal ragazzo di fronte a lei, il famigerato
Vomito-Emil. Odiava le occhiatine che le dava sotto al vassoio.
“Hey, se guardi un’altra volta le mie gambe ti mollo un pugno nello stomaco!”,
esclamò lei.
“Allora cosa te la metti a fare la minigonna?”, sbottò lui.
Tre secondi dopo si ritrovò a boccheggiare per il dolore, mentre Polpettone,
l’inserviente della mensa e amica di Erin, le faceva l’occhiolino di approvazione,
passandole la sua porzione di minestra di verdure. Con lentezza, per evitare
che le si versasse tutto addosso, raggiunse il tavolo dove Tom di solito si
sedeva. Ma lui non c’era, arrivò quando lei stava quasi finendo la sua mela.
“Hey, cosa hai fatto tutto questo tempo?”, gli domandò.
“Ho dovuto accordare la chitarra.”, fece lui.
“Ah… operazione lunga e faticosa.”, disse Erin, ironicamente, “Cosa hai
preparato per lo spettacolino di oggi?”
“Boh, ancora niente… penso che farò un po’ di improvvisazione.”
“Bel programma… e i tuoi allievi?”
“Nessuno vuole esibirsi.”
“Li hai minacciati tu vero?”, disse lei, sorridendo con complicità.
“In parte sì, ma il resto no, si sono quasi ammutinati quando ho detto loro che
la direttrice voleva che si esibissero. Poi ho ristabilito l’ordine dicendo che
lo avrei fatto io. Da solo….", disse, sbuffando, poi le dette una rapida
occhiata con un sorriso di approvazione sulle labbra, "Comunque stai bene,
davvero, sei carina.”
“Oh, grazie per il misero complimento.”, fece Erin, tirandogli una palletta di
pane.
“No, davvero, stai bene. Sembri un’altra persona.”
Erin sorrise, arrossendo un po’.
“Beh… insomma, ero così molto tempo fa. Non sono sempre stata la sciatta che
conosci.”, disse, abbassando lo sguardo per l'imbarazzo.
“Sembreresti quasi una delle nostre fan. Sai, quelle replicanti, che si vestono
uguali a noi, soprattutto a Bill.”
“Così mi offendi! Lo stile di Erin è unico, te lo posso garantire!”
“Sì, sì, ma non ti scaldare… e smettila con queste palline di pane!”, protestò
lui, coprendosi la faccia dalla raffica di palline che gli stava tirando
Erin.
Attese che lui finisse il suo pasto, poi andarono insieme fuori. Per Tom
avevano allestito un piccolo palco, dove si sarebbero anche esibiti i ragazzi
che seguivano il corso di recitazione. Nel mentre che Erin si godeva il
solicello pomeridiano, lui aiutava gli inservienti della clinica a far
funzionare l’impianto audio che era stato noleggiato per l’occasione.
“Belli i tuoi quadri Erin…”, disse qualcuno alle sue spalle.
Lei si voltò, riconobbe Bea, la sua amica… ex amica. Per un momento, le parve
di sentire un tono poco amichevole nelle sue parole e lanciò uno sguardo verso
le sue tele.
Ecco, avrebbe dovuto aspettarselo...
Si avvicinò al suo spazio espositivo: le tele migliori erano state
completamente ricoperte di nero, oppure con un taglierino erano state incise e
sfregiate. I suoi schizzi erano spariti.
Le venne solo da scuotere la testa e andarsene, non voleva dare a quelle
puttane la soddisfazione di vederla piangere oppure arrabbiata. Se era quello
il prezzo da pagare per essere se stessi, allora era contenta di tirare fuori
tutti i soldi. Se, come era certa di pensare, tutto questo odio nei suoi
confronti fosse dovuto in parte anche alla sua amicizia con Tom, allora era
contenta di andarsene in quel modo, senza dare loro il minimo pretesto per
festeggiare.
Andò verso il laghetto, lontana dalla festa.
Vide con la coda dell’occhio Bea avvicinarsi ad Erin, che se ne stava
tranquilla, con il naso all’insù e la mano sugli occhi a vedere il cielo
ombreggiato dalle nuvole. Non le dette peso, magari era un tentativo di
riappacificazione. Quindi tornò su quella marea di pulsanti e manopole che
comandavano l’impianto audio, chiedendosi come facevano i tecnici del suono a capirci
qualcosa.
Poi, una volta che ebbe compreso quel dedalo di bottoni e il volume dei
microfoni e del suo strumento fu regolato alla giusta misura, le venne di
cercarla, non vedendola intorno a lui. Era al laghetto, solitaria, con la testa
appoggiata sulla mano.
“Che ci fai qua? Non sei dalle tue tele?”, le domandò.
“Le mie tele sono state vittima di un vandalismo idiota. Ma del tutto
motivato.”, disse Erin, con voce quasi inespressiva.
