A sparrow, con
i miei ringraziamenti per i suoi
commenti alla storia. Spero che la scena
che troverai nel capitolo sia di
tuo gradimento.
Molly Spencer, una bambina di sei anni di Seattle, aveva atteso tutto la mattina che sua
sorella maggiore Ginny,
di sedici anni, uscisse per il solito giro al centro commerciale per
intrufolarsi nella sua camera e rubarle da cassetto quel rossetto rosso che la
mamma le aveva regalato per il compleanno e che lei avrebbe voluto tanto
provare almeno una volta.
Era stata brava a non fare rumore, aveva girato la maniglia piano, si era avvicinata alla scrivania in punta di
piedi e , anche se un po’ a fatica, aveva sollevato la seggiola per avere lo spazio per tirare verso
di sé il cassetto.
Il rossetto si trovava in una specie di
astuccio rosa di Hello Kitty, Molly aveva visto Ginny
tirarlo fuori da lì, così, con mani
tremante e il cuoricino che le batteva all’impazzata, prese a rovistare
fra quaderni, penne, gomme da cancellare, braccialetti e
collanine, fermandosi di tanto in tanto
per tendere l’orecchio attenta.
Trasalì lo stesso però quando lo schermo del computer accanto a lei ronzò all’improvviso.
Fece un salto indietro, stringendosi al petto l’astuccio appena trovato e con
gli occhi sgranati vide un immagine apparire di botto.
Era un signore con la barba e i capelli un po’ neri e un po’ bianchi, come il
suo papà.
Si avvicinò, affascinata, lei lo conosceva, era sulle figurine che i suoi compagni di classe collezionavano
e si scambiavano durante l’intervallo - Iron Man.- mormorò .
“Non
sono qui per farvi discorsi incoraggianti.” La voce di Tony risuonò
chiara nella camera silenziosa “ Non vi dirò che la vittoria
sarà nostra, che riusciremo per certo a
scacciare l’invasore alieno. Non voglio mentirvi.”
Molly osservava affascinata l’uomo al computer ignara di stare
assistendo ad un pezzo di storia. Ogni computer del mondo si era acceso di colpo, le televisioni mandavano
a rete unificate il messaggio di Tony al genere umano.
“…Però
voglio assicurarvi che non siete da soli in questo momento. So che molti
governanti, a dispetto dei desideri della loro popolazione, si stanno
mobilitando per contattare l’invasore e stipulare un trattato
di resa. Questo noi non possiamo e non vogliamo farlo.”
Molly sentì la mamma esclamare un - Dio sia lodato.-
“Ci sarà una guerra, ci
saranno vittime. Chi avete chiamato eroe fino a questo momento combatterà per
voi, ma anche dovete combattere per noi. Non arrendetevi, non cedete al nemico.
Qualsiasi cosa accada continuate a resistere. Lasciate la città. Se abitate in
un centro abitato che pensate possa essere abbastanza popoloso o importante da
essere un punto d’attacco , rifugiatevi nelle campagne! Cercate di non essere
un bersaglio, non rimanete in casa, nascondetevi negli scantinati, nei rifugi
antitornado , e preparatevi alla resistenza.
Noi vi prometto che ci vinceremo, ma vi prometto che in un modo o nell’altro,
voi sopravvivrete per continuare a combattere… La terra è nostra, è tale dovrà
restare.”
L’immagine
si allargò e alle spalle di Tony, Molly, notò diverse persone in piedi dietro
di lui. Erano nell’ombra, ma qualcuno aveva contorni famigliari “Thanos!” Tony
puntò il dito contro lo schermo “ Ti
pentirai amaramente per quello che hai fatto !”
Le parole di Tony ebbero l’effetto sperato. Da ogni parte del
mondo si registrò un lento esodo dalle città , coadiuvato e protetto dalle forze armate. Le campagne, le montagne, vennero popolate da sparuti accampamenti,
troppo piccoli per essere individuati dall’alto e dal suo castello, Thanos, fremette per la sorpresa.
