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Autore: younghearts    04/04/2013    0 recensioni
Posata ed elegante, Louise van de Bogaerde, proveniente dalla Germania dell’est, aveva vissuto la vita all’insegna dei sogni e delle avventure più strane, girando il mondo ed imparando ad apprezzare ogni minimo particolare, dal più insulso al più importante. A soli diciannove anni scoprì di essere incinta e, colta da un entusiasmo che solo lei riusciva a portare avanti nonostante la negatività dei suoi genitori, prese il primo treno per la Russia, trovando da lavorare in un negozietto di découpage. A trentotto anni era una donna libera e piena di idee da realizzare, una bellezza splendida e un amore verso la propria figlia che l’aveva fatta innamorare di un luogo come Lymington. Era dolce, alla mano e sapeva badare a sé stessa: perché sarebbe dovuta rimanere in un luogo che aveva amato ma che ora l’aveva stancata? Lymington parve essere la risposta al senso della sua vita e di certo vedere sua figlia, l’unica che amasse davvero, illuminata alla vista di tanta semplicità, non potè che darle la conferma che cercava: la loro vita sarebbe cambiata, dando loro una svolta decisamente romantica e deliziosamente gioiosa.
Longfic basata sulla OneShot "Skinny Love".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota: Prima di cominciare vi consiglio di leggere la One Shot che ho scritto in precedenza e dalla quale mi sono ispirata per scrivere questa storia.
Rilassatevi e, magari, mettete un sottofondo che vi lasci spensierati. Buona lettura!



I.
 



Louise controllava l’orologio da polso regalatale dalla nonna, uno di quelli con il quadrante piccolo e ordinato e il cinturino in pelle scura, e non vedeva l’ora che arrivassero le dieci di quella mattina fredda. Era in piedi dalle sei e non aveva mangiato nulla, se non un biscotto che la piccola Jasmine le aveva porto sorridendole sinceramente.
«Sei pensierosa» le aveva sussurrato la bambina una volta resasi conto della condizione di sua madre.
Louise si voltò verso di lei e le sorrise, sperando di calmare anche lei.
Ciò che non sapeva, però, era che sua figlia non temeva niente: era abituata ai loro continui viaggi e le grosse valigie al loro fianco la rendevano sicura. Avrebbe incontrato gente nuova e strana rispetto a quella che aveva incontrato fino ad ora, ma avrebbe anche continuato a scrivere a tutti gli amici che aveva abbandonato. Di certo andarsene e non sentire più i pensieri dei suoi conoscenti non sarebbe stato da persone educate e visto che Jasmine era stata educata nel migliore dei modi, tra filosofie diverse e lingue straordinariamente diverse l’una dall’altra, la ragazzina non poteva fare a meno di non accorgersi di come la gente le restasse fedele e le volesse un bene grande quasi come tutti gli oceani di questo mondo.
Madre e figlia si trovavano su una panchina nella stazione centrale di Zurigo, guardando il viavai della gente, le urla di felicità di altri o le imprecazioni in tedesco di chi  perdeva il treno.
«Avevano detto che il treno sarebbe passato alle otto questa mattina» sbuffò Louise accavallando le gambe al passaggio di un uomo che la guardava un po’ troppo insistentemente.
Jasmine rise. «Non sei mai stata così in ansia, mamma»
Altro sospiro, poi uno sguardo stanco da parte della donna.
«Jas, tu non hai idea di cosa mi sia inventata pur di andarmene da qui»
La bambina si voltò verso di lei curiosa, immaginando una storia avventurosa come quella di aver oltrepassato le alpi per chiedere un lavoro o del denaro per poter partire ancora, o di aver giocato ai quattro cantoni nei quattro cantoni – questo pensiero strano le era balenato alla mente un po’ di giorni prima – o semplicemente di aver salvato la vita di qualcuno.
«Sono uscita con un uomo»
La piccola si ridestò dai pensieri fantasiosi. «Oh»
«Non per quello che pensi! Non pensar male di me, piccola peste» le fece l’occhiolino.
Jasmine si alzò e le si parò davanti con l’aria di chi vuol fare una paternale impegnativa e indagatrice.
«Ho chiesto se conoscesse qualcuno in un nuovo stato che non abbiamo visitato»
L’altra l’ascoltava interessata. Oramai il lavoro di detective era parte di lei, o almeno le piaceva giocare a quel gioco.
«Conosce qualcuno, tutto qui»
«E la stanchezza da dove arriva? Due settimane fa eri a comprare cioccolato al latte tutta allegra!»
«Jas, non dormo da un sacco e sono raffreddata»
La bambina si sentì in colpa: forse era stata colpa del suo voler giocare con la neve al mattino o del suo trascinare la propria madre sulla pista da scii per la semplice voglia di voler vedere la gente scendere divertita e spensierata.
«Mi spiace»
«Spiace a me! Dopotutto al nostro nono trasferimento dovrei essere allegra come non mai!» le scoccò un’occhiata divertita «Ti prometto che appena arriveremo a destinazione starò meglio»
«Non vuoi proprio dirmi dove andiamo?»
Louise corrucciò la fronte e fece come per pensare.
«Se ti dicessi che ti porto in paradiso, tu mi crederesti?»
«Matsuke, quando eravamo in Giappone, mi ha detto che gli angeli non esistono»
«Angeli? No! Io parlo di persone, piccola Jas»
«Persone?»
Segno positivo col capo. «Brave persone»
«E poi non ce ne andremo più, no? Sarà il paradiso»
La madre scrollò le spalle. «E chi lo sa, Jas. Chi lo sa»
 