“Cosa? Cosa è successo?”, chiese lui, pensando che fosse uno scherzo.
“Vai a vedere tu stesso.”, fece Erin, indicando lo stand con la testa.
Quando tornò qualche minuto dopo, sembrava abbastanza incavolato.
“Sono state quelle stupide, non è vero?”, disse.
“Sì… ma non mi interessa per i quadri… sono gli schizzi, quelli li rivoglio
indietro.”
Tom sospirò, rassegnato, chiedendosi che cosa era passato nella mente di quelle
idiote. Poi, il suo sguardo fu attirato da qualcosa che galleggiava nell’acqua.
“Sono lì…”, disse lui, indicandogli il lato sinistro del laghetto, in una zona
un po’ nascosta alla sua vista, ma soprattutto a quella di Erin, che era
seduta.
“Ecco…", sbottò Erin, "Io sono sempre stata me stessa, franca con
tutti, non ho nascosto le mie simpatie e le mie antipatie… lo so, sono una
stronza e lo sarò per sempre. Ma io non ho mai fatto loro nulla di questo
genere, non ho mai distrutto qualcosa che apparteneva loro.”
“Secondo me è stata Ada…”, insinuò Tom.
“Può essere anche stata un’altra ragazza, non mi interessa. E’ stato fatto e
basta, è questo quello che conta… sarà meglio tornare alla festa e fare finta
di niente...”, disse Erin, spingendo le ruote della sua sedia.
Seduto a cavalcioni sull’altalena, con il suo vestito buono, si dondolava come
aveva fatto migliaia di altre volte. Camicia bianca, jeans scuri, e giacchetta.
Dava le spalle alla festa, non gli interessava.
In quei due giorni aveva fatto il fantasma: aveva saltato le attività, non era
andato in sala computer, né si era fatto vedere altrove, tranne che dal dottor
Bebel. Non aveva preso l’ascensore, dove sicuramente avrebbe potuto
incontrarla, si faceva sempre le scale, a piedi. Andava a mangiare il più tardi
possibile, non metteva il naso fuori dalla sua stanza.
Da quando aveva portato il blocco e l’ipod ad Erin si era completamente
volatilizzato, lasciandola vivere e prendere la sua scelta. Qualsiasi cosa
decideva, a lui andava bene, sia se voleva rimanere sua amica oppure se non lo
voleva più vedere.
Quando, due notti precedenti, era entrato nella sua stanza, lei dormiva
profondamente, scossa da tutti gli avvenimenti della giornata. Aveva cercato di
non fare rumore, aveva appoggiato le sue cose sul comodino e stava per
andarsene. Ma si era voltato, si era chinato su di lei e le aveva dato un
piccolo bacio sulla fronte. Lei si scosse lievemente, borbottò qualcosa di
incomprensibile e si era voltata dall’altra parte.
Il giorno seguente, messo faccia a faccia con Tom, durante una specie di terzo
grado fatto loro da Bebel e dal dottore che stava seguendo Erin, si era
chiarito con lui. Gli aveva chiesto scusa per quello che gli aveva fatto e lui
aveva accettato, chiedendo perdono a sua volta per aver frainteso il suo
tentativo di far calmare Erin. Si strinsero la mano, ma ancora ci sarebbe
voluto molto tempo prima di potersi riavvicinare ancora. Non erano fatti per
essere amici, era chiaro, l’unica cosa che avevano in comune era Erin, entrambi
vicini a lei per motivi totalmente diversi.
Nel mentre che parlava con Bebel, aveva compreso che Erin, negli ultimi giorni,
era stata scossa da qualcosa. Non poteva rivelargli cosa, era un segreto
professionale, ma gli venne subito da pensare a Ben. Non sapeva spiegarselo, ma
era sicuro che fosse tutto ricondotto a lui… forse aveva iniziato a sentire
improvvisamente e più forte di prima la sua mancanza. Ma anche lui, con il suo
assurdo comportamento, aveva fatto la sua parte, ne era sicuro.
Si sentiva terribilmente in colpa, era anche per questo che scappava da lei. E
aveva paura, terribilmente paura, di un suo rifiuto. Lo terrorizzava solo
l’idea. Era quasi certo che era questo quello che sarebbe successo, a vedere la
reazione che aveva avuto Erin, quando si erano incrociati, anche solo per un
attimo, davanti alle porte delle loro stanze…
In quel momento era l’ora di pranzo, tutti erano in mensa, ma lui non aveva
fame. Aveva mangiucchiato qualcosa a colazione, ma il suo stomaco sembrava
essersi chiuso. Stava bene su quell'altalena.
La sua attenzione, per quel momento monopolizzata solo dai suoi pensieri, fu
catturata da un gruppetto di ragazze. Sotto il trucco e gli abiti colorati
riconobbe Ada, Bea e Sissy. Andavano risolute verso gli stands, Bea teneva in
mano una grossa borsa.
