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Autore: Wyrd_    02/04/2013    0 recensioni
Gli occhi, le orecchie, il naso, persino la bocca avevano perso la loro cadenza naturale e ora erano semplicemente appendici di un viso sempre più deturpato.
Quando anche la spina dorsale si spezzò con un sonoro “CRAC “ per poi cercare di ricongiungersi, il dottore si accasciò sul lavandino, reggendosi con una mano, la cui presa divenne sempre più debole man mano che le dita continuavano a modificarsi e l’ultima cosa che vide prima di svenire in preda agli spasmi furono i suoi lunghi capelli mori bruciare e i suoi occhi diventare neri come la più scura delle notti.
Poi ci fu soltanto il buio.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Monarca


L’orologio del castello aveva appena suonato la mezzanotte, quando iniziarono a verificarsi i primi mutamenti.

Il dottor Harper cercò di dirigersi verso il grande specchio del bagno di marmo bianco il più rapidamente possibile, non voleva perdersi un solo minuto della sua scoperta.

Inizialmente avvertì solo un lieve pizzicore propagarsi in tutto il corpo, come una piccola scossa per nulla fastidiosa, poi accadde.

Le ossa iniziarono a frantumarsi, creando un rumore agghiacciante, e provocandogli un dolore che trovò la sua piena manifestazione in urla acute, in seguito si rinsaldarono, causando altre smorfie sul suo volto, la cui pelle stava cadendo lentamente verso il basso con la stessa consistenza e sembianza di cera sciolta.

Gli occhi, le orecchie, il naso, persino la bocca avevano perso la loro cadenza naturale e ora erano semplicemente appendici di un viso sempre più deturpato.

Quando anche la spina dorsale si spezzò con un sonoro “CRAC “ per poi cercare di ricongiungersi, il dottore si accasciò sul lavandino, reggendosi con una mano, la cui presa divenne sempre più debole man mano che le dita continuavano a modificarsi e l’ultima cosa che vide prima di svenire in preda agli spasmi furono i suoi lunghi capelli mori bruciare e i suoi occhi diventare neri come la più scura delle notti.

Poi ci fu soltanto il buio.

 

 

Alfred Harper era un giovane appassionato di medicina, chimica e di ogni altra scienza che trattasse di trasformazioni. Apparteneva a una delle più ricche e illustri famiglie della nobiltà inglese, o di ciò che ne rimaneva, e grazie al loro patrimonio gli sono state sempre garantite un’istruzione completa e presso che invidiabile da ogni altro individuo di quella società.

I suoi genitori erano persone importanti e molto in vista, quindi donare al proprio ed unico figlio ogni cosa anelava di possedere era per loro un modo di scusarsi quasi per il continuo assenteismo dalla sua vita e da ogni aspetto legato a essa.

Il ragazzo crebbe così nella più totale anaffettività, un po’ come la maggior parte dei nobili della sua età, e fu anche per questo motivo che, quando manifestò il desiderio di frequentare un’università lontana dalla propria famiglia, non incontrò nessun’obbiezione.

Aveva vent’anni e un futuro illustre davanti, avrebbe studiato legge e finito col ricoprire un’importante carica politica nel suo paese, aiutandolo a crescere e migliorare fino ad imporsi sugli altri per la supremazia, o almeno questo era ciò che sognava, fino a quando non scoprì altro.

Accadde in uno dei primi giorni di primavera, quando il sole è alto in un cielo senza nubi e investe tutta la boscaglia sottostante con i suoi raggi ancora pallidi e intorpiditi dal rigido inverno appena terminato. Alfred stava passeggiando nel giardino privato della tenuta di famiglia sulle colline, pensava al suo futuro, a come sarebbe riuscito a rendere ancora più grande e potente il proprio cognome portato con orgoglio e superiorità sin da quando ne aveva memoria e nello stesso tempo si fermava a osservare il suo riflesso nell’acqua.

