Introduzione
What I’ve done…???
(Linkin Park-What I’ve Done)
Era già da qualche settimana che Emily si trovava
all’Istituto. Sua sorella Tessa trovava tutto interessante, curiosa di sapere,
di scoprire come mai riusciva a mutare forma mentre la piccola e coraggiosa
Emily Gray, 15 anni appena compiuti, non riusciva a evitarsi di detestare la
situazione. Quel luogo le era sconosciuto, coloro che vi abitavano pure e lei
non riusciva a concentrarsi. La sensazione di essere nel posto giusto arrivava
solo mentre ritraeva, matita e blocco da disegno in mano, le persone e i luoghi
presenti dentro quella vecchia chiesa abbandonata.
E poi c’era quel ragazzo, Will Herondale, che la infastidiva
continuamente. La faceva dannare con quel suo sguardo profondo e aggressivo e
con le sue parole quasi velenose, eppure lei non poteva fare a meno di trovarlo attraente. Era
indiscutibilmente un bel ragazzo: disordinati capelli neri come il petrolio,
uno sguardo azzurro scuro, quasi di cobalto, la pelle chiara messa quasi in
evidenza dai marchi nerissimi disegnati su di essa, un corpo ben fatto, snello,
slanciato, di chi si allena spesso, dalla muscolatura accennata ma definita. Il
sorriso era indescrivibile, a volte era vero, raggiungeva gli occhi, altre
volte era malizioso, allusivo, altre ancora gelido, freddo.
Emily non lo capiva, sapeva solo di trovarlo fortemente
antipatico e villano. La faceva arrabbiare, con le sue allusioni, con gli
sguardi prepotenti, aggressivi che rivolgeva solo a lei, con le sue parole
taglienti, con le critiche… Lui era troppo mutevole, lunatico, per stargli
dietro. Era buono o cattivo? Voleva bene a qualcuno che non fosse il suo
migliore amico? Erano domande alla quale Emily non aveva una risposta, e le
dava un’ENORME fastidio non sapere le cose.
La ragazza scese giù per le scale, andando in sala da pranzo
per la colazione, col blocco da disegno stretto al petto e la matita dietro
l’orecchio. I capelli ramati le scendevano in boccoli ordinati lungo la
schiena, sciolti. Vide, seduti al tavolo, Jessamine intenta a guardare torva la
propria colazione, Charlotte che parlava col marito, Jem che la salutò con un
caldo sorriso e Will che la ignorava, mangiando un piatto pieno di uova fritte
e bacon. Emily lo guardo schifata.
<< Ma come fai a mangiare così? Io non ci riuscirei
neanche se volessi! >> lui deglutì il boccone e la guardò con un
sorrisone mentre lei lo guardava stranita e ancora più schifata di prima
insieme.
<< Io sono un maschio, e mi alleno. Se fossi come me mangeresti
così anche tu. >> rispose lui, tutto tranquillo, tornando a mangiare.
<< Contento te. Comunque non puoi usare la scusa che
sei un maschio! Non vale! >>
<< Oh sì che vale, principessina. >> Will aveva
tutta l’intenzione di infastidirla.
<< Non. Sono. Una. Principessina. >> rispose lei,
fulminandolo con gli occhi.
<< Ma che hai oggi? Ti arrabbi più facilmente del
solito, hai il ciclo mestruale per caso? >> il ragazzo cominciava a
divertirsi mentre lei, imbarazzata e infuriata, arrossì violentemente sbattendo
il blocco da disegno sul tavolo.
<< MA COME OSI?! >> lei era fin troppo
arrabbiata. Lui la guardò sorridendo candidamente come un bambino.
<< Ho detto qualcosa di sbagliato? >> chiese,
inclinando la testa da un lato come un cucciolo. Emily fu troppo veloce per
venire fermata: prese la prima brocca d’acqua a disposizione e la ruppe in
testa al ragazzo, che si portò una mano sul capo, dopo l’urto, anche se,
evidentemente, quello non aveva sortito l’effetto sperato.
<< Ahi. Mi hai fatto male! È evidente, hai il ciclo.
Solo col ciclo una fanciulla così graziosa può dimostrare tanta violenza e
aggressività, tramutandosi in una macchina assassina. >>
Un’altra brocca fece la fine della prima. Will si massaggiò
il capo, gemendo e brontolando.
<< Ma perché continui a rompermi brocche in testa? Vuoi
uccidermi per caso? Ho solo detto che forse stamattina sei aggressiva per colpa
del ci… >> non riuscì a finire una frase che Emily lo interruppe
<< Jem, mi prenderesti quel vassoio? >> chiese
lei al migliore amico di Will, indicando una vassoio d’argento. Lui glielo
prese e glielo passò, sorridente.
<< Cosa ci vuoi fare con quel coso? >> chiese il
moro guardandola sospettosa, lei sorrise e con tutta la forse che aveva in
corpo lo colpì sul viso con vassoio, facendogli parecchio male. Dopo il colpo,
Will gemeva, tenendosi il naso con le dita, per assicurarsi che non fosse
rotto, ed Emily ansimava per lo sforzo, rossa in viso, coi capelli disordinati.
<< Ora hai finito di fare battutine sul mio ciclo?!
>> chiese lei, con la voce acuta per l’irritazione.
<< Direi di sì, visto che mi hai quasi rotto il naso.
Sei una ragazza violenta, non mi meraviglierebbe se fossero ben in pochi a
farti la corte… >> rispose lui, punto nel vivo. Poi, per dispetto, le
prese l’album da disegno, cominciando a sfogliarlo.
Osservava con parecchia curiosità le immagini che Emily ci
aveva disegnato sopra. Lo sfogliò velocemente, prima che lei potesse accorgersi
che lo aveva lui, e giunse all’ultima trentina di pagine, tutte dedicate ai vari
ambienti dell’Istituto e ai Cacciatori che vi vivevano. Will vide vari suoi
ritratti e anche di Jem, alcuni di Jessamine e altri di Charlotte. Il moro notò
immediatamente la bravura di Emily nel disegnare, vide la cura con cui trattava
ogni disegno. Si fermò su un suo ritratto, lei lo aveva disegnato mentre
leggeva in biblioteca e lui ne rimase sconvolto. Nessuno riusciva mai a
beccarlo mentre leggeva in biblioteca, lei ci era riuscita. Aveva disegnato con
cura ogni suo singolo tratto, come se la matita si fosse mosse da sola, creando
un disegno di luce bianco-nera soffusa, sfumata. Will non aveva mai osservato
tanta bravura in un disegno: Emily era riuscita perfino a disegnare i marchi
sul collo e sulle mani .
Will era talmente concentrato sul disegno che non vide il
volto furibondo della ragazza, non appena notò chi aveva il suo album da
disegno. Glielo strappò dalle mani, stringendolo al petto e gli diede uno
schiaffo per buona misura. Lo schiocco risuonò tra le pareti, sotto gli sguardi
dei Cacciatori presenti nella sala. William Herondale era ancora più sconvolto
degli altri, sapeva che lei amava quel blocco da disegno, si vedeva da come lo
teneva bene, ma mai si sarebbe aspettato di venire schiaffeggiato.