Sotto uno dei gazebo, in particolare il gazebo di Erin, sembravano intente a
combinare qualcosa. Si alzò, andando verso di loro. Aumentò il passo fino a
correre e le trovò con in mano pennelli di tinta nera e dei taglierini.
“Che cazzo state facendo?”, disse lui.
“Quello che ci pare!”, esclamò Bea, rompendo in due una delle tele di Erin.
“No!”, esclamò Gero, avvicinandosi, ma Ada, che si era accorto di lui gia da un
po’, gli versò prontamente un po’ di tinta nera sulla camicia e sui pantaloni.
“Ma sei deficiente?”, fece lui, guardando il suo completo, oramai da buttare
nel cesso.
“Tieni, in uno slancio di simpatia.”, fece Sissy, dandogli una delle tele di
Erin, salvandola così dallo scempio.
Ricoperto di nero, con la tela sotto braccio, Gero si allontanò dalle tre
ragazze, che oramai avevano completamente distrutto i lavori di Erin. La portò
al sicuro, in camera sua, e la appoggiò sopra il suo letto. Era la riproduzione
di una coppia di girasoli, i fiori preferiti di Erin, che a lui ricordava tanto
un quadro famosissimo di Van Gogh… ovviamente tra i due c’era un abisso in
mezzo, ma glielo faceva venire in mente. Glielo avrebbe restituito appena poteva,
al più presto possibile…
Si guardò allo specchio: era una macchia quasi unica, che andava dalla sua
faccia fino alla cintola dei pantaloni. Si svestì e si infilò sotto la doccia,
non ne uscì finchè l’acqua che finiva nello scarico non tornò ad essere incolore.
Meno male che quelli non erano gli unici vestiti buoni che aveva: prese
un’altra camicia, un’altra giacca, un altro paio di jeans e fu
pronto per uscire di nuovo. Passando davanti alla finestra, vide che il
giardino si era ripopolato, la festa stava per iniziare.
Prese un lungo respiro, si sistemò i capelli e uscì fuori dall’edificio.
La classe di recitazione era in scena con una serie di monologhi, tratti da
alcune poesie di autori vissuti durante la seconda guerra mondiale. Lo
spettacolo, profondo e doloroso, era di una noia mortale per Erin. Seduta
accanto a Tom, che invece sembrava gustare la rappresentazione quanto bastava
per non addormentarsi, tamburellava le sue dita sulla gamba, canticchiando tra
sé e sé una canzoncina che era in fase di composizione nella sua mente.
Si risvegliò quando tutti iniziarono ad applaudire, segnando così la fine
dell’emozionante spettacolo. Erin vide mamme e nonne commosse, catturare dalla
magnifica empatia che si era creata tra attori e pubblico.
“Gesù… pensavo di addormentarmi…”, disse Tom, che si stava stiracchiando senza
dare troppo nell’occhio.
“Vai a prepararti… adesso è il tuo turno…”, gli fece Erin, dandogli una pacca
sulla spalla.
“Prega per me.”, le rispose lui, calandosi il cappellino sugli occhi.
La direttrice, presentatrice ufficiale della giornata, salì sul palco e lo
presentò.
“Beh… il prossimo ragazzo è il nostro ospite speciale della giornata, anzi, è
l’ospite della clinica. Forse alcuni di voi lo hanno già visto, forse lo
conosceranno grazie ai loro figli. Ad ogni modo, vi pregherei gentilmente di
mantenere il riserbo sulla sua identità, una volta che sarete usciti da qui. Mi
dispiace dirvi una cosa del genere, ma gli abbiamo promesso di non far
proliferare la notizia della sua permanenza nella clinica. Dette queste poche
cose, facciamo un bell’applauso per Tom Kaulitz!”, disse la donna, spostandosi
di lato per accogliere il ragazzo.
“Vai Tom!”, esclamò Erin, applaudendo più forte degli altri.
“Vai Tom!”, sentì dire da una voce sopra a tutte le altre, la voce di Erin.
In fondo al pubblico seduto, composto da circa duecento persone tra pazienti e
parenti, Gero se ne stava comodo, sugli scalini che portavano al parco. Con i
gomiti appoggiati indietro e una sigaretta tra le dita, si gustò come tutti gli
altri le prime note suonate da Tom… gi ricordavano tanto ‘Coffee and TV’
dei Blur, ma forse si sbagliava. Un tipo come lui, che sembrava doversi portare
dietro un arsenale di armi atomiche con quei vestiti circensi, non era uno che
ascoltava del brit-pop.
Una figura gli si parò davanti e cercò di richiamare la sua attenzione per
farlo spostare.
“Hey… non sei il figlio del vetraio…”, gli disse.
