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Autore: Caramell_    06/04/2013    6 recensioni
Spartacus Vengeance
Agron ha visto Nasir per la prima volta in una casa romana intrisa di piaceri e lorda di sangue. Ha trovato fuoco e orgoglio racchiusi in un sol corpo […] Nasir che ha poco più di vent'anni e il carattere di un cagnolino selvatico, che ha un viso dolce e un culo niente male […] e che, gli dei lo perdonino, per un momento, gli ricorda suo fratello.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Duro, Nasir
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ho promesse da non tradire e miglia da fare prima di dormire
Robert Frost

 


~


 

C’era odore di sangue, nell’aria.
Il sangue di molti, mischiato con la sabbia, il puzzo del sudore e l’odore del cuoio vecchio. Agron non aveva mai sentito l’odore del sangue di qualcun altro. Il suo si, quello lo conosce. Il sangue degli altri però lo disgusta e lo ferisce al naso.
Ne era piena l’arena, ciò che si sforzava di chiamare giaciglio, le prigione e quelle fottutissime celle, i vestiti e le armi che si portava addosso che poi armi vere non erano.
Gli avevano dato spade spuntate fatte di carta e brandelli di pelli bruciate per coprirsi, perché i porci romani  avevano paura e Agron lo sapeva. Lo sapevano tutti, tra le sbarre e la sabbia. Lo sapevano ma stavano buoni e raramente si ribellavano.
Erano marchiati a vita da una fottutissima lettera e la casa di Batiato pareva la loro tomba; Puzzava di morte e sangue raggrumato, di lacrime e corpi messi insieme e non era possibile uscirne se non con una spada nel petto. Qualcuno l’aveva capito – Agron era uno di quelli – altri continuavano a scalciare e a dimenarsi come bimbi in fasce. Duro non capiva perchè, ma il giorno dopo sparivano.
Agron e Duro erano arrivati da poco più di tre giorni e quel puzzo di sangue e piscio per loro era terrificante.
L’unica cosa che ricordavano del viaggio era che la barca oscillava pericolosamente da destra a sinistra, da sinistra a destra, che faceva acqua da tutte le parti e aveva l’odore di qualcosa in putrefazione e che non avevano smesso di guardarsi un momento, spalla contro spalla e dita intrecciate. L’abbraccio di un padre, di una madre e di un fratello. Che Duro aveva dormito per un po’, durante il tragitto, poggiando la testa sulle braccia del fratello, mentre Agron pensava a quello che si lasciavano indietro, al cielo della Germania sopra la testa e al fresco dell’erba sotto i piedi e guardava un uomo che non valeva niente perché la morte se l’era già portato via.
Non aveva ben chiaro, a quel tempo – ed è strano, si trova a considerare, quanto sembri lontano, quel periodo, ora che la libertà gli alleggerisce i piedi – il concetto di schiavitù, col sole di Germania negli occhi e la mani calde di suo fratello sul petto. I baci di sua madre sul viso e una risata di bambino nelle orecchie e durante il viaggio non aveva fatto altro che cercare di ricordare a chi appartenesse un suono tanto bello, mentre provava a muovere le mani il meno possibile. Le catene che lo legavano erano sporche e pesanti come macigni e graffiavano i polsi come coltelli.
Duro gli sedeva accanto, acciambellato contro di lui. Aveva le mani sporche di sangue e un marchio blu sulla guancia destra. Le catene gli segavano i piedi e gli avambracci.
La barca s’inclinava e l’acqua gli lambiva i piedi e Agron sentiva il freddo del mare penetrargli nelle ossa e i gemiti dell’uomo che gli stava di fronte bucargli le orecchie. Aveva il viso coperto di rosso e gli occhi spenti di un uomo già morto. Agron l’osservava spesso – ogni volta che lo sentiva lamentarsi e il mare gli toccava la pelle – e – vedendo solo un ombra di ciò che era – pregava gli Dei di non avere il suo aspetto.