Onestamente pensava che nessun uomo si sarebbe mai fatto
schiaffeggiare da una donna in quel modo, e anche Emily lo pensava, mentre lo
guardava quasi spaventata dalla reazione che poteva avere. Will si portò una
mano sulla guancia, che pulsava, dolorante, ma non pensò a “punirla” o farle
alcun male, era ancora troppo scioccato, sia dal disegno che dallo schiaffo.
In quel momento comparve Tessa, che li guardò tutti straniti.
<< E’ successo qualcosa? >> chiese, preoccupata
più per Will che per sua sorella. Era strano vederlo con quello sguardo vacuo,
perso nel nulla. Tessa sapeva e aveva sempre pensato che Emily se la sarebbe
sempre cavata, in modo o nell’altro.
<< No. Non è successo nulla. >> rispose Jem, con
una lieve traccia di preoccupazione nella voce.
<< Sicuri? >> chiese di nuovo la mutaforma.
<< Sì. Sicurissimi. >> stavolta a rispondere fu
Will, con voce ferma, troppo ferma. Tessa si lasciò convincere, Emily no.
Sapeva che Will le avrebbe fatto qualcosa per vendicarsi, ne era certa. Uscì
dalla stanza, quasi correndo, sentendo la rilassante presenza del suo amato blocco
da disegno stretto al petto formoso e costretto in quel corpetto che lei
odiava, ma che era obbligata ad indossare.
La biblioteca
Could
be an angel,
could be the devil
(Katy Perry-E.T.)
Si rifugiò in biblioteca, cercando Orgoglio e Pregiudizio di
Jane Austen tra gli scaffali: leggere i drammi sentimentali del Signor Darcy e
di Elizabeth Benneth l’avrebbe aiutata a non scoppiare a piangere.
Era spaventata, turbata, emozionata, tutto quanto insieme. E
non era per lo schiaffo. Era per lo sguardo di fuoco che Will le aveva rivolto
dopo: bruciante, doloroso, ma anche piacevole, caldo. Ripensare a quello
sguardo le diede una sensazione di calore alla pancia, o forse appena più giù.
Era così intenso, così intimo, che le pareva di stare all’inferno. Nessuno
aveva mai avuto così tanto sulle sue emozioni come quel ragazzo, nessuno si era
mai spinto così in là con lei, lui sì.
Cercò il libro tra gli scaffali e lo trovò, cominciò e
leggerlo, ma non riusciva a concentrarsi, quello sguardo continuava a
comparirle agli occhi. Si ritrovò a rileggere per la quinta volta la stessa
riga, senza comprenderla. Con un sospiro frustrato chiuse il libro di colpo, e
guardò fuori dalle finestre: era già buio. Non se n’era minimamente accorta.
<< Stupita del calare della sera? >> le chiese
una voce leggermente roca, che lei riconobbe subito: Will.
<< Cosa vuoi? >> la voce le tremò un poco, come
le gambe. Il ragazzo comparve come una visione dall’ombra, camminando
lentamente, silenziosamente, come un felino che si avvicina alla preda. Una
pantera nera dagli occhi azzurri. Emily pensò che fosse un bel paragone.
<< Non voglio farti niente, provi una paura immotivata.
>> disse lui, calmo e rilassato. Lei si agitò ancora di più, non le
piaceva la sensazione di stare da sola in biblioteca con lui.
<< E chi ti dice che ho paura? >> chiese lei,
spavalda. Lui rise piano di una risata bassa, roca, tentatrice.
<< La tua voce. Sta tremando. E anche tu. Tremi come un
foglia, hai paura che io ti voglia fa del male. Se fossi un uomo normale
dovresti avere paura, ma per tua fortuna non è così. Non ti torcerò un capello,
volevo solo avvertirti che si sta per cenare, hai passato tutto il giorno qui
dentro. >> la voce di lui era controllata, calma, o almeno sembrava così.
Ora Will le era più vicino, e lei notò che aveva delle
ciocche che gli ricadevano scomposte sugli occhi e che era per metà immerso
nell’ombra, creando un effetto che lo rendeva spaventoso, minaccioso. Emily
pensò che sarebbe stato perfetto per fare un ritratto. Era così bello… Emily si
riscosse da quel pensiero, per quanto sapesse che era la verità.
Il ragazzo le fece un mezzo sorriso, e lei notò che con la
stava osservando attentamente, bramoso di chissà che cosa. Le accarezzò le
gambe con lo sguardo, salendo a guardarle i fianchi tondeggianti e la vita
stretta, il seno pieno, il lungo collo da cigno e il viso femminile, ma ancora
un po’ acerbo, da bambina. Will deglutì a vuoto, notando quando fosse bella e
graziosa la piccola e minuta Emily… Al buio lo era ancora di più che alla luce
del sole.
Gli si bloccò il respiro in gola, e non poté credere di
desiderarla con tanta bramosia e disperazione. Scosse forte la testa, negandosi
quel piacere. Tutto, ma non lei. Era sicuro che lo avrebbe ucciso prima di
cedere alle sue avances.
Si avvicinò ancora di più a lei, per osservarla ancora più da
vicino. Lei rimase immobile, come se fosse paralizzata. Le accarezzò una
guancia, scendendo ad sfiorarle la gola, in preda ad un impulso che non sapeva
reprimere. Lei trattene il respiro quando sentì la mano di Will toccarle la
gola, ora esposta.
Lui chinò il volto sul suo collo, ispirando il profumo di
fiori di lei e imprimendolo nella memoria... Poi si allontanò di scatto, come
se si fosse scottato e se ne andò via, camminando velocemente per tornare nella
sala da pranzo dove disse che Emily sarebbe arrivata di lì a poco.
Lei rimase in biblioteca, ansimante, ancora immobile tra gli
scaffali deserti. Sentiva caldo sotto ai vestiti e mai avrebbe potuto scordare
il respiro di Will sulla gola esposta, vulnerabile. Non si era mai sentita così
fragile in vita sua, avrebbe voluto tanto correre in camera, rannicchiarsi
sotto le coperte e piangere tutte le lacrime che aveva, anche se non aveva un
motivo ben preciso per farlo. Forse solo perché sentiva il cuore scoppiare nel
petto, forse era solo quella la scusa per piangere, per sfogarsi, per gridare
fino a consumare le corde vocali.
Tremante, si avviò verso la sala da pranzo come un automa,
come se non fosse lei a volersi muovere, come se fosse qualcun altro a
spingerla. Tutti la accolsero con un sorriso, che lei cercò di ricambiare, ma
era troppo confusa e debole per fare alcunché.
La cena sia per Will che Emily fu veloce e scarsa poiché
nessuno dei due aveva voglia di mangiare. Si congedarono altrettanto rapidamente
per andare ognuno nella propria stanza, con i propri pensieri e le proprie
ansie e preoccupazioni.