Era talmente di umore nero che non avrebbe sopportato nemmeno il minimo sgarbo
nei suoi confronti.
“Ah… scusami…”, fece quello, spostandosi di lato. Poi lo guardò un attimo e gli
chiese se poteva sedersi accanto a lui.
“Certo.”, rispose Gero, atono.
Pentitosi per il malo modo con cui si era rivolto allo sconosciuto con
cappellino in testa e grandi occhiali neri, tirò fuori il pacchetto di
sigarette, gentilmente offerto dalla sua complice Polpettone, dalla tasca della
sua giacchetta nera.
“Scusa per prima… ne vuoi una?”, gli disse, porgendoglielo.
“Oh… grazie mille.”, fece lo sconosciuto, prendendone.
Gerò non potè non notare le sue unghie nere... Gli passò anche il suo
accendino.
“Grazie ancora.”
“Non c’è di che, figurati…”, rispose Gero, riprendendoselo.
“Da quanto è che ha… oh cazzo!”, esclamò quello strano ragazzo, alzandosi dal
suo scalino per guardare ancora meglio davanti a sé, verso il palco.
“Hai visto un fantasma?”, fece Gero, aspirando distrattamente la sigaretta.
“Ma cosa gli avete fatto! Perchè gli avete tagliato i rasta!”, esclamò l’altro,
attirando l’attenzione delle ultime file, non vedendoli spuntare dal retro del
suo cappello come sempre.
Se due più due faceva quattro, tutto questo interesse per gli ex rasta di Tom e
la presenza di quell’altrettanto strano ragazzo lì stava solo a significare che
quello era suo fratello, Bill.
“Ma guarda un po’ chi si vede.”, fece Gero, “Tu sei Bill vero?”
“Sì…”, rispose lui, alterato, “Siete tutti pazzi qui dentro vero?”
“Beh… parlando sinceramente, è stata la sua compagna di stanza Erin a
tagliarglieli.”, disse Gero, senza nascondere un sorriso di divertimento e soddisfazione,
“Si era preso una sbronza pazzesca e, per fargli capire che certe cazzate non
si fanno, glieli ha tagliati di notte, mentre dormiva… avresti dovuto vedere la
faccia di Tom, era incazzato come una biscia, ma gli è servito di lezione,
credimi.”
Bill non sembrava molto contento di quello che aveva sentito e si risedette
abbastanza irritato…
“Io sono Gero.”, disse lui, porgendogli la mano.
“Piacere…”, fece Bill, stringendogliela senza interesse.
“Ti ha fatto venire qui Erin, vero?”
“Sì…”
“Già, c’era da aspettarselo.”, disse Gero.
“Prima ti volevo chiedere da quanto aveva iniziato a suonare…”, chiese Bill,
dopo qualche secondo di silenzio.
“Mah, saranno dieci minuti.”, fece Gero. Poi, notando una certa impazienza nel
suo interlocutore, gli disse: “Qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare, fallo
presto, perchè lo spettacolo sta per finire.”
Non ebbe però tempo di continuare oltre la sua frase che Bill si era alzato.
Camminava dritto, lungo il piccolo corridoio centrale tra le due grandi file di
sedie, tutti gli sguardi dei presenti si focalizzarono su di lui e si levano
diversi mormorii.
Erin, a lato, ringraziò il cielo per aver convinto veramente Bill, ancora
incerto dopo la telefonata di quella mattina, a venire lì. Non sapeva cosa
stava per accadere e si tenne pronta per scattare in piedi e correre dietro
zoppicante al primo dei due che se la dava a gambe.
Non si accorse di lui subito, continuò ancora a suonare, ad improvvisare,
mettendoci un po’ di accordi delle canzoni dei Tokio e un po’ di inventati sul
momento. Non si sentiva molto in forma, suonava solo perchè voleva scendere al
più presto dal palco. Non dette nemmeno uno sguardo al pubblico, non gli
interessava che quello suonasse piacesse loro, né di ricevere qualche applauso
alla fine della sua esibizione.
Voleva solo tornarsene in camera a pensare. Aveva provato, qualche minuto prima
di uscire dall’edificio, a chiamarlo, per sapere come stava… ma niente, lui non
aveva risposto e, al terzo tentativo di chiamata, Bill aveva spento il
telefono. Deluso profondamente, non gli era rimasto altro che andarsene fuori.
Sapeva che era colpa sua se erano arrivati a quel punto e, proprio per questo,
voleva cercare di rimettere le cose in sesto. Non voleva che lui venisse a
vederlo, non era per quello che lo aveva chiamato.Voleva solo parlargli,
spiegarli che aveva compreso i suoi sbagli, che era pronto a tornare sui suoi
passi e a chiedere perdono.
Perdono per tutte le azioni, perdono per tutte le parole, perdono per tutti i
silenzi.
Perdono per riaverlo.