[…]
Ad una prima occhiata l’arena pareva un mostro – ora però è caduta e ha più l’aspetto di un cadavere bruciato; Aveva le fauci spalancate e la lingua di fuori, un occhio solo e i denti sporchi di sangue. Aspettava nascosta tra la sabbia ei porci romani la controllavano e ne ingigantivano la forza.
Agron non faceva niente, di solito. Non creava problemi – nontanti.
Voleva solo uscire di lì. Voleva farlo vivo e voleva portare Duro con sé. Non voleva che crescesse con l’odore del sangue di qualcun altro nel naso, il puzzo del sudore e l’odore del cuoio vecchio e anche se il tempo passava lui si diceva che no, era solo un giorno e il sole s’era levato in cielo per una sola volta da quando erano lì, che Duro era piccolo, ancora troppo piccolo e non l’aveva ancora superato, basso com’era e che non sarebbe successo niente perché non sarebbe morto nessuno di loro. Pensava che sarebbero rimasti insieme comunque e avrebbero calcato il cancello scuro che li aveva inghiottiti il giorno prima, anche se a volte sentiva la ragione e la speranza sfiorire.
C’era odore di sangue, nell’aria.
Ogni giorno qualcuno nell’area combatteva, qualcuno moriva sotto i suoi colpi. Erano in due. No, forse in tre. Il mostro che si nascondeva nella sabbia aveva fame più volte al giorno o sarebbero stati solo in due. Si sentivano i rumori della lotta, dietro i muri delle celle, da sotto l’arena. E le grida dei vivi e dei morti si mischiavano assieme e facevano male alle orecchie. Agron provava ad abituarsi, così come ci provava Duro, ma le grida e le suppliche s’imprimevano a fuoco nel cervello e bruciavano e scottavano, bloccando loro il respiro.
Ora non è più così e i fantasmi e le voci sono quasi scomparse perché la libertà porta innumerevoli vantaggi e la gioia di averla afferrata oscura tutto il resto.
Agron ricorda spesso – sempre – quando ha perso Duro. Una fottutissima spada romana – una di quelle vere, fatte di ferro e sangue germano – gli ha trapassato il petto ad un palmo dal viso.
Agron ha pianto per giorni e ha speso le lacrime di una vita in poche ore.
Ha continuato a maledire le merde romane e a chiudere gli occhi e a riaprirli per non vederlo sulla sabbia col sangue sul viso e nessuna luce negli occhi. Ha sentito un fuoco bruciargli in petto e il dolore trasformarsi in rabbia. Ha creduto di avere la forza per rialzarsi e ammazzarne a centinaia di quegli esseri schifosi. Poi c’ha provato e le gambe non l’hanno retto ed è finito di nuovo tra la sabbia e la polvere gli si è impigliata tra i capelli e quel giorno ha assaporato il gusto amaro della morte per la prima volta.
Il corpo di Duro è rimasto nel ludus, là dov’è caduto, una ferita slabbrata poco sopra il fianco e gli occhi aperti. Riposa tra le macerie della casa di Batiato; a volte pensa che se tornasse indietro e varcasse di nuovo quel cancello, lo troverebbe ancora lì, coperto dal suo e dal sangue dei romani. Ma la terra ne ha inghiottito il corpo – e no, non riesce proprio a pensare a lui come ad un cadavere – e il sole seccato le labbra. Per un momento, prima di lasciarlo sulla sabbia, Agron aveva creduto di sentire la voce di un bambino che piangeva, poi aveva scosso la testa, e quel pianto era sparito trasportato dal vento.
C’è odore di sangue, nell’aria e Agron spera e prega e maledice gli Dei perché sente ogni giorno di più l’odore di quello di Duro.