Ansie e pensieri
Anger and agony…
(Three Days Grace-Pain)
Emily corse nella sua camera, chiudendosi dentro e buttandosi
sul letto, ricordando le mani di Will sul suo collo, il suo respiro caldo sulla
gola… Si sentiva così fragile, così debole che si odiò per un breve attimo.
Odiò l’effetto che le faceva la vicinanza di quel ragazzo. Odiò la sua
incapacità di ribellarsi e di imporsi. Odiò il fatto di aver provato piacere nelle carezze di lui, nel suo
sguardo così intenso da sembrarle liquido, così prepotente da farle pensare di
bruciare. Odiò Tessa, sua sorella. Odiò l’affetto a l’attrazione indiscutibile
che sia Jem sia Will provavano per lei. La odiò perché era sempre lei al centro dell’attenzione. Odiò suo fratello per essere
un idiota perso nel mondo dei sogni. Per averle portate in Inghilterra. Per
averla condannata a quella sofferenza.
Odiò il mondo intero, perché lo voleva, perché ne aveva
bisogno.
Crollò col viso sul cuscino, esausta. Senza nemmeno
rendersene conto cominciò a piangere, pianse tutte le lacrime che aveva in modo
silenzioso, perché sentiva un legame, un legame che non poteva e non doveva esistere. Si maledì di essere
così sciocca, frivola, stupida. Si maledì di aver ceduto alle prime che
attenzioni che riceveva dopo anni che viveva. Si maledì di aver dato fiducia a
dei perfetti sconosciuti, solo perché le avevano salvato la vita. Si maledì di
aver sognato, di non avere la testa sulle spalle. Si maledì di non essere come
tutte le altre giovani, che volano solo sposarsi e sistemarsi mentre lei no,
lei doveva per forza vivere un’avventura,
disegnare, sognare mondi sconosciuti da esplorare neanche fosse una bambina di
8 anni.
Will, nella stanza adiacente a quella di Emily, stava steso
sul materasso, fissando il soffitto come se stesse cercando lì sopra le
risposte ai suoi dubbi.
Non riusciva a capire perché si sentiva così attratto da
quella piccola e fragile mondana. Nella biblioteca appena si era accorta di lui
aveva cominciato a tremare come una foglia, ma era anche vero che lui l’aveva
guardata a lungo prima di parlarle. L’aveva osservata in cerca di quella cosa
che la rendeva bella, di quella cosa che lo attraeva, di quella cosa che la
rendeva splendida in tutti i sensi. Forse non esisteva, forse era nascosta,
forse era solo la sua immaginazione o forse era il carattere orgoglioso e
dignitoso di lei a farlo uscire di senno. O forse cercava un movente alla sua
irrazionale, insensata e perversa ossessione per lei. O forse tutte queste
insieme. Più sembrava avvicinarsi alla soluzione, più essa gli sfuggiva, come
acqua tra le mani. E tutto ciò lo faceva infuriare, era abituato a mantenere il
controllo di tutta la situazione, ma lei spezzava il suo equilibrio.
Probabilmente cercava una via di fuga a quel sentimento che cominciava a
provare per la sorella, Tessa. Emily era più graziosa e carina, ma Tessa più
matura, o almeno così sembrava.
Will sospirò frustrato, rigirandosi tra le lenzuola. Non
riusciva a dormire.
Udì la porta aprirsi e, girandosi di nuovo, vide Jem entrare
e sorridergli.
<< Insonnia? >> gli chiese, con un sorrisone sul
volto. L’amico sbuffò di nuovo.
<< Evidentemente non sono l’unico a soffrire d’insonnia
stasera. >> rispose, piccato.
<< Hai ragione. Sai com’è, il dolore… ma non importa.
Piuttosto, cosa ti affligge stasera? >> il biondo era leggermente
preoccupato. Il moro sospirò, quasi malinconico.
<< Uff… E’ una
cosa lunga… >> disse, cercando di evitare il discorso.
<< Parlamene lo stesso. Riguarda Emily, non è vero? A
cena eravate assenti con la testa ed evitavate di guardarvi. >>
insistette James.
Will emise l’ennesimo sospiro.
<< Sì, riguarda quella pazza furiosa di Emily. >>
lo disse quasi con un sorriso, laconico.
<< Che è successo in biblioteca? >> chiese,
curioso, l’altro.
<< L’ho quasi baciata. Dio, Jem… Non puoi capire, era
così bella, tremava come una foglia, impaurita… Mi sembrava così piccola,
fragile… volevo proteggerla, stringerla. Ero sul punto di baciarla… Poi sono
tornato in me. Non potevo farlo, lei è una mondana, un’umana. >> la voce
era stentata, quasi gli tremava.
<< Perché non l’hai baciata? >> chiese James.
<< Perché non potevo. Semplicemente non potevo. Sono
sicuro che se l’avessi fatto sarei andato avanti, mi sarei spinto oltre. In
biblioteca… >> il moro si interruppe, sbuffando rumorosamente, poi
riprese
<< …devo chiedere a Charlotte di farle indossare
vestiti meno tentatori e, SOPRATTUTTO, corsetti meno stretti. >> Jem fece
un sorriso sbilenco.
<< Il suo seno ti piace veramente così tanto? Ti attira
tanto? >> era una domanda che solo tra amici e confidenti, tra parabatai, ci si poteva fare.
<< Fin troppo. Mi eccita, Jem, in modo terribilmente
doloroso. La desidero… e non riesco a capirne il motivo. >> la sua voce
era un sussurro, un rantolo strozzato.
<< Ci DEVE essere un motivo? Lei ti piace, punto. E’
veramente così difficile per te, Will? Di solito non ti fai problemi ad andare
“per donne capricciose”, stavolta è tutto così difficile? >> il
ragionamento di Jem non faceva una piega, eppure Will sapeva che non era una
semplice voglia adolescenziale, era un qualcosa di più.
<< Sì. Cioè, no. NON LO SO! NON LO SO, JEM! E’ per
questo che è così difficile! Non so nemmeno cosa voglio! >> esclamò Will,
alzando di un poco la voce.
<< Shhh! Emily dorme a dieci centimetri di parete da
te, vuoi svegliarla per caso? A meno che anche non sia presa da drammi
esistenziali profondi come te in questo momento. Forse si sta chiedendo perché
non l’hai baciata. Forse si sta rigirando tra le coperte, desiderandoti quanto
tu desideri lei. Forse sta piangendo, dando sfogo alla sua disperazione. Forse
ha paura che tu possa prenderla di nuovo tra braccia. Forse, forse forse…
>> Jem sorrideva mentre cercava di far capire all’amico il desiderio che
provava non era qualcosa di sbagliato. Will lo guardò e il biondo che le
pupille gli si erano allargate, coprendo l’azzurro profondo delle iridi… notò
anche gli occhi erano leggermente lucidi. Ghignò, trovando estremamente
divertente la debolezza sciocca e immotivata del proprio migliore amico.
