Esprit de corps
Inspira piano, quasi avesse timore di spezzare la bolla di silenzio etereo che pare aver inglobato la stanza, e altrettanto cautamente trattiene il fiato, mentre Francia si sistema meglio, l’equilibrio precario di entrambi sulla sedia che regge miracolosamente nonostante tutto.
Ha le mani piene di capelli biondi e morbidi, ciocche che filtrano tra le dita piovendo sulle nocche come rivoli di fresca rugiada e non riesce a smettere di far scorrere i pollici su quegli zigomi appena accentuati –appena sotto gli occhi, appena sotto le occhiaie di una notte insonne.
Perché il respiro di Francis profuma di rose e di viole appassite –il suo, lo sa, ha il retrogusto un po’ acidulo dell’alcool- e a ogni piccolo alito che danza sul suo viso è un piccolo sobbalzo della sua stessa anima: colpisce sempre più a fondo e lo rende inabile a distogliere lo sguardo e ad allentare la presa.
Non lo bacia – sfiora appena le sue labbra, le lascia appena sfregare tra loro, ritraendo il capo a più riprese fino a rendere anche il più piccolo getso la più deliziosa e crudele delle torture –continua semplicemente a lasciarsi trattenere senza avere il coraggio (o la forza) di alzarsi e sbattere la porta nell’andarsene.
E poi Francia sorride –sente le sue mani attorno alla vita e poi avvolte alle guance- e restano lì tutta la sera, come patetici piccoli mortali dimentichi della discordia e dell’eternità.