Per tornare ad essere una famiglia.
Per tornare ad essere Tom e Bill.
Stava cercando di unire il suo tentativo di improvvisazione con il refrain di ‘Rette
mich’, una canzone che in quel momento avrebbe voluto con tutto il cuore
spedire dritta verso suo fratello.
Poi gli parve come se il pubblico stesse borbottando, forse si stava annoiando.
Aprì un attimo gli occhi e li avrebbe richiusi subito, se non avesse visto che
Bill, il suo Bill, stava di fronte a lui, a qualche metro dal palco. Mani in
tasca, cappellino, capelli legati… si mordeva il labbro inferiore. Si tolse gli
occhiali.
Non ebbe più la forza di suonare, la musica si fermò, facendo aumentare il
parlottio del pubblico.
I due si guardavano a vicenda, come fossero fermi nel tempo.
“Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene.”,
disse Tom, interrompendo la piccola confusione e tramutandola in silenzio
totale.
Aveva citato un verso di una canzone… della loro canzone… una parafrasi, un
giro di parole, un tentativo…
Bill sembrava impassibile, duro di pietra, fermo tra il pubblico. Tom vide una
sua lacrima scendergli lungo la guancia, velandola del nero del suo trucco. Non
potè fare altro che buttare la chitarra a terra, facendo tremare le orecchie
del pubblico per il gracchiare dei suoni che uscivano dalle casse, scendere con
un salto dal palco e buttarglisi alle braccia, stringendolo così forte che Bill
dovette chiedergli di allentare la presa o lo avrebbe soffocato.
Appena vide Tom gettare via la chitarra, Erin si tenne pronta per scattare,
anche se la sua caviglia non era per niente d’accordo con il resto del corpo.
Ma quando poi vide che le intenzioni del suo amico non erano quelle di scappare
via, si rilassò, sorridendo, mentre tutto il pubblico vicino a lei si chiedeva cosa
diavolo stesse succedendo.
Allora si alzò e, con una certa difficoltà, raggiunse il palco, vi montò sopra,
superando le milioni di domande che gli stava ponendo la direttrice sulla
situazione poco piacevole che si era creata.
Rubò il microfono dalla sua mano e, con scarso equilibrio, andò fino al centro
del palco, dove si appoggiò ad una delle aste che erano state lasciate
inutilizzate dopo lo spettacolo di recitazione.
“Ehm… si sente?”, disse lei, facendo fischiare il microfono e rintronare per la
seconda volta le orecchie di tutti.
I due fratelli Kaulitz si voltarono per sentire le sue parole.
“Ok, scusate per questa interruzione… Ehm…”, disse Erin, alla quale non
riuscivano bene i discorsi in pubblico, soprattutto quelli del tutto inventati
sul momento, "Insomma, non è bello vedere due fratelli riappacificarsi?
Per me è una cosa bellissima. Mi dispiace non averti avvertito del suo arrivo,
Tom, ho voluto farti questa sorpresa, un po’ per ricompensarti di tutto l’aiuto
che mi hai dato, un po’ perchè sono anche io buona dentro… solo un pochino…”
Tom le abbozzò un sorriso.
“Voi siete fortunati ad avere l’un l’altro… davvero fortunati…”, continuò poi.
Le si ruppe la voce e, dopo averla rischiarata diverse volte, ricacciando
dentro le lacrime che le erano salite in superficie, tornò a parlare.
“Dai, andiamo, salite sul palco e allietateci con una bella canzone…. Forza!
Muovetevi!”, esclamò, vedendo soprattutto la reticenza di Bill. Tom lo prese
per la mano, la strinse forte e lo fece salire sul palco.
“Beh… non credete che ci stia proprio bene un bell’appaluso qui?”, fece Erin,
cercando di invitare il pubblico a farlo.
Mentre la gente applaudiva, scese dal palco.
“Appena l’ho visto l’ho subito saputo che eri stata tu…”, disse Tom, quando si
incrociarono.
“Sono diventata così prevedibile? Mio dio, no!”, fece lei, sorridendogli. Dette
un abbraccio veloce ad entrambi e se ne tornò verso la sua sedia a rotelle,
dato che la sua caviglia sinistra aveva iniziato a reclamare pietà a gran voce.
“Ehm… questa è ‘In die Nacht’.”, disse Bill, prendendo il microfono che Tom gli
aveva dato. Di nuovo un piccolo applauso, qualche urletto proveniente dalle
solite galline scervellate, e Tom partì con la canzone, seguito qualche attimo
dopo da Bill.
Erin mosse la sua carrozzina, allontanandosi dal pubblico. Oramai il suo
compito era stato assolto… e un po’ le dispiaceva, ora non aveva più obiettivi
da perseguire, non aveva più nessun Tom da guarire. Andò verso il gazebo dove
erano esposti le due tele e trovò qualcosa che la scioccò.