<< Non posso credere che anche una minima congettura di
lei stesa sul letto, con solo la camicia da notte addosso, riesca ad eccitarti.
>> la voce conteneva una punta di ilarità che Will non faticò a
riconoscere.
<< Smettila di prenderti gioco di me, Jem, è una cosa
seria. Come vedi, non riesco a controllare nemmeno le mie fantasie. >>
Will, sospirando sconfitto, buttò il capo all’indietro, sul cuscino. Era
confuso, arrabbiato, irritato, infastidito… anche eccitato. Un mix di emozioni
che lo sconvolgevano, lo facevano tentennare, lo rendevano insicuro. Si sentiva
debole ed esposto in quello stato. E la cosa più assurda per lui era che una
ragazza lo aveva ridotto così. Una ragazza, non una Cacciatrice, non
un’affascinante vampira come Camille, o qualche altra Nascosta, ma una mondana.
Una semplice mondana, dal carattere impossibile e dal senso dell’umorismo quasi
assente, ma, Will dovette riconoscerlo, con una straordinaria abilità per il
disegno.
<< Il mio compito qui è finito Will, mi sembra che tu
ti sia reso conto che ciò che provi è totalmente naturale. >> il biondo
sorrise e lo guardò con affetto, per poi uscire e tornarsene nella propria
stanza.
Il moro, sospirando, si alzò e andò verso la parete,
abbastanza sottile, che lo divideva da Emily. Ci poggiò sopra la mano aperta,
sentendo chiaramente la presenza della ragazza dall’altra parte. La desiderava
così tanto che si sentiva sconfitto, annullato dal suo stesso corpo, da se
stesso. Sentendo l’improvviso impulso di andare da lei, di andare ad
abbracciarla, a stringerla, a baciarla tornò a letto, cadendo fra le lenzuola,
portandosi il braccio sopra gli occhi… si addormentò quasi subito, tormentato
da sogni che non facevano altro che rinfacciargli ciò che provava e ciò che
desiderava fare.
Emily, dall’altra parte di quel muro, dormiva tra le lacrime.
Il pensiero di avere Will a così poca distanza la tormentava anche nel sonno, e
non riusciva ad dormire bene: si girava e rigirava, sudava e aveva caldo come
se avesse la febbre…
Si risvegliò di colpo quando sentì dei passi affrettati nel
corridoio. Ancora intontita, andò verso lo specchio per guardare il proprio
riflesso: si vide pallida come un lenzuolo, pesanti occhiaie sotto gli occhi
che erano rossi e gonfi dal tanto piangere. Non si era mai sentita così male e
a disagio. Si lavò accuratamente il viso, sperando di, almeno, attenuare quelle
occhiaie che le appesantivano lo sguardo, di solito verde come un prato
irlandese, vivace e gioioso.
Dopo essersi preparata, scese in Sala da Pranzo, notando
subito che Will non era messo meglio di lei: era più pallido del solito e
sembrava aver passato una notte insonne.
Emily si sedette al proprio posto, di fianco a Jem, con un
sospiro stanco, prendendosi la testa tra le mani e massaggiandosi le tempie
mentre cercava di alleviare il terribile mal di testa che le era venuto. Jem le
offrì un bicchiere di succo d’arancia, che lei accettò con un sorriso tirato e
stanco, per non dire esausto.
Will, anche se era mezzo addormentato, notò immediatamente, e
con allarme, le profonde occhiaie sotto gli occhi di lei che si guardavano
intorno tristi e spenti, senza la solita e caratteristica emotività ed
espressività. Sembrava che Emily avesse perso i sentimenti, sembrava che fosse
apatica, che non sentisse niente. Sentì un qualcosa muoversi dentro, lo strano
bisogno e la strana voglia di consolarla… Un motivo non ne aveva, e nemmeno una
giustificazione. Trattenne un sospiro frustrato, uno dei tanti che, da due
giorni a questa parte, emetteva. Doveva sbloccare quella situazione, era troppo
stressante.
Tra i due ci fu un velocissimo scambio di sguardi ma nessuno
dei due riusciva a sostenere lo sguardo dell’altro.
La giornata sembrò durare poco per entrambi, troppo presi a
pensare su quanto sarebbe stato bello giacere tra le braccia dell’altro,
coccolarsi e lasciar uscire fuori quella tensione, quello stress accumulato in
quella notte di divisione. Pensare troppo faceva male, portava ai ripensamenti,
ai rimorsi, alla tristezza prima del tempo…
Notte Proibita
Kiss
me, k-k-kiss me,
Take
me, t-t-take me.
(Katy Perry-E.T.)
Quella sera venne l’occasione propizia: tutti erano già
andati a dormire da un po’, mentre Emily era rimasta a leggere in biblioteca,
non accorgendosi della stanchezza e dell’ora tarda. Will, invece, la osservava
nell’ombra, non facendosi notare, sentendosi un codardo. Quando lei se ritirò
per andare a dormire, la seguì, silenzioso come un gatto, per i corridoi. Aveva
già avuto tempo più che abbondante per fantasticare su di lei, sul suo corpo,
sul suo carattere… Era ora di agire. Mentre lei si accingeva ad avviarsi verso
la porta della propria camera, lui mosse un passo verso la luce lunare che
entrava dalla finestra del corridoio, sorridendo malizioso, sospirando in modo
languido e teatrale. Lei si girò subitaneamente, sgranando gli occhi, sorpresa
e spaventata dalla sua improvvisa comparsa.
<< Stai per entrare in camera? >> chiese lui con
tono quasi innocente, che, però,
nascondeva una punta di malizia.
<< Sì, e gradirei evitare la tua fastidiosa presenza.
>> il tono di lei voleva essere irritato, ma la recita non le era
riuscita come sperava: le tremava un poco la voce, a causa della paura, ed era
lievemente roca a causa dell’improvviso desiderio di lui che si era risvegliato
in modo improvviso e inaspettato.
<< Piccola bugiarda. >> sibilò Will, avvicinandosi
velocemente quanto silenziosamente a Emily, osservandola bramoso e cogliendola
di sorpresa.
La spinse lentamente contro la parete, ben sapendo che erano
gli unici ad avere la stanza in quel corridoio. Emily sospirò, non riuscendo a
trattenere l’inaspettato desiderio di lui che l’aveva colta… Il ragazzo,
eccitato da quel sospiro languido e voglioso, le baciò la gola, per risalire e
sfiorare, finalmente, le sue labbra con le proprie. Fu di una dolcezza
infinita, mista a passione e desiderio represso, un fuoco che difficilmente si
sarebbe estinto presto.
