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Autore: Martowl    02/04/2013    4 recensioni
Federico, ed una fama di famiglia.
Alessandro, ed una sfiga personale.
Tra visi delicati, popolarità ingombrante, profumi di libri ed un negozio importante, questi due ragazzi si conosceranno.
Ed una intimità che sa di arancia, mani intrecciate e labbra che si cercano sotto sfondi di pioggia.
***
E in quella libreria, tra quelle pagine che entrambi amavano, si erano scambiati il loro primo abbraccio. Era stato un leggero tocco, le mani del primo che sfioravano il secondo che si irrigidiva visivamente. Appena capì ciò che stava accadendo, si rilassò, incontrando il corpo muscoloso contro il suo gracile ed adolescente, quasi femminile.
Fu in quel momento che si sentì improvvisamente inadatto.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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One-shot, in risposta alla sfida di Flamel__;
Prompt: Bicchiere, arancia, moto, fata, telecomando, moneta.

 

Ciao,fata!


                Betato da Flamel




 
«Ciao fata, come va?».
Era sempre la solita storia, sempre le solite derisioni e le solite persone senza cervello.
Erano sempre gli occhi impauriti e lucidi, le mani tremanti e la voglia di correre, per Alessandro, che ogni giorno sopportava quella presa in giro.
Erano sempre i pugni chiusi, la paura di essere scoperti ed il fastidio che cresceva dentro, per Federico, che non poteva fare altro che sorridere fuori ed urlare dentro. 


Gli anni erano passati in fretta ed era arrivato il quarto ginnasio, per entrambi.
Stessa scuola, stessa classe e stessa paura. 
Federico proveniva da una famiglia agiata ed aveva già la fama di essere il più bello studente degli anni passati. Non aveva fatto difficoltà ad inserirsi nel giro dei popolari. 
Si era solo presentato il primo giorno, elargendo sorrisi a destra e manca. 
Aveva alzato la mano durante le elezioni rispondendo alle domande dei professori con affermazioni alquanto infantili. In realtà conosceva bene le risposte, aveva un gran testa e amava passare il tempo a leggere. Tra i preferiti comparivano ‘Il giovane Holden’ e ‘Il buio oltre alla siepe’, ma conosceva bene il mondo crudele che aspettava ai cervelloni. 
Lo conosceva bene anche Alessandro, nascosto per anni dietro tomi di qualsiasi tipo. E lo conoscevano anche i genitori di quest’ultimo, preoccupato dalle poche amicizie che si era fatto negli anni passati. Avevano speso tanti soldi per inserirlo in una delle miglior scuole di Milano; Alessandro studiava, era assetato di sapere e passava ore su quei libri che tanto amava. 
Era fiera di lui, la sua famiglia, ma era comunque titubante. Lo sentivano ripetere famosi aforismi ogni giorno, ma mai che uscisse dalla sua bocca il nome di un amico.
 
Era dentro quell’aula che si erano incontrati. Federico rispose alla domanda della professoressa di Lettere con l’ennesima idiozia, risposta seguita dalle risate che si erano espanse nell’aula. 
Da parte sua Alessandro, seduto in prima fila, guardando fisso davanti a sé e mostrando una sicurezza che non gli apparteneva, rispose correttamente alla domanda, alimentando l’orgoglio dell’insegnante e spegnendo l’ilarità dell’altro giovane. 
Era per quella risposta, per quell’intrusione nel divertimento totale, che Alessandro fu preso di mira da tutta la classe. Aveva cominciato proprio Federico, additandolo come femminuccia, forse per i suoi tratti delicati, per quei grossi occhiali da vista, per quell’apparecchio in mostra e per quei vestiti all’antica che indossava ogni giorno. Ma erano stati proprio quei tratti delicati a far innamorare Federico.
Aveva avuto decine e decine di ragazze e aveva un curriculum stracolmo di nomi femminili a cui, molto spesso, non sapeva collegare ad un viso. Se ne accorse in secondo ginnasio, di quanto fosse cambiato Alessandro. L’aria da secchione lo ricopriva ancora, come se fosse una leggera coperta. Aveva tolto gli occhiali quando Giorgio, un amico dell’altro gli aveva dato un pugno al terzo anno. L’apparecchio aveva completato il suo lavoro, lasciando spazio ad un sorriso che mozzava il fiato di Federico. Se ne accorse con calma, prendendosi il suo tempo. Inizialmente pensava fosse colpa del troppo alcool che aveva ingurgitato la sera prima, ma quando poi si sentì strano anche dopo una serata astemia, capì che qualcosa fosse cambiato.
Ci ragionò su, dicendosi che doveva trattarsi di qualcosa di strano. 
Ma se ne accorse, soprattutto, quando non riuscì a soddisfare la ragazza della serata. 
Passarono giorni in cui cercò di stare lontano dal ragazzo, ignorandolo ed evitando di prendersi gioco di lui. 