Non aveva mai trovato, nel suo pellegrinare fra mondi, una popolazione tanto
testarda da ficcarsi volontariamente in una situazione da guerra di trincea.
Sarebbe stato divertente, dopo aver abbattuto i suoi paladini, stanare ogni
uomo, donna e bambino del pianeta e ucciderlo.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Il piano era pronto, semplice, e ad alto tasso di mortalità.
Tony non era mai stato un tipo troppo ottimista, credeva nei suoi calcoli, e i
suoi calcoli erano chiari. Solo un miracolo poteva aiutarli a vincere la
battaglia anche se, l’effetto sorpresa, avrebbe giocato non poco a loro
vantaggio. Reed ne era certo.
Tony si passò una mano sugli occhi, i numeri
sullo schermo del pc stavano iniziando a
confondersi, ma doveva finire lo schema di costruzione delle bombe ad impulsi
elettrici prima di sera, poi sarebbe stato ai suoi tecnici assemblarle in serie
prima della mattina.
-Così non funziona.- disse una voce alle sue spalle.
-Lo so dottore.- rispose Tony a mezza bocca. Aveva passato la vita a progettare
armi e non aveva mai sbagliato un conto. Gli erano tutte uscite al primo colpo,
senza il minimo sforzo, e ora non riusciva a mettere assieme qualcosa di utile
e potenzialmente salvifico per i suoi compagni.
Reed si alzò dal suo tavolo di lavoro inforcando gli
occhiali e si avvicinò alla postazione di Tony chinandosi in avanti per
sbirciare lo schema da sopra la sua spalla con più attenzione - Vedi? Questo
circuito è aperto.- spostò il dito sullo schermo e il disegno si mosse -
Chiudilo.-
Tony sbarrò gli occhi, era un errore da principiante, da ragazzino che non
capisce un cazzo di disegno tecnico. Che diavolo gli stava prendendo proprio
ora?
Si alzò, allontanando di colpo la sedia dal tavolino e uscì dal laboratorio.
Aveva bisogno di bere, doveva schiarirsi le idee, e se da una parte lo sapeva
che era ridicolo cercare di snebbiare i pensieri con del whisky, dall’altra
parte la pace della bottiglia era l’unica cosa che desiderava.
-Tony.-
Si volse, Steve abbassò per un momento le palpebre a vedere la sua espressione.
doveva avere l’aria distrutta, non di certo quella di uno che doveva far parte
di una truppa d’assalto. Cap si avvicinò grattandosi un gomito - Non è stata colpa
tua.- gli disse dopo un momento e Tony si girò completamente verso di lui per
fronteggiarlo. Era impazzito o Capitan America, l’uomo che si vociferava avesse
ingoiato un manico di scopa stava cercando di consolarlo?
Lo fissò attonito, doveva essere davvero un caso pietoso se perfino uno come
lui provava pietà .
-Allontanare le donne era una mossa saggia,
io stesso, lo ammetto, ho pensato di farlo. Non potevi sapere che il
nemico le avrebbe seguite.- Steve alzò le spalle , impacciato, l’espressione
incredula di Tony non gli facilitava il compito di cercare di tirargli su il
morale e di farlo sentire meno in colpa per la sparizione delle ragazze come
l’aveva sentito farfugliare alla vista dell’auto accartocciata .
-Quindi, cerca di starci con la testa, okay? Ci servi.-
Tony abbozzò un sorriso - Okay.-
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
-E’ incredibile.-
-Stark ha compiuto un miracolo.-
Osservando i serpentoni di auto vegliati da sciami di elicotteri da guerra Fury doveva ammettere di essersi sbagliato. Un esodo di
massa dalle metropoli gli era parsa una cosa infattibile e invece aveva dovuto
ricredersi…
Ogni Capo di Stato favorevole alla ribellione aveva ripetuto il messaggio di
Tony, perfino il Papa, dalla sua finestra a piazza San. Pietro, aveva invitato
i fedeli a lasciare le città o a rifugiarsi
nelle campagne .