Will, non riuscendo a trattenersi, portò una mano sulla vita
di lei, per premerla contro di sé, mentre con l’altra le accarezzava piano la
gola, provocandola. Emily si sentiva travolta dalle emozioni, non sapeva
controllarle, non sapeva quando fossero nate nel suo animo ma, per certo,
sapeva che erano la vicinanza e le attenzioni di Will a provocarle. E le
piaceva. Le piaceva sentirsi importante per qualcuno, sentirsi desiderata… e il
ragazzo le stava dando grande prova del suo desiderio, lei lo sentiva
fisicamente, premuta com’era contro il fisico snello ma allenato del bel
Cacciatore.
Le piaceva sentire le morbide labbra di quel ragazzo sulle
proprie, la sua lingua sul palato, le sue mani addosso… le piaceva sentirsi
incastrata a lui in quel modo diretto e semplice, puro e istintivo.
Entrambi sentivano la voglia e il desiderio scorrere nelle
vene insieme al sangue, che ribolliva e che veniva pompato velocemente dai
battiti accelerati dei loro cuori.
Il bacio si approfondì ancora, diventando disperato, bisogno,
illogico, irrazionale, contro ogni regola, ma semplicemente meraviglioso. Quel
bacio divenne una promessa, una promessa di segretezza, un segreto mortale che
li avrebbe spediti entrambi all’Inferno senza vie di mezzo. Fu così profondo e
bruciante di passione che consumò entrambi, lasciandoli senza fiato, ansimanti,
a guardarsi negli occhi con un incendio nello sguardo.
Will nascose il viso contro il collo di lei, sospirando sulla
sua pelle, per poi ridacchiare come un bambino birichino.
Emily gli accarezzò i capelli scuri, capendo subito che il
fuoco che li bruciava non si era spento, solo che aspettava un momento più
propizio per consumarsi.
Il ragazzo, togliendo il viso dal suo collo e osservandola
attentamente in viso, notando le guance rosse, i capelli scompigliati e gli
occhi liquidi, le sussurrò con voce roca
<< Che ne dici se andiamo nella tua, di stanza? Non
vorrei che Jem entrasse nella mia nel cuore della notte e ci trovasse in
atteggiamenti, diciamo… poco consoni. >>
<< Poco consoni dici? >> ridacchiò lei in
risposta, facendogli capire che qualsiasi fosse stata la sua proposta avrebbe
accettato senza remore.
<< Sì, poco consoni. E ora zitta e ricominciamo da dove
ci eravamo interrotti, non voglio stare qui fino a mattina, c’è un problemi che
devi risolvere con me, cara… >> il tono malizioso e allusivo faceva ben
intendere a che tipo di problemino si trattasse…
Dopo uno sguardo intendo e bruciante, i due ripresero a
baciarsi, entrando nella camera della ragazza tra gemiti, sospiri ed ansiti,
che rivelavano il loro bisogno l’uno dell’altra.
I vestiti vennero tolti in fretta, il desiderio non lasciava
scampo: non riuscivano a resistere. Andarono sotto le coperte, ridacchiando,
maliziosi e languidi. I sospiri di piacere, i gemiti non trattenuti, gli ansiti
bisognosi non si contarono quella notte. Erano così presi l’uno dall’altra che
nulla avrebbe potuto distrarli. Nulla al mondo.
Quella notte fu consumata nel peccato, nella disperata lussuria
che entrambi nutrivano, nel piacere che solo loro potevano darsi. Un piacere
che sentirono eterno, per quell’infinito istante che durò.
Purtroppo per loro, la notte non dura per sempre, ma solo per
poche ore…
Will si distese di fianco a lei, coperto dal lenzuolo bianco
solo dalla vita in giù, e la osservava stiracchiarsi fluida e al contempo pigra
come un gatto. Con le dita di una mano disegnava ghirigori invisibili su un
fianco esposto. Lei, invece, lo osservava curiosa: il suo sguardo sui suoi capelli
scuri più disordinati del solito e dovette ammettere che la colpa era sua,
mentre la baciava e la toccava non aveva resistito all’impulso di mettergli le
mani tra i capelli, scombinandoglieli. Poi guardò l’elegante curva del collo e
delle spalle, i marchi scuri che lo ricoprivano per intero, come tatuaggi
intricati. Lo sguardo scese sull’addome piatto e sull’invitante forma a “V” che
acquisivano i suoi muscoli in prossimità dell’inguine.
Dovette ammetterlo a se stessa, Will era veramente bellissimo,
si potrebbe dire anche perfetto. Il ragazzo si addormentò presto, stanco ma
appagato. Lei, al contrario, rimase sveglia, guardandolo con una sensazione nel
petto che non sapeva descrivere. Gli accarezzò i capelli, dolcemente, e gli
lasciò un bacio sulla fronte.
Emily, nuda, guardava Will. Lui
era addormentato, a pancia in giù, con la testa sul cuscino e la coperta che lo
copriva solo dalla vita in giù. I suoi splendidi occhi azzurri erano chiusi, i
capelli color pece più disordinati del solito. Emily, meravigliata da tanta
bellezza, prese il blocco da disegno e la matita, e cominciò e ritrarre quel
Will, addormentato e a lei sconosciuto.
Ne osservò le spalle, larghe, forti... La linea della spina dorsale, che
spariva sotto al lenzuolo bianco, Emily ebbe voglia di toccarla, di percorrerla
con le dita, per sentire che effetto faceva su di lui.
Pensò che fosse perfetto con quella pelle candida, coperta dai marchi scuri e
intricati, rifletté su quanto fossero difficili da disegnare correttamente, ma
fece tutto ciò di cui era in grado. Ammirò il suo corpo, modellato dai tanti
allenamenti, così bello che nemmeno uno scultore italiano del Rinascimento
sarebbe riuscito a riprodurne la perfezione. Era migliore anche della bellezza
delicata e androgina di "Amore e Psiche" del Canova. La fanciulla
pensava che il fascino di Will fosse mascolino, virile, ma con una dolcezza e
un'eleganza impareggiabile, nei tratti . La vera virilità di Will, secondo
Emily, risiedeva nello sguardo magnetico, feroce e prepotente, di quell'azzurro
che stregava. Era così presa ad ammirarlo che non si accorse di aver finito il
disegno, di aver anche disegnato le curve sinuose e quasi sensuali del lenzuolo
che copriva, anche se ben poco, il giovane Cacciatore. La giovane mise via il
blocco da disegno e la matita, temendo che lui potesse vederli.
All'improvviso Will aprì di scatto gli occhi, sorprendendo Emily. La guardò in
modo intenso, quasi spudorato, che la fece arrossire.
<< Vieni a dormire. >> le disse con voce calma, ipnotizzante. Lei,
per accontentarlo, si stese di fianco a lui, mentre si rendeva conto di quanto
fosse stanca. Scivolò tra le braccia di Morfeo, mentre Will la divorava con lo
sguardo, lascivo, aggressivo e prepotente.
Lei si addormentò in fretta, a pancia in giù, e lui la guardò dormire mentre si
portava dietro di lei, gattoni, cominciando a baciarle le spalle, per poi
passare alla schiena, finendo per darle un bacio delicato anche sul
fondoschiena che si trovava poco prima del sedere da lui tanto ammirato, quasi
bramato. Stanco, spossato, poggiò la fronte contro il fondoschiena di lei,
sospirando.