Aveva letto di come Narciso, maledetto per il suo amore verso se stesso, fosse morto annegato cercando di ricongiungersi al suo riflesso, gli era anche stato spiegato quanto tutto quello fosse sbagliato, eppure lui lo trovava normale.

Tra le sue molteplici convinzioni, il giovane era sicuro che prima di amare qualcuno debba conoscere e amare te stesso e lui lo faceva. Sapeva di essere una persona piacevole caratterialmente, con la quale era possibile intrattenere conversazioni riguardanti vasti ambiti, dalla scienza alla letteratura classica, dall’altre al teatro, ma sapeva anche che il  suo aspetto sicuramente giocava a suo favore.

Era abbastanza alto, nella media per gli uomini dell’epoca, con un viso ovale e dalla carnagione chiara, tipica di chi rimaneva chiuso nella propria abitazione e non lavorava i campi, incorniciato da una cascata di boccoli neri come il carbone delle loro miniere, grazie alle quali la famiglia aveva tratto le prime fortune. Il suo punto forte però erano gli occhi. Grandi, espressivi e vispi, sempre attenti ad ogni minima mossa, a cogliere ogni segno che il suo interlocutore mostrava anche velatamente e verdi, verdi come lo smeraldo incastonato nell’anello che portava all’anulare recante il proprio stemma.

Quando spostò lo sguardo annoiato dalla fontana ad un arbusto poco più lontano, notò con sorpresa e ritrovata meraviglia un bozzolo e non riuscendo a frenare la sua curiosità decise di avvicinarsi maggiormente. Ne vide poi uscire da lì una splendida farfalla Monarca che, sbattendo un poco le ali arancioni, prese a volare dapprima intorno a lui e poi sparì alla ricerca di qualche fiore che rendesse giustizia ai suoi colori.

Alfred rimase così affascinato che iniziò a documentarsi, inizialmente sulla semplice metamorfosi dei lepidotteri, per poi studiare quella di ogni altro animale o essere vivente e finì col diventarne ossessionato.

Rivedeva nella realtà quotidiana ciò che accadeva nel mondo animale, osservava con malcelato interesse le donne un po’ trasandate truccarsi e vestirsi bene in vista di eventi mondani ai quali avrebbero forse incontrato qualcuno disposto a sposarle, oppure le attrici che a teatro, prima dello spettacolo, si cambiavano e indossavano maschere colorate per rendere più reale e misterioso ciò che si apprestavano a mettere in scena. Tutto quello che lo circondava altro non era che una metamorfosi di qualcos’altro.

Abbandonati gli studi di legge, con grande dispiacere del padre che per la prima volta diede un segno di disappunto riguardo le scelte del figliol prodigo, si dedicò alla medicina, alla chimica e alla biologia, dimostrando una dedizione per quelle materie che lo portarono successivamente ad eccellere nel suo campo.

Terminata l’università si ritirò lontano dal centro abitato, in un castello appartenuto a qualche antenato ed ora in suo pieno possesso, perché, lontano da sguardi e bocche indiscrete, voleva portare a termine un suo progetto, una malsana idea che la sua mente era arrivata a partorire guardando un serpente mutare la pelle e restare sempre quello.

Anche egli voleva trasformarsi, voleva essere un altro, voleva vivere due vite e restare lo stesso, voleva volare, ma non avrebbe commesso lo stesso errore di Icaro.

Inziò allora a studiare attentamente esemplari di ogni specie che compiva delle metamorfosi e, dopo mesi e mesi di ricerche ed esperimenti sulle suddette specie alla fine trovò il modo.

Lo provò su di se, si versò sulla pelle quel liquido denso e violaceo e attese.

Attese secondi, che divennero minuti, ore, giorni interi, ma niente, non accadde nulla a lui e al suo corpo, tutto rimase immutato.