- Washington, Boston, Dallas, Seattle, San Francisco e Los Angeles stanno venendo evacuate in questo momento.- lo informò Hill dal sua postazione e Phill,
accanto a lui, emise un sospiro sollevato - Anche Parigi, Londra, Karāchi, Madrid , Jakarta,
Rio de Janeiro e Roma.-
Fury controllò l’ora, erano le diciotto precise ,
mancavano ventiquattro ore precise al piano
all’ora X
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Le grida di dolore di Diane rimbombavano nel silenzio terrorizzato della cella.
Darcy sollevò il cappuccio della giacca e se lo tirò
fino al naso, premendo le mani sulle orecchie .
Era orribile, semplicemente orribile.
Nessuna delle donne presenti aveva idea di cose le stessero facendo, ma sapevano
delle ferite sulla schiena di Charles, e non aveva senso sperare per Diane un
trattamento differente. La porta si spalancò di colpo e la ragazza venne
buttata sul pavimento.
Non emise un lamento, rimase immobile, gli abiti stracciati sulla schiena e le
braccia lungo il corpo.
-DIANE!- gridò Sharon avvicinandosi mentre Pepper
voltava la testa di Howard per impedirgli di guardare anche se, piccolo com’era,
di certo non avrebbe colto l’orrore in
quello che stava accadendo.
-Non reggerà ancora a lungo.- mormorò Jane - Non è nemmeno lontanamente forte
come Charles.-
Nessuna delle donne rispose, ma tutte sapevano che Jane stava dicendo la
verità, Diane non aveva più molto tempo.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
-Se non sbaglio, non ti è
mai piaciuta la pioggia Erik.-
Erik incassò la testa nelle spalle con un
- Già.- chiudendosi la porta alle spalle con un colpo di tacco della scarpa. Era impossibile prendere
Charles Xavier alle spalle, ci aveva rinunciato anni
fa, per questa ragione lo raggiunse alla finestra guardando Manhattan oltre il vetro rigato dall’acqua
-Pioveva quando sono stato internato ad Auschwitz assieme con la mia famiglia.-
Charles annuì senza spostare lo sguardo -Lo
so.-
Aveva intravisto quel ricordo molti anni prima, quando aveva sentito la sua rabbia
da metri di distanza, quando aveva cercato di
sollevare il sottomarino di Shaw
anche a costo di farsi scoppiare una vena per lo sforzo.
-Come?- Erik si appoggiò alla finestra con un gomito - Hai sbirciato anche in
quei ricordi?-
-Sei tu che me l’hai fatto vedere.-
spiegò Charles voltando appena la testa verso di lui - Quando cercavi di
trattenere il sottomarino di Shaw pensavi alla mano tesa di tua madre verso di
te. - Erik sgranò gli occhi. Era vero, ma non aveva mai detto a nessuno,
nemmeno a Charles, che in quel momento, in quel preciso momento, aveva attinto
al ricordo di quell’istante per tirare fuori la forza di compiere l’impossibile
. Provare a sollevare quel bestione dall’acqua,
cosa che in quel momento non gli sarebbe mai nemmeno passata per
l’anticamera del cervello - Sentivi le sue urla in testa, la sensazione della pioggia sulla pelle e del
fango sotto ai piedi. - Charles lo vide distogliere lo sguardo da lui e
puntarlo di nuovo alla città coperta da un manto di nubi scure, così basse che
davano la sensazione di poter essere afferrate solo stendendo il braccio - Il dolore, la sensazione di impotenza, erano
così forte che mi hanno raggiunto e ho visto tutto senza volerlo.-
-Capisco.-
Come al solito, quando gli si faceva notare la sua umanità, Erik si ritirava a riccio, quasi fosse motivo di
vergogna, per lui, avere un cuore e dei sentimenti. Essere uomo e non
superuomo.