Sissy, Petra e Ada stavano chinate sul pavimento plastificato, con spunge e
acqua, a pulire le macchie di vernice che erano colate durante la loro opera di
imbrattamento. Si accomodò sulla sedia a rotelle, a guardarle. Parlò solo
quando la sua presenza fu notata.
“In caserma di solito danno gli spazzolini per pulire per terra… ritenetevi
fortunate.”, disse loro, “Mi piacerebbe sapere chi ha fatto la spia.”
“Indovina un po’…”, fece Ada, che aveva interrotto la sua attività
cenerentoliana solo per lanciarle una brutta occhiata, invece della spugna
sporca come avrebbe voluto.
“Vabbè… ad ogni modo pulite per bene… qui c’è una macchia.”, disse Erin,
indicando loro una piccola goccia di vernice scampata alla loro vista.
Chi rompeva pagava, era giusto così, pensò Erin, mentre usciva dal gazebo per
tornare all’aria aperta.
“Du bist alles was ich bin und alles was durch meine Adern fließt . Immer
werden wir uns tragen . Egal wohin wir fahr'n. Egal wie tief .” *, stava
cantando Bill, quando lei tornò a godersi il duo Kaulitz che si esibiva in una
canzone che a lei, personalmente, non piaceva molto, ma le cui parole
sembravano descrivere perfettamente il rapporto speciale ed unico che c’era tra
loro due. Era molto distante da tutti, in disparte, e sorrideva, pensando a
quante cose sarebbero cambiate da quel momento in poi…
“Secondo te sono stato troppo cattivo a fare la spia su quelle tre alla
preside?”, disse Gero, cogliendola di sorpresa alle spalle.
“Sì… cioè, volevo dire no…”, fece Erin, imbarazzata. Anche se lui era alle sue
spalle, lei non riusciva ad alzare il suo sguardo, fissatosi sull’orlo della
sua gonna.
“Sono riuscito a recuperare solo questo.”, disse lui, porgendole la piccola
tela dei girasoli.
“Ah… grazie mille…”, disse Erin, mettendosi il quadretto sulle gambe.
“Hai fatto un buon lavoro con quei due… perchè da grande non diventi una
psicologa?”, chiese lui.
“Non voglio avere a che fare con tipacci come me.”, rispose lei.
“Allora lo farò io lo psicologo.”, fece Gero, sorridendo.
“E perchè?”
Lui le girò intorno, si fermò di fronte a lei e si accucciò sulle gambe, per
mettersi al suo stesso livello.
“Perchè io voglio avere a che fare con tipacce come te…”, le disse, guardandola
dritta nei suoi occhi sfuggenti.
Erin, bocca socchiusa, si sentì avvampare le guance. Mise le mani sulle ruote
della sua sedia e fece qualche centimetro indietro, volgendogli le spalle.
Ecco, lei che doveva acciuffare il fuggitivo Bill o Tom della situazione, stava
scappando…
“Ich will da nicht allein sein, lass uns gemeinsam in die Nacht . Irgendwann
wird es Zeit sein, lass uns gemeinsam in die Nacht.”**, canto Bill, in
quell’istante.
Erin si fermò, colpita dalle parole della canzone
“Halt mich. sonst treib ich alleine in die Nacht . Nimm mich mit und halt
mich sonst treib ich alleine in die Nacht .” ***
“Noi ci supporteremo l’uno con l’altro… non importa dove andremo.”,
disse lei, citando alcune delle parole della canzone
“Non importa quanto in profondità.”, rispose Gero.
“Ma tu sei… tu sei… un mio amico…”, fece Erin, con voce quasi rotta dal
piangere.
“Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene…”,
disse Gero, che a fatica tratteneva le sue lacrime, “Per me non sei solo
un’amica, sei di più, molto di più… e se questo ti sconvolge, non fa niente. Se
non vorrai più vedermi, lo accetto. Io voglio la tua felicità e non mi
interessa in che modo lo avrai.”
Quelle parole, che Gero aveva sentito spesso durante quegli improponibili film
d’amore, in quel momento non suonavano più retoriche, né stupide. Gli salirono
alle labbra, perfette per esprimere il suo stato d’animo ed i suoi sentimenti.
La sua eterna amica Erin gli dava le spalle, seduta sulla sua sedia, a meno di
tre passi da lui, eppure gli sembrava così lontana ed irraggiungibile.
Gli era mancato quasi il fiato quando l’aveva vista sul palco, con il
microfono, mentre improvvisava un discorso… Gli sarebbe sempre piaciuta in
tutti i modi, vestita come sempre ed in quel modo, con un aria così
impertinente che metteva ancora di più in evidenza il suo carattere ribelle,
indipendente ed anticonformista. Stonava rispetto all’eleganza dei parenti
seduti. Contrastava con le ragazze del terzo piano, tutte colorate ed
ingioiellate, così come lui non si accordava per niente con le giacchette ed i
pantaloni di stoffa dei ragazzi. Beh, anche lui aveva la sua giacca, ma la sua
camicia spuntava fuori dai pantaloni di jeans e non era agganciata fino al
collo.