~
 

Nei suoi venticinque anni, Agron ha ucciso circa sessantotto uomini in battaglia. Ne ha sconfitti sessanta sul campo, e ha conquistato la testa degli ultimi otto sulla sabbia. Ha giaciuto con cinque, e ne ha amati due. Ha capito troppo tardi che combattere non vuol dire solo uccidere, che gli Dei hanno donato la forza ad alcuni uomini per non lasciarne morire altri.
Sessantanove, settanta e i romani cadono come mosche. Settantuno e la sua furia scorre come il sangue. Settantadue e la battaglia finisce e il vento e la terra si sporcano di rosso e di pozze grandi come un braccio.
Settantadue, sussurra tra le labbra strette, mentre qualcosa si contorce dietro le sue spalle.
Settantatre, ma sono ancora troppo pochi perché alla morte di Duro Agron non ha fatto altro che vivere di vendetta. Ha ucciso i romani solo per il gusto di farlo, perché non ne sarebbero bastate mille, di quelle schifosissime merde, per ripagare la vita del fratello che ha perso e perché anche se è passato così poco, dalla morte di Duro, il suo viso già diventa evanescente e pare sciogliersi come neve al sole e Agron si odia, si odia come non mai mentre l’immagine della sua ragione di vita gli scompare dalla vista, e odia i romani e i loro fottuttissimi giochi e le loro fottute vite e prende l’odio tra le mani quando se ne ritrova uno di fronte, smanioso di spezzargli il collo.
Arriva a cento quindi col sorriso sulle labbra e il viso sporco di rosso.
Arriva a cento la notte in cui incontra Nasir, che ha poco più di vent’anni e il carattere di un cagnolino selvatico, che ha degli occhi scuri enormi e per un momento gli ricorda suo fratello. Centodieci quando gli salva la pelle in una battaglia poco più in là della villa, all’arrivo dell’alba. Centoundici e a tradimento un sorriso compiaciuto si fa largo sul suo viso, mentre l’osserva assalire i romani per la prima volta.
Nasir ha un viso dolce e un culo niente male. Agron lo fissa spesso, quando si allena e sorride un po’ quando finisce a terra e la terra – terra, non sabbia perché la sabbia adesso è sparita, invogliandolo – gl’imbratta il viso. Ha quasi il corpo di un bambino e delle labbra morbidissime e Agron non fa altro che bacialo e baciarlo e baciarlo. L’afferra e lo sbatte contro il muro più vicino e gl’infila una mano tra i capelli e lo bacia come se non ci fosse un domani. Gli sfiora la pancia e percorre i fianchi in punta di dita e il bacino gli s’infiamma, bruciando. Pensa ogni volta che potrebbe prenderlo lì, così, anche davanti a tutti, mentre Nasir gli sorride sulla pelle e se lo stringe al petto.
Nasir sorride sempre, quando fanno sesso e in quei momenti Agron sente qualcosa sciogliersi, proprio vicino al cuore. L’osserva, i capelli scompigliati e le labbra schiuse, e affonda dentro di lui con tutta la dolcezza che possiede. Lo sente gemere e tendersi e graffiare e soffiare come un gatto selvatico. Per un po’ la vendetta s’allontana e l’immagine di Duro scompare e si rifugia da qualche parte tra la nebbia e il torpore. Si perde il sapore del sangue e il mostro che governa l’area s’assopisce e Agron non può fare a meno di amarli, quei momenti, anche s’è una cosa tanto melensa da fargli attorcigliare lo stomaco.
Nasir sa di buono, tutto di lui sa di buono, di vino, di olio e di sesso ed è un odore che s’intensifica quando lo bacia, a bocca aperta e con tanta lingua. Agron continuerebbe a farlo in eterno, mentre si spinge dentro di lui e lo sente contrarre i muscoli dell’addome, nel vano tentativo di trattenersi.
[…]
Succede che, in una di quelle sere, quando il sole ormai è morto dietro l’orizzonte e le grida e i grugniti degli uomini sono cessati, sostituiti dai gemiti e dal rombo del sonno, Nasir gli chiede di suo fratello. Sono abbracciati sul loro letto di fortuna e tanta è la vicinanza, che Agron sente il suo respiro solleticargli il collo.
Nasir gl’accarezza il petto e intreccia una gamba con la sua. È tremendo e dolce insieme il calore che quell’abbraccio ruvido gl’infonde e Agron non può fare a meno di lasciarsi andare e sputare fuori tutto il veleno che ha infilato in gola.
Gli racconta tutto e si meraviglia di come ci sia voluto poco, a convincerlo; comincia dalla loro prima giornata di caccia a dodici anni e continua fino alla fuga dall’arena.
Passa per il viaggio in quella barca sudicia e maleodorante e si ferma al patto con Spartacus e ai loro primi duelli e al fatto che Duro era sempre col culo per terra e che ne aveva prese tante, da Crisso, ma che s’era sempre rialzato e aveva guadagnato un rispetto diverso da quello dettato dalla paura e dalla forza.
A volte gli manca il coraggio e per un po’ deve fermarsi, perché le parole gli bruciano addosso e le lacrime gli appannano gli occhi. In quei momenti Nasir lo circonda con le braccia e ad Agron viene quasi da ridere nel notare la differenza di dimensioni, ma Nasir non sembra farci caso e continua a stringere e quel tepore leggero lo circonda completamente, riportandolo indietro.
Si sente meglio e continua a raccontare. Parla per ore, ma gli sembrano giorni. Parla e la notte sbiadisce e il giorno prende il suo posto. Continua a farlo fino a che gli occhi non gli bruciano e s’abbandona, stremato, contro il petto di Nasir che, intenerito, lo bacia e sorride.