Non gli piaceva la prospettiva di
andarsene così presto da quel rifugio così caldo ed accogliente, ma sentiva che
se ne sarebbe pentito se fosse rimasto. Non capiva cosa lo legasse ancora a
Emily. All’inizio pensava fosse solo l’attrazione fisica che provava… invece
non era solo l’innegabile e onnipresente attrazione, era qualcos’altro,
qualcosa che doveva provare per un’altra persona.
Facendo molto piano, si alzò,
coprendola con le lenzuola così che non avesse freddo, si rivestì in fretta e
uscì da quella stanza che odorava di sesso, di loro due uniti. Sospirò
pesantemente, camminando fino alla propria stanza ed entrando. Andò verso il
muro che non confinava con la stanza di Emily e, una volta appoggiatosi contro
di esso, si accasciò per terra, prendendosi il volto tra le mani a causa del
pentimento che iniziava a farsi strada dentro al suo animo.
Non sopportando il profumo di
Emily addosso, Will andò a lavarsi frettolosamente, quel minimo che bastava a
coprirne l’odore, senza farlo sparire veramente.
Tornando in camera, sentì di nuovo
il senso di colpa e il disgusto verso se stesso attanagliarlo. Lei era solo una
ragazzina, inesperta della vita, fragile, malleabile come creta tra le sue
mani. E lui aveva scelto di farla soffrire, per un mero desiderio carnale,
aveva deciso di far soffrire una povera ragazzina. A volte non si riconosceva
più nemmeno lui… come se l’egoismo mondano l’avesse “contagiato”. Certamente
non poteva intraprendere una relazione con Emily, era troppo piccola ed era una
mondana, di sicuro non poteva chiederle di sposarlo. E neanche lo voleva.
Certo, provava qualcosa per lei, ma doveva ancora definire la natura di
quell’interesse. A parte il desiderio, ovvio, la sua presenza era assodata.
Era una situazione veramente
assurda. Non riusciva a controllare se stesso, i propri impulsi, le proprie
voglie, i propri desideri da adolescente. I propri più bassi istinti.
Reso esausto dai pensieri che
vorticavano furiosi dentro di lui si trascinò sul letto, per cadere subito dopo
in un sonno senza sogni, freddo e vuoto.
Pain and Revenge
Pain, without love…
(Three Days
Grace-Pain)
La mattina seguente Emily si
risvegliò nel proprio letto, sola. Vide lo spazio vuoto accanto a sé e
trattenne un singhiozzo. Dopo quello che era successo… dopo quello che gli
aveva concesso, non si aspettava un
risveglio così solitario e triste ma, del resto, poteva capirlo: lei era solo
una ragazzina di 15 anni, mondana per di più. Lui, invece, aveva 17 anni, era
ormai un uomo adulto e in più era un Cacciatore. Una differenza abissale ai
suoi occhi.
Cos’era Emily per Will? Lei pensava di essere solo un
divertimento passeggero, una notte focosa di piacere, una notte soltanto…
niente di più. Un oggetto, un qualcosa da usare e poi da buttare via… Lei nel
momento in cui ebbe quel pensiero di pentì di aver ceduto alle avances del
primo bel ragazzo che le dedicava delle attenzioni, si pentì di aver buttato al
vento la propria virtù, senza la quale sarebbe servita a poco per un
matrimonio.
Sentendo una morsa al cuore, si rannicchiò sul letto,
stringendosi le gambe al petto, poggiando il volto sulle ginocchia e facendo
cadere un’unica, solitaria, cristallina lacrima ribelle sulla guancia diafana.
Non uscì dalla stanza per il resto della giornata, sentendosi
debole e stanca.
Durante i due mesi seguenti uscì poco, ascoltando
distrattamente i piani dei Cacciatori. A parte l’episodio degli automi
nell’Istituto, il resto del periodo passò tranquillo.
C’era solo un problema: il ciclo era scomparso. Era più di un
mese che non aveva il ciclo, e la mattina si alzava con una strana nausea.
Anche il cibo le dava il voltastomaco.
Si accorse di essere incinta. Di Will. L’unico con cui era
stata a letto. Lo realizzò un pomeriggio nella propria camera, dove si ficcò un
pugno in bocca per non urlare, subito prima di correre in bagno a vomitare. A
vomitare il proprio disgusto verso se stessa, la propria sensazione di vuoto.
Si sentì una stupida, una sciocca, una sconsiderata. Le lacrime le corsero
lungo le guance senza poterle fermare, mentre una risata isterica usciva dalla
sua gola.
Passarono altri quattro giorni dalla scoperta, ed Emily,
mentre girovagava per il tetto dell’Istituto, per godersi un po’ di aria
“fresca” e un po’ di pace e solitudine, vide Will e Tessa parlare.
Si nascose, sentendosi subito una codarda, ma si pentì immediatamente
di averlo fatto.
Sentì Will fare una proposta a dir poco oscena a Tessa,
quella di diventare amanti, e li vide baciarsi con passione.
Le lacrime vollero scendere di nuovo lungo le sue guance
pallide e ormai scavate, visto che mangiava poco. Senza neanche accorgersene si
portò una mano sul ventre, come a voler proteggere il bimbo che portava in
grembo.
Quando se ne furono andati, lei scese piano e corse dritta
alla sua camera, sedendosi sul letto e pianificando la sua fuga.
Se ne sarebbe andata quella stessa, non avrebbe sopportato di
venire insultata e denigrata in quel modo da William Herondale. Non gli avrebbe
lasciato niente, nemmeno la più piccola traccia. Sarebbe scomparsa, come fece
quando aveva 10 anni in America, a casa sua. Gli avrebbe fatto sapere con una
lettera che era viva e che era incinta, ma lui non l’avrebbe trovata mai più e,
soprattutto, non avrebbe mai visto suo figlio o figlia. Avrebbe saputo che
esisteva, ma non dov’era o chi era.
Era quello il modo di Emily di vendicarsi di Will: non poteva
togliergli nulla, tranne il suo futuro figlio. Lui l’aveva già avuta e l’aveva
buttata via come se fosse stata un giocattolo rotto, non gli avrebbe permesso
di mettere le mani su suo figlio. Il futuro nascituro apparteneva a Emily, non
a Will, che non faceva nulla per dimostrare di essere abbastanza maturo da
meritarselo.
E la sera calò…
Emily aveva già tutto pronto, le sue poche cose e la lettera.
Una volta pronta la lettera, Emily la lasciò sul letto, certa
che qualcuno l’avrebbe trovata, e, silenziosamente, uscì dall’edificio,
scappando per le vie fumose della Londra notturna…
Will, il giorno dopo, non vedendola scendere a colazione,
andò a svegliarla, e vide che non c’era. Al posto di Emily, trovò la lettera, e
la portò nella sala da pranzo, dove tutti i suoi amici e Tessa notarono il suo
viso cupo e scuro.