-Mi dispiace non volevo rivangare quel momento proprio adesso.-
Erik sollevò le spalle senza guardarlo - Non fa nulla.-
Rimasero in silenzio per un lungo momento, entrambi intenti ad osservare la
Roccaforte aliena che sorgeva nel bel mezzo di Manhattan -Un giorno, magari, riusciremo a fare una conversazione come si deve, fatta
di botta e risposta e non di un botta e poi di un silenzio imbarazzato.-
Charles sollevò gli angoli delle labbra in un sorriso senza scostare lo sguardo
dal profilo minaccioso del castello di Thanos -Ognuno ha un suo modo di comunicare.-
-Sarà, ma per me è frustrante.-
-Davvero?- Charles tornò a guardare Erik
che lo fissava crucciato.
-Già, cercare di indovinare quello che pensi non mi diverte.-
- Ora sai come mi sono sentito io in tutti questi anni.-
Il sorriso, divertito, che era apparso sul viso di Erik si cristallizzò - Mi
perdonerai mai per quello che c’è stato fra noi?-
Quella era la classica domanda da un milione di dollari, quella che nessuno
vorrebbe mai ritrovarsi a dover rispondere.
Charles osservò il volto di Erik nella penombra della stanza e alla fine
scosse il capo.
-Lo immaginavo.- Erik si staccò con un colpetto dalla finestra su cui era
andato ad appoggiarsi e fece per avvicinarsi alla porta . Aveva Stark all’armadietto
dei liquori rientrando e pregava ardentemente che quell’ubriacone bastardo
non si fosse finito la scorta.
Aveva la mano sul pomello della porta quando Charles parlò ancora.
-In realtà io non ce l’ho mai avuta con te…-
Erik si fermò…Non si aspettava un simile proseguo.
-E’ con me che l’ho sempre avuta, Erik. -
Erik si volse a guardarlo, sbalordito.
-…Ho permesso che ti perdessi senza fare nulla. Ti ho lasciato andare e non c’è
stato un giorno in cui non me ne sia pentito...-
Erik si avvicinò strofinandosi il viso con entrambe le mani -Charles, ma che dici? E’ stata colpa mia. Tu hai
provato a farmi ragionare.- fino all’ultimo secondo prima di infilare il casco
di Shaw l’aveva sentito gridargli nella testa di non farlo. Di non
ucciderlo... Che quella sarebbe stato
l’inizio della fine - Io non ti ho voluto ascoltare.-
-Avrei dovuto insistere.-
-Insistere di più? E come? Sparandomi?-
Charles alzò le sopracciglia con un sorriso - Perché no?-
Erik sbottò a ridere.
Bastò quella breve risata condivisa a portarli uno fra le
braccia dell’altro. In un impeto di passione, allacciati, intenti a togliersi i
vestiti a strattoni, si ritrovarono prima addosso alla finestra, poi contro la parete a lato. Nonostante il
momento, e il suo aver appena buttato a
terra il maglione di Erik, Charles cercava ancora di fare la voce della ragione,
anche sé non era semplicissimo pressato com’era contro il muro e già mezzo nudo.
Erik gli tappò la bocca con un bacio mentre infilava le braccia sotto alle sue
per arrivare ad armeggiare con la cintura dei pantaloni . ma lo sentì prima
sbracciare e poi afferrargli la testa con entrambe le mani per farlo voltare.
Guardò la porta, perplesso. -Cosa?-
-E’ aperta.-
-Pure adesso fai il Grillo Parlante?-
-Non ho intenzione di fare nulla con il rischio di venire beccato.-
La chiave nella toppa girò sotto lo sguardo di Charles e si sentì uno schiocco
metallico - Contento uomo virtuoso?-
FINE
CAPITOLO:
C’ho messo un casino di tempo per scrivere
questo capitolo, spero davvero che sia stato di vostro gradimento. Un saluto
dalla vostra Ino
chan.