Apro gli occhi, immersa nel buio.
Mi guardo intorno, attenta a non fare nessun movimento, perché lei se ne accorgerebbe, e se si svegliasse dovrei stare a casa fingendo di dormire fino a mattino inoltrato.
Mamma e papà dormono nella loro stanza, riesco a vedere il torace di papà alzarsi ed abbassarsi lentamente, in casa nostra non ci sono porte.
Poi mi giro, piano, per vedere cosa sta facendo lei.
E scopro che mi sta guardando.
I suoi occhioni nocciola mi stanno fissando da chissà quanto, e io me ne accorgo solo ora.
Sembra calma, rilassata, ma so che è terrorizzata.
Cerco di distogliere lo sguardo, ma è come se lei mi riuscisse a precedere in tutto, e mi ferma.
Mi accarezza con il palmo della mano, ruvido e gelato.
Si stanca molto tutto il giorno nelle piantagioni del nostro distretto.
A quest’ora dovremmo già essere in piedi a raccogliere frutta, ma oggi è un giorno speciale.
Le afferro la mano e la stringo a me, inspirando forte.
Vorrei rannicchiarmi su di lei, e scoppiare a piangere, sfogarmi.
Perché ho paura.
Ma non posso, devo essere forte.
Ho quindici anni ormai, e non mi è più permesso fare la bambina.
Così stiamo in silenzio, un silenzio carico di terrore, ansia, insonnia.
Vorrei poter dire anche di speranza.
Ma non c’è speranza nel Distretto 11.
Soprattutto nella mattina che precede la Mietitura.