Con tono quasi funereo, cominciò a leggerla agli altri.
“Cari Cacciatori e cara Tessa,
io me ne vado. Mi sono stancata di stare qui e di
venire usata come riserva.
Jem, sappi che tu non hai nessuna colpa, sei
sempre stato gentilissimo e conserverò sempre un caro ricordo di te.
Tessa, sei una pessima sorella. Così presa da te
stessa da non accorgerti di tua sorella.
Charlotte, sei bravissima a dirigere questo
istituto e se fosse per te rimarrei. Non preoccuparti per me.
Will… veniamo al tasto dolente. Sappi che dopo la
nostra bravata sono rimasta incinta. E no, non mi troverai mai più, dovessi
cercarmi per il resto della tua miserabile vita. E no, non vedrai mai tuo
figlio o figlia. Non saprai mai chi è.
Invece di fare il cascamorto con mia sorella
potevi accorgerti che stavo male, che avevo i sintomi di una gravidanza.
Invece, come un perfetto idiota, eri così preso a provarci con lei, da
dimenticarti di quella povera stupida sventurata che ha ceduto alle tue
avances.
Salutatemi tutti coloro che non ho menzionato
nella lettera, per favore.
Emily Gray”
Tessa si portò una mano alla bocca, Charlotte guardò Will
scioccata e Jem scosse la testa, sospirando. Il moro sentì una morsa al cuore…
subito dopo, sbottò:
<< Devo trovarla. >> Tessa lo guardò sconsolata,
scuotendo piano la testa e parlando a voce bassa e flebile
<< Non la troverai. Per quanto tu la cerchi, lei non si
farà trovare, se non vuole. >>
<< Io la DEVO trovare, Tessa. Non può andarsene in giro
come se niente fosse, come se niente la toccasse! Ci sono dei nascosti, demoni,
stregoni… gente che potrebbero ucciderla! >> disse il ragazzo, con voce
ferma.
<< E’ INUTLE WILL! Te l’ho già detto! Segui il mio
consiglio e lascia perdere, poiché non la troverai mai, dovessi cercarla tutta
la vita! >> il grido di Tessa sorprese tutti i presenti, lei compresa.
<< … Scusate, è solo che… è solo che Emily ha ragione.
Sono una pessima sorella. >> Jem tentò di consolarla
<< Non è vero, Tessa. Le vuoi bene e la conosci meglio
di noi. >> la fanciulla fece un
sorriso amaro
<< Nessuno conosce veramente Emily Gray. >>
pronunciò quelle parole con un tono enigmatico che scoraggiò Will che,
crollando sulla prima sedia libera, si prese la testa tra le mani. Si sentiva
colpevole della fuga di Emily, si sentiva così male…
Emily, girava per le vie di Londra, dopo essersi tagliata i
capelli e dopo aver indossato una tunica lunga che le nascondeva il corpo, in
modo da poter girare per i locali frequentati da Nascosti senza attirare
l’attenzione. Per puro caso incontrò Magnus Bane, lo stregone che aveva aiutato
Will e sua sorella.
Lei, girando con il cappuccio della tunica abbassato, aveva
visto questo tipo che bizzarro era dire poco e gli si era avvicinata, per
osservarlo meglio. Lui, d’altro canto, l’aveva notata subito per i capelli
corti e lo sguardo quasi spaventato, di certo non abituato a locali pieni di
Nascosti. Inoltre aveva un qualcosa si famigliare, gli ricordava qualcuno…
All’improvviso la riconobbe come una parente di Tessa Gray.
Poco gentilmente, la prese per un braccio e la portò in un angolo appartato,
per parlarle.
<< Chi sei? >> pronunciò subito quelle parole,
osservando con i propri occhi da gatto la sua espressione spaventata ma
spavalda.
<< Mi chiamo Emily. Emily Gray, ma di sicuro tu mi hai
riconosciuta per la mia somiglianza con Tessa. Vero, Magnus Bane? >> lei
lo sorprese con quelle parole, e lo rese ancora più cauto.
<< Come fai a sapere chi sono, ragazzina? >>
<< Me lo ha raccontato Tessa, ti ha descritto, anche se
non mi sarei mai aspettata qualcosa di così… raro. Sei bizzarro, te l’ha mai
detto nessuno? >> lei si era calmata, quell’uomo le piaceva, emanava
un’aura tranquilla, secondo lei. Lui fece un gesto con la mano che lei non
seppe interpretare.
<< Come mai sei qui, piccola mondana? Dovresti essere
all’Istituto, al sicuro tra quelle mura. Al sicuro tra le braccia di qualche
Cacciatore. >> il tono era volutamente malizioso, e lasciava intere che
lui aveva notato il lieve gonfiore al ventre di lei, ormai alla decima
settimana di gestazione.
<< Ci sono stata, ma sono rimasta incinta. E il
Cacciatore le cui braccia mi hanno circondato si diverte a flirtare con mia
sorella, dimenticandomi. Non ce la facevo, e sono scappata. >> spiegò con
semplicità Emily.
<< Ah, Will. >> Magnus chiuse gli occhi per un
attimo, come se stesse riflettendo per dire subito dopo
<< Quel ragazzo è attraente e coraggioso, un vero
Cacciatore, ma non sa ascoltare il cuore quando si tratta di ragazze.
Evidentemente non era destino. >> la osservò con uno sguardo più attento:
lei era magra, fin troppo magra. Una gravidanza porta via molte energia e lei,
evidentemente, non mangiava abbastanza. Era denutrita e pallida, probabilmente
molto debole.
<< Sei molto gentile, Magnus. >> lo lodò lei, con
sincerità.
<< Si si, e tu sei denutrita. Da quanto è che non mangi
qualcosa? >>
<< Ehm… circa 4 giorni. Non riesco a trovare niente da
mangiare e non trovo neanche lavoro. >> ammise Emily, con uno sguardo di
scuse. Magnus non capiva come mai voleva scusarsi.
<< Vieni, andiamo a casa mia. Starai da me per un paio
di giorni, e poi ti troverò un posto dove stare. È il minimo che posso fare per
una donna incinta. >>
<< Grazie mille, Magnus. Non me lo merito. >>
disse flebile la ragazza, con le lacrime agli occhi. Non credeva di meritare
niente dopo che si era fatta usare come un pupazzo.
<< Sì che te lo meriti. E ora smettila di dire cavolate
e vieni con me. >>
Lui la portò a casa propria, dove lei visse per qualche
giorno, godendo della buona compagnia del volubile stregone.
Pochi giorni dopo, per fortuna, Magnus trovò una casetta
vicina alla propria, dove lei sarebbe potuta vivere senza problemi, anche con
il bambino a carico.