Quando fece il secondo tentativo, furioso perché sulle sue bestie invece funzionava alla perfezione, provò a berlo, sopprimendo successivamente i conati. Sicuramente non aveva un buon sapore, ma poco gli importava.

Nuovamente non ottenne nessun tipo di risultato.

Al terzo tentativo, qualche settimana più tardi, pensò che forse doveva fare come Faust e vendere semplicemente l’anima a Mefistofele  in cambio di qualcosa, ma pensò che prima occorreva comunque provare un’ultima volta.

Ingurgitò tutto quell’intruglio avidamente e tenne gli occhi ben serrati, cercando di impedire al proprio corpo di rigettare quella brodaglia puzzolente e disgustosa e sperando con tutto se stesso che questa fosse la volta buona.

L’orologio del castello aveva appena suonato la mezzanotte, quando iniziarono a verificarsi i primi mutamenti.

Il dottor Harper cercò di dirigersi verso il grande specchio del bagno di marmo bianco il più rapidamente possibile, non voleva perdersi un solo minuto della sua scoperta.

Inizialmente avvertì  solo un lieve pizzicore propagarsi in tutto il corpo, come una piccola scossa per nulla fastidiosa, poi accadde.

Le ossa iniziarono a frantumarsi, creando un rumore agghiacciante, e provocandogli un dolore che trovò la sua piena manifestazione in urla acute, successivamente si rinsaldarono, causando altre smorfie sul suo volto, la cui pelle stava cadendo lentamente verso il basso con la stessa consistenza e sembianza di cera sciolta.

Gli occhi, le orecchie, il naso, persino la bocca avevano perso la loro cadenza naturale ed ora erano semplicemente appendici di un viso sempre più deturpato.

Quando anche la spina dorsale si spezzò con un sonoro “CRAC “  per poi cercare di ricongiungersi, il dottore si accasciò sul lavandino, reggendosi con una mano, la cui presa divenne sempre più debole man mano che le dita continuavano a modificarsi e l’ultima cosa che vide prima di svenire in preda agli spasmi furono i suoi lunghi capelli mori bruciare e i suoi occhi diventare neri come la più scura delle notti.

Poi ci fu soltanto il buio.

 

Quando sollevò le palpebre si sentì leggero e potè constatare che si trovava ancora nel grande bagno e la sua mente non aveva subito nessun tipo di danno, non poteva permettersi che una simile scoperta andasse perduta, anche se avrebbe dovuto modificarne alcuni aspetti essenziali.

Decise quindi che era ora di ammirare il proprio capolavoro allo specchio e in quel momento, se solo avesse potuto urlare l’avrebbe fatto.

La Monarca era lì, sul suo lavandino che lo osservava con le ali arancioni spiegate e un po’ intorpidite , contornate da una riga nera con puntini bianchi. Le antenne vibravano cercando di captare ogni cosa e le zampette cercavano in ogni modo di tenersi ancorate alla ceramica liscia del lavandino.

L’effettiva realizzazione di ciò che era avvenuto, con conseguente conferma, Alfred la ebbe quando sotto il suo comando quel minuscolo corpicino prese il volo e lì, in quel bagno freddo e vuoto di quella casa grande e vuota, capì che non sarebbe mai sopravvissuto abbastanza per poter raccontare a tutti la sua scoperta e la sua storia, perché l’indomani la piccola farfalla sarebbe già morta e lui con lei.

E proprio come Icaro osando volare troppo vicino al sole aveva finito col perdere la vita, anche lui si era crogiolato nel suo calore , aveva cercato di innalzarsi fino a lui e ora non possedeva più niente, nemmeno la vita stessa che Dio gli aveva donato e lui, scioccamente, aveva gettato via.

Angolo dell'Autrice 

Buongiorno a tutti (:

Dunque, non so esattamente in che categoria rientra questo esperimento e spero vivamente che vi possa piacere, anche se mi rendo conto che la storia è molto strana :/

Spero vogliate lasciarmi il vostro parere!

Baci Doc_

   
 
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