 
«Prima chiamata per la fermata a Calais, si pregano pertanto i signori passeggeri di dirigersi verso l’uscita del treno. Grazie»
Come rinata da un sonno profondo, Jasmine si alzò, corse senza aspettare sua madre verso la porta d’uscita ed aspirò l’aria un po’ snob del luogo in cui si trovava. Non aveva ancora metabolizzato il fatto che si trovasse in un luogo a lei del tutto sconosciuto ma allo stesso tempo visitato tramite film e romanzi.
«Mademoiselle, peut se déplacer?» parlò un uomo, probabilmente uno dei facchini che portano le valigie.
La bambina, spaventata da quella lingua a lei sconosciuta tornò dentro come un razzo, cominciando a stringere la mano della propria madre, piena dal suo canto di piccole borse contenenti qualsiasi cosa. Jasmine trascinò un po’ spaventata sua madre fino ad una panchina dove erano state appoggiate le valigie, spostate gentilmente da un uomo che era caduto nell’ingannevole bellezza di Louise.
«Francia? È questo il posto paradisiaco?» la vocina stridula per lo spavento di Jasmine rimbombò nelle orecchie di Louise che stava controllando che tutte le valigie fossero lì.
«No, tesoro»
«E allora perché siamo qui?»
Un sospiro da parte della donna. «Chiamiamo un taxi»
«In Francia?»
«Sì, tesoro: i taxi sono ovunque»
«Ma qui puzzeranno di formaggio e… un cane, attenta!»
Come al solito, la bambina saltò spaventata da uno York-Shire Terrier grande quanto il piede di un uomo, una pallina di pelo appena visibile se non le si da tutta l’attenzione.
«Jas, è minuscolo»
«Potrebbe mordermi» sembrava decisa a voler scappare da quel posto.
Allora Louise prese l’iniziativa. «Andiamo?»
In meno che non si dica la piccola aveva acchiappato la propria valigia dirigendosi presso il parcheggio del luogo domandandosi dove fossero dirette.
Spero non in Germania, si disse, ci sono stata tante volte.
Mentre nella mente di Louise si susseguivano immagini meravigliose di distese di fiori e una spiaggia dalla sabbia sottile. Certamente entrambe avevano una fantasia particolarmente spiccata, dato che da lì a poco sarebbero rimaste alquanto deluse. Non dal luogo, non dalla gente, ma dal fatto che la loro immaginazione non fosse andata oltre la bellezza esteriore di un panorama da vivere con entusiasmo.
Lymington le aspettava.
  
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