Gli anni passarono. Emily si fece ricrescere i capelli, e
quel bambino che aspettava, in realtà era una femmina: la chiamò Helena, e
Magnus la aiutò sia a farla nascere che a crescerla, dandole tutto il
necessario. Potrebbe sembrare strano, ma quell’uomo si era affezionato sia alla
piccola Helena, dai capelli ramati e dagli occhi azzurri come quelli di Will
che a sua madre. La piccola era molto allegra e vivace.
12 anni passarono in fretta, volarono come un falco che
cavalca le correnti d’aria. Helena era curiosa di sapere tutto, voleva capire
il mondo, voleva conoscere il proprio padre. Ma Emily, quando si parlava di
lui, si rabbuiava sempre, e si chiudeva in testardo silenzio carico di lacrime
pronte a scendere.
E allora la figlia la abbracciava, chiedendole scusa e
stringendola, per calmarla.
La morte non aspetta…
I’m livin’ in a world so cold,
since you’ve gone away…
(Three Days Grace-World So Cold)
Fu in una sera d’estate della nebbiosa Londra che la morte
venne a prendere Emily.
Un demone, assetato di sangue, entrò nella casa di Emily Gray,
e Magnus, capendo che non poteva fare nulla, andò immediatamente a chiamare i
Cacciatori, per salvare la ragazza. Non disse loro che si trattava di Emily,
però li seguì mentre andavano a salvarla.
Fu una missione vana, il demone era riuscito a morderla,
iniettandole il suo veleno, che l’avrebbe uccisa in modo lento.
Nello stesso istante in cui entrò, Will la riconobbe, e sentì
una morsa al petto. Si inginocchiò vicino a lei, dimenticando il demone che
voleva attaccarlo.
L’azione fu veloce: non fu nessuno dei Cacciatori a salvare
Will, né Magnus, ma una ragazzina castana-ramata di dodici anni a lanciare una
lama angelica, che si andò a conficcare nel cranio della bestia, uccidendola.
Will la vide appena, preso com’era dallo stringere tra le
braccia un Emily morente che gli sorrideva.
Per la prima volta dalla scomparsa di Jem, Will piangeva.
La abbracciò e la baciò, stringendola come se non volesse
lasciarla più andare.
<< Emily… dopo 12 anni, ti ho ritrovata… ma non c’è
tempo, ti devo portare all’Istituto, i Fratelli Silenti sapranno guarirti.
Dobbiamo correre… >> lei interruppe i pensieri agitati del ragazza che
aveva scoperto amare.
<< Non c’è tempo Will… >> lui la prese in
braccio, alzandosi, facendo per uscire, ma lei, con dolcezza, gli poggiò una mano
sulla mascella, fermandolo.
<< No, Will. Fermo. Non c’è tempo, anche se ci
sbrighiamo e smettiamo di parlare per correre all’Istituto, morirei comunque.
Non ci arriveremmo. Preferisco morire parlando con te, guardandoti un’ultima
volta piuttosto che morire per strada. >> lui si arrese, continuando a
piangere
<< Ma dobbiamo! Non mi è rimasto nessuno, Emily. Jem è
morto e Tessa non parla più con nessuno dalla sua morte. Mi sei rimasta solo
tu… ti ho cercata per tutti questi anni, e ti amo. Ti amo, Emily Gray, ti amo.
Ci ho messo 12 anni per capirlo, 12 anni. Non ti voglio perdere, non di nuovo…
>> pigolò William, cercando di convincerla, ma sapeva che era tutto
inutile.
Sospirò, rassegnato. Finalmente notò quella ragazzina che lo
aveva salvato. Aveva i suoi occhi, gli stessi occhi che lui vedeva riflessi
quando si guardava allo specchio.
<< Emily… lei è… lei è… >> non riuscì a finire la
frase, ancora scioccato.
<< Sì Will, tesoro, lei è nostra figlia. >>
furono le sue ultime, deboli e stentate parole. Un ultimo respiro rantolante e
i suoi occhi meravigliosamente verdi si chiusero, mentre la morte se la portava
via.
William non riusciva a fermare le lacrime: prima Jem che se
ne andava, poi Tessa che ignorava chiunque e adesso Emily, che moriva tra le
sue braccia lasciandogli una figlia di dodici anni a carico.
Mentre le disperazione lo coglieva, una disperazione anche
più acuta della sua si faceva largo tra tutti: Helena.
Si fiondò vicino alla madre, piangendo e gridando disperata.
Suo padre la guardava meravigliato mentre lei cercava
disperatamente di far svegliare sua madre, cosa impossibile.
Però il tempo delle lacrime finì presto, perché non ce n’era.
Portarono sia il cadavere della donna che la bambina all’Istituto.
Quando Tessa vide sua sorella Emily morta, chiuse gli occhi e
pianse, piena di rimpianti.
Poi notò Helena, che piangeva in braccio a Will. Non disse
niente e se ne andò nella sua camera, come sempre.
Mors tua, vita mea.
I. Hate. Everything about
you
Why. Do. I love you?
(Three Days Grace-I
Have Everything About You)
Helena non rimase a lungo tra le braccia del padre, infatti
si dimenò finché Will non la lasciò andare. Lei, scesa a terra con un salto, lo
guardò piena di rancore.
<< Ti odio! Io ti odio! Perché hai lasciato che
morisse? Non solo l’hai abbandonata, ma l’hai pure lasciata morire! Lei era la
mia mamma, ed io ti odio! TU NON SEI MIO PADRE! >> disse prima di correre
via come un fulmine.
Will sentì come se lo avessero pugnalato. Crollò a terra in
ginocchio, piangendo ancora. Emily era morta, ed Helena lo odiava a morte.
L’odio di Helena passa con gli anni, fino a trasformarsi in
affetto. Vivono felicemente come padre e figlia nell’Istituto.
Will, venendo a sapere delle ultime volontà di Emily, che
ella aveva lasciato a Magnus poco dopo aver partorito Helena, affida sua figlia
a Gabriel Lightwood quando non poteva occuparsene di persona. Per quanto
detestasse Gabriel, Emily gli era affezionata, in un qualche modo, e Will
voleva onorarla il più possibile.
I nodi vennero al pettine quando Helena si prese una cotta di
Gabriel, che aveva 18 anni più di lei. Il tempo, per fortuna di tutti, risolse
anche quel “problema”.
Helena aveva diciassette anni quando morì nel suo letto, una
notte. O, almeno, tutti la diedero per morta.
William Herondale, la mattina dopo, quando trovò il cadavere
della figlia nel letto, non poteva credere ai propri occhi. Sembrava che stesse
dormendo, ma il corpo era gelido e non aveva battito.
Gridò, col cuore lacerato dal dolore. Aveva perso tutti:
prima Jem, poi Emily e, infine, Helena.
Forse era destino che lui rimanesse solo.
Il corpo fu bruciato quella sera stessa, e da allora William
non poté dirsi lo stesso di prima.
La cosa che non sapeva e che nessuno aveva visto, era che
l’Angelo stesso era presente a quel funerale... O presunto tale.