Anche le settimane passarono e quel bisogno di correre da lui dopo l’ennesima derisione cresceva. Ma Federico non lo fece mai, ignorando quella stretta che sentiva.
Era successo in un pomeriggio piovoso quando tornando verso casa, dopo l’allenamento di basket, si nascose in una piccola libreria. 
Il profumo dei libri lo invase, lo riscaldò. Chiuse gli occhi, in balia della felicità, ma quando li riaprì si ritrovò affiancato da quel ragazzo che ben conosceva.
Occhi verdi screziati di marrone, leggere efelidi sulla base del naso, labbra carnose.
Era stato un leggero sussurro, un ‘ciao’ impaurito a ridestarlo dai suoi pensieri. Si era allontanato in fretta, come se quel sospiro lo avesse bruciato.
Lo guardò con disprezzo e girò per la libreria, ignorando quel leggero fastidio che sentiva sulla nuca. Guardò tutto, ma non vide niente.
Quando arrivò alla conclusione del terzo giro, si ritrovò il ragazzo al suo fianco che gli chiedeva, come da copione, se avesse bisogno di una mano.
La gentilezza e la dolcezza con cui lo disse, lo toccò profondamente, ma, quando si rese conto dell’effetto che gli provocava, decise di innalzare un muro tra i due. 

«Non certo del tuo, fata» sputò Federico. 
Ma appena notò lo sguardo deluso e ferito di Alessandro, si sentì terribilmente in colpa.
E in quella libreria, tra quelle pagine che entrambi amavano, si erano scambiati il loro primo abbraccio. Era stato un leggero tocco, le mani del primo che sfioravano il secondo che si irrigidiva visivamente. Appena capì ciò che stava accadendo, si rilassò, incontrando il corpo muscoloso contro il suo gracile ed adolescente, quasi femminile.
Fu in quel momento che si sentì improvvisamente inadatto. Si allontanò dal petto dell’altro e sussurrò un ‘Sto per chiudere’ talmente veloce, da non averlo nemmeno captato. 
Dal canto suo Federico, recepì il messaggio ed uscì, nuovamente, sotto la pioggia.

Da quel dì, le cose non furono più le stesse.
Le idiozie iniziarono a diramarsi sempre di più, le derisioni erano quasi sparite e i dubbi degli amici si fecero sempre più assillanti.
Qualcuno, a bruciapelo, gli aveva chiesto se fosse diventato gay.
Aveva riso e, sornione, aveva risposto dicendo che non valeva la pena perdere del tempo con quella femminuccia.
Il danno fu completato dal passaggio della suddetta femminuccia, che non perse una parola ed abbassando lo sguardo a terra intristito, facendo scoppiare l’ilarità dei ragazzi.
Tranne Federico che l’unica cosa che vide furono gli occhi di Alessandro e l’unica cosa che sentì fu il suo cuore perdere un battito.
 
Passarono altri mesi, ma non arrivarono abbracci. Nemmeno un leggero tocco, fino a quando, vincendo sulla paura, il ragazzo non si ripresentò in libreria. Aspettò che tutti i clienti fossero usciti e si fiondò tra le braccia dell’altro.
 
A distanza di un anno, nessuno sapeva niente, tutti vedevano il belloccio e la fata.
Ma nascosti tra le mura di casa, c’erano Federico ed Alessandro. Alessandro che accettava tutte le cattiverie degli amici del ragazzo e Federico che rischiava di attaccare i suddetti al muro.
 
«Ciao, fata!».
Quella mattina era avvenuta l’ennesima derisione. Ormai non ci faceva più caso, evitava di dargli un giusto peso.
Rientrò in casa con calma, pensando al pomeriggio.
Si chiese se Federico fosse passato, continuando quel rituale ormai consolidato. Preparò tutto, come sempre.
Non lo faceva con falsa modestia, ma desiderava tanto che lui passasse di lì.
Tirò fuori il bicchiere viola, l’unico rimasto integro dall’ira funesta della madre, lo riempì di succo d’uva e lo ripose sull’isola della cucina, con affianco un’arancia. 
Era la merenda che smezzavano da un anno a quella parte, ignorando la possibilità di avere due bicchieri e due arance. Sapeva di intimità e di loro e non volevano rinunciare a quel piccolo momento solo loro.
 
Recuperò il telecomando lasciato malamente sul tavolo del salotto e si buttò sul divano aspettando – e sperando- l’arrivo di Federico. 
Passarono i minuti e le ore, tra programmi futili ed occhiate ansiose all’orologio appeso al muro di fronte a lui.
 
