Sweet (?) Awakening *O*
La
sveglia trillò allegramente sul comodino, come ogni mattina.
Roy
sbadigliò, sfregandosi una mano sugli occhi ancora
assonnati, e come
al solito dovette fare un enorme nonché sovrumano
sforzo per trattenersi dal carbonizzare all’istante quel
malefico
apparecchio disturbatore. Sette
e mezza. Se non si sbrigava, con ogni probabilità avrebbe
fatto
tardi. Dopo circa un nanosecondo di profonda meditazione, nel quale
rifletté a lungo sulla solerzia e sull’efficienza
che un
colonnello era tenuto a mostrare costantemente, e sui propri doveri
nei confronti dei suoi sottoposti, Roy Mustang si rigirò
pigramente
dal lato opposto del letto, portandosi il lenzuolo fin sopra la
testa. Sorrise brevemente e fece per affondare di nuovo la faccia nel
cuscino, quando un insolito e sospetto click
a
distanza molto ravvicinata gli fece capire che quella mattina avrebbe
davvero
fatto
meglio a darsi una mossa.
- Signore, le do cinque minuti - sussurrò lei, con la voce
calma di
sempre, come se gli stesse soltanto augurando il buongiorno come una
mogliettina qualunque, e non
minacciandolo con la
sua calibro nove puntata alla tempia.
Sospirò,
arrendendosi agli ottimi e convincenti
argomenti
del suo tenente. Si tirò a sedere, mugugnando qualcosa di
imprecisato; ma bastavano un soffio leggero vicino al suo orecchio,
due labbra morbide a sfioragli la fronte, e già
l’impresa di
scendere dal letto non gli sembrava più così
utopistica. Sentirla
ridere poi, lo metteva sempre di buonumore. Ancora mezzo
addormentato, recuperò la divisa da un cassetto
dell’armadio e si
diresse in tipico stile zombie
verso
il bagno, evitando per un pelo di inciampare nel tappeto e ritrovarsi
per terra con il naso spappolato.
Riza
aveva già preparato la colazione.
L’odorino
invitante di toast caldi, brioche e caffelatte lo raggiunse dalla
cucina. Si fermò un attimo sulla soglia della porta, con le
dita
strette intorno alla maniglia. Si ritrovò di nuovo a
sorridere al
pensiero che fino a poco tempo prima, se riusciva a bersi il
caffè
putrido della macchinetta era già tanto. Ma
adesso Riza sarebbe stata capace di rincorrerlo sul pianerottolo in
pigiama se solo si
fosse azzardato a uscire di casa senza aver mangiato. Erano cambiate tante cose, da quando Riza Hawkeye era diventata la sua
donna. Per
esempio, ora godeva del privilegio di stare in sua compagnia molto
più spesso, e anche solo questo era da considerarsi un
evento
grandioso. Inoltre
aveva chiuso con i vari appuntamenti notturni - su esplicito e
cordiale
suggerimento di un revolver appena caricato -
anche
se ogni tanto, era capitato che ricevesse ancora delle telefonate di
qualche sua vecchia conoscenza
che
gli proponeva di ricordare
insieme i bei tempi passati. Ovviamente,
essendo lui un uomo di indubbia
integrità morale, era sempre stato ben lungi
dall’accettare simili
sconvenienti proposte, soprattutto
da quando la sua dolce metà aveva chissà come
intercettato una
chiamata, facendogli sperimentare l’ebbrezza di dormire per
due
mesi sul divano, per la gioia della sua povera schiena. Per
di più aveva scoperto che avere una palla pelosa - meglio
conosciuta
come Black Hayate - che gli gironzolava per casa divorando una
scatola di croccantini dietro l’altra - e non solo quelle,
visto
l’aspetto pietoso che ormai avevano raggiunto le sue
pantofole da
camera - non era esattamente ciò che si aspettava da parte
di un
cane ben ammaestrato.
-
Roy Mustang sei stato avvertito! Cinque, quattro, tre, due …
- si sentì una specie di scatto metallico in sottofondo, e
il
colonnello giudicò quindi molto saggio catapultarsi dentro
al bagno
senza ulteriori ripensamenti. Se
c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era
che
Riza Hawkeye non bisognava farla arrabbiare, anche a costo di
scivolare sulle mattonelle bagnate e perdere qualche dente nello
scontro ravvicinato con il lavandino. Si
infilò gli stivali saltellando, dopo aver passato una
mezz’ora buona a prepararsi - o più che altro a chiacchierare con lo
specchio
- e appoggiandosi poi allo stipite della porta, si bloccò di
colpo
con una gamba a mezz’aria. Era
strano vedersela comparire davanti così, ogni giorno.