Entrambi così diversi dagli altri, ma simili l’un con l’altro. Con lei aveva
trovato il suo vero io, aveva imparato a deviare dal resto della mandria e a
non uniformarsi, perchè il diverso, anche se emarginato, spiccava sempre, prima
o poi.
Si voltò, per tornare verso la clinica. Oramai era il momento di eclissarsi e
lasciare che Erin andasse avanti, senza lui accanto. Rimanere amici, dopo
quello che le aveva detto, non avrebbe avuto più senso…
Sentì la sua mano afferrata da qualcosa… qualcosa di caldo… dalla mano di Erin.
“Ma… come hai fatto… non ti ho sentito avvicinarti…”, gli disse lui, a pochi
metri dalla porta dell’edificio.
“Forse eri troppo impegnato dai tuoi pensieri.”, fece lei, abbracciandolo più
forte che poteva. Lui contraccambiò, felice e sorpreso, e non gli parve averle
dato un abbraccio più significativo di quello, tra tutti quelli che c’erano
stati prima.
“Non mi importa cosa siamo e cosa diventeremo. L’importante è che tu non mi
lasci da sola…”, gli disse, un attimo prima di scoppiare a piangere.
Erin, stretta tra le braccia di Gero, non riusciva a pensare a momento più
felice di tutta la sua vita da un anno a quella parte… Aprì gli occhi; erano
annebbiati dalle lacrime che le stavano scendendo lentamente ma che la stavano
solcando dentro.
Un’immagine distorta, per niente nitida, si staccava dal verde alla sua destra.
Ben, mani in tasca, un sorriso sul suo viso. Si avvicinò un dito alla
bocca, come per dirle di fare silenzio. Poi si inchinò, facendo uno svolazzo
con la mano, mandò un bacio alla sorella e le fece ciao con la mano… E si
dissolse in un battito di ciglia.
Da quel momento, non lo avrebbe mai più visto, in tutta la sua vita, se non nei
suoi ricordi o nelle fotografie…
Ho messo le traduzioni della canzone ‘In die Nacht’, (troppo scontata?) che mi
è servita per scrivere questo intenso capitolo… mi ci sono voluti tre giorni
per buttarlo giù, per cercare le parole giuste e le scene giuste… spero di aver
fatto un buon lavoro. E spero anche che le traduzioni siano giuste, ho studiato
tedesco anche io per lunghi anni, ma non sono fatte da me perchè mi sarei
bloccata alla prima strofa… Se ci sono delle imprecisioni fatemele notare, così
le correggo! No scopo di lucro, neanche per la citazione di ‘Rette mich’.
* Tu sei tutto quello che sono io e tutto quello che scorre nelle mie vene.
Noi ci supporteremo l'uno con l'altro. Non importa dove andremo. Non importa
quanto in profondità.
** Non voglio essere li da solo, lasciateci insieme nella notte. Qualche
volta sarà il tempo, lasciaci insieme nella notte.
*** Tienimi altrimenti sarò solo nella notte. Prendimi con te e tienimi
altrimenti sarò solo nella notte.
Benchè questo capitolo sia stato postato stamattina, cioè domenica mattina, i
ringraziamenti sono stati scritti ieri notte, sabato notte, all'una e mezza...
scusate, ma non avevo voglia di andare a letto, anche se avevo molto sonno...
quindi è molto probabile che i miei discorsi saranno molto più disconnessi del
solito!!!
MissZombie: E l'email che dicevi? Dov'è? Il postino ha fatto sciopero
per caso? XD scherzo! Comunque non sono riuscita ad ubriacarmi, sigh, il
prosecco non fa niente, a parte stimolare la produzione di aria intestinale...
ma lasciamo perdere... sì, anche io penso come te che Tom abbia due facce, come
del resto tutti noi. Da un lato quella pubblica, dall'altro quella privata.
Entrambe con le loro sfaccettature particolari. Per me è bello cercare di
parlare di personaggi che, durante la storia, si evolvono e mettono in luce
tutto il loro carattere, o per lo meno gran parte di esso. Non amo le Mary Sue,
adoro i personaggi che rappresentano i due opposti: forte-fragile, cattivo-buono.
Tutti noi siamo un grande miscuglio di peculiarità... anche i nostri
personaggi!!! Ci sentiamo su msn! Un bacione!