~
 

Nei suoi venticinque anni quindi, Agron ha ucciso circa centoundici uomini in battaglia, romano in più, romano in meno. Ne ha sconfitti più di cento sul campo e ormai ha dimenticato quante delle loro teste sono volate nell’arena. Ha vissuto per quasi un anno in uno sporco ludus romano, combattendo per il piacere e il vizio di quelle merde ingioiellate. Ha conquistato parecchie vittorie sulla sabbia, mentre guardava gli spalti urlanti e la vita di suo fratello appesa ad un filo.
Ha meditato vendetta contro i loro carcerieri e, alleato ad un trace con sproporzionate manie tendenti al suicidio, sognato la fuga e il ritorno in patria.
Ha perso un fratello e ha pianto per giorni spendendo le lacrime di una vita in poche ore. Ha gridato vendetta e sputato sui cadaveri dei suoi nemici, rincorso la sete che gli bruciava nel petto e che a poco a poco gli si strusciava addosso, consumandolo, portato avanti un viaggio duro e costellato di dolore e di sangue e trucidato cadaveri su cadaveri.
Poi, con i ribelli, ha attaccato una villa rintanata tra le colline della campagna romana e liberato gli schiavi che la presiedevano, mentre il fottuto gallo cercava informazioni su Nevia e, non contento, uccideva il dominus e l’unica cosa che Spartacus ci ha guadagnato è stato un viaggio a vuoto e due uomini feriti.
Agron ha visto Nasir per la prima volta in una casa romana intrisa di piaceri e lorda di sangue. Ha trovato fuoco e orgoglio racchiusi in un sol corpo e all’inizio era solo sessuale, la cosa, perché era da troppo tempo che non toccava qualcuno, che non ne sentiva la consistenza sotto le dita e quel piccoletto era così caldo, tra le sue mani, e così stretto, tra le sue cosce, ma poi Nasir è quasi morto e lui ha sentito qualcosa spezzarsi e per un momento ha rivisto il corpo di Duro crollare tra la sabbia con gli occhi spalancati e il viso del fratello per un attimo – solo per un attimo, ma era stato più che sufficiente ad ucciderlo per la seconda volta – si era sostituito a quello di Nasir.
E in quel momento Agron ha capito che c’era qualcosa che doveva fare assolutamente, che gli Dei, da lassù, potevano cose che gli uomini nemmeno immaginavano, che erano stati clementi, per una volta, dopo che l’avevano lasciato senza uno scopo da perseguire e nulla da portare avanti per troppo tempo, perché aveva permesso che Duro morisse e che la rabbia guidasse i suoi passi, divorandolo dall’interno.
Se la sua prima prova è stata un fallimento, allora, e gli Dei l’hanno punito e Duro l’ha abbandonato, la seconda va un po’ meglio perché al posto della furia e del dolore c’è un po’ più di pace e la consapevolezza che, da quando ha incontrato Nasir, vive un po’ meno per vendetta e un po’ più per amore.








Note:
Ok, se siete arrivati fino a qui è un buon segno, davvero un buon segno.
Questa One-shot o qualsiasi-altra-cosa-sia mi è frullata in testa per due ore questo pomeriggio e tò, praticamente si è scritta da sola in poco più di mezz'ora. Proprio per questo sono sicura ci saranno degli errori e di sicuro andrebbe perfezionata, ma ho deciso di pubblicarla così. E...e niente spero di aver fatto un buon lavoro.
Ogni tipo di recensione è ben accetta, anzi sarei proprio felicissima di avere qualche opinione.

  
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