Ritrovarsi
una Riza Hawkeye che ciabattava in cucina, ancora avvolta nella sua
camicia da notte, con qualche ciocca dorata sfuggita al fermaglio, e
quell’espressione tranquilla, quasi ingenua …
era
una cosa fin
troppo impensabile per potercisi semplicemente abituare. Tutte le
volte sentiva il tremendo impulso di fermarsi a spiarla senza essere
visto, rubandole quei piccoli attimi di spontaneità che lo
coglievano sempre di sorpresa. Non
si era ancora accorta di lui. Stava addentando una mela con una voracità sconcertante, appollaiata sullo sgabello, mentre con la
mano sinistra teneva un plico di documenti in bilico sulle ginocchia,
chinata in avanti, leggermente - tanto
-
impedita dal pancione che spuntava nettamente da sotto la stoffa
azzurrina. Roy
inclinò la testa da un lato, incrociando le braccia sul
petto e
sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti ironici, senza smettere di
fissarla. -
Tenente Hawkeye, sei un caso irrecuperabile - fece ad un certo punto,
scostandosi la frangia dagli occhi ed entrando a grandi falcate nella
stanza, facendola trasalire - Non ti avevo forse detto di lasciar
perdere quelle brutte scartoffie e riposare? -
Si
chinò in avanti, accostando la fronte alla sua e
accarezzandole
gentilmente una guancia.
Le
dita affusolate di lei si strinsero automaticamente intorno alla sua
mano. Sorrise
nel vederla arrossire ancora di più per quel gesto
istintivo. Non si
sarebbe mai immaginato di poterla vedere così. Anche
se a volte non riusciva proprio a fare a meno di prenderla in giro,
quando scomparivano inspiegabilmente
le
barrette di cioccolato dal frigorifero, o quando non riusciva ad
alzarsi da sola dal divano e sbuffava come una pentola a pressione
perché costretta a chiedere il suo aiuto, sapeva comunque
che non si
sarebbe mai stancato di guardarla camminare con
quell’andatura
dondolante, adorabilmente impacciata, e quel sorriso un po’
sciocco
sulle labbra. Riza
Hawkeye, che per tanto tempo era stata per lui soltanto il suo
braccio destro, il suo tenente perfetto. Quando
l’aveva conosciuta, gli era sembrata una delle tante. Niente
di
speciale, insomma, aveva visto anche di meglio; eppure,
chissà
perché, il suo fascino irresistibile con lei sembrava sempre
fare
cilecca …
Lui, che
riusciva sempre ad ottenere ciò che desiderava, Lui
semplicemente
non
poteva
essere respinto! Era assurdo, inaccettabile!
Un
giorno poi, Roy Mustang finalmente aveva capito.
Era
l’orario di uscita, fuori stava nevicando e tutti quanti
erano già
andati via dal un bel pezzo per rifugiarsi al calduccio.
Riza
stava ancora firmando i documenti al suo posto, così come
ormai si
era rassegnata a fare, vista la scarsa iniziativa del colonnello.
Roy
si era appena alzato dalla scrivania, stiracchiandosi pigramente,
aveva raccattato il cappotto e si era avviato verso la porta. Un
leggero tonfo però lo aveva fatto voltare e tornare sui suoi
passi.
Il suo sottotenente a quanto pare si era addormentato, stravolto, con
il capo appoggiato sul tavolo e alcune ciocche bionde che le
ricadevano sul viso, la stilografica ancora in mano. Era stato in
quel momento, che il colonnello Roy Mustang aveva realizzato che Riza
Hawkeye non era proprio per niente una
delle tante,
rendendosi conto con un certo sgomento che quella
volta, con Lei sarebbe stato completamente diverso. Così si era chinato, le aveva
coperto
le spalle col proprio cappotto, scostandole gentilmente i capelli
dalla guancia, ed era tornato alla scrivania, dove aveva passato il
resto delle quattro ore seguenti firmando fogli su fogli, lanciandole
ogni tanto delle occhiatine di sottecchi e sorridendo. Aveva
cominciato ad osservarla sempre più spesso, in ufficio,
seduto
scomposto con il mento appoggiato al palmo della mano e i piedi sul
tavolo, soprattutto mentre ascoltava le chiamate di noiosa routine,
annuendo ogni tanto al monologo del suo superiore; e Hughes intanto
lo teneva d’occhio con un sogghigno, spanciandosi poi
letteralmente
dal ridere quando, sbilanciatosi un po’ troppo,
l’intrepido
colonnello finiva per ribaltarsi con la sedia portandosi dietro tutto
il telefono. Si
era innamorato. E
un sentimento del genere, così inaspettato e sconvolgente …
fin
dal principio, aveva dato per scontato che non sarebbe stato semplice
…
ma poi
tornava a guardarla. Sempre al suo fianco, discreta e silenziosa, di
una bellezza tanto spontanea da risaltare persino sotto
l’uniforme.