CowgirlSara: sono contentissima di sapere che la storia di abbia
coinvolto, davvero! E che palle però, avevi già capito da un pezzo che cosa
sarebbe successo tra Bill e Tom! O forse sono stata un po' troppo scontata io a
tirare fuori quella canzone... il dubbio mi sta perseguitando... Eppure mi
sembrava una canzone perfetta, ora piango... sigh sigh... XDDD ci sentiamo su
msn!!! ps: se ti va di disegnare Erin, visto che la recensitrice di cui sotto
(alanadepp) mi ha chiesto di poter vedere come l'ho immaginata... tanto so che
la ritrarrai come l'ho in mente io, ne sono sicura! Se hai tempo, e soprattutto
se ne hai voglia... mi raccomando!
Alanadepp: se la tua amica fa un salto sul sito e legge capità chi sono!
XD E non sono morta mille anni fa, anche se ogni tanto sono talmente antiquata
nelle idee che mi vorrei mettere da sola in esposizione al mercato
dell'antiquariato... comunque grazie sempre di tutto!!!
Martuccia: le idee le tiro fuori dal cilindro magico! No, purtroppo non
è così, ma come ho detto sempre mi vengono prima di addormentarmi, dopo sveglia
o sotto la doccia! Oppure anche semplicemente in un momento di relazzze...
tranquilla se non hai recensito, talvolta anche il mio pc decide di andare in
vacanza. Ne ha tutti i diritti, con le brutte parole con cui lo prendo quando
si incricca!!! Un bacione!!!
Momentito di pausa: su mtv stanno passando i TH..... per chi avesse
visto il video di ubers ende der welt (scusate per l'assenza dell'umlaut): non
avete notato che quello di ready set go è fatto dei ritagli di quel video e
che, in certi punti, le labbra di bill non cantano le parole della canzone in
inglese??? cioè è fuori sincro, in termini di doppiaggio??? mah, che pessimo
lavoro... intendo il video di ready set go, non quello di ubers ende der
welt... almeno che si impegnassero a rigirare completamente le scene cantate in
inglese!!! Meno male che Martina, alias MissZombie, mi ha informato dell'uscita
del nuovo video 'An deiner Seite'... ancora non l'ho visto, ma lo farò presto!
E spero che, se uscirà un altro video dei TH su una canzone di Scream, si
impegneranno a fare un taglia e cuci migliore....
Sososisu: se la tua recensione dell'altra volta non ti è piaciuta,
allora sappi che mi faccio schifo quando scrivo questi ringraziamenti... perchè
mi sembra di non ringraziarvi mai abbastanza per il sostegno che mi date,
veramente, non sto scherzando! E pensare che sono partita circa sei o sette
mesi fa con la prima storiella sui TH e l'hanno recensita solo in 14... e ora
ne ricevo almeno nove o dieci solo per un capitolo!
Lidiuz93: Poarin? Di dove sei? Del nord vero? Poarin lo dice sempre un
mio amico di Verona!!!
Claudia9 + Alice94: Eccovi accontentate! Speriamo vi sia
piaciuto! Grazie mille!!!
SweetPissy: in quante mi hanno chiesto di essere ricoverate alla clinica
Sellers... ma ormai non c'è più posto, è full, no vacancies, tutti si sono
presi una dipendenza o sono diventati bulimici... che deprimenza! Beh, la scena
dell'abbraccio ci stava proprio bene, come i cani ed i gatti quando stanno un
pomeriggio a battagliare e poi li trovi a dormire l'uno accanto all'altro...
che teneri! Visto? Bill e Tom non hanno litigato e Erin e Gero si sono
riappacificati... Va bene così? XD grazie mille!!!
Dark_irina: come ho detto a SweetPissy purtroppo la clinica non ha
nemmeno un posticino libero! Tutti malati in Tedeschia appena hanno saputo di
Tom!! XD comunque grazie mille per quello che hai scritto, mi ha fatto molto
piacere!
Carillon: ma quanto siete curiose tra tutte! La prossima storia che
faccio la farò pallosa a mille, per vedere se mi stressate la vita lo stesso!!!
XDDD ovviamente scherzo!!! Bill Bill Bill... povero Bill, forse l'ho fatto comparire
troppo poco... ma non me ne pento, avevo voglia di giocare con Tom! Grazie
mille!!!!
Ruka88: ecco, hai sollevato una cosa che stavo quasi per dimenticare
mentre scrivevo questo capitolo... mi ero dimenticata che Bill non aveva visto
Tom senza rasta, perchè era venuto a trovarlo quando lui ancora non era stato
vittima dell'atto vandalico ma giustificatissimo di Erin... e meno male che,
prima di buttare giù questo chap, ho dato una rilettura veloce alla storia e mi
è tornato a mente questo fatto! Altrimenti sarebbe stato troppo strano che lui
non ci facesse proprio caso! Bea non ci sarà più, è andata all'ikea... scusa la
pessima rima e battuta, ma sono le due di notte... grazie mille comunque!!!