Dalla parte opposta della città, ancora tormentato per lo scherno della mattina, Federico cercava di capire come fare. Non poteva sopportare tutta quella faccenda, non poteva sopportare la voce rotta di Alessandro che gli ripeteva come un mantra che ‘non era successo nulla, tutto va bene.’ quando lo abbracciava e lo avvicinava a sé.
Recuperò il casco, sapendo bene cosa fare e dove dirigersi.
Ignorando quella pioggia che in qualche modo sapeva di loro, accese la moto e si diresse dalla parte opposta della città, superando auto bloccate nel traffico pomeridiano.
Si fermò accanto ad una porta scarna, di un verde che aveva visto tempi migliori e la spinse delicatamente, facendo risuonare la piccola campanella posta alla sua sommità.
Entrò ed un profumo di biscotti lo invase. 
«Federico, buongiorno!». La voce leggera e delicata dell’anziana signora Marisa lo invase e lo fece sentire in pace con se stesso. «Come sta Alessandro?».
Sorrise in risposta, facendo un leggero cenno con la testa. Avevano conosciuto quel negozio in una delle loro camminate segrete, lontane dal luogo in cui i loro compagni si ritrovavano quotidianamente. Era un negozio che avevano scoperto nelle giornate piovose, alla ricerca di un tetto in cui nascondersi. Avevano girato, emozionati davanti alle bellezze dimenticate di quel piccolo nascondiglio. Girovagò in lungo ed in largo per poi, infine, dedicarsi alla zona preferita di Alessandro.
All’interno di una piccola teca, si trovavano le monete più rare di tutto l’Universo. Il figlio maggiore della signora Marisa, aveva passato i primi cinque anni dopo la scuola superiore a girovagare per il mondo senza una precisa meta. Aveva sete di conoscenza e di passione per le culture altrui ed i soldi lasciategli dal nonno ormai defunto, lo avevano portato a viaggiare per lunghi anni.
Inizialmente, la signora, aveva messo quella teca solo in esposizione, soffermandosi spesso e volentieri a raccontare ai clienti la storia di quelle monete. Quando però aveva conosciuto i due ragazzi, non fu capace di fermarsi solo a quello. Il volto illuminato di Alessandro, la portò a regalargli una delle settantasette monete che possedeva. Da quel giorno, ogni volta che Federico vedeva il ragazzo giù di morale, attraversava la città e faceva visita alla signora Marisa, sempre ben disposta ad offrire un rifugio a quella giovane coppia di innamorati.
E lei lo sapeva perché era proprio in quel negozio che Alessandro aveva sussurrato le fatidiche parole, in una giornata di neve.
 
Federico ringraziò la signora, con un sorriso delizioso sulle labbra, ricordando quei bei momenti che aveva, legati a quel posto.
Salì nuovamente in moto e si diresse verso la casa del ragazzo che lo aspettava trepidante.
Bussò leggermente alla porta, facendolo entrare per poi porgli una coperta calda per riscaldarlo.
Coperta che venne scartata appena lui si avvicinò con braccia aperte, pronte ad un caloroso abbraccio.
Non ci furono baci passionali ed infuocati, ma solo un leggero tocco di labbra che trasmettevano tutta la gratitudine per l’essere ancora insieme.
«È australiana. Giovanni la prese nel 2003» disse Federico, porgendogli il pacchetto che conteneva la moneta.
Alessandro prese la mano del ragazzo e insieme attraversarono il lungo corridoio, diretti alla camera da letto.
Il primo possedeva la chiave per aprire una teca molto simile a quella di Marisa, comprata proprio nel suo negozio. La girò lentamente nella serratura ed aprendola per poi inserire il nuovo regalo.
Ne possedeva ventitre e, per quanto fosse felice per quella collezione che lentamente cresceva, Federico si sentiva tremendamente in colpa perché per ben ventitre volte non era riuscito a proteggere Alessandro dagli scherni di quelli che considerava amici.
«Sai bene che non è colpa tua, Fede» gli disse l’ultimo, appoggiando una sua mano nel petto dell’altro.
«Lo è, invece. Sono un codardo e non ho il coraggio di mostrarmi a tutti».
Non ebbe il coraggio di continuare, sapendo bene come sarebbe andata a finire la conversazione. 
Lo portò in cucina, doveva la loro merenda li aspettava. 
Federico, pur conoscendo quella sorpresa, non poté fare a meno di sorridere.
In quell’unico gesto, poteva notare quanto il loro rapporto si fosse consolidato e quanto, tutto ciò che loro avevano passato, fosse stato ripagato.
 
Passarono la giornata tra risate e baci, tra coccole e sciocchezze.
 
«La mia piccola fata» sussurrò Federico, incrociando le loro mani, mentre Alessandro sorrideva dolcemente.
Perché lo era, era suo e quella parola, sprezzante nelle bocche altrui, sulle labbra dell’amato avevano tutt’altro sapore.
 

Perché quella piccola fata si era sul serio innamorata di quell’elfo oscuro!
 

***
Bonjour!
E’ la mia prima slash, quindi siate clementi!
*mette le mani avanti per proteggersi*
Come chiarisco all’inizio dell’OS, questa è una sfida.
Una grossa sfida, per quanto mi riguarda.

Sono consapevole che sia una lettura lenta, ma dovevo ben chiarire dei punti sulla relazione tra Federico ed Alessandro.
Spero, comunque, che vi sia piaciuta e desidererei avere dei vostri pareri perché vorrei continuare a scrivere slash. Non mi dispiace, devo ammetterlo. :3

Grazie per l’attenzione.
Bisou,
Martowl.

   
 
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