E lui si diceva una volta di più che sì, valeva
comunque la pena
tentare.
Si sporse a baciarle la punta del naso, con un sorrisone innocente, per poi accostare un orecchio al suo ventre, passandoci sopra una mano e rimanendo in attesa - Come sta oggi la mia principessina? Scommetto che la mamma continua a farti fare indigestione, eh? - sussurrò alla pancia di Riza, ridacchiando - Pensa un po’ che ieri sera sono stato pure costretto ad uscire di casa alle tre di notte per andare alla ricerca di un pasticcere ancora aperto perché … - Riza incrociò le braccia sul petto, un po’ offesa, e lui subito si affrettò a interrompersi, preoccupato. La gravidanza sembrava averle fornito la scusante perfetta per potersi concedere ogni tanto anche lei di mettere su il broncio e comportarsi da ragazzina permalosa, facendo letteralmente impazzire il povero Roy. - Davvero avresti preferito che tua figlia nascesse con un’enorme voglia a forma di plumcake sulla faccia? - borbottò lanciandogli un’occhiata di traverso.
-
Mmh?
…
oh, beh …
Sarebbe stata comunque bellissima come
te -
sussurrò
sfregando la guancia contro la sua con un mugolio di scuse.
Lei
fece per ribattere qualcosa a proposito di un certo
ruffiano di sua conoscenza, ma due labbra umide e invitanti non
lasciarono spazio a ulteriori lamentele. Roy fece passare un braccio
sotto alle sue gambe, l’altro dietro alla schiena, e
sollevandola
di peso dallo sgabello la appoggiò sul bordo del tavolo
spostando
non molto elegantemente da parte le scodelle del latte per farle
posto. Riza si portò un indice sulle labbra, soffocando una risata mentre gli cingeva il collo con le braccia, accogliendo la bocca e intrecciando
le gambe intorno ai suoi fianchi - Buongiorno
anche a te, amore -
-
Che cosa state facendo voi
due?
- domandò una
vocina assonnata ma dal tono palesemente accusatorio.
Un
bimbo sui cinque anni fece capolino da dietro la porta, con il
pollice in bocca e gli occhioni scuri spalancati. Sfoggiava
un ridicolo pigiamino con degli orsetti ballerini - un capo
d’abbigliamento all’ultima
moda,
secondo il Generale Grumman, che da qualche tempo aveva scoperto la
gioia di dedicarsi allo shopping per il suo nipotino prediletto - ed
era seguito fedelmente da Black Hayate, la personale guardia del
corpo del piccolo Mustang. I due poveri genitori appena colti in flagrante si affrettarono ad
allontanarsi, fingendo con molta nonchalance
di non notare il tavolo disastrato e il colorito fosforescente delle
loro guance - Non dovresti essere ancora a letto, tu? -
borbottò Roy
con tono scocciato, girando il cucchiaino a vuoto nel suo
caffè. Il
bambino acchiappò la scatola dei cereali sbadigliando, e nel
riempirsi la tazza riuscì a versarne la metà
sulla tovaglia.
-
Tu
russi
-
-
Che cosa??
Io non russo affatto, marmocchio impertinente! - esclamò lui
scandalizzato, e ricevendo una pernacchia come risposta. Il
bambino mollò il cucchiaio nella ciotola, preoccupato,
avendo notato
l’occhiata per nulla rassicurante del padre che prometteva
solletico fino alle lacrime. Riza, rossa in faccia come un pomodoro e
ancora appollaiata sul tavolo, sospirò passandosi due dita
sulla
fronte.
Con
quei due era troppo chiedere una colazione normale dove perlomeno non
volassero fiocchi d’avena sul soffitto della cucina!
Racimolando
ogni briciolo della sua proverbiale calma, bevve un lungo sorso di
aranciata, accavallando le gambe.
Inarcò
un sopracciglio. In fondo, si ricordò, la sua fondina non
era poi
molto lontana.
I due uomini di casa, bloccandosi nel bel mezzo di un inseguimento, si scambiarono un’occhiata nervosa.
Roy
acchiappò il bambino da sotto le spalle posandolo
velocemente sulla
sedia, e assecondando un naturale istinto di conservazione, prese
posto a sua volta. Riza allungò una mano per scompigliare i
capelli
del figlioletto, che le rivolse un sorrisetto con i baffi di latte ai
lati della bocca. Erano
un vero disastro come famiglia …
ma forse
era proprio per questo che li amava così tanto.
Roy
Mustang si chiuse la porta alle spalle e scese i gradini con passo
ciondolante.
Prese
un respiro profondo, godendosi la prospettiva di quella che si
annunciava una tranquilla passeggiata.
I
caldi raggi del sole s’infilavano tra gli alberi del viale,
giocando a nascondino tra i rami e sgusciando qua e là nelle
zone
d’ombra.
Da
qualche mese si era ormai abituato a fare la strada da solo, senza la
presenza costante di Riza che lo seguiva.
E
un pochino gli mancava, doveva ammetterlo. Un pochino tanto.
Soprattutto
da quando in ufficio gli era stato assegnato come sostituto
temporaneo un donnone con una particolare predisposizione per i begli
ufficiali. Si calcò il cappello sulla testa, rabbrividendo al solo pensiero di cosa lo aspettava, e infilandosi subito le mani in tasca in cerca di
calore. Ogni
respiro si condensava nell’aria fredda del primo mattino.
Dopo aver
mosso qualche passo, controvoglia, non fece neanche in tempo a
sospirare di disappunto che si sentì tirare per la manica e
fu
costretto a voltarsi, chinando il capo, e ritrovandosi il suo
primogenito attaccato alla divisa, che lo fissava con occhioni
imploranti. Oh-Oh.
Quello
sguardo
non prometteva mai niente di buono.
-
Che cosa ci fai tu
qui?
Ritorna subito
dentro! - esclamò dopo un attimo di sorpresa, scuotendo
l’indice
con un tono che non ammetteva repliche. Il
bimbo scosse la testa con decisione e incrociò le braccia
sul petto,
imbronciandosi. Si era infilato le scarpe e la sua giacca a vento
preferita, ma sotto aveva ancora il buffo pigiama. I capelli neri un
po’ arruffati gli ricadevano sulla fronte aggrottata, le
manine si
aggrappavano disperatamente alla stoffa dell’uniforme.
-
Io vengo con te! -
Roy
si passò una mano sulla faccia, sospirando.
Ancora!
Si
accovacciò sulle gambe per guardarlo fisso negli occhi.
-
Non si può, lo sai. Ora torna dentro. Su, da bravo,
obbedisci -
Il
bimbo gonfiò le guanciotte, impuntandosi ancora di
più e scuotendo
di nuovo la testa.
-
Se non mi fai venire …!
-
esclamò ad un
certo punto stringendo i pugnetti in segno di sfida. Roy
inarcò un sopracciglio -
Io
vado a raccontare al nonno e alla
mamma che
sabato non
sei venuto a prendermi a scuola per stare a dormire sul divano! -
- C-che
cosa
…? -
balbettò Roy preso in contropiede, strabuzzando gli occhi -
Che stai
dicendo? …
ma
ma io
sono venuto sì
a …!
-
e qui poi realizzò cosa effettivamente stesse tramando quel
piccolo
ricattatore -
Arrrgh!
Ma
da chi diavolo
avrai preso??
E va bene, d’accordo! - Lo
prese per mano, borbottando qualcosa di incomprensibile tra i denti,
e cominciando a camminare mentre il bambino gli teneva dietro con un
sorrisone vittorioso stampato sulla faccia. -
…
papà
? - chiamò dopo un po’ con voce cantilenante,
scrollandolo per un
braccio - Comprami una frittella -
-
Eh?
Come
sarebbe a dire una
…?
-
Il
bimbo sfoderò un'altra smorfietta eloquente, così
simile alla sua,
che Roy si ritrovò per la seconda volta zittito nel giro di
pochi
minuti.
Sbuffando
come un bollitore del the, lo strattonò
dall’altro lato della strada, nascondendo alla
bell’è meglio un
sorriso sfacciatamente orgoglioso dietro al giornale. Perché
lo
sapeva, non c’era altro luogo al mondo in cui avrebbe voluto
essere, al di fuori di dove si trovava ora. La
felicità in fondo è un concetto del tutto
relativo. E una frittella
caramellata gocciolante di cioccolato che si impiastriccia sulla
faccia del tuo piccolo sgorbio, ci si
avvicina
parecchio, no?